Homepage di www.telegiornaliste.com
HOME SCHEDE+FOTO FORUM PREMIO TGISTE TUTTO TV DONNE INTERVISTE ARCHIVIO

Archivio
Telegiornaliste anno III N. 8 (86) del 26 febbraio 2007


MONITOR Egidiangela Sechi: l'immagine non è tutto di Giuseppe Bosso

Questa settimana Telegiornaliste incontra Egidiangela Sechi. Giornalista professionista dal 2002, Egidiangela conduce il tg dell’emittente sarda Videolina.
Coma hai iniziato la tua carriera?
«Una decina di anni fa, per caso, quando una ragazza, che poi divenne mia amica, mi disse che un’emittente faceva dei provini per una trasmissione estiva. Questa emittente era ovviamente Videolina. Mi presentai e mi presero; inizialmente curavo una rubrica sul fitness, poi fui chiamata agli esterni per fare una trasmissione sportiva.
Ho fatto tanta strada da quel momento, ritagliandomi degli spazi che prima erano occupati dai “valletti”: iniziai ad andare nelle piccole città, sui piccoli campi sportivi in cerca di storie e aneddoti simpatici da raccontare al pubblico. A 24 anni, dopo la laurea, chiesi di poter collaborare più attivamente col tg, e così da inviata divenni conduttrice. Posso dire di essere stata molto fortunata».
Come molte emittenti locali, anche Videolina è ormai visibile anche sul satellite: cosa è cambiato per la vostra redazione?
«E’ da molti anni che siamo visibili anche via satellite; riceviamo molti attestati di stima da chi ci guarda, ricevendo molte email e telefonate dal pubblico, anche se devo ammettere che tutta questa visibilità in alcuni aspetti è un po’ fastidiosa».
I canali televisivi locali, per un'aspirante giornalista, che tipo di scuola rappresentano, secondo te?
«Assolutamente importanti, perché si fa di tutto, e lo posso ben dire io che dallo sport, tema che ormai non seguo più, sono passata a trattare soprattutto politica regionale e cronaca nera, dovendo pertanto avere una visione ad ampio spettro della professione».
Tra il condurre il tg e realizzare servizi esterni cosa ti appassiona di più?
«Le esterne. È quello che ho fatto soprattutto in questi dieci anni, e non potrei chiedere di meglio; la conduzione interna, invece, mi annoia. Per carattere sono molto curiosa ed amo viaggiare in cerca di particolari da raccontare».
Sei una delle giornaliste più apprezzate dai nostri lettori, non solo da un punto di vista professionale ma anche per bellezza. Quanto conta quest'ultima per te, in rapporto alla professionalità?
«Incontro spesso la gente che mi segue, che non manca mai di dirmi come per loro sia più bella dal vivo che sullo schermo; ma non è una cosa di cui mi preoccupo, vivo nella realtà e non è certo il consenso mediatico che cerco, ma la crescita professionale, anche se non posso negare che alla gente la bella presenza faccia piacere. Ma non sono ossessionata dalla bellezza a tutti i costi».
Quali sono le sue aspirazioni future?
«Lavorare a Videolina, come in ogni altra emittente locale, ti insegna tanto, ma se poi aspiri a crescere devi cercare altre strade, guardarti intorno. Non mi dispiacerebbe lavorare in una grande emittente nazionale, non tanto per la maggiore visibilità quanto per le maggiori possibilità di crescita professionale che mi darebbe; forse mi sta un po’ stretto questo spazio, ma non sarebbe facile lasciare un posto a cui sono molto legata. Qualche anno fa feci un provino per Tele+, la prima televisione a pagamento del nostro Paese, che però allora offriva una programmazione limitata unicamente al cinema e al calcio, cose che non mi interessavano, per cui lasciai perdere e rimasi con molto piacere a Videolina».
CRONACA IN ROSA Gli Italiani d’America approvano Badaloni di Silvia Grassetti

