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Telegiornaliste anno II N. 30 (62) del 31 luglio 2006


CRONACA IN ROSA Livia Turco, il ministro che fa notizia di Erica Savazzi

Da pochi mesi ministro della Salute, Livia Turco è una delle sei donne che compongono il governo Prodi. A Telegiornaliste parla di diritto alla salute, di terapia del dolore e delle sue passioni. E naturalmente di donne.
Le donne in politica hanno qualcosa in più – o in meno – dei loro colleghi uomini?
«Le qualità risiedono in entrambi i sessi, anche se a noi donne vanno senz’altro riconosciuti una sensibilità e un approccio più concreto alle esigenze delle persone. Piuttosto bisogna creare tutti insieme, uomini e donne, le condizioni per cui alle donne, che rappresentano la maggior parte della popolazione del nostro Paese, sia facilitata la partecipazione alla vita politica in tutte le sue forme di rappresentanza politico-istituzionale, anche - perché no - attraverso lo strumento delle quote».
Già nei primi giorni dopo la sua nomina lei ha posto l’accento sulla salute della donna e sulla tematica del dolore, dal parto con l’epidurale, all’aborto tramite la pillola RU486.
«Ho voluto ribadire sin dalle prime dichiarazioni, ma soprattutto con le prime azioni come ministro della Salute, il mio impegno per modificare quella cultura del dolore che caratterizza momenti determinanti della vita delle persone e in particolare la vita delle donne. Nel programma di governo che ho chiamato Un New deal della salute ho voluto indicare per le tematiche relative al parto, alla nascita e alla vita del bambino nei suoi primi mesi di vita, gli obiettivi che metteremo in atto come ministero, in accordo con le Regioni, per riportare alla naturalità, nella qualità e nell’efficienza, questi momenti. Un programma che ho voluto tradurre in materia legislativa con il Disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri il 14 luglio. Uno strumento al servizio delle donne. Per quanto riguarda la RU486 mi sono limitata a ribadire che la sperimentazione in atto è lecita, come del resto già riconosciuto dal precedente governo nell’ottobre 2005».
D'altra parte la lotta al dolore nelle culture nordiche è data come scontata, in Italia invece è percepita come elemento di secondo piano perfino nella cura dei malati terminali.
«Nel nostro Paese, per ragioni che fanno parte della nostra storia e della nostra cultura, permane una forte resistenza all’uso di sostanze che possono alleviare la sofferenza anche dei malati terminali. Sono temi delicati, che richiedono la massima disponibilità al confronto e al dialogo.
I provvedimenti che si sono succeduti sino ad oggi, infatti, non hanno ancora prodotto quel salto di qualità atteso e utile. Si registra una carenza evidente di unità di terapia del dolore, si fa ancora poca assistenza domiciliare integrata, anche in ambito oncologico, e il numero di posti letto degli hospice è distante dalla copertura del fabbisogno potenziale, con evidenti disomogeneità tra Nord e Sud del Paese. Si presta poca attenzione al dolore dei bambini, come è dimostrato anche dalla scarsità di centri e servizi per la terapia del dolore in età pediatrica.
In questo contesto riteniamo urgente sburocratizzare e semplificare ulteriormente la prescrizione dei farmaci oppiacei, sostenere e promuovere, d'intesa con le Regioni, l'applicazione delle linee guida di Ospedale senza dolore, nonché rendere obbligatorio, su questi temi, l'aggiornamento degli operatori, tra cui i medici di medicina generale».
Il professor Umberto Veronesi propone l’adozione del testamento biologico in modo che le scelte del malato sulle cure siano chiare.
«Il testamento biologico rientra tra i temi da affrontare. Il programma dell’Unione prevede, infatti, un apposito paragrafo dedicato alla tutela di chi soffre. Lo scopo è costruire un sistema di garanzie per la persona malata, che abbia come premessa il consenso informato e l’autodeterminazione del paziente garantendo a tutti i cittadini le cure palliative e tutte le terapie del dolore disponibili. Il rifiuto dell’accanimento terapeutico e del dolore non necessario rientrano sicuramente tra queste garanzie».
