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Archivio Telegiornaliste anno X N. 36 (424) del 3 novembre 2014
 
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TGISTE Cristina Catarinicchia: un esordio da urlo di Giuseppe Bosso

Incontriamo Cristina Catarinicchia, volto dell’emittente padovana Antennatre Nordest.

Gioie e dolori di una telegiornalista a Padova.
«Veramente di dolori non me ne vengono in mente molti: Padova è una città di media grandezza, che talvolta si comporta come una metropoli. Quindi ha una vita politica e sociale molto intensa. Dal punto di vista della cronaca ha sempre presentato spunti professionalmente molti interessanti, dalla Mala della Riviera del Brenta, al caso del serial killer Profeta, e poi la lunga vicenda di Via Anelli; oggi è una città molto segnata da una rilevante presenza di migranti: resta una realtà piena di vita, di giovani (grazie all'università) e di arte e cultura; è una città in cui, se sei un po' giù ti basta alzare lo sguardo sulla magia di Palazzo della Ragione e ti senti subito meglio...».

Ricordi la tua prima volta in onda? Cos'hai provato?
«Subito prima di leggere il mio primo tg ad Antennatre Padova mi è completamente andata via la voce dal panico. Un collega tecnico, Daniele, è venuto davanti a me. Mi ha detto "Urla!". Niente: "urla qualcosa!". Allora ho urlato, lì nello studiolo davanti alla telecamera. Mi sono sbloccata e poi è andato tutto bene... ancora oggi lo ringrazio».

Hai condotto anche programmi e talk show; rispetto al tg che differenze hai avvertito?
«Ho condotto per molti anni dei talk show politici, ma ammetto che non è l'aspetto che preferisco. Il bravo conduttore di questi programmi dev'essere egocentrico, sentirsi protagonista, io invece resto sempre un po' timida e riservata. Preferisco di gran lunga il tg, per me non c'è nulla di vivo e vivificante come la cronaca che avviene al momento. Da qualche tempo la nostra azienda si è dotata di strumentazione a zaino, possiamo andare in diretta da qualsiasi posto in qualsiasi momento: lo trovo eccezionale».

Qual è stata per te l'esperienza più gratificante e quale la più impegnativa?
«La più gratificante è stata sicuramente nei tre anni in cui ho potuto seguire da vicino, con strisce quotidiane dedicate, il festival del Cinema di Venezia; adoro il cinema da sempre e poter respirare la stessa aria di attori, registi e produttori è stato fantastico. Pensa che nel '99 avevo con me mio figlio di 10 mesi... correvo alle interviste e poi in albergo da lui! Nonostante questo, il nostro programma, su TeleNordest, era seguitissimo e ogni mattina qualcuno ci fermava in giro per il Lido, commentando e complimentandosi con noi per un prodotto innegabilmente di livello nazionale. La più impegnativa: dare in diretta la notizia della morte del nostro editore, Giorgio Panto, nel 2006; ero direttore di TeleNordest che lui aveva acquisito nel 2003, e con Giovanna Pastega, direttrice di Antennatre, abbiamo aperto la diretta per fornire tutte le informazioni possibili in tempo reale. Per il nostro pubblico lui era una figura molto importante, era molto amato. Provavamo un dolore grande, ma la gente ci è stata molto vicina».

Da ormai dieci anni sei seguita e 'capsata' dai nostri lettori: come pensi di essere cambiata in questo lasso di tempo?
«Intendi a parte i chili di troppo? - ride, ndr - Insomma, non sono anoressica, questo è sicuro... parlando più seriamente, sono molto cambiata, molto maturata; l'esperienza mi fa affrontare gli eventi di cui mi occupo con minore emozione, ma questo non è un male, perché di natura sarei molto emotiva, e invece così riesco a comunicare con più lucidità quello che devo raccontare al pubblico».

Sfogliando la discussione a te dedicata nel nostro forum notiamo che in questi ultimi anni molto spesso hai cambiato colore di capelli e pettinature: è qualcosa che rientra nel tuo carattere o semplice voglia di cambiare?
«Ho sempre pasticciato coi miei capelli, non mi sono mai piaciuti; difatti ho appena rifatto la permanente, pensa un po'…»

Capelli a parte quali sono le tue regole dal punto di vista del look?
«Solo la semplicità, spesso monocolore, magari con qualche tocco particolare di bigiotteria».

