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	 Telegiornaliste anno XVIII N. 5 (689) del 9 febbraio 2022
 
	 
		 
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			 | TGISTE Giorgia 
		Scaccia, storie che vanno raccontate
		di Giuseppe Bosso 
 Incontriamo Giorgia Scaccia, inviata di trasmissioni come Pomeriggio 
		Cinque e Zona Bianca in onda sulle reti Mediaset.
 
 Ormai da due anni dobbiamo convivere con il covid: come ha cambiato 
		la tua vita e il tuo lavoro doverti abituare alle restrizioni che ci ha 
		imposto, essendo costantemente in giro per l’Italia?
 «Il Covid ha stravolto le nostre vite e di conseguenza il nostro lavoro 
		di inviati. All'inizio è stata davvero dura, soprattutto nei primi mesi 
		del 2020, quando ancora il virus era uno sconosciuto, le vittime si 
		moltiplicavano di giorno in giorno, il rischio era quotidiano e 
		costante, le mascherine introvabili e noi dovevamo essere pronti sul 
		campo in qualsiasi momento di fronte ad un contesto in continua 
		evoluzione. È stata davvero dura. Da inviati, poi, abbiamo dovuto 
		ovviamente adeguarci alle restrizioni imposte dall'emergenza sanitaria, 
		senza che il nostro compito di cronisti sul campo venisse però 
		penalizzato da tutto questo. Parlo delle lunghe distanze percorse nelle 
		nostre auto per maggior sicurezza quando prima bastava prendere un treno 
		o un aereo, o ancora le migliaia di autocertificazioni compilate ad ogni 
		stop in posti di blocco per poter uscire dalla Regione, o ancora, 
		raccontare il dramma di famiglie in “zone rosse” senza poter entrare 
		nelle loro case. E oggi, che per viaggiare “basta” il green pass 
		rafforzato, ci sembra davvero una conquista».
 
 Nelle ultime settimane ti abbiamo vista raccogliere la testimonianza 
		della ex compagna dell’attore Paolo Calissano, scomparso a fine anno: 
		spesso devi rapportarti a persone con tragedie come questa alle spalle, 
		in che modo cerchi di porsi nei loro confronti?
 «Occupandomi principalmente di cronaca nera e giudiziaria, mi trovo 
		costantemente a contatto con storie terribili, con il dolore vero. Ci 
		sono situazioni davvero difficili da raccontare: i femminicidi, le 
		violenze, gli omicidi in cui le vittime sono i bambini. Ricordo quando 
		mi trovai di fronte la mamma della piccola Fortuna Loffredo, precipitata 
		da un palazzone del Parco verde di Caivano (Napoli), una meravigliosa 
		bambina bionda, abusata per anni e poi uccisa. Quella mamma, Mimma, non 
		la dimenticherò mai. In quei momenti ti trovi a bilanciare quello che ti 
		suggerisce il cuore con il ruolo che ricopri, quello di inviato. Il 
		cuore è frantumato in mille pezzi, il dolore di queste persone ti entra 
		dentro e ti arriva, in tutta la sua forza dirompente, come un pugno in 
		faccia. Ma è proprio allora che non bisogna mai dimenticare che il 
		nostro compito è quello di raccontare i fatti, nella maniera più 
		completa ed obiettiva possibile, sempre con il tatto, il rispetto e la 
		delicatezza che queste situazioni impongono. Ma che comunque, vanno 
		raccontate».
 
 Gioie e dolori di una vita da inviata.
 «La vita da inviata è una vita da nomade, ahimè. È una scelta di vita 
		che ti porta inevitabilmente a “sacrificare” gli affetti, la famiglia, a 
		stare per lunghi periodi lontana da casa, a non poter programmare nulla, 
		perché i fatti di cronaca avvengono all'improvviso e tu devi partire. È 
		una vita che, al tempo stesso, ti dà delle gioie immense, soddisfazioni 
		e gratificazioni a livello umano e professionale. Ricordo il terremoto 
		di Ischia dell'agosto 2017, quando i Vigili del fuoco estrassero dalle 
		macerie il piccolo Ciro, 11 anni, sepolto per 16 ore sotto i calcinacci 
		della sua casa crollata a Casamicciola. Ciro aveva protetto, rassicurato 
		e salvato i due fratellini, dando indicazioni da lì sotto alle squadre 
		dei soccorsi perché li localizzassero. Lui, fu l'ultimo ad uscire. Da 
		eroe. Sono queste le cose che ti ripagano di tutto».
 
