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Intervista a Leonardo Panetta (1) tutte le interviste
Leonardo PanettaTelegiornaliste anno IV N. 32 (157) del 15 settembre 2008

Leonardo Panetta, professionista dell'informazione
di Giuseppe Bosso

Nato a Reggio Calabria, Leonardo Panetta ha mosso i primi passi nel mondo del giornalismo presso Odeon Telereporter e ha frequentato la scuola di giornalismo dell'Università IULM di Milano. Da giugno 2006 è nella redazione del tg di Italia 1.

Il bello e il brutto dell’essere inviato di Studio aperto?
«Diciamo che sono due aspetti che si combaciano. Il bello è rappresentato certamente dal fatto che nel nostro tg seguiamo ogni storia, ogni vicenda dall’inizio fino alla fine. Per contro, questo ti comporta chiaramente molto lavoro e molto impegno, per cui non è assolutamente un lavoro per chi pensa di essere pigro».

Come sei approdato a Studio aperto?
«Due anni fa, grazie all’allora direttore Mario Giordano che ho conosciuto durante il master che ho seguito. Incontrarlo è stato molto importante per me: dopo quasi un mese che muovevo i primi passi in redazione, mi ha mandato a seguire il caso di Hina, la giovane pakistana uccisa dai familiari. Ha avuto fiducia, certo, ma ha subito messo in chiaro le cose: "E’ la tua carta, giocatela bene!". Beh, a distanza di tempo posso dire che è stata davvero una buona giocata. Ho potuto seguire fatti molto importanti, dalla strage di Erba all’omicidio di Federica Squarise quest’estate. Ho avuto anche la soddisfazione di vincere, nel 2007, il Premio giornalistico dell’UCSI, ed è stata per me una grande gioia».

Siete spesso accusati di dare troppo spazio ai delitti di cronaca nera. Cosa ne pensi?
«Credo che queste vicende, seppur dolorose, siano una rappresentazione del nostro Paese più rispondente alla realtà di quanto, per esempio, possano essere le notizie di cronaca e di politica. In effetti, negli ultimi anni, abbiamo dato molto spazio alla cronaca nera, ma non credo più o meno di altri tg. Dopotutto, ogni telegiornale è come un’edicola, ci sono notizie diverse sugli svariati argomenti di tutti i giorni, ma ovviamente si cerca di mettere in primo piano le notizie più richieste dal pubblico».

Cronaca nera, ma anche campagne sociali e iniziative benefiche nella vostra programmazione: è questa la linea editoriale che seguite?
«Non penso di poter rispondere a questa domanda perché chi decide la linea editoriale è il direttore. Scherzi a parte, noi riceviamo ogni giorno tante mail che ci chiedono di occuparci di temi come l’abbandono degli animali oppure richieste di aiuto di persone malate. Per quello che possiamo fare, cerchiamo di dare spazio anche a loro».

L’impiego delle tecnologie come pensi abbia cambiato la professione del giornalista?
«Molto, sicuramente. Internet, la tecnologia, ti permettono di reperire informazioni da tutto il mondo ed è molto utile per chi si occupa di notizie dall’estero. Magari non la pensa così chi è più legato alla cronaca locale».

Consiglieresti un master come quello che hai seguito tu per muovere i primi passi nel giornalismo?
«Per me è stato sicuramente l’inizio migliore, visto che non avevo né amici né parenti nell’ambiente, per cui ho dovuto muovere i miei primi passi così. Lo consiglio, certo, ma con un’avvertenza: non contate su chi vi insegna, ma su voi stessi. Il master che ho seguito, alla scuola di Paolo Liguori, ci ha subito fatti sentire come una vera redazione e non, come di regola avviene in questi ambiti, studenti desiderosi di imparare. Partendo fin dall’inizio con questa mentalità, con questa consapevolezza di essere professionisti dell’informazione, si possono ottenere i risultati migliori».

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