«Identità, futuro, innovazione e tradizione rappresentano la sfida vera delle nostre piccole comunità locali che, attraverso la passione e la competenza di Rai International e del suo direttore Piero Badaloni, ripongono la fiducia e la speranza per fare di questa parte del Paese una vera opzione possibile di sviluppo alternativo».
E’ questa la netta presa di posizione del portavoce del Coordinamento nazionale Piccoli Comuni italiani, Virgilio Caivano, che in una nota afferma tra l’altro: «L’Italia, con i suoi 5634 piccoli Comuni, è un vero unicum nel mondo per quanto riguarda arte, storia, cultura e tradizioni: in ogni piccolo Comune c’è un castello, una chiesa, una storia da raccontare che possono diventare una potente calamita per quei milioni di concittadini figli di emigranti di terza o quarta generazione che hanno il desiderio di scoprire le proprie origini, la propria identità».
A pochissimi giorni dal varo della nuova linea editoriale di Rai International, si delinea una televisione “nuova” per casa Italia, attraverso cui coniugare linguaggi e prodotto con lo stile italiano, attenta ai sogni ed ai bisogni delle comunità, che parta dal basso e sia capace di accogliere le istanze diffuse dei territori per l’internazionalizzazione del made in Italy: una televisione viva, competitiva e capace di raccontare la verità.
FORMAT La tv che fa tendenza di Nicola Pistoia

Set cinematografici, gallerie d’arte, passerelle, spa futuriste e locali dal design sofisticato. Sono queste le locations che fanno da sfondo ai diversi programmi televisivi presenti all’interno di uno dei canali più cool del tubo catodico. Stiamo parlando della tv che guarda al futuro, alle nuove tendenze della moda e ai lounge più raffinati ed eccentrici d’Italia. Stiamo parlando di Leonardo.
Non è un caso che questa rete - trasmessa dalla piattaforma digitale Sky sul canale 418 - porti il nome dell’artista che più di tutti ha rivoluzionato il modo di vedere e intendere le cose, quel barbuto ma tanto arguto che fu il Da Vinci, appunto.
Leonardo è una grande vetrina dove ogni giorno vengono raccontate storie diverse, da personaggi più o meno bizzarri che amano viaggiare sulle onde della modernità e che adorano respirare tutto ciò che, oggi, fa moda.
Durante la settimana si susseguono ben diciotto programmi, ognuno differente dall’altro, su temi quali la moda, il design, il gossip, il lusso e l'arte, legati tra loro dal filo sottilissimo della semplicità.
Chi volesse informarsi sulle ultime novità cinematografiche provenienti direttamente dagli USA, o avere un approfondimento sui film preferiti, può sintonizzarsi su Hollywood one on one, in onda ogni domenica.
Fitness, in onda la mattina dal lunedì al sabato, è il programma adatto a tutti gli amanti del benessere e della salute. Lezioni di aerobica complete di riscaldamento, stretching e pesi, attrezzi ed esercizi mirati, ambientate in luoghi suggestivi.
La moda è uno degli argomenti più amati da Leonardo e soprattutto dai telespettatori di questo canale. Programmi come Collezioni, Barbarella, Set Week e Ritratti di Stelle propongono ogni volta nuovi abiti e accessori e - elemento del tutto particolare - insegnano a utilizzarli nelle giuste occasioni.
Tra i vari programmi c’è anche una fiction. Tuscolana 1055 racconta la vita di aspiranti artisti come attori, ballerini e scenografi che condividono un appartamento a Roma, nei pressi di Cinecittà, al civico 1055 di via Tuscolana, appunto.
Tra quindici giorni proseguiremo il nostro viaggio intorno ai canali satellitari, raccontandovi di Marco Polo, la tv dei viaggi e dell’avventura.
1-fine
ELZEVIRO Vittorio Pavesio, self-made man del fumetto di Gisella Gallenca

