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Archivio Telegiornaliste anno XVII N. 13 (663) del 14 aprile 2021
 
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TGISTE Lorenza Licenziati, reagire con ottimismo di Giuseppe Bosso

Con grande gioia ritroviamo la giornalista e conduttrice televisiva napoletana Lorenza Licenziati, da poco tornata sugli schermi di Tv Luna con la nuova edizione del format In città, programma che ha riscosso molto successo ma che inevitabilmente ha dovuto fare i conti con l’emergenza covid che ha imposto modifiche nella scaletta, ma che certamente non hanno intaccato l’entusiasmo e la vitalità di Lorenza.

Bentrovata Lorenza, come si è sviluppato il format In città e con quali novità per questa edizione da poco iniziata?
«La pandemia ha inevitabilmente condizionato la trasmissione, che prima si svolgeva interamente in esterna. Dopo la prima ondata ci siamo fermati, poi dopo il secondo lockdown di ottobre abbiamo pensato di ripartire portando la trasmissione in studio, allargandoci ad altre categorie fermo restando che l’attenzione principale è rivolta ai personaggi del mondo dello spettacolo che sono totalmente fermi da oltre un anno. Siamo davvero una ‘città virtuale’, animata dal caffè letterario, da artisti come Francesca Curti Giardina che è la cantante protagonista degli spazi musicali… ci sono le tante realtà che possono essere il bar all’aperto o il ristorante. Rispetto alle precedenti edizioni dove ogni puntata durava trenta minuti quest’anno abbiamo un’ora di spazio, ma è come se il tempo volasse tra interviste all’interno dello studio, esterne e finte dirette. Per ora sono previste sedici puntate fino a giugno, poi si vedrà».

Quali sono i personaggi e le figure su cui hai cercato di soffermarti particolarmente?
«Le categorie più colpite dalla pandemia, quelle che ancora non sono riuscite a riprendersi, e figure come medici e professionisti del settore sanitario che per forza di cose non si sono mai fermati, nutrizionisti, dentisti, chirurghi plastici, pneumologi… abbiamo iniziato con personaggi magari non conosciutissimi ma con alle spalle curriculum di altissimo profilo, stiamo valutando, io e la mia redazione, formata da Valentina Magno e Andrea Carotenuto, come sviluppare le prossime puntate facendo venire ogni volta un ospite che abbia dato lustro alla Campania nel suo campo, come le cantanti Monica Sarnelli e Maria Nazionale o l’attrice Valentina Stella e la collega giornalista Tiziana Beato che verrà a presentare il suo libro, come la scrittrice Annella Prisco. Penso soprattutto a tutte quelle persone, partita Iva e operatori dello spettacolo, che si sono fermati senza tutele».

Inevitabilmente hai dovuto fare i conti con la pandemia e le restrizioni che hanno necessariamente imposto di limitare gli spostamenti: come ti sei attrezzata?
«Siamo in studio ma come potete vedere riusciamo anche a fare ancora delle esterne, sia pure con il massimo rispetto delle prescrizioni. Vado solo io con un operatore o al massimo inviata. È un’edizione un po’ diversa, ma cercando sempre di seguire quello che è stato il mio percorso, iniziato oltre trent’anni fa nel mondo dello spettacolo e che poi si è via via ampliato, facendo informazione ma non occupandomi di cronaca, seguendo la mia filosofia che è sempre quella di essere positivi, anche se mi rendo conto che potrebbe risultare fuori luogo dire questo adesso, ma mi pare che per le cose brutte e negative il telecomando, dovunque clicchi, te ne offra già abbastanza. Non penso sia necessario anche il mio apporto… sto per andare anche a Gragnano per intervistare il pittore Salvatore Cesarano che mi farà intervistare anche il sindaco».

