Homepage di www.telegiornaliste.com
HOME SCHEDE+FOTO FORUM PREMIO TGISTE TUTTO TV DONNE INTERVISTE ARCHIVIO

Archivio
Telegiornaliste anno II N. 39 (71) del 30 ottobre 2006


MONITOR Maria Leitner, donna dei motori di Giuseppe Bosso

Donne e motori, gioie e dolori, recita un noto proverbio. E'invece solo con gioia che Telegiornaliste incontra Maria Leitner, volto storico di Tg2 Motori, striscia settimanale della seconda emittente di viale Mazzini che propone le ultime novità dal mondo dell'automobilismo.
Friulana doc, appassionata fin dall'infanzia alle quattro ruote, è indubbiamente un'esperta nel settore e, come leggerete, una "pioniera" del mestiere.
Da cosa nasce la sua passione per i motori e la scelta di occuparsi di questo settore?
«Fin da bambina sono stata un’appassionata di motori; non amavo i soliti giochi con le bambole che facevano le mie coetanee. Poi, a tredici anni, mio padre mi ha insegnato a guidare e iniziai a seguire i rally che si svolgevano in Friuli, la mia regione. Per una pura coincidenza, poi, ho cominciato a lavorare per TMC nel 1993, diventando la prima donna a parlare di Formula 1 in televisione, su suggerimento di alcuni piloti che sapevano che l’emittente cercava proprio un personaggio femminile che si occupasse della materia. Quindi, dopo quattro anni, approdai in Rai, dove mi affidarono la rubrica che curo tuttora, Tg2 Motori».
Striscia che conduce da anni con successo: è soddisfatta di questo programma o prossimamente pensa di occuparsi di altre tematiche?
«Mi piace molto quello che sto facendo, ma credo che si debba fare molto di più; per il poco spazio che ci è riservato non è facile trattare tutti quei temi legati al mondo dei motori che non sono necessariamente legati alle gare».
Ritiene che una donna giornalista, a maggior ragione nel suo settore, tradizionalmente di pertinenza maschile, abbia le stesse possibilità di accesso dell'altro sesso oppure riscontra ancora discriminazioni?
«Ahimé, una donna deve saper dimostrare molto di più. E glielo posso ben dire io, che mi trovai praticamente sola agli inizi, quando tutti credevano che non sarei durata molto. Invece noto con piacere che nel tempo le colleghe che si occupano di motori sono diventate molte, e non meno brave degli uomini, come nel calcio. Su Rai International, soprattutto, abbiamo molto seguito».
Le cronache purtroppo ci riportano spesso casi di incidenti stradali mortali, dovuti principalmente a imprudenza dei guidatori e all'assunzione di sostanze alcooliche: Tg2 Motori cerca anche di impegnarsi in tal senso, trasmettendo un messaggio responsabilizzante?
«Non dedichiamo molto spazio alla sicurezza stradale, esponendo principalmente quelli che sono i dati tecnici delle vetture; ma non per questo rimaniamo indifferenti al tema, anzi, è nostro dovere lanciare un messaggio positivo per i guidatori, ad esempio con le “pillole” di scuola guida».
Lei è innegabilmente molto apprezzata dai nostri lettori non solo per la bravura professionale ma anche per la sua bellezza: quanto pensa sia importante l'immagine sul lavoro e come la rapporta alla professionalità?
«L’immagine sicuramente all’inizio colpisce, però poi devi sapere dimostrare il tuo valore, nel nostro come in altri mestieri. La bellezza non è tutto, e mi pare, del resto, che non tutte le colleghe in circolazione che lavorano siano bellone appariscenti, ma che hanno saputo dimostrarsi valide professioniste».
Riesce a conciliare lavoro e affetti con un'attività così impegnativa e itinerante?
«E’ difficile in questo lavoro senza orari, dove spesso parti da casa senza sapere quando rientrerai; è un discorso che vale tanto per le donne quanto per gli uomini. Non ho bambini, ma mi basta dare un’occhiata alle colleghe che ne hanno e alle loro difficoltà quotidiane per farmi un’idea dei sacrifici e dei salti mortali che ti richiede essere mamma e lavoratrice al tempo stesso».
CRONACA IN ROSA Bin Laden, divo della pubblicità di Erica Savazzi