«Ero un ragazzo di quindici anni che, nella scuola, aveva sviluppato la consapevolezza di saper disegnare. In un contesto in cui difficilmente la matita veniva considerata come uno strumento di lavoro, ho cercato di conciliare ciò che rendeva economicamente a ciò che mi divertiva. E la molla principale è stata la passione».
A parlare è Vittorio Pavesio, fumettista ed editore torinese, direttore artistico e organizzatore della fiera TorinoComics (la cui tredicesima edizione si terrà dal 10 al 14 maggio prossimi).
L’abbiamo incontrato in occasione del primo workshop sul mondo del fumetto organizzato dalla facoltà di Architettura del Politecnico di Torino. Abbiamo parlato di editoria, di creatività e, naturalmente, di fumetti. E non sono mancate alcune gustose anticipazioni su quello che vedremo quest’anno a TorinoComics.
La prossima edizione di TorinoComics si terrà, per la prima volta, in concomitanza col Salone del Libro. Quali sono i motivi che hanno determinato questa scelta?
«Si tratta di una scelta ponderata da tempo, e dettata dalla possibilità di aggregare intorno a questa manifestazione anche il pubblico della Fiera del Libro. Abbiamo tentato questa strada nonostante alcune problematiche rilevanti, legate soprattutto alla contaminazione tra l’editoria tradizionale e fumettistica, e alla scarsa considerazione di quest’ultima nel mondo della cultura. Avremo una posizione evidente: 1600 metri quadri di area espositiva dedicata esclusivamente ai fumetti, completamente gestita da noi e riconoscibile anche dal punto di vista estetico. Inoltre, alcuni degli incontri organizzati da noi saranno inseriti nel programma ufficiale della Fiera del Libro».
C’è già qualche anticipazione sugli ospiti?
«Avremo Berardi e Milazzo, per i trent’anni di Ken Parker; ci sarà una mostra di tavole originali di Moebius, anche se l’autore probabilmente non sarà presente; e poi, Gabriele Dell’Otto, illustratore Marvel di giovane età ma di grande fama. Queste sono le anticipazioni già sicure. Per il resto, stiamo aspettando altre risposte, tra cui quella di Scott McCloud, autore di Capire il fumetto. Infine, i fumettisti della nostra casa editrice».
Il fumetto, al giorno d’oggi, può avere pari dignità rispetto all’editoria tradizionale, o è destinato a rimanere un prodotto di nicchia?
«L’ultimo secolo ha visto un’evoluzione. Negli ultimi decenni, soprattutto, ci sono stati parecchi riconoscimenti da parte del mondo della cultura, dello spettacolo e della comunicazione. Tuttavia in Italia, contrariamente a quanto accade in altri Paesi, il problema sussiste ancora: manca una cultura del fumetto, che vada al di là della semplice conoscenza dei personaggi più famosi. Iniziative come quella promossa nei mesi scorsi da Repubblica, che ha pubblicato un gran numero di raccolte di fumetti di un certo livello e spessore, sono senza dubbio un grande passo».
E per quanto riguarda l’incontro tra fumetti e nuovi media, in particolare Internet?
«Questo già avviene, perché Internet è il mezzo più economico di promozione e diffusione delle notizie. E’ stato quindi il primo mezzo sfruttato dall’editoria fumettistica, sia attraverso i blog sia attraverso i siti. Grazie ai nuovi media, ciò che una volta era difficile da ottenere, come il rapporto con gli editori stranieri, oggi è molto più facile».
A chi faresti disegnare un fumetto su Vittorio Pavesio?
«Per l’amicizia, direi a Cavazzano. Ma non nascondo che sarei curioso di vedere come mi racconterebbero anche altri colleghi!».
DONNE L'Eroina dei due mondi di Tiziana Ambrosi

Ana Maria de Jesus Ribeiro. Un nome che, scritto così, dice poco ai più. E' più nota col vezzeggiativo datole da un grande condottiero: Anita.
Anita Ribeiro fu la moglie di Giuseppe Garibaldi, combattente nel Vecchio e nel Nuovo Mondo.
Anita nacque nel 1821 da una famiglia molto modesta e numerosa. Alla morte del padre, lei dodicenne dimostrò la forza del suo carattere aiutando a procurare il sostentamento alla famiglia. Un episodio fondamentale caratterizzò la sua infanzia: l'arresto di uno zio repubblicano da parte dei monarchici. Anita si appassionò alla causa politica e divenne lei stessa un'attivista repubblicana.
Ben presto, però, il sogno si dovette scontrare con la dura realtà dei fatti: la famiglia non navigava in buone acque e Ana fu costretta a sposare controvoglia un agiato calzolaio di Laguna, Manuel Durante de Aguiar. Oltre alla mancanza della passione, a separare i due sposi c'era anche il diverso fronte politico: lui monarchico, lei repubblicana. Si mormora che il matrimonio non venne nemmeno consumato. Comunque terminò nel momento in cui Manuel si arruolò nell'esercito imperiale e partì, abbandonando la consorte.
Nel 1839 a Laguna attraccò una nave che trasportava anche un giovane combattente italiano, Giuseppe Garibaldi. L'incontro con Ana presso una fontana fu quasi un colpo di fulmine. I due diventarono inseparabili: lei gli insegnò a cavalcare, lui le tecniche di guerra. Ana diventò Anita.
Nel 1840, nella battaglia di Curitibanos, venne rapita, e solo dopo una coraggiosa fuga riuscì a ricongiungersi a Garibaldi. La guerra ormai stava per essere persa e alla fine degli anni '40 salpò per l'Italia, sempre appoggiando incondizionatamente il marito, fino alla disastrosa avventura della Repubblica Romana.
L'attacco franco - austriaco, spalleggiato dal papa, li costrinse alla fuga. Anita, malata, incinta, cercò di non essere un peso al marito in fuga, ma i suoi giorni erano contati. Il 4 agosto 1849 si spense a Ravenna. Garibaldi, braccato, non poté raccogliere e seppellire le spoglie dell'adorata moglie.
Il suo corpo trovò pace prima a Nizza, poi, dal 1932, a Roma, al Gianicolo.
Una spalla per il marito, ma anche una coraggiosa idealista che non ebbe paura di imbracciare le armi per combattere per ciò in cui credeva. Una vita mai in seconda fila, per colei che divenne l'Eroina dei due mondi.
TELEGIORNALISTI Badaloni, direttore international di Nicola Pistoia