Al di là della trasmissione come vive una donna dinamica e costantemente in movimento come te questo periodo?
«Ormai è un anno che io e i miei tre figli conviviamo con mascherine, guanti, disinfettanti e tutto quello che abbiamo dovuto giocoforza prendere come abitudine. La paura c’è sempre, ma nemmeno possiamo sottostare al terrorismo mediatico che ci vorrebbe imporre di fermarci completamente. Nel rispetto delle massime precauzioni, ci mancherebbe, ma dobbiamo continuare a vivere, che vita sarebbe altrimenti? Mi sento serena, tranquilla, e vorrei che il mondo dello spettacolo riuscisse davvero a riprendersi con questo spirito. Normalità nel rispetto delle regole».

Quando ci incontrammo la prima volta e ti chiesi come ti saresti descritta mi dicesti “solare, aperta alle amicizie, penso alla vita con ottimismo”: a distanza di oltre dieci anni ti senti ancora così?
«Il primo lockdown mi ha suscitato paura, come penso in tutti; ma ho capito che non potevo certo fermarmi; che faccio, mi lascio mettere sotto terra? (ride, ndr) Reagire è stata la mia forza, da sempre è così, nella mia vita. Mi sono levata dalla politica, è un ambiente cattivo. Mi batto per lo spettacolo, per lo sport, per i giovani che non possono essere rinchiusi in casa e poi accusare i genitori di scaricarli alle playstation o altre apparecchiature che non potranno mai sostituire il contatto umano, la scoperta del corteggiamento per un ragazzo dell’età di mio figlio, la palestra. Sono rinata quando si è riaccesa la luce della trasmissione».

Allora ti avevo chiesto, se ricordi, un pensiero sul domani: se adesso invece ti chiedessi uno sguardo al passato, quali sono le tue considerazioni, tra soddisfazioni o possibili rimpianti?
«Non rimpiango niente, rifarei esattamente le stesse cose. Gli errori mi hanno fatto crescere, bisogna sempre guardare avanti, mai indietro. Sto bene, ho sempre lavorato sempre con onestà, nel mio passato c’è stata la nascita dei miei figli che sono sempre il mio punto di riferimento. Per quello che è stato il mio percorso professionale davvero non ho alcun rimpianto. Sicuramente è cambiato il mio approccio al futuro, se prima programmavo le cose adesso ragiono in ottica di giorno per giorno, in ogni ambito vivendo serenamente il presente».

Anche tu per forza di cose ti stai abituando alla mascherina: non ti senti in qualche modo imbavagliata?
«Per come sono fatta io sì, la vedo come una museruola per farci stare zitti sulle cose che non sono alla luce del sole. Ma ci sono abituata, nel senso che se è una cosa necessaria per la tutela della salute ok, ma fateci vivere! Fateci lavorare! Mi sono abituata anche comprando quella trasparente per la trasmissione, fermo restando che per gli altri luoghi uso quella chirurgica».
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TUTTO TV Giulia Fiume, marcia in più lo studio di Giuseppe Bosso

Grande successo ha riscosso la fiction Le indagini di Lolita Lobosco, trasmessa tra febbraio e marzo in prima serata su Raiuno, che ha potuto contare su un cast di assoluto valore, a cominciare dalla protagonista Luisa Ranieri; ma non meno apprezzata è stata l'interpretazione di Giulia Fiume nel ruolo di Carmela, sorella della protagonista. Incontriamo l'attrice catanese, tra considerazioni sul presente e prospettive future.

Che bilancio trae dalla sua esperienza nella serie Le indagini di Lolita Lobosco?
«Del bilancio dicono i numeri e non potevamo augurarci risultato più incredibile! Ne approfitto per ringraziare tutti pubblicamente».

Il personaggio di Carmela pensa sia vicino al suo modo di essere?
«Carmela, assieme alla madre Nunzia, è il buono del sud: l’amore per la famiglia e la dedizione nella sua costruzione. Ma anche la capacità di sopravvenire ad umani inconvenienti, grazie ad un enorme senso pratico. È chiaramente in competizione con la sorella Lolita, soprattutto quanto al rapporto con i genitori per i quali quest’ultima è “l’orgoglio di famiglia”. D’altra parte sa di poter contare su di lei e questo la fa sentire fortemente supportata. Lolita è tutto ciò che lei non si è concessa d’essere: emancipata, indipendente, felicemente single».

