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Telegiornaliste anno III N. 2 (80) del 15 gennaio 2007


MONITOR  Cinzia Tani, giornalista in giallo di Giuseppe Bosso

Cinzia Tani: giornalista, conduttrice radiofonica e televisiva, scrittrice, docente di storia del delitto all'università La Sapienza di Roma, sceneggiatrice di fumetti. Una carriera su più livelli e un talento che si esplicita su molti fronti.
Come riesce a districarsi tra tutte queste attività?
«Sono stata docente di storia del delitto per un anno, prima in Italia a portare questa materia che analizza il delitto come fenomeno, e da anni insegno figura creativa; mi ritengo soprattutto una lettrice che insegna ciò che apprende dai libri. Certo non è facile districarsi tra tanti impegni, e ciò comporta per me poca vita sociale, limitata a quelle occasioni in cui faccio dei sopralluoghi per i miei libri, ma non mi pesa: è un connotato del mio carattere».
Da cosa nasce il suo interesse per il mistero e il delitto, tema centrale di gran parte dei suoi romanzi?
«E’ nato casualmente, studiando il lato femminile della nostra società: mi sono accorta che nessuno se ne è mai occupato in maniera approfondita. Scrissi il primo capitolo della serie Assassine che ben presto divenne un best seller, e da allora ho continuato sul tema finché non ho ritenuto esaurito l’argomento, anche se poi ho continuato a parlarne in uno spazio all’interno della trasmissione Uno mattina».
Gli ultimi anni ci hanno purtroppo regalato casi eclatanti di cronaca nera, dal delitto di Novi Ligure a quello di Cogne fino alla tragedia del piccolo Tommaso Onofri: ritiene che sia giusta, da parte dei media, la trattazione spettacolare di queste vicende?
«È la nota dolente della materia. Trovo scandaloso tutto questo interesse morboso, di cui non c’è traccia nei miei romanzi; io mi interesso del delitto inteso dal punto di vista psicologico dell’agente, mentre la maniera con cui vengono esposti questi fatti è terribile, innanzitutto perché viene sbandierato il dolore dei parenti, e poi perché viene leso il modo corretto di fare informazione: non vedo cosa possa apprendere il pubblico, ad esempio, da una ventina di talk show sul caso di Cogne».
Ha condotto per Rai International la trasmissione Il caffè, approfondimento di grandi eventi culturali: è una tematica che meriterebbe più spazio negli anni del reality e del trash in tv?
«Non ho mai visto un reality e mai li vedrò perché li ritengo la parte peggiore della televisione del mondo occidentale. Io conduco un bel programma, Visioni Private, su Rai Educational, dove quel genere è bandito, si punta su programmi culturali e di vero intrattenimento. Il pubblico secondo me ha molta nostalgia della vera tv di approfondimento, e con Il Caffè e Visioni private penso di aver creato una piccola isola felice, anche se gli orari di messa in onda non avvantaggiano certo il grande pubblico; malgrado questo sono molto soddisfatta dei risultati che abbiamo raggiunto».
Da docente ha riscontrato un grande interesse, nei suoi allievi, per una materia come la storia del delitto e ha avuto modo di conoscere qualche giovane che potrebbe ben intraprendere la sua strada?
«Moltissimo interesse. Il boom di iscrizioni alla facoltà di scienza delle comunicazioni, secondo me, è dovuto principalmente al “miraggio tv”. Negli ultimi anni moltissimi ragazzi, ma soprattutto moltissime ragazze, hanno preferito approfondire lo studio della criminologia proprio per questo interesse. Posso dire di aver incontrato ragazzi molto attenti a discutere di casi emblematici come, appunto, quello di Cogne, in maniera approfondita».
Le nuove tecnologie possono davvero far luce su casi che altrimenti rimarrebbero irrisolti, oppure l'intuito umano giungerà sempre oltre?
«Sicuramente le nuove tecnologie sono importantissime, come mi testimoniano molti amici che lavorano nei reparti scientifici della polizia. Io, comunque, più che all’individuazione del colpevole, miro alla scoperta degli innocenti, e pensi solo a quanti sono stati scagionati proprio grazie ad esami accurati come quello del DNA. È a questo, secondo me, che devono mirare i ritrovati della scienza».