Riesci a conciliare lavoro e affetti?
«No; faccio i salti mortali, ma mi sembra con scarsi risultati, con mille sensi di colpa per tutto quello che ho tolto all'infanzia di mio figlio, Nicola; ma alla fine, quello che mi capisce di più è proprio lui: mi dice sempre "non preoccuparti, mamma"... e non parliamo di quel sant'uomo di mio marito... comunque è anche per questo che da qualche anno ho lasciato incarichi di responsabilità per tornare al ruolo di redattrice ordinaria in redazione».

Il tuo più grande desiderio da giornalista è...?
«Essere la persona migliore possibile, con i miei pochi pregi e i miei innumerevoli difetti, ma comunque la persona migliore possibile. Qualsiasi professione si faccia, credo sia questa la massima ambizione».
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NONSOLOMODA Abbasso le discriminazioni fiscali sulla cultura: #unlibroèunlibro di Francesca Succi
dal blog
TheGlossyMag

Su twitter nelle ultime ore non si parla d'altro. C'è addirittura un hashtag sponsorizzato, #unlibroèunlibro, che si può utilizzare per dire la propria opinione (sempre in 140 caratteri) contro l'ultima trovata fiscale nel mondo dell'editoria.

Sono stati chiamati a raccolta tutti gli editori per dire no, o meglio rappresentare con il pollice verso il basso, alla tassazione IVA di un libro cartaceo al 4% e di un ebook al 22%. Perché questa disparità?

Una trovata del genere, frutto di un'idea dal sapore europeo, si mette contro ogni logica se consideriamo che la lettura su supporti multimediali è in crescita esponenziale. Inoltre, in questo modo si metterebbero in ginocchio ancora di più le case editrici, senza contare il collasso conseguente nella tecnologia di settore.
Insomma un effetto domino che, soprattutto in questo momento, non possiamo permetterci a livello globale.

Un libro di carta o un libro in formato ebook hanno la stessa anima. Lo stesso contenuto e la stessa volontà di accompagnare il lettore verso un viaggio chiamato universo dei sogni. Possibile che in questo mondo i sogni, di carta o di parole su uno schermo luminoso, siano messi in discussione con una tassazione assurda? Questa è la volontà di affrontare il futuro verso nuovi orizzonti?
Se avete a cuore l'iniziativa potete far sentire la vostra voce utilizzando l'hashtag #unlibroèunlibro sui social network. Ovviamente anche il mio blog, The Glossy Mag, aderisce alla campagna #unlibroèunlibro.
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TUTTO TV Michele Santoro e Marco Travaglio: scontro tra giganti di Deborah Palmerini

Fra giganti del giornalismo può accadere di essere in dissenso e può andare a finire che un argomento scottante come il dissesto idrogeologico assassino del territorio italiano faccia scoppiare il duo del giovedì di La7, Michele Santoro e Marco Travaglio, certamente la coppia giornalistica più collaudata e meglio assortita del panorama televisivo di approfondimento.

Non è la prima volta che la tensione fra i due supera il livello di guardia, ma questa volta Travaglio non ce l’ha fatta a rimanere in studio: a telecamere accese si è alzato dalla seggiola ed ha attraversato lo studio fino al backstage, fendendo la spessa coltre di dolore e rabbia, portata in studio dalla tragedia dell’ultima alluvione a Genova; non ha potuto sopportare Travaglio l’assoggettarsi pedissequo al richiamo del conduttore Santoro che, in nome del contraddittorio e del pluralismo, lo intimava di lasciar parlare il presidente della Regione Liguria Burlando.

Nottetempo e nelle prime ore del giorno seguente sono scorsi fiumi di inchiostro, vero e virtuale, per analizzare e spacchettare l’episodio, descrivendo con minuzie maniacale il contesto di coltura di tanto nervosismo nonché delineando scenari futuri di divorzio e addirittura di nuovi programmi, nondimeno esercitandosi, scomodando pareri illustri, sulla prospettiva di un talk show condotto in solitaria da Marco Travaglio.

Le edicole del giorno dopo scoppiavano di opinioni fra le più svariate: dai quotidiani filogovernativi che gioivano per il ridimensionamento del filogrillino Travaglio a quelli di destra festeggiavano l’idea che la coppia costituita dai due fra i più grandi dell’inchiesta televisiva fosse al punto di separarsi definitivamente. Insomma ogni angolo nascondeva un gongolo.