Come si è trovata a lavorare con due attrici come Luisa Ranieri e Lunetta Savino?
«Come ci si trova di fianco a due colossi: in ascolto e nella volontà di assorbirne l’arte».

Lascia giovanissima la Sicilia alla conquista della Capitale: quali sono state le maggiori difficoltà che ha dovuto affrontare e quale pensa sia stata la sua marcia in più?
«La marcia in più è decisamente lo studio. Conoscete bravi chirurghi senza laurea?».

Si è cimentata anche come assistente alla regia per il film Confusi e felici, pensa in futuro di seguire anche un percorso dall’altra parte della telecamera?
«Questo periodo mi fa venire solo più voglia di fare, agire la mia arte. La pigrizia non fa per me! Quando sto con le mani in mano è una scelta cosciente: relax! Devo dire che quest’ultimo Dpcm mi ha demoralizzata. Chiudessero! Mi sento sotto tortura: avete presente la “goccia cinese”?!».

Dove la vedremo prossimamente?
«Abbiamo concluso di confezionare uno spettacolo teatrale dal titolo Il Rimpiazzo, scritto da me, per la regia del mio compagno, Federico Le Pera e con Kabir Tavani ed Eugenio Mastrandrea. Le condizioni ci costringono a posticipare il debutto, ma noi attori siamo talmente allenati alle attese che non sarà certo il covid a preoccuparci».

Le difficoltà che il lockdown dell’anno scorso e la pandemia hanno creato al settore spettacolo le hanno suscitato più incertezza o speranza per il futuro?
«Del futuro non voglio saperne. Qui ed ora, si dice in teatro. Ho preso ad “insegnare” e mi riempie l’anima. Lo virgoletto perché, dal basso dei miei neanche 33, mi limito a trasmettere insegnamenti assunti durante gli anni di formazione e quindi tutt’ora: di tutto ciò che ho trovato e trovo utile per me, passo parola».
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DONNE Enza Alfano, comprendo e perdono la pazzia di Antonia del Sambro

Enza Alfano ci ha abituati a libri che scavano dentro l'animo umano e che raccontano di sofferenza e di rinascita, di amore e di abbandono, di storia della letteratura e insieme di uomini e di donne. Perché ti ho perduto suo ultimo lavoro è un vero e proprio viaggio alla scoperta di una delle poetesse italiane più amate e chiacchierate. Un libro da leggere tutto di un fiato e apprezzarne ogni sfumatura. Abbiamo incontrato l'autrice e ci siamo fatti raccontare qualcosa in più da lei.

Enza, bentornata su Telegiornaliste e grazie per avere accettato di raccontarti alle nostre lettrici. Il tuo ultimo, meraviglioso, libro Perché ti ho perduto parla essenzialmente di polvere e di altare, di cadute e di resurrezioni, di perdite e di nuovi inizi. Al centro, la figura di Alda Merini che, nonostante le continue delusioni, trova sempre il modo per ricominciare o meglio di amare. Da dove sei partita per raccontare tutto questo e quanto ti è piaciuto scrivere questo libro?
«Innanzitutto grazie per avermi invitata. La scintilla è nata da lei, Alda Merini. Sono stata folgorata dalla sua vita, dalla sua poesia, dalla sua follia, dalla sua diversità, dal suo sguardo obliquo sul mondo, che le ha permesso di trovare le parole per affermare il diritto all’amore e alla felicità. Potranno leggerlo gli appassionati di poesia ma anche chi ama le storie romantiche, drammatiche, ricche di passione. La stesura di Perché ti ho perduto mi ha tenuta impegnata per circa due anni, tra la prima e la seconda riscrittura. Non era facile confrontarsi con un personaggio così iconico e popolare, per certi versi noto a tutti e che ha parlato tanto di sé con una voce originale e perfettamente riconoscibile, ma ho scelto di affrontare il rischio spinta da un’urgenza interiore e dalla forte convinzione che ancora ci fosse molto da dire e da disvelare. Mi sono immersa nella sua vita, nelle latebre e nelle luci, attenta a non lasciarmi fagocitare, prendendo le distanze e allo stesso tempo col desiderio di fondermi con lei, assumendo il suo punto di vista. Ho guardato l’inferno del manicomio, le gioie e i dolori della sua Terra Santa, mi è sembrato di varcare le soglie di un aldilà sconosciuto e fantastico. Mi è molto piaciuto rispecchiarmi nella sua storia di donna, di madre, di amante e soprattutto di artista che si interroga sull’origine di una vocazione a cui bisogna abbandonarsi, lasciando andare tutto il resto».