Tra il serio e il faceto: noi di Telegiornaliste la accomuniamo a Julia, la criminologa bonelliana, ma se lei fosse la protagonista di uno dei suoi romanzi si vedrebbe più nei panni della scaltra investigatrice, o in quelli dell'astuta criminale?
(Ride, ndr) «Bella domanda. Di certo, per il mio carattere molto mite e difficilmente aggressivo, non mi vedrei bene nei panni della colpevole. Certamente sceglierei la figura dell’investigatrice, intesa però non nel senso “classico” della tradizione romanzesca, quanto intesa come “criminal profile”; colui o colei che cioè cercano di entrare nella mente dell’assassino, per esempio come nel telefilm La signora in giallo».
Riesce a conciliare lavoro e affetti malgrado le sue numerose attività?
«Ho una figlia avuta da un precedente matrimonio, e dopo un’altra relazione attualmente sono single. Sicuramente non è facile trovare qualcuno disposto a sostenere un rapporto con una persona molto impegnata, ma io mi so organizzare molto bene e riesco a trovare lo spazio per frequentare i miei amici - che compensano molto bene la mancanza di un compagno».
CRONACA IN ROSA Benvenuti agli europei! di Erica Savazzi

Cambia l’anno e cambia anche l'Europa. Il primo gennaio due Paesi, Bulgaria e Romania, si sono aggiunti ai 25 che già facevano parte dell’Unione.
Si conclude così il processo che ha portato all’allargamento più ampio mai verificatosi – con un totale di dodici nuovi Stati – iniziato nel 2004.
L’allargamento «ha consolidato la pace e incrementato la prosperità in Europa. Abbiamo preso la decisione giusta per la Bulgaria, la Romania e l'Europa», ha dichiarato il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso.
L’ingresso nell’Unione però è solo il punto intermedio di un processo di modernizzazione iniziato all’apertura dei negoziati di adesione, e che continuerà finché Romania e Bulgaria non avranno raggiunto livelli di sviluppo paragonabili a quelli degli altri partners europei. In particolare la Commissione ha posto l’accento sulla necessità di una forte lotta alla corruzione e alla criminalità organizzata.
Come già due anni fa, anche stavolta si sono espresse preoccupazioni riguardanti l’invasione di operai provenienti dai nuovi Paesi nell’ovest del continente. Paure che i fatti smentiscono: badanti, colf, operai, muratori già oggi provengono in buona parte da quelle regioni, con l’auspicio che l’allargamento possa facilitare coloro che si trasferiscono per trovare una vita migliore, ad iniziare dalla netta diminuzione del lavoro nero.
Un cambio più evidente ha coinvolto i cittadini sloveni: nei loro portafogli non più talleri ma euro. La Slovenia è il tredicesimo Paese ad adottare la moneta unica.
Mai come ora il continente europeo è stato unito, dall’Oceano Atlantico al Mar Nero.
Nuove sfide si prospettano: una Costituzione uguale per tutti i 500 milioni di europei, il prossimo allargamento alla Croazia e probabilmente anche alla Turchia. Quella che sessant’anni fa sembrava un'utopia si sta realizzando.
FORMAT  Quel film l’ho già visto di Nicola Pistoia

A qualcuno sarà capitato di vedere, martedì in prima serata su Rai3, qualcosa di diverso a Ballarò. Dopo i Corti d’Autore, gli Spot e i famosi Corsivi, il programma si arricchisce di qualcosa in più: una fiction. Il conduttore Giovanni Floris ha subito spiegato che l’idea è nata dal voler raccontare la politica, la società e tutto ciò che ci circonda in modo diverso, attraverso un formato nuovo, una fusione tra tv e cinema.
Non si tratta però dell'ennesima serie con protagonisti medici, pompieri, carabinieri o famiglie allargate. Qui ci sono semplicemente due persone, moglie e marito, alle prese con i problemi quotidiani, comuni a tutti.
Viaggio in Italia, una favola vera è la novità del 2007 di Ballarò. All’interno di ogni puntata, lo spettatore troverà questo mini film - o mini sit com - della durata di quattro minuti. Prodotta dalla Lotus Film e interpretata da Antonio Catania (già in Chiedimi se sono felice, Pane e Tulipani e Il Giudice Mastrangelo) e Licia Maglietta (Pane e Tulipani), racconta l’Italia con i suoi problemi e le sue diversità, offrendo, quindi, un buona conclusione per i dibattiti in studio.