Poco importa se a dolersene sarebbero stati i telespettatori affezionati a quel tipo di talk show politico, costruito sapientemente sul mix dell’inchiesta spinta e la discussione in studio.

Fino alla puntata seguente, quindi per un’intera settimana il mistero sul ritorno in studio di Marco Travaglio non è stato sciolto: soltanto lui poteva, e ha deciso di farlo presentandosi in studio otto giorni dopo, puntuale alla stessa ora, pronto ad una generosa stretta di mano con il conduttore Santoro.

Durante la settimana del mistero Travaglio si è limitato a spiegare il suo gesto attraverso il blog de Il Fatto Quotidiano: recuperata la calma, ascoltato Michele Santoro sul rispetto del pluralismo, sulla necessità di un contraddittorio leale e sulla totale disponibilità al proseguo della collaborazione nella trasmissione Servizio Pubblico, Marco Travaglio ha voluto dire la sua: l’antefatto è l’alluvione di Genova, l’ultimo dei tanti che annualmente lasciano morti e devastazione; di fronte a un tale scempio, purtroppo non unico in Italia, Travaglio ha spiegato il moto di indignazione vera nell’ascoltare le giustificazioni della politica, chiamandole menzogne: ma il concetto basilare dell’editoriale post lite è la domanda sul futuro del talk show: se esistono ancora giornalisti in grado di fare inchiesta e raccontare fatti senza mistificazioni, può esistere ancora un talk non inquinato, non retorico, indipendente e non incline allo show?
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PINK NEWS Se non sei mia non sei di nessuno! La violenza maschilista contro le donne parte 1 - di Maria Tinto

«Se non sei mia non sei di nessuno!». È la frase che molte donne si sentono dire dall’uomo che pensano di amare e da cui pensano di essere amate; ma l’amore non ha niente a che vedere con una frase del genere: «se non sei mia non sei di nessuno!» è soltanto una dichiarazione di possesso.

Sottrarsi ad una relazione pericolosa non è facile, perché il sogno d’amore che ha creato la coppia stenta ad infrangersi, resiste alle avversità, non si arrende alle evidenze di un rapporto in cui lui vuole avere la meglio e sopraffarla. La fragilità della donna di ammettere una sconfitta spesso è più forte del subire violenze e vessazioni, sia fisiche che psicologiche.

Mentre la violenza fisica è osservabile, quantificabile, diagnosticabile, la violenza psicologica è al contrario un fendente invisibile, incalcolabile, che si insinua e striscia come un serpente velenoso fino a morderti l’anima: fino a succhiarti tutta l’energia, i pensieri.

Fino a lasciarti frastornata, in un angolo del ring senza più la forza di opporti ai colpi di colui che ti sta sgretolando: non senti più nulla, diventi invisibile per te stessa e speri di esserlo anche agli occhi degli altri, a cui non concedi nessuna accesso per arrivare al tuo dolore.

La scatola della tua solitudine diventa ogni giorno più piccola fino ad inglobarti, mentre il peso della tua sofferenza aumenta sempre di più. Occhi spenti, testa bassa, cuore perduto; nessuna bisogno, nessun poi

Alma ha gli occhi rossi, il volto emaciato; senza alcuna espressione, né tristezza, né gioia, né dolore, né rabbia. Nessuna emozione.

È un corpo mancato, ed io sento che è così che vuole essere ascoltata, come un corpo assente a se stesso, che non vuole mostrarsi, per vergogna e per timore di essere riconosciuto, di essere additato. Ma è proprio il suo corpo che mi sta dicendo molto più di quanto potrebbero dirmi le sue parole, quelle che sono serrate nel fondo della sua anima e che non trovano la forza per uscire dal tunnel in cui sono state ricacciate.

La sua storia è quella di una giovane donna che ha creduto all’amore (e forse ci crede ancora, nonostante tutto) di un uomo che l’ha distrutta come donna e come persona.

Ci prendiamo cura delle donne come Alma, ci prendiamo cura delle loro sofferenze, ci prendiamo cura delle loro fragilità: ma è come curare il sintomo non la malattia; la malattia è endemica, è nel genere maschile, ed è lì che bisogna intervenire.

La violenza maschilista contro le donne è un agire verso le donne, un atto avversativo, spesso di una crudeltà indicibile ed inimmaginabile; penso alle donne il cui corpo è stato fatto a pezzi dall’uomo amato ed i cui pezzi sono stati disseminati.