L’anno scorso si è parlato di “emergenza sanitaria” al Sud. Si sta facendo qualcosa o si aspetterà la prossima emergenza per agire?
«Ho avuto modo di conoscere e approfondire la condizione delle strutture socio sanitarie del nostro Mezzogiorno nei numerosi viaggi, fatti già prima di diventare ministro insieme a Rosi Bindi e Massimo D’Alema. Ne è scaturita una proposta di legge, dettagliata anche nella parte finanziaria, per un risanamento della sanità nel Mezzogiorno. Il governo precedente ha fatto sì che rimanesse lettera morta e il problema è rimasto irrisolto. Questa situazione non è più tollerabile. Questo governo ha piena consapevolezza delle differenze ancora esistenti nell’accesso alle cure tra le regioni del Centro - Nord e quelle del Sud d’Italia e ciò ci spinge ad affrontare con determinazione il problema. Occorre innanzitutto intervenire per valorizzare le eccellenze che vi sono, e sono tante, e correggere, assumendo scelte condivise con le Regioni, le lacune strutturali alla base di questa situazione. L'autosufficienza sanitaria del Sud è un obiettivo importante da raggiungere, sia per ridurre i flussi migratori verso il Centro - Nord che per favorire la spendibilità di tutte le risorse del Mezzogiorno».
Lei ha proposto una modifica alla Legge Fini - Giovanardi sulla lotta alle droghe. A parte la questione delle quantità consentite, cosa pensa si possa fare per contrastare spaccio e consumo di sostanze stupefacenti?
«Educare e non punire è stato il principio ispiratore dei primi cinque anni di governo del centrosinistra e in qualità di ministro del Welfare ho potuto toccare con mano l’efficacia di tale strategia e a questa vogliamo tornare rapidamente.
Con la legge Fini - Giovanardi il precedente governo ha proposto un approccio punitivo e repressivo tutto rivolto nei confronti del semplice consumatore rendendo problematica ogni azione di cura e reinserimento della persona con problemi di abuso e dipendenza.
Criminalizzare il consumo e la tossicodipendenza porta a disconoscere non solo la diversa pericolosità delle singole sostanze, ma anche a non tener conto di modalità d’uso, dei luoghi di consumo, del significato simbolico che ogni individuo dà all’uso di una droga; vuol dire non riconoscere che la tossicodipendenza è una forma di disagio - malattia complessa, che può essere risolta con la cura e l’impegno del sociale e non con la repressione».
L’età media dei parlamentari in Italia è molto elevata e sono pochi i giovani che si interessano di politica.
«L’osservazione è pertinente specialmente se ci apriamo ad un confronto con gli altri Paesi europei. Tuttavia ritengo che questi ultimi appuntamenti elettorali abbiano evidenziato una maggiore partecipazione dei giovani alla vita politica del Paese. Un segnale che si è manifestato già nel voto per le primarie dell’Ulivo. Molti i giovani che hanno sentito fortemente la possibilità di essere protagonisti di una scelta determinante per il loro futuro. Giovani che hanno dato fiducia alla possibilità di un cambiamento che dovrà tradursi presto in impegni importanti del nuovo governo nella scuola, nelle università, nella ricerca, nel lavoro, nella famiglia e, perché no, anche nella salute. Sono convinta che se ricambieremo quella fiducia con la concretezza della nostra azione e con la fiducia nelle loro capacità, creando insieme le condizioni per svilupparle al massimo, avremo presto una nuova e giovane classe politica».
Quali sono le sue passioni oltre alla politica?
«Buone letture e lunghe camminate».
Grazie della disponibilità e auguri di buon lavoro da parte di Telegiornaliste e dei suoi lettori.
MONITOR Benvenuti, nata il 4 luglio di Filippo Bisleri

Francesca Maria Benvenuti è una di quelle persone che, ricordando un famoso film, può dire di essere nata il 4 luglio. La Benvenuti, però, può anche dire di essere una brava giornalista anche se lei, timida per natura, preferisce affermare di essere alle prime armi. Beh, se l’inizio del cammino è questo, c’è da pensare, visti anche i maestri con cui si sta formando e si è formata, che la sua carriera sarà luminosa.
