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Donne Nel mondo, nella storia
Donne. Nel mondo, nella storiaMena Alfano, fermarmi io? Mai!
di Giuseppe Bosso

Sei anni fa ci eravamo incontrati per la prima volta, per parlare di come da imprenditrice si era affermata anche come organizzatrice di eventi. Incontriamo con piacere ancora una volta Mena Alfano per parlare di un'importante e significativa novità che negli ultimi anni ha riguardato la sua vita.

Bentrovata, Mena. Da quando ci eravamo incontrati la prima volta sei anni fa c'è stata per lei una importante novità che l'ha portata direttamente a entrare in Vaticano. Cosa è successo?
«Mi fa molto piacere incontraci di nuovo. Tutto è iniziato davvero per caso: i miei figli vivono a Roma da ormai 15 anni ed era nato il mio secondo nipotino. Ho avuto la possibilità di fare questo colloquio, ad essere sincera non con molta convinzione da parte mia, con la Pontificia Università Urbaniana per la gestione del bar/mensa degli studenti e degli eventi che si svolgono all'interno del campus. Nonostante il mio scetticisimo, sono stata scelta tra i tanti candidati e mi sono ben presto resa conto che per me avrebbe rappresentato un cambiamenti importante che mi ha subito coinvolta. Poter vivere a stretto contatto con professori e seminaristi provenienti da tutto il mondo è una soddisfazione e una gioia che non avrei mai immaginato, per come mi hanno accolta e apprezzato la mia professionalità fin dal primo momento. Al momento sto valutando se proseguire visto che i carichi di lavoro sono sempre altri e non è semplice alternarsi tra Roma e la Campania dove ci sono le mie attività commerciali a Sant'Antonio Abate. Ma chi mi ha scelta davvero non vorrebbe che lasciassi l'Urbaniana, quindi ci dovrò pensare molto attentamente».

Un episodio o un aneddoto significativo che ha caratterizzato questa esperienza?
«L'incontro con il cardinale Tagle, quando è venuto per la prima volta a fare colazione da me, durante il periodo delle festività natalizie, in occasione della sua visita per celebrare una messa. La Pontificia Università Urbaniana dipende dal Ministero Propaganda Fide che fa capo appunto a lui, se ricordate in primavera uno dei più accreditati nomi per la successione di Papa Francesco. Mi ha fatto anche la benedizione sulla fronte; si è complimentato per come avevamo organizzato quell'evento che ha coinvolto circa 400 ragazzi e un centinaio di docenti».

Inevitabile parlare di quello che è successo ad aprile con la scomparsa di Papa Francesco e l'elezione di Leone XIV. Ha avvertito l'atmosfera che è legata a questi cambiamenti epocali?
«Sì, posso dire di aver vissuto, anche per la vicinanza del bar con Piazza San Pietro, sia gli ultimi giorni di Papa Francesco che l'avvento di Leone XIV. I mesi della malattia del precedente papa sono stati un periodo di fermo e di silenzio per noi, non potrebbe essere diversamente per chi, come i ragazzi che studiano alla Urbaniana, è destinato a diventare vescovo o a ricoprrie cariche di livello, nel pieno rispetto di un regime serrato che si impone a questi studenti fin dall'inizio. Leone XIV ha portato delle novità ma ha confermato le cariche a chi operava nel nostro settore già sotto Francesco».

Com'è cambiata la sua vita, oltre questa importante novità, rispetto al nostro primo incontro?
«Tanto per cominciare ho dovuto necessariamente prendere alloggio a Roma, anche se come dicevo mi divido tra lì e Sant'Antonio Abate; ho imparato a vivere da sola, gestire sia pure con il supporto delle istituzioni e delle persone che mi hanno conferito questo incarico un'azienda di grandi dimensioni. Allora avevamo parlato del Festival di Napoli che stava per iniziare; per me ha rappresentato un momemto di crescita in cui ho lavorato a stretto contatto con la Regione Campania , e non nascondo che ha rappresentato un background che poi mi è servito tantissimo in occasione del passaggio a Roma, sia pure legata a un diverso contesto, non più concorrenti di un concorso canoro ma studenti di tutto il mondo destinati a essere il futuro delle gerarchie ecclesistiche, docenti che insegnano lingue come il cinese».