Corrispondente da Bruxelles per la Rai, Piero (Pietro) Badaloni inizia la sua carriera giornalistica nel 1971 proprio nella tv di Stato.
Realizza e conduce programmi cult come Droga che fare, Italia Sera, Unomattina, tutti premiati dalla critica.
Eletto presidente della Regione Lazio nel 1995, dal 2006 è il nuovo direttore di Rai International.
Come e quando è nata questa passione per il giornalismo?
«La passione per il giornalismo è nata sui banchi di scuola, al liceo, quando ci si comincia a chiarire le idee sul proprio futuro... La prima "testata" con la quale ho collaborato era il giornalino del mitico liceo ginnasio romano "Virgilio": si chiamava La graticola.
Il primo momento della verità invece, per verificare se era effettivamente quella la strada della mia vita, una volta laureato, è stato il vecchio glorioso Diario Vitt: sono stato incaricato dalla casa editrice di scrivere 225 "pensierini", uno per ogni giorno di scuola, su un tema, l'educazione ambientale. Jacovitti ha disegnato le vignette di commento. L'esame è stato superato brillantemente, e così è partita la mia carriera di giornalista - scrittore».
Riscontra delle differenze tra l'attuale giornalismo e quello di vent'anni fa?
«E’ cambiato il linguaggio rispetto a prima: più asciutto, più semplice, più figurato. La presenza ingombrante della televisione spinge chi scrive sulla carta stampata a farlo in modo diverso, per differenziarsi, nei contenuti e nelle parole. Altrimenti rischia di non avere più lettori.
Chi opera nella radio e nella tv, a sua volta, avendo una responsabilità maggiore per il numero di utenti che raggiunge con il suo messaggio, deve imparare a farlo innanzitutto in maniera che tutti capiscano, senza sostituire le opinioni personali ai fatti, come purtroppo ancora spesso succede».
Ricorda un servizio o un evento particolare che ha caratterizzato i primi anni della sua carriera?
«L'attentato al Papa e la tragedia di Vermicino sono indubbiamente i due eventi che ancora oggi, a tanti anni di distanza, ricordo come i momenti più difficili e impegnativi per la delicatezza e l'enorme impatto emotivo che ebbero sull'opinione pubblica. Lo sforzo per mantenere lucidità e autocontrollo fu grandissimo, così come lo stress. Ma fu anche l'occasione per una forte crescita professionale».
Lei è stato anche presidente della Regione Lazio: ci spiega come mai ha deciso di compiere questo passo e mettersi, quindi, a servizio della politica?
«Forse chi ha la memoria corta lo ha dimenticato. Ma agli inizi degli anni '90 ci fu una forte crisi di fiducia della gente verso i partiti, dopo Tangentopoli. Chi si fece carico di ripartire, sgombrato il campo dagli inquinamenti, chiese aiuto alla cosiddetta società civile, per recuperare la credibilità perduta. Fu in questo clima che il centrodestra si rivolse a Michelini e il centrosinistra chiese a me di candidarmi. Due giornalisti, due persone di cultura cattolica, due "laici" che intendevano la politica come servizio innanzitutto ai cittadini, più che degli interessi di parte. Vinsi io, ma se il risultato fosse stato diverso, lo spirito sarebbe stato lo stesso. Ora quella parentesi è chiusa da sei anni e sono felice di essere tornato a fare il mio vero mestiere».
Da poco è stato nominato direttore di Rai International: quali sono le sue idee per valorizzare il canale?
«Voglio trasformare Rai International da Cenerentola a punta di diamante della Rai. Queste sono le sfide che mi appassionano, e le premesse per riuscirci ci sono: è scaduta la vecchia convenzione con Palazzo Chigi, vecchia di 34 anni, che regolava la missione del canale. La linea editoriale: portare l'Italia, con tutte le sue eccellenze, nel mondo, promuoverne l'immagine e valorizzare il lavoro che gli italiani fanno nel mondo in tutti i campi, dalla scienza alla moda, dai missionari ai cooperanti sparsi nel terzo mondo.
Alzeremo il livello qualitativo delle produzioni interne e dei programmi selezionati dalle altre reti Rai per inserirli in un palinsesto che sarà differenziato per ognuna delle aree di ricezione, sulla base dei fusi orari e delle caratteristiche locali del pubblico. Daremo particolare attenzione all'attività parlamentare dei deputati eletti nelle circoscrizioni estere per farla conoscere a chi ha dato loro fiducia. Insomma le novità, come vede, saranno tante e spero gradite».
Nella sua carriera ha ricoperto diversi incarichi, prima come conduttore televisivo e come corrispondente. Non le piacerebbe ritornare a condurre un programma?
«Io guardo sempre in avanti, mai indietro. Ciò che ho lasciato alle spalle appartiene al passato. Avrò tempo per i rimpianti quando andrò in pensione».
Come vede il suo futuro?
«Se non mi lasceranno da solo in questa impresa titanica, il futuro sarà radioso, non tanto per me ma per i milioni di italiani all'estero che si aspettano una Rai International al passo con i tempi. Loro sono molto più avanti dell'offerta che finora hanno ricevuto. Ma devo dire che tutte le trecento persone che collaborano con me in questa sfida sono entusiaste del progetto e pronte a rimboccarsi le maniche».
OLIMPIA Gloria nella neve di Mario Basile