Francesca, come hai scelto di intraprendere la carriera giornalistica?
«Ho scelto di fare la giornalista dopo aver lavorato per molto tempo alla cura e all'edizione di programmi di informazione. Mi occupavo già di ospiti, storie, documentazione, temi da individuare e sviluppare nel programma. Poco prima di diventare giornalista sceglievo reportage e documentari stranieri da acquistare ed editare. La passione è cresciuta poco a poco, fino a voler passare “dall'altra parte" della telecamera per lavorare finalmente sul "mio" materiale».
Esiste un luogo comune che vuole i giornalisti sportivi meno preparati dei colleghi. Tu che ne pensi?
«Che è assolutamente un luogo comune. Ognuno ha la sua specificità, il suo patrimonio professionale. A dimostrazione di questo, essendo arrivata da poco nello sport, penso che prima di affrontare una realtà nuova sia necessario studiare e documentarsi il più possibile. Almeno così faccio io».
Esiste un qualche ricordo speciale della tua carriera professionale?
«In particolar modo ricordo due puntate di Moby dick che realizzammo durante la guerra in Kosovo in diretta da Belgrado (sotto i bombardamenti) e da Kukes (dal campo profughi albanesi). Mi viene in mente anche un reportage che ho girato in Olanda sull'eutanasia, una realtà che ha messo in discussione le mie convinzioni».
Chi sono stati i tuoi maestri di giornalismo?
«Il mio maestro è stato senza dubbio Michele Santoro. Per me, i suoi programmi sono stati un vero e proprio laboratorio della tv; con lui ho imparato a scrivere un testo, a guardare la realtà con curiosità, a girare delle immagini, a montare. Un patrimonio che ho applicato in ogni contesto».
Ritieni che siano conciliabili i ruoli di giornalista e madre?
«Credo che tutto si possa fare, ma bisogna mettere in conto che si devono accettare dei compromessi, tanto nella propria carriera, quanto nel ruolo di madre».
Quali consigli senti di poter dare a quanti vogliono intraprendere la carriera giornalistica?
«Non voglio dare consigli, sto ancora imparando il mestiere! Comunque posso dire che nella mia storia la costanza è stato l'elemento importante, non ho mai perso la voglia di arrivare al risultato che avevo inquadrato. Poi, spiate, sbirciate, rubate tutto quello che potete imparare da chi ne sa più di voi, è fondamentale!».
FORMAT Marissa e i "morti di fiction" di Giuseppe Bosso

Le prime indiscrezioni avevano messo in agitazione i fans, ma la bomba l’ha fatta esplodere proprio Mischa Barton, meglio conosciuta come Marissa Cooper, maliziosa protagonista di The O. C., il serial americano che ha preso nel cuore dei teen-ager il posto che era stato di Dawson’s Creek e nel passato più lontano di Happy Days e Beverly Hills 90210.
L'intervista rilasciata dalla giovane attrice americana al magazine Access Hollywood, con la quale ha anticipato la tragica fine del personaggio, oltre alla disperazione dei fans - che si stanno man mano mobilitando in iniziative, come una petizione online, per cambiare questo inquietante finale - ha scatenato le ire della produzione del serial, che avrebbe giustamente voluto mantenere la cosa segreta fino all’ultimo.
Si possono fare molte ipotesi su cosa abbia spinto la Barton ad agire in questo modo: dal colpo di scena studiato a tavolino alla ripicca per un allontanamento dal set magari non voluto dall’attrice. Di sicuro, a parte i possibili risvolti giudiziari della vicenda, c’è il dispiacere dei tanti giovanissimi spettatori che avevano associato la sua immagine a quella della problematica Marissa.
Ma la Barton, in questa galleria particolare, è in ottima compagnia: non è infatti la prima volta che in un serial di grande successo uno dei protagonisti di spicco esce di scena in maniera cruenta, non solo in America ma anche nel nostro Paese.