Come a voler disintegrarne anche la memoria del suo passaggio in questa vita; è un’immagine inconcepibile per una donna quella di pensare che colui che ama potrebbe farle una cosa simile: eppure succede!

Donne stuprate, minacciate, accoltellate, sfigurate; donne fatte a pezzi, lapidate, infibulate, dissacrate; donne violentate, offese, ingiuriate: donne.

Il complemento oggetto sono loro, le donne, vittime della mano che credevano “amica”, “compagna”, “paterna”, “amata”, mentre è solo la mano nemica che si arma contro di loro senza nessuna pietà, senza nessuna misericordia.

A nulla valgono le campagne antiviolenza, a nulla le voci che si alzano da più parti per condannare questi massacratori: si sentono legittimati all’uso della violenza da un mandato che arriva da lontano; a nulla valgono le tavole rotonde, in cui si ribadisce la complementarietà dei ruoli maschile e femminile; a nulla le Convenzioni Internazionali. Il massacro continua senza sosta.

 [segue]
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DONNE Antonia Del Sambro presenta Bordertown, un libro da leggere tutto d’un fiato di Maria Cristina Saullo

Bordertown: è questo il titolo del romanzo di esordio di Antonia Del Sambro, giornalista, critica letteraria e redattore editoriale; un romanzo di fantasia e immaginazione, in cui l’autrice si cimenta nella storia e nella narrazione per condurre il lettore in un piccolo meraviglioso viaggio in Italia. In questo scenario si intrecceranno storie d’amore e di amicizia, di viaggio e di speranza.

La storia si svolge in Italia nel 2029: la Penisola, lungi dall'essere uscita dalla crisi di inizio millennio, è stata divisa in tre macroregioni: Nord, Centro e Sud, ognuna con un governo e un ordinamento proprio.

La popolazione ha bisogno di un permesso speciale e di un passaporto per spostarsi da un'area all'altra; vengono creati posti di confine che tutti iniziano a chiamare Bordertown; i confini e le macroregioni sono, però, solo l’inizio di un progetto ambizioso e criminale, messo in atto da parte di gruppi di potere che vogliono impadronirsi dell’Italia. Lo Stato ha ricchezze e potenzialità che, secondo questi misteriosi personaggi, gli italiani non sono mai stati in grado di gestire e ora che l’unità nazionale è perduta, il golpe sembra facile da realizzare.

A lottare e a contrastare questo progetto c’è un’unione di “partigiani”, di cui nessuno conosce l’esistenza: grazie a loro, il piano di conquista e di dominio verrà sventato e l’Italia ritornerà ad essere la penisola che tutti hanno sempre conosciuto.

La trama che incuriosisce, fin dalle prime pagine, tanto da leggere il manoscritto tutto d’un fiato, accompagna il lettore fino al gran finale che non delude.

Quello che colpisce in Bordertown sono le ambientazioni: Termoli, la bordertown di confine tra lo stato del Sud e quello del Centro; il lungomare di Lerici, il Lago Trasimeno e, infine, l’entroterra pisano e le bellezze della Tenuta di San Rossore.

Nessun effetto speciale; i cattivi si intravedono appena; rimangono nell'ombra. Una presenza discreta che lascia spazio ai veri protagonisti: un ambizioso giornalista e una ragazza in fuga che vengono coinvolti, loro malgrado, solo per essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Ma la vera natura di Bordertown si manifesta al termine della lettura quando ci si ritrova a pensare al Paese Italia, alle diversità che lo caratterizzano, al campanilismo di gran parte dei suoi abitanti e, soprattutto, ad alcune voci allarmistiche che serpeggiano sui giornali e in televisione: e ci si chiede, allora, se di scenario fantapolitico si tratta o se l’autrice stia interpretando i segnali, sempre più preoccupanti, che la politica internazionale riserva.

Un curriculum vitae di tutto rispetto quello di Antonia Del Sambro: laureata presso l’Università di Firenze in lettere moderne, con una tesi in Storia e critica del Cinema, da anni collabora con giornali e riviste nazionali, scrivendo di arte, cultura, cinema, teatro e recensendo libri e autori. Nel 2008 ha fondato a Firenze l’agenzia letteraria Aemme, facendo pubblicare autori giovani ed esordienti. Dal 2000 è anche membro fisso di Premi letterari nazionali e, con la sua agenzia, ha dato vita a concorsi letterari come Firenze: prova a scriverla; Roma: prova a scriverla, concorso letterario in memoria di Lorenzo Cresti.
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