Anche il peggior nemico in caso di bisogno può diventare il migliore alleato. Questa è la morale dell’ultimo exploit del partito repubblicano statunitense, a cui appartiene l’illustre Presidente George W. Bush. Commander in chief la cui popolarità presso l’elettorato è sprofondata in un baratro senza fine, vuoi per i problemi in Iraq – 70 cittadini americani uccisi nell’ultimo mese, vuoi per gli scandali di palazzo, ultimo quello dei “paggetti” del Congresso molestati da un ex-deputato.
Cosa di meglio, quindi, che allearsi con l’acerrimo nemico degli Usa (ma, se ha ragione Michael Moore, non della famiglia Bush) per ottenere ancora una volta l’appoggio popolare alle imminenti elezioni di mid term? Ecco allora Bin Laden, e altri insigni terroristi, che per un lunghissimo minuto guardano il telespettatore: sullo sfondo un ticchettìo di orologio - o di una bomba – e scritte contenenti un florilegio delle minacce più volte lanciate contro gli Stati Uniti e l’Occidente.
Al termine un’esplosione e l’invocazione: «Ecco la posta in gioco, votate il 7 novembre». Per i Repubblicani, ovviamente, per Bush, il cui unico obiettivo è difendere i cittadini americani e annientare la rete del terrorismo internazionale.
Nemmeno nel 2004, anno della rielezione di George Dabliù ci si era appellati con tanta sfrontatezza alla paura degli americani. Anzi, ora la paura la si crea. Come dire: terrorizza l'elettore e avrai il suo voto. Invece di decantare i risultati ottenuti negli anni di governo, digli che se non ti sceglierà ancora andrà sempre peggio.
In Italia ha quasi funzionato, del resto, in America vedremo. Ma probabilmente la pubblicità fallirà il suo scopo. Ogni pubblicitario sa infatti che per continuare a vendere un prodotto ci deve essere equilibrio tra quello che lo spot promette e quello che mantiene: se alla prova pratica il prodotto si rivelerà insoddisfacente, l’acquirente avrà sì comprato, ma per la prima e l’ultima volta.
Chissà se funzionerà per la vendita del prodotto sicurezza: si era promessa la sconfitta del terrore, sì, ma di certo non bare di alluminio e funerali di Stato.
FORMAT La freccia nera di Giuseppe Bosso

Da anni la fiction in costume riscuote sui nostri teleschermi grandi consensi. Lo sanno bene a Canale5, dove, a partire da metà ottobre e per sei settimane, va in onda La freccia nera, sceneggiato ispirato al romanzo di Robert L. Stevenson.
In realtà, contrariamente a quanto era accaduto nella produzione Rai degli anni ’60 - con Loretta Goggi e Aldo Reggiani protagonisti di un clamoroso successo - in cui la trama corrispondeva a quella del romanzo, questa volta l'ambientazione è diversa: non più l’Inghilterra della guerra delle Due Rose, ma il Tirolo di metà Quattrocento.
Sullo sfondo della lotta tra i principi fedeli al Papa e i sostenitori degli Asburgo si svolge la storia dei due protagonisti, Marco di Monforte e Giovanna Bentivoglio: come da prassi divisi dalla guerra ma uniti da un intenso amore che appassionerà gli spettatori fino all’ultimo episodio.
A prestare loro il volto due icone della nuova generazione di attori: lei è Martina Stella, lanciata da Muccino come "lolita" nell'Ultimo bacio, che proprio durante le riprese della Freccia nera ha lasciato il fidanzato Lapo Elkann, coinvolto nella nota questione di droga. Lui è Riccardo Scamarcio, nuovo bello e dannato del cinema nostrano, idolo delle giovanissime dopo i successi al botteghino di Tre metri sopra il cielo, Romanzo criminale e L’uomo perfetto.
Ma anche il resto del cast è di tutto rispetto: da Ennio Fantastichini a Francesco Venditti, da Jane Alexander a Sarah Maestri, da Valeria Cavalli a Emilio De Marchi, validissimi interpreti diretti dal regista Fabrizio Costa.
Una produzione sulla quale a Mediaset scommettono, memori del successo di Elisa di Rivombrosa, capostipite di un vero e proprio boom di sceneggiati in costume, da Orgoglio al recente Assunta Spina, a dimostrazione del favore che queste storie riscuotono presso un pubblico ormai stufo del proliferare di reality show e voglioso di vera, buona, televisione.
ELZEVIRO Mondrian in ottanta capolavori di Antonella Lombardi