Dall’eroe delle prime serie de La Piovra, il commissario Cattani interpretato da Michele Placido, al coraggioso ispettore Paolo Libero interpretato da Giorgio Pasotti in Distretto di polizia.
Un discorso a parte va fatto per le soap opera, che negli anni ci hanno spesso regalato clamorosi ritorni e colpi di scena; per informazioni chiedere alle attrici Hunter Tylo e Bobbie Eakes, rispettivamente Taylor Hayes e Macy Alexander, più volte tragicamente scomparse e altrettanto sorprendentemente riapparse nelle vicende di Beautiful.
Spesso sono gli stessi attori a optare per la drastica soluzione, probabilmente perché stanchi di incentrare le loro carriere su quell’unico, sebbene amatissimo, personaggio. Altre volte sono i produttori, magari infastiditi da qualche uscita dell’interprete, o gli stessi colleghi di set a orientare la penna degli sceneggiatori. Alla fine, ripetiamo, chi ne "soffre" sono quegli spettatori ormai affezionati a un volto e a una storia.
Ma si sa, morto un papa se ne fa un altro: ci saranno sempre un altro nome e un altro volto per cui palpitare e sognare...
Fino alla prossima uscita!
FORMAT (S)Top of the pops di Giuseppe Bosso

Per oltre quarant'anni è stato uno dei punti di forza della Bbc e un must per i giovani, non solo d’Oltremanica: di tutti gli angoli del globo. Esportato in moltissimi Paesi, in Italia veniva trasmesso su Italia 1 con la conduzione di Daniele Bossari e di Silvia Hsieh.
Il 30 luglio è calato il sipario su Top of the pops, per 42 anni classifica settimanale dei brani del momento che ha raccolto gli idoli di più generazioni. Tutto era cominciato con i Rolling Stones, a capodanno del 1964; da allora non c’è stato cantante o gruppo famoso che non abbia calcato il suggestivo palcoscenico.
Alla radice di questa decisione, naturalmente, i bassi ascolti dello show, cui il network britannico ha tentato vanamente di porre rimedio, ad esempio spostandolo di emittente, da Bbc1 a Bbc2; vanamente, appunto, fino alla drastica decisione.
Gli addetti ai lavori non hanno faticato ad individuare come fattore - base di questo declino la fortissima concorrenza che la tv generalista subisce dai canali tematici satellitari, che offrono una grande varietà di scelta anche dal punto di vista musicale.
C’è da dire, comunque, che se la notizia ha creato una certa malinconia nei nostalgici ormai affezionati alla trasmissione, pare che la maggioranza del pubblico non l’abbia presa poi tanto male, segno evidente che prevale una linea progressista e d’avanguardia nei gusti degli spettatori, anche a discapito di programmi ormai consolidati e duraturi come il vecchio Top of the pops
ELZEVIRO L’amore ai tempi di Mao di Antonella Lombardi

Non è facile amarsi a Pechino negli anni Sessanta, quando la politica riformista di Mao Zedong inizia a mostrare il suo lato oscuro, inaspettato, poco liberale, da regime.
Lo ha provato sulla propria pelle Yi Mong, studioso di poesia e letteratura, bollato dal partito comunista come “controrivoluzionario” per aver contribuito, con una cifra irrisoria, alla nascita di una rivista di studenti indipendente, guardata con sospetto dai vertici del partito.
Yi Mong diventa, perciò, un “intoccabile” da condannare a tre anni di carcere e isolare; ma Sabine, giovane e vivace insegnante di francese, da poco arrivata nella scuola di lingue straniere dove lui insegna, non lo sa: Sabine è attratta da questo intellettuale malinconico e riservato e amarsi è rischioso per entrambi. Ma la Rivoluzione culturale è alle porte…
Gli amanti del lago. Sotto il sole di Mao è il libro che ripercorre, attraverso la vicenda privata di Sabine e Yi Mong, la storia della Cina del ventesimo secolo, il destino di una generazione che ebbe la giovinezza segnata dagli eventi storici. Un romanzo poetico e coinvolgente che solleva interrogativi su questioni personali e collettive: fino a che punto la storia può condizionare gli individui? Un cinese lascia davvero la Cina quando si trasferisce all’estero?