 Rispetto ai tuoi esordi e a quelle che erano le tue aspirazioni 
		iniziali nell’approcciarti al giornalismo è cambiato qualcosa nel tempo?
 «In me non è cambiato nulla, ho la stessa passione del primo giorno, 
		quella che mi ha fatto osare, rischiare, crescere e maturare (spero). 
		Certo, all'inizio ero molto idealista, ora sono più concreta e 
		razionale. Quello che ho notato negli ultimi anni e che mi dispiace, è 
		che questo lavoro spesso viene fatto in maniera approssimativa e senza 
		verificare le fonti. Ecco, per me, che sono una della “vecchia scuola”, 
		perfezionista fino all'inverosimile, questo è inaccettabile».
 
 In prospettiva futura ti vedi ancora in Italia oppure tenteresti 
		un’esperienza all’estero?
 «Mai dire mai. Non faccio progetti a lungo termine, sono una che ha 
		sempre colto le occasioni al volo. Per cui...vedremo!».
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			 | TUTTO TV Finché vita non ci separi
					di Antonia Del Sambro 
 Arriva dal 10 febbraio su
					
					Netflix la serie evento attesa da tutti. 
					Un cast di eccezione per un soggetto non 
					originalissimo che però posa le sue basi su una regia 
					attenta e contemporanea e su una fotografia 
					davvero da grande cinema internazionale.
 
 La nuova serie che negli Stati Uniti ha già fatto parlare 
					moltissimo di sé ha come fil rouge dell'intera 
					narrazione la stessa famiglia raccontata da tre 
					generazioni differenti e da altrettanti punti di 
					vista diversi. Ciò che colpisce immediatamente gli 
					spettatori, quindi, è la possibilità di riconoscersi 
					almeno in uno dei personaggi principali della serie.
 
 I nonni, ancora grintosi, volitivi e 
					pieni di idee sono i capostipiti di una 
					azienda familiare che organizza matrimoni e forse 
					sono ancora i soli a credere nella possibilità di continuare 
					una vita molto simile a quella che hanno sempre vissuto. 
					Invece le nuove generazioni accusano i mutamenti 
					sociali e i giovanissimi non riescono a non farsi 
					travolgere dalle crisi personali.
 
 Il tema della crisi delle nuove generazioni finisce 
					inevitabilmente per intaccare anche l'esistenza 
					degli adulti e dare vita a una "bolla" di 
					insofferenze, non detti e recriminazioni che rendono 
					l'intera trama della serie una storia più che mai 
					credibile e contemporanea.
 
 Tra il cast della nuova proposta Netflix spicca per 
					bravura e meraviglia del personaggio interpretato una 
					straordinaria Madalena Almeida che fa incollare 
					letteralmente allo schermo gli spettatori.
 
 E allora appuntamento il 10 febbraio sulla piattaforma on 
					demand più famosa al mondo per una serie che sarà 
					amata trasversalmente da ogni spettatore e da ogni 
					generazione.
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			 | DONNE Imperatrice 
					Bruno, spazio per le cose belle
					di Giuseppe Bosso 
 Vincitrice nel 2019 del 14° concorso Internazionale di 
					poesia inedita Dedicato a… Poesie da ricordare, 
					originaria di Ariano Irpino, studentessa alla Bocconi, 
					incontriamo la giovane autrice Imperatrice Bruno.
 
 Benvenuta su Telegiornaliste. Anzitutto come nasce il suo 
					amore per la poesia e come si è sviluppato nel tempo?
 «Mi sono innamorata della poesia a quattordici anni leggendo 
					Leopardi. Mi son presto resa conto che i versi letti tra i 
					banchi di scuola non mi bastavano e ho cominciato a divorare 
					libri violentemente. Sempre a quell’età ho cominciato a 
					scrivere. La parola fluiva dal mio corpo dolce e libera, 
					selvaggia. Col tempo e l’esercizio ho acquisito tecnica, 
					consapevolezza, stile e ho colmato il passo che divide la 
					pura espressione emotiva dalla poesia».
 