Alda Merini frequentava il cenacolo di Giacinto Spagnoletti, amava l’arte, la poesia, la cultura; eppure la sua condizione di donna, o meglio il suo “struggimento” di donna è simile a quello di tante altre donne, anche meno colte, meno preparate, meno propense a reagire al dolore. Quindi, la condizione della tua protagonista, a tuo parere, è una condizione universale, qualcosa di ancestrale a cui ogni donna di qualunque estrazione e tempo è destinata comunque?
«È la condizione di molte donne, la storia di conquiste sempre difficili, di delusioni spesso in agguato, ma è anche la storia particolare di una donna diversa, marchiata a fuoco dallo stigma della malattia mentale. Alda Merini, attraverso la sua poesia, la sua presenza mediatica, le sue provocazioni, ha forgiato un’immagine di sé in cui riescono a identificarsi moltissime donne. È questo il segreto della sua popolarità».

Ovviamente il tuo libro parla anche e soprattutto di perdita. Come si può spiegare questa cosa alle nuove generazioni e in questa velocissima società 2.0?
«Abbiamo un debito di autenticità con questa generazione che abbiamo cullato dentro troppe menzogne. Abbiamo censurato e respinto le paure ancestrali, la sofferenza, la malattia, la vecchiaia, la morte. La pandemia ci ha costretto a misurarci con la nostra fragilità. È una sfida che si può vincere se si ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome, accettando lo schiaffo della vita quando arriva, senza cedere alla tentazione di una resa. Il modello educativo attuale è estremamente protettivo nei confronti dei giovani ai quali si offre spesso una visione della vita edulcorata e protesa alla conquista di beni effimeri che possono deludere le aspettative di felicità. Alda Merini ha dovuto affrontare la perdita dell’uomo che amava, la perdita della ragione, la perdita della dignità ma non ha mai rinunciato a vivere, a lottare e ad amare».

C’è tanto storia nel tuo lavoro letterario, ma insieme, anche tanta immaginazione, tanta fantasia autoriale che rende la lettura quasi qualcosa di onirico. Perché questa scelta e quanta parte di te, come autrice, c’è in questa storia che racconti?
«Ho scelto di scrivere un romanzo e non una biografia per essere libera di interpretare i fatti e colmare con la fantasia le lacune e le reticenze di una vita mai raccontata fino in fondo, nonostante anche in questo la Merini sia stata generosa. Sono stata attratta dalla parte più in ombra della sua esistenza e mi sono infilata nelle crepe con l’immaginazione e i miei sentimenti. In un gioco di equilibri molto rischioso ho affidato alla sua voce una parte di me mentre lei si affidava alla mia perché raccontassi i suoi segreti».

Il potere salvifico della poesia esiste ancora? E chi potrebbe essere, oggi, una erede naturale della Merini.
«Difficile immaginare un’eroina della diversità in cui vita e opera possano convergere e confondersi in modo così efficace. Credo molto nel potere salvifico della parola e penso che in questo momento ne abbiamo tutti un’incredibile necessità».

Enza, scegli una sola frase del tuo libro da regalare alle nostre lettrici e dicci perché hai scelto proprio questa.
«Una pazza può maledire, può bestemmiare e pentirsi e pregare meglio di una mistica e di una santa, perché Dio la ascolta. Perché Dio ne ha pietà. Gli uomini no. Gli uomini perdonano qualsiasi malattia, ma non la pazzia. Perché chi legga questo libro possa comprendere e perdonare la pazzia».
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