L’idea di voler chiudere le puntate con questo “film in pillole” è a tratti geniale: comicità, ironia e semplicità sono la base di questi episodi e attirano l’attenzione dei telespettatori, traghettandoli verso la discussione su problematiche importanti, senza però trascendere nel patetismo.
Confermati, naturalmente, nel format di Ballarò battibecchi tra i politici di turno. "Frenati", come sempre, dal super partes Floris.
ELZEVIRO  Arte e lavoro tra '800 e '900 di Antonella Lombardi

Com’è cambiato il lavoro in Italia tra Ottocento e Novecento? Una mostra allestita al museo Piaggio di Pontedera, in provincia di Pisa, esplora le molteplici facce del lavoro attraverso l'arte, la fotografia e il cinema, restituendo l’immagine di un’Italia in continua trasformazione.
I grandi protagonisti della scena artistica italiana raccontano come agricoltura, industria, terziario e società siano andati mutando in cent’anni di storia del nostro Paese, dall’unità d’Italia al secondo dopoguerra.
Grandi capolavori della pittura, artisti come Vedova, Pellizza da Volpedo, Fattori, Casorati, Depero, Carrà, Soffici e altri ancora, rappresentano la fatica, il lavoro e le trasformazioni di un’ Italia che tenta di sopravvivere con un’agricoltura di sussistenza, fino a un’altra che diventa l’America per una moltitudine di immigrati.
Foto tratte dall’archivio storico Piaggio raccontano le storie di uomini e donne bruciati dal sole nei campi, durante la trebbiatura, o mentre sciamano fuori dagli stabilimenti al suono della sirena. Dai campi alle fabbriche, in un filo rosso che lega diversi itinerari artistici chiamati a rappresentare il percorso della civiltà del lavoro. Quattro sezioni per seguire la prima rivoluzione industriale dello Stato italiano fino agli anni del boom.
Un racconto che diventa anche storia del costume nella sezione intitolata "Sguardi sul lavoro nel cinema italiano"; qui, spezzoni di film diversi rappresentano il lavoro come esperienza solitaria (come nei film Padre padrone, Dillinger è morto) o socializzata (Riso amaro, La classe operaia va in paradiso), o come oggetto di memoria narrativa (Novecento).
Non mancano gli sguardi critici sul presente (Ecce Bombo, Mi piace lavorare), il momento di abbandono degli ideali magistralmente reso dalla commedia all’italiana e in particolare dal personaggio di Alberto Sordi.
Coralità, solitudine, tradizione, innovazione, solidarietà e contrapposizione di classe sono le facce molteplici del lavoro che il cinema ha narrato. Per non parlare dei grandi mutamenti del Novecento, con la costituzione delle masse raccontata in Metropolis, la modernizzazione e l’alienazione in Tempi moderni, le trasformazioni sociali in Sciopero, ma anche la miseria e la disperazione nel Neorealismo e in certo cinema degli anni Cinquanta. E poi Il boom, Il sorpasso, Mimì metallurgico ferito nell’onore, Romanzo popolare: sono altre pellicole degli anni successivi che tratteggiano la percezione sociale dei cambiamenti in corso.
Brevi interventi in didascalia e in voce agevolano il collegamento tra i frammenti di film scelti all’interno della mostra. Inoltre sarà possibile visitare la collezione permanente di Vespa, con i prototipi e i veicoli che hanno segnato la storia industriale del nostro Paese.
Fino al 13 aprile, al museo Piaggio “Giovanni Alberto Agnelli” a Pontedera.
DONNE Maria Callas, una voce nella leggenda di Tiziana Ambrosi

Protagonista indiscussa della scena lirica mondiale, Maria Callas, nata Maria Kalogeròpoulos, passa prima per una lunga gavetta, che le fa attraversare il mondo.
Nasce a New York nel dicembre del 1923 - il giorno è incerto, pare che i genitori volessero un maschio e che non l'abbiano riconosciuta subito - in una famiglia di origini greche.
Ha una sorella, Jackie. Grazie a lei, che prende lezioni di canto e pianoforte, impara i primi rudimenti della musica, dimostrandosi molto dotata e perspicace.
La vita di Maria subisce un grosso cambiamento quando, a causa del divorzio dei genitori, si trasferisce in Grecia con la madre. Qui frequenta il Conservatorio di Atene, tra le ristrettezze economiche, la vita non facile e la guerra.
