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Intervista a Gianluca Di Marzio tutte le interviste
Telegiornaliste anno III N. 44 (122) del 3 dicembre 2007

Gianluca Di Marzio, cresciuto con lo sport di Giuseppe Bosso

Gianluca Di Marzio, napoletano, deve la passione per lo sport a suo padre, Gianni Di Marzio, per tanti anni allenatore del Napoli e del Catanzaro. Dopo i primi passi presso l'emittente padovana Telenuovo, oggi è telecronista di Sky Sport. Proprio per Sky ha commentato numerose partite durante i Mondiali di Germania 2006.

Quanto è stato di aiuto essere figlio di un allenatore per affermarti nel lavoro?
«Sicuramente mi è stato utile per avvicinarmi all'ambiente. Da piccolo, ad esempio, mi capitava di andare con mio padre al calciomercato. Questo, pian piano, ha fatto nascere in me la grande passione necessaria per affrontare il lavoro. Indubbiamente mi ha facilitato nel pormi rispetto alle persone, ai procuratori e ai calciatori, nell'avvicinarmi a loro di continuo».

Il Napoli può essere la sorpresa del campionato di quest'anno?
«I fatti lo dicono. Ricordo in estate le contestazioni dei tifosi alla presentazione di Hamsik e Lavezzi, acquisti giudicati insoddisfacenti. Oggi gli stessi tifosi li esaltano come i gioielli del calciomercato. La squadra sta facendo molto bene, ma ai tifosi, è chiaro, non basta fare la rivelazione. La platea partenopea ha grandi ambizioni. Quanto a competere per la zona Champions con gli squadroni del Nord e per lo scudetto, mi sa che ci vorrà ancora un po' di tempo».

Qual è stato il tuo modello di telecronista?
«Ammiro molto Sandro Piccinini che, da anni ormai, esprime al meglio la modernità del telecronista. Certo, massimo rispetto per chi lo ha preceduto e per quella generazione del passato, ma l'evoluzione che ha riguardato il calcio ha finito inevitabilmente per incidere anche sul ritmo delle telecronache, soprattutto sulle modalità con cui descrivere le azioni. E' stato piacevole anche lavorare con Massimo Marianella in passato».

Cosa pensi delle "telecronache di parte" di Mediaset? Non minano la credibilità della professione?
«Premetto che non è una cosa che seguo: sono sempre dell'idea che è meglio ascoltare una telecronaca imparziale e obiettiva. Credo che questo sia un servizio in più offerto all'ascoltatore che magari può avere il piacere di vivere la partita "dalla sua parte". E' un po' la ripresa di quelle telecronache che si ascoltavano alla radio anni fa, prima dell'avvento della tv a pagamento. E' ovvio che si tratta di un servizio che, prima o poi, tutti gli operatori dovranno cercare di offrire alla loro clientela».

La partita che sogni di commentare?
«A parte eventi come la finale di Champions League o della Coppa del Mondo, avrei voluto sicuramente commentare il recente spettacolare pareggio tra Roma e Napoli all'Olimpico. Al di là del fatto che le considero un po' le mie squadre del cuore, avendo sempre avuto simpatia per i giallorossi ed essendo napoletano, quella partita si è sviluppata in un modo che è il massimo per un telecronista. Ma sono rimasto molto soddisfatto dagli apprezzamenti che ho ricevuto per le telecronache, durante gli ultimi Mondiali, di partite come Messico-Angola e Tunisia-Arabia Saudita. Incontri non certamente di primissimo piano, ma la gente che ho avuto modo di incontrare mi ha detto di averle sentite come squadre italiane, tanto ero stato coinvolgente».

La violenza nel calcio: secondo te, le soluzioni finora ideate sono appropriate?
«Assolutamente no. Né vietare le trasferte alle tifoserie né inserire i tornelli si sono rivelati idonei meccanismi per arginare un problema ormai drammatico. Riguardo i fatti di Arezzo, è chiaro che siamo in presenza di una tragedia che poteva capitare in qualsiasi altro posto. In ogni caso, questo episodio prescinde dal calcio, proprio per il contesto in cui è avvenuto. La cosa più importante è lavorare sui giovani, soggetti sempre più a rischio, in modo che riacquistino quella concezione puramente sportiva e giocosa del calcio. Le curve, purtroppo, tendono sempre più a politicizzarsi e a scontrarsi tra loro per ragioni assolutamente estranee alla rivalità sportiva. E' una mentalità che deve assolutamente cambiare».

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