«Credo che l’elemento distruttivo sia per lo più trascurato nell’arte». E’ il febbraio del 1944. A pochi giorni dalla sua morte Mondrian si esprime così, insoddisfatto dell’opera che aveva sul cavalletto: «C’è ancora troppo da togliere in questo quadro».
Artista moderno e innovativo, a lui architetti, musicisti e critici hanno riconosciuto la capacità di arrivare a soluzioni radicali, nella vita come nell’arte.
Ottanta suoi capolavori, eccezionalmente concessi in prestito dal Gemeentemuseum dell’Aia sono in mostra al museo di Santa Giulia a Brescia, fino al 25 marzo 2007. Un’occasione per ammirare il rigore dello stile di Mondrian, la sua arte astratta, in un percorso che ruota intorno ai concetti di "evoluzione" e "intuizione".
L’esposizione parte dai suoi esordi come paesaggista, nel filone del realismo tradizionale olandese della Scuola dell’Aia, anche se con una pittura di atmosfera già personale. Gradualmente, però, Mondrian riduce i suoi paesaggi sempre più a colori e forme, sviluppando una predilezione per il crepuscolo, momento in cui sono i contorni - e non tanto gli oggetti - ad avere maggiore significato.
Alla fine della carriera, quando la sua opera viene considerata una delle manifestazioni più radicali dell’arte astratta, Mondrian continua a definirsi un realista. Considera le forme astratte, che aveva iniziato a usare alla fine della sua vita, reali e capaci di rappresentare la Bellezza in una forma ancora più concreta di quella presente in natura.
Ma la peculiarità di Mondrian risiede nel continuo rinnovarsi, accettando di distruggere i principi precedenti, malgrado questo potesse mettere in discussione la funzione da lui attribuita alla linea. Mondrian esplora nuovi punti di vista e quando questi, nel tempo, non lo convincono più, è capace di eliminarli senza troppi ripensamenti.
Un’esposizione che ricorda le opere di un uomo che considerava le strisce di vegetazione che separano le stradine di Park Avenue un’intrusione deplorevole della natura nel paesaggio urbano, ma che amava Disneyland e i ritmi jazz provenienti dal suo grammofono.
DONNE Oriana e Diana: donne che non trovano pace di Fiorella Cherubini