Arrivano i primi successi, proprio nella sua terra d'origine: la Cavalleria rusticana e la Tosca, che sarà il suo cavallo di battaglia.
La nostalgia di New York, del padre, e molto probabilmente la paura di perdere la cittadinanza, la spingono a ritornare negli Stati Uniti. Si ferma un paio d'anni, non molto facili, che la faranno fuggire nuovamente verso l'Europa. E' il 1947 e Maria arriva in Italia: Verona, Milano, Venezia. Qui esprime tutto il suo talento e il successo comincia ad arrivare.
Canta la Gioconda, Il Trovatore, la Norma, l'Aida, e molto altro. La musica lirica è rivitalizzata dalla voce di Maria, potente, calda e con un'estensione elevata. E' resa viva anche dall'eterno duello Callas - Tebaldi, con schieramenti opposti di sostenitori. E forse una vincitrice non c'è.
Tanti nuovi amici, tanti nuovi amori: Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Pier Paolo Pasolini. Il successo diventa internazionale e Maria si esibisce in tutti i teatri del mondo.
Nel 1959, dopo la fine del matrimonio infelice con Giovanni Battista Meneghini, conosce l'armatore Aristotele Onassis. Non bello, ma ricco e affascinante. La loro relazione è piuttosto burrascosa ed è caratterizzata anche dalla nascita di un figlio, che vive solo poche ore.
Ma un'antagonista sta per entrare nella vita di Maria. E' Jacqueline Bouvier Kennedy, vedova del Presidente ucciso a Dallas. Jackie e Aristotele sono innamorati, o per lo meno questo dicono i giornali di gossip, dai quali Maria apprende la notizia della loro relazione. Il suo amore sì difficile ma tanto passionale per Onassis, l'abbandono, la gettano in uno stato di depressione.
Anche la carriera ne risente. La sua voce è meno limpida e incisiva, e Maria decide di ritirarsi dalle scene e vivere a Parigi. Qui, in solitudine, a parte la "compagnia" di un maggiordomo e una governante, muore all'età di 53 anni.
Le sue ceneri vengono sparse nel mar Egeo, perdendosi, ma la sua voce rimane incisa nei vinili e nei compact disc, potente, inconfondibile.
TELEGIORNALISTI Rino Tommasi, una vita per lo sport di Giuseppe Bosso

Rino Tommasi, nato a Verona nel 1934, è giornalista sportivo, e uno dei maggiori esperti mondiali di statistica applicata allo sport.
E' laureato in Scienze Politiche con una tesi sull'Organizzazione internazionale dello sport. Negli anni Sessanta è stato il più giovane organizzatore pugilistico del mondo, il primo in Italia. Dopo una carriera come discreto tennista, nella quale ottiene quattro titoli universitari, diviene presidente del Comitato regionale del Lazio della Federazione Italiana Tennis.
Intraprende la carriera giornalistica a TuttoSport, quindi nel 1965 inizia la sua collaborazione con La Gazzetta dello Sport, per la quale scrive tuttora. Diventa nel 1981 il primo direttore dei servizi sportivi della neonata Canale5, e dieci anni dopo è il primo direttore dei servizi sportivi di Tele+.
In coppia con Gianni Clerici commenta i principali avvenimenti tennistici per le reti con cui collaborano: TV Koper Capodistria, Tele+2 e attualmente Sky.
Rino ha vinto il premio dell'USSI per la cronaca con una famosa intervista a Henry Kissinger, e per la televisione. Per due volte, nel 1982 e nel 1991, ha ottenuto il premio Tennis Writer of the Year, assegnato dall'ATP attraverso una votazione tra i tennisti professionisti.
Rino, il pugilato e il tennis sono gli sport a cui ha dedicato la sua carriera: a quale di questi si sente maggiormente legato?
«Sono molto legato al tennis avendolo anche praticato a livello accettabile, vincendo quattro volte il campionato universitario; ma mi piace fare le telecronache degli incontri di boxe per la loro particolare difficoltà, che richiede prontezza di riflessi e velocità nel descrivere le azioni; è comunque al calcio che sono più vicino».
Ci sono, secondo lei, le premesse perché il tennis italiano possa tornare agli splendori di un tempo, dopo molti anni bui?
