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Archivio Telegiornaliste anno XIV N. 7 (554) del 21 febbraio 2018
 
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TGISTE Roberta Savarese, var ok ma da perfezionare di Giuseppe Bosso

Incontriamo la giornalista napoletana Roberta Savarese.

Mamma e giornalista insieme si può?
«Dipende da quanta fortuna hai – ride, ndr – nel senso che sì, si può; lo faccio, non molto sul campo, ma oggi grazie alla tecnologia si può arrivare ovunque anche stando ‘comodamente seduta’, anche se è un'impresa con un bambino piccolo. Se poi hai la fortuna di avere chi ti aiuta, puoi continuare a lavorare, senza essere snaturata nella tua indole.».

Roma, Milano, Napoli: tre realtà molto diverse anche per il mondo del giornalismo, dove hai vissuto e lavorato: nel confronto della tua esperienza cosa puoi dire?
«Se vuoi fare la giornalista sportiva Milano è il regno ideale, perché succedono tante cose, e non a caso le emittenti sportive più grandi si trovano lì, come Mediaset, Sky… è un mondo che dà un approccio più serioso alla professione, anche per il calciomercato, e non c’è questa abbondanza di giornali online che abbiamo a Napoli; Roma è forse l’ideale per fare radio, ma sempre contestualizzato alle due squadre capitoline; Napoli è una terra particolare per tutto, la doppia faccia positiva e negativa della stessa medaglia; tanta abbondanza che forse andrebbe scremata, un lavoro da regolamentare maggiormente; tifosi umorali, viscerali ma i più appassionati».

Come definiresti essere donna giornalista sportiva a Napoli?
«In verità non ho quasi mai sentito la differenza, devo dire che chi era diffidente verso le donne giornaliste lo faceva anche a causa di tante che, inutile nasconderlo, improvvisano; tante colleghe purtroppo credono che guardare una partita del Napoli basti per apprendere le conoscenze basilari di questo mestiere; non è così; io mi sono fatta le ossa seguendo i settori giovanili, che danno una dimensione dello sport pari a quella che può dare a un uomo l’aver giocato anche per diletto con gli amici o il vedere tante partite; devo però ammettere che questo tipo di diffidenza personalmente non l’ho sentita, anzi dove hanno capito la mia passione e il mio impegno ho ricevuto molte attestazioni di stima, per progetti che ho portato avanti in più dieci anni di esperienza».

Ma questa abbondanza di ragazze che, come dici giustamente, improvvisano senza conoscenze basilari può essere captata da un pubblico attento che poi è chiamato a dover distinguere?
«Sicuramente è difficile, purtroppo c’è anche la componente “sessista” che influisce… ti faccio un esempio relativo a una giornalista per me davvero esemplare che ammiro tantissimo, Ilaria D’Amico. È una donna di grandissima cultura, che sa fare questo mestiere, non vuole mai andare oltre le sue competenze ed è una persona molto cortese, rispettosa di tutti; ma è anche la più bersagliata per la sua vita privata che tutti conosciamo, e per l’essersi imposta in questo settore ormai tantissimi anni fa come la punta di diamante; inoltre devi stare molto attenta oggi ai social, arma a doppio taglio per i quali ogni parola, ogni frase può essere sradicata; molte mie colleghe però sono apprezzate per la loro bravura, perché mantengono serietà e professionalità senza esporsi troppo. Penso, ad esempio a Raffaella Iuliano o Titti Improta.

Napoli grande protagonista in questa stagione, ma sempre nell’occhio del ciclone da parte dei media nazionali: secondo te si può dire che il successo della squadra dia fastidio?
«Ci riferiamo a fatti recenti in tema di calciomercato? Non mi sono espressa sul punto… ricordo un master che frequentai anni fa, un collega disse si parla sempre delle grandi squadre, ma mai del Chievo Verona, perché? Perché si parla sempre di più di chi vince! È un processo naturale che porta sempre a parlare delle squadre che vanno forte. Napoli è una realtà che è cresciuta, che si sta imponendo in modo prepotente adesso come non accadeva dai tempi di Maradona, e che sta davvero per compiere l'ultimo gradino. Vedremo a maggio se sarà davvero così, ma le buone probabilità di essere la più forte ci sono. Inoltre negli ultimi anni con Sarri, è diventata una squadra rodata che sta sulla bocca di tutti, fa bel gioco… sul dare fastidio posso dire che non condivido un atteggiamento complottista, spesso assunto anche da alcuni colleghi. Credo che non serva fare la vittima, atteggiamento che non porta a nulla. Si è fatta, ad esempio, molta polemica sul mancato acquisto di Politano da parte del Napoli per i rapporti tra Juventus e Sassuolo che avrebbero bloccato questa operazione. Ma i rapporti nel calcio esistono, tra i club e i presidenti, rapporti di amicizia tra Juventus e Sassuolo sono noti e risaputi. Per questo non ne sono rimasta scandalizzata. La polemica è scaturita per via delle dichiarazioni di Marotta e su questo nessuno può dire il contrario. Il mercato del Napoli si è bloccato per colpa della Juventus? No. Politano non è venuto per influenza della Juventus? Si, questo si può dire. È una cosa illegale intercedere di operazioni di mercato altrui? No, è qualcosa che ha a che fare con la propria coscienza e la propria etica. Evidentemente qualcuno a volte pensa che oltre che sul campo le partite si giochino altrove E comunque, detto tra noi, non sono nemmeno dell’idea che questo acquisto sarebbe stato garanzia di scudetto».