Quindi ha accantonato la sua attività di organizzatrice di eventi?
«Più che accantonato direi che relativamente al Festival di Napoli è stata una scelta mia. Non per essere presuntuosa e assolutamente senza avere nulla contro Massimo Abbate, ma mi pare che la manifestazione negli ultimi anni abbia perso molta della visibilità che aveva acquisito in quel periodo. Dico semplicemente che in quella esperienza come in tutte le altre mie attività ho improntato una visione proiettata al nuovo, all'innovazione, perché ogni anno bisogna fare un passo in avanti. Se un festival come quello, dedicato alla canzone napoletana, non si mostrava diverso dall'edizione precedente, per me avrebbe rappresentato un fallimento. Ripeto, non ho nulla contro l'atuale direttore artistico, ma vedo che sul piano organizzativo manifesta una certa gelosia e un certo spirito di conservazione che, a mio modo di vedere, si rivela controproducente. Vedo che nell'ultima edizione nemmeno si è svolta a Napoli la manifestazione, non essendo riusciti a trovare un teatro di livello per ospitarlo».

Il cambiamento spaventa ma è un passo necessario da compiere per la crescita: è stato così anche per lei, dunque?
«Cambiare spaventa perché metaforicamente rappresenta una sorta di salto nel vuoto, come gettarsi con un paracadute. Ma tutto dipende dalla tua abilità e dalla tua capacità di saperti adeguare, che ti consente di affrontare quel salto in modo impeccabile se ti dimostri bravo. E riemergi a testa alta. In Vaticano sono entrata a testa alta, perché chi mi ha scelto ha capito quale fosse la mia professionalità, tanto che in molti mi chiedono di restare per proseguire questa esperienza; un ulteriore testimonianza che mi fa capire quanto sia stato apprezzato il lavoro fin qui svolto».

Un'impressione che mi aveva dato anche nel nostro primo incontro è che la sua preoccupazione più forte è quella di non avere più stimoli.
«Sì. Mi reinvento sempre, nel senso che non riesco mai a stare ferma, come ti avevo detto già l'altra volta. Potrei magari adesso darmi un freno, dedicarmi di più alla famiglia e ai nipotini, ma per il momento è davvero qualcosa che non riesco proprio a concepire. Preferisco ancora portare avanti il nome della Pasticceria Mena, che è diventata riconoscibile non solo a livello nazionale ma anche all'estero; qualcosa di nuovo lo sperimenteremo, ho un paio di eventi in organizzazione in Vaticano per i prossimi mesi. Diciamo che al momento mi sento sotto punto interrogativo».

E ricordo bene infatti come avesse voluto sottolineare già allora quel “non riesco mai a stare ferma”: da un lato sicuramente una dote positiva ma che, dall'altro, presenta un inevitabile rovescio della medaglia rappresentato dal dover sacrificare qualcosa in ambito affettivo e dal doversi in qualche modo distaccare dalle proprie radici.
«Sì, in questi anni ho fatto molti sacrifici e molte rinunce, come inevitabilmente avrebbe comportato il vivere a Roma cinque giorni su sette, in un contesto dove la stanchezza è tanta sia a livello fisico che mentale. Le problematiche degli ultimi mesi legate ai trasporti sono state un ulteriore fardello, ma ho affrontato tutto questo all'insegna dello spirito del “dobbiamo vincere questa sfida”. L'unico vero rimpianto è il vedere poco i miei nipotini, e proprio per loro sto ponderando di fare non dico un passo indietro ma rallentare un po' i ritmi».

Se possiamo concludere con un battuta, senza voler assolutamente istigare nessuno al rapimento che è perseguibile penalmente, chi tra i suoi familiari, i suoi collaboratori e le persone che le hanno conferito l'incarico a Roma sarebbe disposto a legarla su una sedia pur di trattenerla?
«(scoppia a ridere, ndr) A dire il vero tutti; mio marito e i miei collaboratori, mia cognata e mio fratello anzitutto, che gestiscono le attività a Sant'Antonio Abate si sentono più tranquilli quando ci sono io, formiamo un gruppo molto più compatto. Le persone in Vaticano, sì, mi legherebbero, specialmente gli studenti con i quali si sono creati dei legami solidi in questi anni e al pensiero di non vedermi più aprire il bar dove interagiscono e dove trascorrono molto tempo ci resterebbero male. E anche i docenti, che mi hanno regalato anche anni di crescita culturale, rendendomi, penso, anche molto più saggia... insomma l'elenco dei miei potenziali 'sequestratori' è lungo, ma sono certa che nessuno dovrà mai arrivare a legarmi come hai detto».

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