L’autore, Shen Dali, poeta, scrittore e storico cinese, è nato in una grotta presso la celebre città dello Shensi che fu meta, nel 1934, della lunga marcia di Mao.
Insignito in Francia del titolo di "Cavaliere delle arti e delle lettere" ha scritto diverse opere, tra cui saggi d’arte e altri romanzi, come I bambini di Yan’an. In esso racconta una vicenda poco nota, ma drammatica: la dolorosa marcia di trecento bambini costretti a lasciare la propria città, Yan’an, appunto, a causa dell’avanzata delle truppe di Chang Kai-shek. Migliaia i chilometri percorsi a piedi in due anni e mezzo, sotto il fuoco delle battaglie. Un’avventura incredibile, raccontata in prima persona da Shen Dali che,ad appena otto anni, prese parte alla marcia.
Le sue opere, pubblicate dalla casa editrice Spirali, costituiscono un’occasione interessante per capire, ancora di più, il passato e il presente di un Paese complesso come la Cina, in cui, a detta dello stesso Shen Dali, «le illusioni prometeiche si sono perdute nella storia; un Paese in cui, per risolvere gli squilibri della società, viene privilegiato lo sviluppo economico, distruggendo l’ecosistema non solo della natura, ma anche della mente».
DONNE Tzipi Livni, Mrs. Clean di Erica Savazzi

«Israele non ha scelta. Deve difendersi e difendere i propri cittadini». Ha le idee chiare Tzipi Livni, vicepremier e ministro degli Esteri d’Israele, sugli attacchi a Hezbollah e sull’invasione del Libano degli ultimi giorni. Ha le idee chiare, anche se al momento della sua nomina a ministro da parte di Olmert molti hanno protestato adducendo come motivazione la sua inesperienza nel ruolo.
In effetti Tzipi Livni, per sua stessa ammissione, non ha mai pensato alla politica come possibile sbocco professionale. Laureata in giurisprudenza e specializzata in diritto commerciale, costituzionale e immobiliare, per dieci anni lavora in uno studio legale. Nel 1996 decide di lasciare il suo lavoro per dedicarsi alla politica: vuole contribuire a dipanare la matassa del conflitto israelo - palestinese.
Nel 1999 viene eletta parlamentare e dal 2001 è nominata ministro per ben sei volte. Uno dei primi incarichi che le viene affidato è partecipare ai lavori della Commissione sullo status della donna. Per la sua integrità morale durante l’esercizio dell’attività parlamentare si guadagna da parte dei colleghi l’appellativo di Mrs. Clean, Signora Pulizia.
Oggi, come solo era avvenuto con Golda Meir negli anni ‘50, è a capo della diplomazia israeliana.
Impara la passione politica da piccola, da genitori fermamente convinti che Israele dovesse avere un proprio Stato con una propria terra. Seguendo questi principi entra nel Likud, il partito di Sharon. Già prima di dedicarsi alla politica, però, Tzipi aveva capito che l’unica soluzione possibile al conflitto arabo - israeliano era la costituzione di due Stati indipendenti, uno israeliano, l’altro palestinese.
Quando si rende conto che il Likud non è in grado di perseguire questa strada, non esita a lasciarlo per seguire Sharon nella sua nuova formazione, Kadima, che a gennaio vince le elezioni nonostante il suo leader sia in coma in un letto d’ospedale.
Ci chiediamo quanto sia costato a questa signora, moglie e madre di due figli, appoggiare le operazioni militari in Libano: Tzipi Livni, infatti, come tutte le donne israeliane, ha prestato servizio militare, prima nell’esercito e poi nel Mossad, il servizio segreto israeliano. Conosce quindi il significato e le conseguenze delle operazioni militari e della guerra: di certo non una decisione presa a cuor leggero.