Patrick Staudacher è un ragazzone alto, dagli occhi simpatici e dall’aria vispa. Ma soprattutto è il nome nuovo dello sci italiano.
La notorietà la deve a un’impresa: sulle nevi di Aare, in Svezia, è diventato campione del Mondo nel Super G. Nessuno se lo aspettava, e non c’è alcuna retorica: chi avrebbe scommesso su un ragazzo che in quasi dieci anni da professionista non era mai salito sul podio?
Dietro la vittoria di “Staudi” c’è anche altro: la voglia e la rabbia di un ragazzo che se l’è vista davvero brutta. Dieci anni fa era una promessa: la vittoria nel campionato italiano juniores sembrava proiettarlo verso un futuro radioso, fatto di vittorie, coppe e medaglie.
E invece no. Gli inizi sono costellati dagli infortuni. Certo, nella carriera di un atleta può anche starci. Ma cinque interventi al ginocchio nel giro di quattro anni farebbero perdere la pazienza anche a un santo. Se aggiungiamo il trapianto di cornea nella primavera del 2005, possiamo dire, con una certa noncuranza, che il destino di questo ragazzo sembra lontano dallo sci.
Patrick però non molla. Va avanti col suo sorriso sghembo e i suoi occhi azzurri, e alle Olimpiadi di Torino dello scorso anno è il migliore azzurro nella discesa libera.
Non male per uno che nemmeno un anno prima era stato vicino al ritiro.
Ad aiutarlo nei momenti bui, oltre alla famiglia, c’è la musica: il suo passatempo preferito. Suona in un gruppo, gli Stanton. Lui è il bassista. Insieme con gli amici si diverte a suonare le canzoni dei Red Hot Chili Peppers, la band californiana il cui ultimo successo ha per titolo Snow. Neve.
La stessa neve che il 6 febbraio sulle montagne svedesi di Aare regala a Staudi l’emozione più grande: la medaglia d’oro nel Super G.
Una boccata d’ossigeno per lo sci italiano in crisi. Gli ultimi anni sono stati avari di soddisfazioni e i tempi di Tomba e della Compagnoni sono lontani. La medaglia di Patrick avrebbe perciò meritato un’eco maggiore nel nostro Paese. Purtroppo è arrivata in un momento difficile: pochi giorni prima lo sport nostrano era stato tirato giù, nel baratro della violenza dai fatti di Catania.
Pazienza. L’impresa resta e sarà comunque indelebile. Ora Staudi potrà riposarsi. A giugno diventerà papà e magari arriverà anche il primo disco degli Stanton a coronare un anno che, benché appena iniziato, è già da incorniciare.
versione stampabile

HOME SCHEDE+FOTO FORUM PREMIO TGISTE TUTTO TV DONNE INTERVISTE ARCHIVIO
Facebook  Twitter  Instagram

Telegiornaliste: settimanale di critica televisiva e informazione - registrazione Tribunale di Modena n. 1741 del 08/04/2005
Vietata la riproduzione, anche parziale, senza l'esplicito consenso del webmaster