Oriana e Diana: la regina della scrittura e la principessa del Galles, due donne differenti dai vissuti opposti, dai caratteri antitetici. Tuttavia, due fati destinati post mortem ad incrociarsi.
Entrambe decedute: Oriana di recente, per il cancro; Diana anni fa, per un incidente stradale; eppure, si vocifera che siano ancora in attesa dell’eterno riposo.
Se, dunque, esiste qualche audace che se le figuri in giro per il Paradiso ad intonare un Alleluia, di giorno, o a dare un nome alle stelle in compagnia di un cherubino, di notte, beh, si faccia avanti! O, quantomeno, si tenga informato!
Dopo le morti di Diana ed Oriana, dal ristretto coro di voci ed affetti “sinceri”, in migliaia si sono distinti gli sconosciuti che hanno dato la stura alla loro fame di protagonismo.
Alcuni, gli ipocriti oltranzisti, si sono spinti sino al perdono di ciò che, in vita, a queste due donne, sembrava addirittura imperdonabile: l’intolleranza di Oriana e gli amori di Diana.
Molti altri, troppi, armati di carta, penna e di un’ottima occasione, quale è sempre la morte di una persona amata o discussa, per accaparrarsi un briciolo di considerazione hanno osannato, condannato, raccontato, spesso inventando, due donne passate alla storia ancor prima di lasciare questo mondo.
Nel ricordare Diana viene in mente un aforisma di Wilde: il peso delle catene del matrimonio è tale che per sopportarlo bisogna essere in due, a volte anche in tre.
Rattrista, però, che di tali massime non se ne benefici mai in ugual misura: Carlo d’Inghilterra, infatti, passava e passa da London-lover, e Diana passava e passa da donna dai mille amori.
Così, addossandole una civetteria da locandiera goldoniana ognuno s’improvvisa biografo di Lady D, e questo lugubre rito fornisce servizi ai telegiornali, articoli ai tabloid, facendo della morte una macchina fabbrica - pecunia.
E passiamo all’altra chiacchieratissima defunta.
Quale atea dichiarata, più incline allo scontro che all’incontro, interessata a rivoltarsi nella tomba piuttosto che a riposarvi, ad Oriana non dovrebbe dare tanto fastidio tutto il chiasso che la vede protagonista.
Oriana Fallaci vedova, a vita, del suo unico amore Alekòs Panagulis, madre dei suoi libri, appassionata giornalista e scrittrice, ossessionata sostenitrice del principio della libertà, infaticabile combattente nelle guerre militari, familiari, personali. E fisiche: contro l’Alieno, il cancro che l’aveva aggredita, per anni consumata e il 15 settembre di quest’anno vinta del tutto. Starà certo scalpitando per non poter dire la sua a quanti sul suo successo stanno appoggiandosi per costruire il proprio.
Insomma, gettare livore sui morti quanto santificarli, strumentalizzando, per il proprio tornaconto, il loro decesso è un vezzo nauseante che si tramanda dal giorno in cui Caino dimostrò tutto il suo affetto ad Abele uccidendolo, però forse sarebbe ora, e con un certa premura, di ricavare una crepa, in detta prassi, e lasciarvi penetrare un barlume di decenza.
Se non altro perché, errando tra una considerazione e un ricordo, sovviene che: non importa ciò che dici delle persone, una volta che sono morte; conta solo come le tratti quando sono vive.
TELEGIORNALISTI Fabio Caressa, voce mondiale di Giuseppe Bosso

Fabio Caressa, telecronista di Sky, giornalista professionista dal 1994, inizia a lavorare in televisione nel 1986 a Canale 66, un'emittente locale romana legata alla più famosa TeleRoma 56. Passa a Tele+ nel 1991 come commentatore delle partite di calcio internazionale. Con l'avvento di Sky forma con Beppe Bergomi la coppia principe della pay tv italiana. Ha commentato le partite dell’Italia al vittorioso Mondiale di Germania. E’ sposato con Benedetta Parodi e ha due figlie, Matilde ed Eleonora.
Che sensazione ha provato il 9 luglio nel commentare il trionfo mondiale degli azzurri?
«E’ stato il coronamento di un sogno, che chiunque faccia il mio mestiere vorrebbe realizzare. Una grande emozione di cui non mi sono reso conto che a distanza di pochi giorni».
Ha sentito un po' sua quella Coppa che poi ha avuto modo di toccare?
«Sì, ma soprattutto l’ho sentita un po’ mia per quello che, durante tutta la cavalcata degli azzurri, eravamo riusciti a trasmettere alla gente che ha seguito partita dopo partita questa impresa memorabile».
Avrà avuto modo di risentire le sue telecronache: pensa di essersi lasciato coinvolgere molto emotivamente durante il cammino che ci ha portato dal Ghana alla Francia?
«Assolutamente no; mi sono lasciato coinvolgere come è giusto che fosse, proprio perché la televisione deve trasmettere emozioni, sensazioni palpitanti. Di conseguenza sono io il primo a dovermi lasciare coinvolgere, per consentire al pubblico di vivere questo».
Il trionfo tedesco sembra offuscato dal clamore di Calciopoli: di questa estate 2006 l'immagine di Cannavaro che alza la Coppa al cielo di Berlino non rischia di passare in secondo piano rispetto a quella del procuratore Palazzi che chiede la retrocessione delle squadre coinvolte e del giudice Ruperto che sentenzia?
«Io credo che ormai l’argomento non sia più nemmeno all’ordine del giorno. Ormai tutto quello che è rimasto sono le sentenze, le penalizzazioni e le squalifiche inflitte. La palla ha continuato a rotolare, e quando questo avviene si deve giocoforza voltare pagina e guardare avanti».
Dopo tante peripezie, come quella legata ai diritti televisivi, è ripartito il campionato: è corretto, secondo lei, che fattori come questo possano incidere sullo sport più amato del mondo?
«La televisione e il calcio sono ormai legati in modo che il secondo necessita della prima per la sua stessa esistenza. La televisione permette al tifoso di seguire la sua squadra in campo e durante la settimana, per questo è stato importante risolvere queste questioni».
Cosa sogna di commentare dopo avere avuto la gioia di essere il narratore della vittoria più importante per una nazionale di calcio?
«Beh, sicuramente spero di continuare a fare questo lavoro come ho sempre fatto. Però, ora che mi ci fai pensare, non ho mai commentato una finale di Champions League con una squadra italiana, e spero proprio che quest’anno sia la volta buona».
Anche sua moglie,Benedetta Parodi,è giornalista: ritiene che nella vita di coppia essere colleghi sia un punto a favore o contro?
«Lo svolgere lo stesso lavoro ci aiuta molto a capire quali possono essere i nostri tempi e le nostre esigenze. Poi, per fortuna, non ci sono rivalità tra di noi, perché anche Benedetta, col suo telegiornale, riscuote molto successo e di sicuro questo non può che far bene al nostro rapporto».
OLIMPIA Un nome, una garanzia di Mario Basile