TELEGIORNALISTI Darwin Pastorin, giornalista appassionato di Giuseppe Bosso

Darwin Pastorin è nato nel 1955 a San Paolo del Brasile. Figlio di emigranti veronesi, giornalista e scrittore, è direttore della testata giornalistica sportiva de La7, dopo essere stato inviato speciale e vicedirettore di Tuttosport, direttore responsabile di Tele+ e Stream, direttore ai nuovi programmi di Sky Sport, editorialista.
Direttore dello sport a La7 dopo Biscardi, in un momento molto delicato per il nostro calcio: un compito non certo facile. Possiamo dire che hai vinto anche tu il tuo Mondiale, grazie ai buoni ascolti de Il gol sopra Berlino?
«Sì: la trasmissione, nata in pochi giorni con tanta voglia e passione, si è caratterizzata per aver voluto portare avanti un discorso nuovo, un talk particolare che, ci tengo a sottolinearlo, ha potuto contare su una cospicua quota rosa (a Berlino la Morace e la Fantoni, da Roma la Cambiaghi e la Stefanenko), ed è stata una splendida avventura di 31 dirette, che hanno ottenuto ottimi risultati in ordine di critica e di ascolti, ed è da questa base che intendiamo continuare».
Inevitabile chiederti un commento sulle sentenze di “calciopoli”, dove ha prevalso la linea giustizialista che ha punito pesantemente i soggetti coinvolti, squadre e singoli.
«E’un discorso che io affronterei sotto due punti di vista; io sono un garantista e capisco le perplessità delle società coinvolte, ma rispetto le sentenze. Personalmente credo che il campionato partirà molto in ritardo a causa dei vari ricorsi e appelli che si faranno, e che comunque una volta chiusa questa parentesi potremo cominciare con un calcio nuovo, che però ci dà la possibilità di ripartire dal punto più alto rappresentato dalla vittoria della nostra nazionale».
Volevo appunto chiederti come si presenta, secondo te, il calcio all’indomani di questo importante successo...
«Sicuramente con la voglia di riconquistare tutti quei bambini che, nel momento difficile, si erano trovati smarriti, al punto di staccare dalle loro camerette i poster dei loro beniamini, che proprio grazie alla nazionale hanno ricominciato ad attaccare. Si parla tanto di nuove regole da creare, ma io non ragionerei in questi termini, perché le regole ci sono sempre state; bastava solo rispettarle».
Su cosa punterà in futuro la programmazione sportiva di La7?
«Malgrado il periodo feriale stiamo continuando a lavorare con passione e impegno per il futuro; vorrei fare un nuovo programma del lunedì (naturalmente non sulla falsariga del Processo, che appartiene a quel grande giornalista che è Aldo Biscardi, unico nel suo genere), improntato sull’approfondimento, cercando di trattare di calcio anche dal punto di vista sociale, ferma restando l’attualità di una serie A e di una serie B straordinarie sotto tanti punti di vista. E per questo punto su una mia passione, che porto dalla mia esperienza a Sky, e cioè i documentari sportivi, le storie e i campioni positivi e tragici del passato».
Tra le tante piacevoli sorprese de Il gol sopra Berlino c’è stato sicuramente il ruolo di Natasha Stefanenko in una veste alquanto insolita per il pubblico che la conosce; come mai questa scelta?
«E’ stata una scelta collettiva della rete, che quando mi è stata proposta ho accettato subito, conoscendola come persona simpatica e intelligente, e a riguardo voglio svelarti un aneddoto: la trasmissione iniziava alle undici di sera, lei invece fin dalle cinque del pomeriggio era sempre presente alle riunioni di redazione, partecipando attivamente e arrivando preparata e informata sui temi da trattare, sui quali si documentava via Internet; è stata davvero straordinaria sia per noi che per il pubblico».
Cosa consiglieresti a chi volesse intraprendere la tua strada?
«Io faccio questo mestiere da trent'anni, ma già da quando ero sui banchi della scuola elementare “Silvio Pellico” di Torino avevo le idee ben chiare su cosa avrei fatto da grande, quando me lo chiese il mio maestro. È un lavoro che sentivo nel sangue; per farlo ci vuole passione, cultura, sacrificio e volontà di imparare giorno per giorno. Io consiglio di farlo a chi se lo sente dentro, come me, e di non voler solo apparire o inseguire la popolarità con esso, ma perché lo ami e lo senti nel cuore».
