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Intervista a Roberta Ammendola   Tutte le interviste tutte le interviste
Roberta AmmendolaTelegiornaliste anno IX N. 22 (366) del 3 giugno 2013

Roberta Ammendola: l’affetto dei fan mi ripaga di tante difficoltà
di Giuseppe Bosso

Questa settimana incontriamo un volto noto e apprezzato del Tgr Lazio, Roberta Ammendola.

Ricorda la sua prima esperienza giornalistica?
«Impossibile dimenticarla: erano i primi anni di università, e tra un corso di danza e il teatro cominciavo a collaborare con il giornale del mio paese e con una televisione locale della periferia a nord di Napoli, un’esperienza che mi è rimasta nel cuore. Lì sono arrivate le mie prime avventure in cronaca, attualità, l’apertura di un mondo nuovo dopo quello ‘artistico’ che fin da piccola mi ha affascinato».

Com'è arrivata al Tgr Lazio?
«Di anni ne sono trascorsi, tra le più svariate esperienze: dalla parentesi americana, con conduzioni di serate e trasmissioni, alle prime esperienze in Rai; dopo una collaborazione a Radio Uno e a Gr Parlamento - dove ho curato e condotto Il Parlamento e le arti - è arrivato il Tg regionale della Sardegna, straordinaria avventura umana e professionale; solo dopo il Tgr Lazio dove mi trovo attualmente».

In questi anni di crisi economica e politica quale dovrà essere il ruolo dell'informazione secondo lei?
«Non dovrebbe mai cambiare; è soprattutto in momenti di crisi come questi che il giornalismo deve fare la sua parte, traducendo e rendendo leggibile la realtà. Abbiamo il privilegio di seguire e capire la notizia, siamo l’occhio e l’orecchio di chi ci segue ed è per questo che è nostro dovere essere più trasparenti e chiari possibile».

Anni fa le è capitato di condurre un programma dedicato al football americano, Li chiamavano Briganti: cosa ricorda di quell'esperienza e come si è avvicinata ad una disciplina non proprio diffusissima nel nostro Paese?
«Molti anni fa: ero il volto dell’associazione internazionale Italiani nel Mondo, e tra i tanti progetti e programmi che ho condotto per i nostri connazionali all’estero mi hanno proposto di far parte della squadra de Li chiamavano Briganti, un format dedicato alla squadra di football partenopea Briganti Napoli American Football Team, che nel 2009 si è aggiudicata anche il XVI Silver Bowl. “Vivendo” l’America per lavoro ho avuto la possibilità di incontrare anche i guru di questo sport e da lì nacque una nuova esperienza indimenticabile».

Lavorando a Gr Parlamento ha modo di interloquire con molti esponenti politici: avverte in loro reale volontà di risolvere i problemi che ci attanagliano?
«Negli anni precedenti sono stata anche assistente parlamentare. Quel che sicuro è che, oggi come allora, sono in pochi tra chi ci governa - o vorrebbe farlo - ad aver voglia di cambiare veramente le cose. La maggior parte non ha intenzione di farlo, o non ne ha le capacità».

Lei è una delle tgiste più seguite dai nostri lettori, che le hanno anche dedicato un fan club: cosa le suscita questo interesse nei suoi confronti?
«Mi lusinga e trovo sia un’opportunità: anche questo in fondo è un modo di comunicare. Proprio attraverso il fan club ho avuto modo di conoscere tante storie, tante realtà, persone speciali, ‘ragazzi speciali’ e le loro famiglie. Il loro affetto mi ripaga del tanto lavoro e delle tante difficoltà di un mestiere bello come il nostro».

Il suo sogno nel cassetto?
«Di sogni nel cassetto ne ho tanti: mutano, crescono, evolvono. Le mie passioni, il teatro, la musica e la danza sono un punto fermo; rappresentano il cassetto che è rimasto sempre socchiuso e negli anni si apre sempre di più. Dopo MusicCall da me ideato e diretto e tante esperienze teatrali ho recentemente curato la regia de La Prima di Primiano, uno spettacolo che ho nel cuore. Il vero sogno è ‘raccontare’ quelle che per me sono passioni al grande pubblico, integrandole alla cronaca, all’attualità, al sociale di cui con grande entusiasmo mi occupo».

Ha mai subito o avvertito condizionamenti?
«Hanno provato a farmi credere che avrei avuto vita più facile se fossi stata più ‘malleabile’, ma non ci sono riusciti: ho preferito anche sbagliare, ma con la mia testa. Dignità prima di tutto, personale a lavorativa: su questo non transigo».

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