Che il nome Ferrari fosse sinonimo di vittoria e grandi imprese lo si sapeva da tempo. Era però, questa, una convinzione legata esclusivamente al mondo dei motori, in cui la celebre casa automobilistica di Maranello ha dominato spesso e volentieri.
Doveroso dire “era”, perché negli ultimi giorni è arrivata un’altra Ferrari a infiammare i cuori degli sportivi azzurri. Si tratta di Vanessa, la nuova stella della ginnastica azzurra.
Sedici anni, bresciana, ai mondiali di Aarhus ha stupito tutti vincendo tre medaglie: oro al concorso generale, bronzo nel corpo libero e alle parallele.
Sono bastati questi tre successi a farla entrare di diritto nel gruppo di atleti e tecnici azzurri premiati dal Coni per merito sportivo.
Sa il fatto suo, la piccola Vanessa, che alla consegna del "Collare d’oro" non ha avuto esitazioni a dichiarare: «Tifo Milan, ma non per Berlusconi».
Avrà avuto paura di Prodi e della Melandri? Chissà. E poi ancora: «Le mie amiche mi hanno chiesto gli autografi dei calciatori, ma ho chiesto al nostro addetto stampa di procurarmeli. Non mi piace l’immagine dello sport piccolo che chiede a quello grande». La ragazza ha carattere.
Continui ad allenarsi, la nostra Vanessa Ferrari: alle Olimpiadi del 2008 potrà essere una grande protagonista.
Dalla Ferrari di Brescia torniamo a quella di Maranello. Al GP di Interlagos la scuderia italiana ha chiuso il mondiale con il trionfo di Felipe Massa sul circuito di casa e l’addio alla Formula 1 di Michael Schumacher.
Da brividi la gara del tedesco. La malasorte non solo gli ha tolto la possibilità di vincere il titolo, ma anche quella di tentare il miracolo: dopo pochi giri è finito ultimo per una foratura. Schumi non si è scomposto, ha rimontato tutti recuperando oltre cinquanta secondi agli altri piloti, suggellando la sua prestazione con un fantastico sorpasso a Raikkonen e, infine, ha chiuso quarto. Ha dimostrato che i grandi vincono anche quando non vincono.
La Renault chiude quindi il mondiale vincendo la Classifica Piloti con Alonso e la Classifica Costruttori. Complimenti al team francese, un po’ meno al nostro Flavio Briatore, che non ha mai perso occasione di punzecchiare i ferraristi. La Ferrari dal canto suo non ha mai risposto alle provocazioni. Questione di stile.
versione stampabile

HOME SCHEDE+FOTO FORUM PREMIO TGISTE TUTTO TV DONNE INTERVISTE ARCHIVIO
Facebook  Twitter  Instagram

Telegiornaliste: settimanale di critica televisiva e informazione - registrazione Tribunale di Modena n. 1741 del 08/04/2005
Vietata la riproduzione, anche parziale, senza l'esplicito consenso del webmaster