OLIMPIA Intervista a Paolo Bargiggia di Mario Basile

«La passione per il giornalismo mi venne in modo del tutto casuale scrivendo come semplice tifoso una lettera ad un settimanale locale di Pavia, dove abito ancora oggi, per criticare le scelte dell'allora allenatore di basket dell'Annabella Pavia, Marco Calamai».
E' iniziata così, per caso, la carriera di Paolo Bargiggia: conosciuto giornalista sportivo di Mediaset. Al grande pubblico è noto come grande esperto di calciomercato.
Una passione che ha radici lontane. «Ho cominciato ad occuparmi di calciomercato per caso al Corriere dello Sport nell'estate del 1989: ero un collaboratore, seguivo il mercato della serie C e della B».
«Una palestra eccezionale – racconta Paolo - , dei colleghi meravigliosi come Enzo Palladini, Javier Jacobelli e Roberto Omini che mi hanno spiegato i segreti del mestiere, presentandomi anche le fonti migliori su piazza, preziose ancora adesso a distanza di anni».
Anni in cui ha raggiunto grandi soddisfazioni: «Fra i momenti più alti della mia carriera metterei sicuramente alcune esclusive di calciomercato messe a segno sia al Corriere dello Sport (il ritorno di Gullit al Milan dalla Sampdoria, scoperto a febbraio, quindi molti mesi prima) che a Mediaset, come Ronaldo all'Inter, i viaggi "segreti" sempre dei nerazzurri in Spagna per studiare i metodi di lavoro del tecnico del Valencia Cuper, poi ingaggiato; il trasferimento di Vieri dall'Inter al Milan. E poi, le quattro finali di Champions League delle ultime sei stagioni. In futuro il mio progetto è quello di continuare a godere della fiducia del mio direttore Ettore Rognoni e del gruppo di lavoro che ci guida».
Oggi però le cose sono molto cambiate rispetto agli inizi: il numero di giornalisti che si occupano di mercato è cresciuto tantissimo. «Con il proliferare di tv locali e siti internet, negli ultimi dieci anni il calciomercato si è molto inflazionato. Siccome è provato che fa vendere di più il mercato che il campionato di calcio, tutti ci si sono buttati dentro. Consideriamo anche che con un mercato quasi sempre aperto com'è ormai da anni e con i trasferimenti all'estero anche per i nostri giocatori, è molto facile inflazionare la materia e sparare notizie a caso, tanto, al cospetto di un tempo così dilatato, non è semplice ricordarsi di cosa hai detto. Ma alla lunga credo che la gente riesca a capire chi si occupa della materia in modo serio, competente e con le fonti giuste. E in Italia, chi lo fa a questi livelli, oggi si può contare sulle dita di una mano».
E naturalmente Paolo appartiene a questi ultimi. Ne approfittiamo per farci segnalare qualche calciatore semisconosciuto messosi in luce agli ultimi mondiali e che farebbe comodo alle nostre squadre. «Io consiglierei Didier Zokora, centrocampista classe 1980 della Costa d'Avorio, che gioca nel St. Etienne; poi Anatoli Timoschuk, centrocampista centrale dell'Ucraina, classe 1979, gioca nello Shaktar Donetsk; Landon Donovan, americano del 1982, esterno offensivo, in forza a Los Angeles».
Staremo a vedere se magari almeno uno di essi sbarcherà nel nostro campionato.
Per ora, grazie a Calciopoli, grandi campioni hanno lasciato l’Italia: Cannavaro, Emerson, Zambrotta e Thuram sono già volati in Spagna.