Questo campionato passerà comunque alla storia per l’introduzione del var: come giudichi questa novità?
«Un bene. È comunque da perfezionare, essendo uno strumento nelle mani dell’essere umano; c’è sempre l’arbitro che deve saperlo utilizzare; ma è innegabile che senza il var alcuni risultati sarebbero stati diversi e non correttamente. Va perfezionato, ma lo promuovo».

In futuro ti vedi ancora a Napoli o in giro?
«Sono legata sentimentalmente a un uomo che fa il mio mestiere, ma da fotografo; oggi lavoriamo a Napoli, domani non so; è una professione in continua evoluzione, mi auguro di restare serena nella mia terra, poi si vedrà. Non faccio grandi progetti in generale».
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TUTTO TV Emanuele Ruzza, il mio esordio con Avati, e su Cassel dico che... di Giuseppe Bosso

Apprezzato doppiatore e attore, incontriamo Emanuele Ruzza, che ci parla della sua carriera e dice la sua sulle recenti polemiche legate alla sua professione dopo le affermazioni di Vincent Cassel a Che tempo che fa.

Ricordi il tuo primo doppiaggio?
«Certamente, era il 2004, Pupi Avati cercava dei ragazzi per delle integrazioni di doppiaggio in un suo film. Ricordo bene quanto mi sentissi un pesce fuor d’acqua, tutto quello che stavo studiando in Accademia mi sembrava lontanissimo da ciò che vedevo fare dagli attori doppiatori in sala. Fortunatamente lo convinsi e iniziai a collaborare con lui, presi parte anche come attore a un paio di suoi film».

Uno dei tuoi ultimi lavori è stato il reboot di una serie cult degli anni’80-90, MacGyver: come hai vissuto questa esperienza?
«È stato bellissimo, MacGyver è un simbolo della mia generazione, quando mi comunicarono di aver vinto il provino per me è stata un’emozione indescrivibile. Il reboot mantiene lo stile classico del franchise anni ‘80, aggiungendo un pizzico di azione e frenesia in più, con la giusta dose di umorismo e personaggi molto ben caratterizzati».

Sei anche volto di popolari fiction come Un medico in famiglia o Che Dio ci aiuti: passare dalla sala doppiaggio al set che cambiamento comporta?
«Il cambiamento è netto, sono esperienze completamente differenti. Sul set sei il primo a dar vita a un personaggio, hai studiato la parte, hai immaginato i movimenti, sei truccato, hai i costumi di scena addosso e la scenografia a fare da contorno. In sala doppiaggio vedi il copione per la prima volta, hai qualche minuto per comprenderne il senso e recitare in sincronia con la bocca di un altro attore che ha già interpretato quel ruolo, sei limitato nei movimenti, addosso hai i tuoi vestiti di sempre e sei al buio. È un lavoro di immedesimazione pazzesco, unito alla mimesi vocale e interpretativa».

Grande popolarità ha avuto in Italia la soap turca Cherry Season di cui hai doppiato il protagonista Ayaz, amatissimo dal pubblico femminile: ha portato popolarità anche a te essere la voce italiana di questo personaggio?
«Altroché, devo moltissimo a Serkan Çayoğlu, ricordo ancora l’estate del 2016, venni sommerso da richieste di amicizia e follow su tutti i social, approfittai delle ferie per rispondere a tutti. Sono ancora in contatto con la maggior parte di queste persone, e tra una pausa e l’altra cerco di soddisfare le richieste più disparate, dalle curiosità sul doppiaggio della serie a piccole clip vocali. Ricordo col sorriso una ragazza che mi chiese di registrarle un messaggio che avrebbe impostato come suoneria per la sveglia. Chissà se avrà imparato a odiarmi nel frattempo...».