«Temo proprio di no; i nostri migliori tennisti non riescono a tenere il passo dei campioni stranieri, e soprattutto non vedo un ricambio generazionale convincente, mancando giovani promesse per il futuro».
Crede che nel pugilato di oggi manchino personaggi di spessore come Cassius Clay o Tyson?
«Sicuramente non ci sono grandi personaggi, ma il problema del pugilato, secondo me, è anzitutto la grande confusione che regna a livello organizzativo, con tutte le varie federazioni esistenti con il loro titolo: WBC, WBA, eccetera. In questo modo si crea incertezza negli appassionati, che non riescono ad identificare un solo vero campione del mondo».
Passando al calcio: ha commentato molto duramente la vicenda Calciopoli; questa esperienza scoraggerà il ripetersi della "storia" oppure siamo di fronte a un altro caso di "tutto cambi perché nulla cambi"?
«Questo rischio è molto forte, soprattutto perché non c’è stato un reale ricambio a livello dirigenziale. I personaggi che c’erano ieri sono ancora saldamente oggi ai loro posti, non c’è un presidente di Lega veramente super partes in grado di decidere libero da vincoli.
E i risultati, purtroppo, si vedono da anni: io credo che la nostra disgrazia sia la serie A a venti squadre, una cosa inaudita; per me sedici, al massimo diciotto squadre sono più che sufficienti per il nostro campionato.
La rabbia aumenta se si pensa che a tutto questo si è giunti a seguito di una situazione che una Lega forte ed efficiente avrebbe dovuto risolvere nel giro di un quarto d’ora: il “caso Catania - Siena” del 2003, a seguito del quale la squadra siciliana, che aveva schierato un giocatore squalificato, doveva essere penalizzata, mentre, a causa del ricorso al Tar dell’allora presidente Gaucci, il campionato cadetto fu esteso a 24 squadre, ripercuotendosi anche sulla serie A».
Cosa trova di diverso dal giornalismo di oggi rispetto a quello dei suoi esordi?
«E’ molto diverso, sicuramente, soprattutto per l’avvento della televisione privata, che quando iniziai non esisteva ancora, e anche per il grande sviluppo tecnologico che ha esteso l’ambito della gente che ci lavora. Non sempre, però, meglio degli altri».
OLIMPIA Torino, al via le Universiadi invernali di Mario Basile

Dici Torino, dici grandi manifestazioni sportive. Tocca proprio al capoluogo piemontese ospitare, a un anno dal successo organizzativo dei Giochi Olimpici e delle Paralimpiadi invernali, una nuova kermesse agonistica: le Universiadi invernali.
Si tratta di un ritorno alle origini per i giochi per l’olimpiade universitaria invernale, giunta quest’anno alla sua ventitreesima edizione. Infatti, Torino è stata la sede della prima Universiade – quella estiva del 1959, nonché la città del fondatore della manifestazione Primo Nebiolo, scomparso nel 1999. Ed è sua moglie, Giovanna Capellano Nebiolo a presiedere il Comitato di Organizzazione.
Non mancheranno le dodici discipline classiche delle Universiadi Invernali: sci alpino, sci di fondo, combinata nordica, pattinaggio di figura, pattinaggio di velocità, short track, biathlon, hockey su ghiaccio, e il tanto atteso curling. Ad essi si aggiungono salto e snowboard, scelte dalla stessa commissione organizzatrice.
Le sedi delle gare saranno le stesse ammirate nelle Olimpiadi dello scorso anno: i palazzetti di Torino, Torre Pelice e Pinerolo, e le piste di Bardonecchia, Pragelato e Cesana Sansicario.
Il via alla manifestazione mercoledì 17 Gennaio con una cerimonia al Palasport Olimpico di Torino. Evento clou della serata, oltre allo spettacolo dell’attore - trasformista Arturo Brachetti, sarà l’arrivo della torcia dell’Universiade, disegnata per l’occasione dal designer Giugiaro.
La conclusione della kermesse è invece prevista per sabato 27 Gennaio.
Come per i Giochi Olimpici Invernali del 2006, anche in occasione delle Universiadi è stato istituito il progetto scuola. I ragazzi delle scuole torinesi usufruiranno di diverse iniziative per assistere alle gare più importanti a prezzi agevolati. Per maggiori informazioni si rimanda al sito della manifestazione.
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