Uno scandalo, quello del calcio italiano, che ha anche visto coinvolti alcuni giornalisti. «Non mi scandalizzerei tanto per il coinvolgimento di taluni colleghi negli scandali – dice Bargiggia - perché so in che mondo viviamo e quanto cialtroni e opportunisti siamo noi italiani. Se può esistere amicizia tra un cronista e un addetto ai lavori? Se è finalizzata al reperimento di notizie utili per informare e fare al meglio il proprio lavoro, ben venga. Ma più che amicizia, che mi sembra troppo, parlerei di un buon rapporto confidenziale. Ogni giornalista che si rispetti dovrebbe avere delle fonti sempre a disposizione. Se invece il rapporto eccessivamente confidenziale con un addetto ai lavori ti porta ad occultare delle notizie, allora vuol dire che non sei un buon cronista».
Si prospetta quindi un anno difficile per il calcio italiano. Così come lo è stato per la redazione sportiva di Mediaset dopo il flop di Bonolis con Serie A e la lenta risalita con la nuova conduzione targata Mentana. Un insuccesso che però non offusca gli ottimi risultati conseguiti con le altre trasmissioni sportive.
«Per lavorare e crescere professionalmente la redazione sportiva di Mediaset - prosegue Paolo - rappresenta un approdo ideale perché non ci sono preclusioni per nessuno e anche ai giovani vengono date grandi opportunità. Non ci sono gerarchie preconcette e invasioni di campo come in altre televisioni. Cosa si può migliorare? Dovrebbe crescere sempre di più la vocazione e l'attitudine ad essere cronisti fino in fondo, con un'agenda ben fornita di numeri di telefono e di informatori, senza farsi impigrire dal mezzo televisivo, che grazie alle immagini e ad un minimo di testo, a volte ti fa sentire appagato troppo in fretta, rendendoti superficiale e banale».
La prossima stagione sarà la prima senza Sandro Piccinini alla guida di Controcampo. I telespettatori si chiedono quale sarà il futuro del fortunato talk show. «Grazie al suo enorme successo, credo che Controcampo continuerà, per crescere ancora di più con un collega della redazione sportiva che raccoglierà l'eredità di Sandro Piccinini e che potrà avvalersi di un gruppo di lavoro collaudato e affiatato».
Chiusura dedicata al giudizio sulle colleghe donne. Tempo fa, in un’intervista, Paolo dichiarò di non trovare particolarmente brillanti le giornaliste sportive. Una sensazione che non è cambiata a distanza di qualche anno: «Confermo che dal punto di vista strettamente cronistico, nel giornalismo sportivo non trovo colleghe donne particolarmente brillanti; sono più brave nella conduzione che nell'investigazione e nelle interviste».
EDITORIALE Ferie anno secondo di Silvia Grassetti

Sebbene l'Europa del Nord non si blocchi ad agosto come succede nei Paesi più caldi, in Italia l'afa costringe i più ad andare in vacanza nello stesso periodo. E Telegiornaliste si adegua.
Come l'anno scorso, salutiamo i nostri lettori e i colleghi affezionati, dando a tutti appuntamento al prossimo lunedì 4 settembre, quando torneremo online con, tra gli altri articoli, l'intervista a Emilio Carelli, direttore di Sky Tg 24.
Ma la redazione non poteva chiudere per ferie prima di avervi preparato un'uscita eccezionale.
In questo numero le donne che fanno notizia sono orgogliose di presentarvi l'intervista esclusiva al ministro Livia Turco, accanto agli altri interessanti interventi di Francesca Benvenuti, Darwin Pastorin e Paolo Bargiggia.
E ancora: il ruolo di un altro ministro donna, l'israeliana Tzipi Livni, nello scenario politico mediorientale; uno sguardo sulla Cina con l'opera di Shen Dali; e per rilassarci un po' una riflessione sarcastica sui "morti a tempo determinato" delle fiction, e le novità sullo stop a Top of the Pops.
Infine, vogliamo qui salutare e fare i complimenti a Tiziano Gualtieri, che dalla redazione di Telegiornaliste è recentemente approdato a Studio Aperto. Le doti professionali di Tiziano sono innegabili, ma lasciateci crogiolare nell'ipotesi di aver portato fortuna al nostro amico.
Buone vacanze, dunque, dalla redazione, dal webmaster e dall'editore, a tutti i lettori di Telegiornaliste.
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