Il mondo del doppiaggio negli ultimi mesi è stato messo duramente sotto accusa da Vincent Cassel: cosa ti ha suscitato questa presa di posizione?
«Durante la trasmissione di Fabio Fazio Che tempo che fa Vincent Cassel ha parlato del doppiaggio in Italia definendolo come un problema più che un abitudine: si riferiva al fatto che non fosse possibile scegliere di vedere un film in versione originale al cinema, e forse non ha tutti i torti, come non li aveva Italo Calvino già nei primi anni ‘80, che cito “mi piace vedere i film in versione originale, cosa impossibile in Italia: è una prova di barbarie italiana credere che un film doppiato equivalga a un film che parla la propria lingua”; il doppiaggio, a mio parere, è e sarà sempre “opera altra”, un’imitazione dell’originale, superlativa o mediocre che sia. È un artificio, un servizio, un’eccellenza del genio e dell’artigianato, talvolta industria, ma pur sempre frutto del lavoro di migliaia di tecnici e professionisti di altissimo livello, che non hanno alcuna pretesa di sostituirsi al talento degli interpreti originali di un’opera. Oggi è molto più semplice guardare contenuti originali, possiamo cambiare lingua e aggiungere o meno i sottotitoli persino sul digitale terrestre che non ha bisogno di internet, per non parlare dei vari servizi di streaming ormai alla portata di tutti. Il grande scoglio in questa possibilità di scelta resta ancora il cinema, le sale che proiettano in V.O. sono ancora troppo poche, soprattutto al di fuori dei grandi centri. I distributori dovrebbero fornire più copie in lingua originale, in modo tale da sdoganare questo falso mito e permettere a tutti di scegliere. Non bisogna commettere l’errore di pensare ai film in lingua originale solo come un vezzo da intellettuali, pensate anche ai milioni di turisti che ogni anno visitano il nostro paese, agli studenti in Erasmus, a chi semplicemente è bilingue e ha voglia di vedere un film con tutta la famiglia, o a chi come Calvino pur non comprendendo la lingua straniera vorrebbe soltanto godersi quel più di potenzialità musicale. Evitiamo di chiuderci in inutili campanilismi, Italians do it better? Dimostriamolo! Magari il doppiaggio verrà apprezzato anche di più».

Dove potremo “ascoltarti” prossimamente?
«L’8 febbraio è uscito in tutte le sale italiane l’ultimo lavoro di Clint Eastwood, The 15:17 to Paris (Ore 15:17 - Attacco al treno) dove ho doppiato uno dei tre protagonisti, Alek Skarlatos. È tratto da una storia vera, molto intensa, e interpretata dagli stessi ragazzi che rimasero coinvolti in un attentato su un treno per Parigi nel 2015. Il 22 febbraio uscirà The Disaster Artist, il film, diretto, prodotto e interpretato da James Franco, che è basato sul libro The Disaster Artist: My Life Inside The Room", e che ha ottenuto una candidatura a Premi Oscar e vinto un Golden Globe; ho avuto il piacere di essere stato scelto come voce italiana di John Early, che avevo già doppiato in Wet Hot American Summer. In questo film molto particolare interpreta il ruolo di un casting director di un’agenzia tra le più famose di Hollywood diretta da Iris Burton, interpretata da Sharon Stone».

Cosa farà Emanuele da grande?
«Mi auguro di continuare a divertirmi, amare il mio lavoro e la mia vita. Magari con qualche responsabilità e qualche ruga in più ».
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DONNE Bianca Atzei una di noi! di Antonia Del Sambro

L’avevamo vista commuoversi, lo scorso anno, sul palco dell’Ariston per la sua storia d’amore con Max Biaggi, in una canzone struggente e romantica. Era pronto anche il suo nuovo album che l’avrebbe portata in tournée per tutta la scorsa estate con date e appuntamenti già fissati. Il brano sanremese era stato anche premiato per il raggiungimento delle 25 mila copie vendute e sempre nel 2017 era uscito il suo primo libro che porta lo stesso titolo della canzone Ora esisti solo tu.

Tutto sembrava arridere a una estate di grande successo e fortuna per la brava cantante milanese che si meritava per la sua arte e la sua personalità questo esito. Poi, il suo fidanzato si fa male e lei per restargli accanto in ospedale e in seguito durante la riabilitazione, annulla le date e i concerti e sacrifica parte del suo lavoro e della sua vita ancora una volta per amore.

La vita, però, non sembra premiarla e anzi accanirsi contro questa giovane donna, generosa, amabile e grande artista. E così poco prima della fine dell’anno, il suo fidanzato la lascia, con un messaggio sui social e senza nessuna spiegazione. Lei passa un periodo orrendo, ma non si lascia mai andare né a sfoghi ineducati, né a suscitare facile pietismo, né a recriminazioni di alcun genere. Si fa forza e rassicura i fan e gli amici che ce la farà anche questa volta e promette che troverà la forza per reagire e tornare a fare quello che le piace di più. E così succede.

Partecipa prima alla trasmissione di Carlo Conti su Raiuno, Tale e quale show, dove dimostra di saper anche ballare, imitare e mettersi in gioco con grinta e passione e poi, passano alcuni mesi e tutti i media italiani scrivono che Bianca Atzei sarà tra i protagonisti della nuova edizione dell’Isola dei Famosi, il reality di Canale 5 tra i più seguiti della rete Mediaset.

Bianca sbarca in Honduras e subito si dimostra forte, determinata, leale ma soprattutto generosa con tutti i suoi compagni di avventura. Non ama i pettegolezzi, la falsità e i colpi bassi e con il suo comportamento trasparente e sincero conquista in pochi giorni l’apprezzamento dei suoi colleghi di avventura sull’isola ma soprattutto dei fan e dei spettatori del programma; anche di quelli che la conoscevano poco o l’avevano seguita solo come cantante.

Un esempio positivo e da imitare, soprattutto per i più giovani, quello della cantante milanese di origini sarde nata proprio nel giorno della Festa della donna e che ha portato molti commentatori sui social a spendere bellissime parole su di lei e a definirla appunto: una di noi!
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