 Caratteri Interi, pubblicato da Nulla Die, la sua 
					seconda raccolta, ha riscontrato molto successo. Le 
					difficoltà legate alla pandemia hanno inciso sulla sua 
					promozione?
 «Mi interesso poco della promozione dei miei libri. Mi rendo 
					conto che la diffusione sia cruciale e interessante anche a 
					fini antropologici ma mi son sempre approcciata alla poesia- 
					e alla mia poesia- con tanto rispetto e riverenza; 
					Caratteri Interi è nato dall’urgenza di marchiare il 
					mondo, dalla voglia terribile di immortalare l’anima e il 
					pensiero bollente. Suppongo sia per questo che, nonostante 
					la completa mancanza di presentazioni e reading, abbia avuto 
					successo. È indipendente e vivo, si fa strada da solo».
 
 Ci parli anche della sua ultima fatica,
					
					Volontà nobili: a cosa si è ispirata e a chi è 
					dedicata in particolare?
 «Dolcissima fatica, necessaria. Volontà nobili 
					presenta una poesia dal carattere sacro e profano, 
					approfondisce il ruolo dell’amore come motore d’elevazione 
					spirituale. Tocca la carne, interroga i sensi e il genio. 
					Questa raccolta è legata a una Musa in particolare, a un 
					uomo, un musicista straniero – come si intuisce dall’ultima 
					poesia del libro e dalla prefazione di Davide Rondoni- che 
					in modo attivo e passivo ha generato in me la Volontà 
					nobile».
 
 Perché questo titolo? Cosa rappresentano per lei le 
					"volontà nobili"?
 «Volontà nobili allude alla tensione verticale 
					spirituale. La volontà di migliorarsi, di trascendere- anche 
					dimensionalmente. Funge da stimolo-la poesia accende- ma 
					ricorda sempre ai lettori che è la volontà, il proponimento, 
					in sintesi la responsabilità personale ciò che plasma e 
					modifica».
 
 C’è spazio per la poesia nella società di oggi?
 «C’è sempre spazio per le cose belle. C’è sempre spazio per 
					l’amore e per l’arte. I tramonti accadono lo stesso, anche 
					se nessuno resta ad ammirarli, e così le poesie nascono, 
					anche clandestinamente, in contesti che sembrano sterili, 
					freddi, disumani. La poesia sorge proprio per portare 
					l’umano, per accentrare e accentrarsi nel fuoco del vero, 
					del reale, dell’uomo. Combatte, sventra, lenisce, allatta. 
					Non mi sorprende che oggigiorno in tanti, specialmente i 
					ragazzi, stiano riscoprendo il piacere dei versi. Come 
					quando ci si allontana troppo, si cresce -male- e poi si 
					sente il bisogno di ritornare a casa, nella propria culla, 
					dalla propria bella Mamma; sta avvenendo proprio questo».
 
 E lei da cosa trae ispirazione per i suoi versi, pure in 
					quest’epoca così ancorata al materialismo e all’immagine?
 «Combatto quotidianamente con la ricerca del Vero. Cerco un 
					fuoco che marchi la mia pelle, una luce bianca che possa 
					rivelarmi il perché della mia vita e delle cose del mondo. E 
					questa luce, questo fuoco si materializza nei momenti più 
					imprecisi: durante un viaggio in tram, nel modo in cui una 
					goccia di pioggia mi cade sulla fronte, negli occhi di un 
					amore che mi parla senza parlare. Per me molto è dato 
					dall’osservazione e dall’esperienza sensoriale: faccio del 
					mio corpo un “deposito” di informazioni, poi però tutto 
					prende il passo della mia anima e della sua Musa. Il corpo 
					raccoglie gli strumenti, l’Anima dirige l’orchestra ».
 
 Riesce ancora a trovare tempo per la scrittura pur con 
					gli impegni che le ha comportato il trasferirsi dalla 
					provincia irpina a Milano per studiare alla Bocconi?
 «La scrittura è la priorità, specialmente perché la poesia 
					mi assilla e irrompe violentemente. Su di lei costruisco le 
					mie giornate. È certamente molto difficile e alle volte 
					doloroso dover far combaciare gli studi economici- alieni- 
					al flusso artistico. Non nascondo che nell’ambiente 
					universitario spesso mi sento un pesce fuor d’acqua. Ma 
					vivere a Milano mi ha benedetto con tante possibilità, tanti 
					sbocchi, amicizie, esperienze e quindi stimoli. Non 
					rimpiango niente e sono sempre grata per ciò che ho e per la 
					persona che sto diventando».
 
 Cosa farà da grande?
 «Che domanda buffa…di una buffità che prevede 
					semplicità e difficoltà. 
					Non so cosa farò da grande, ho fede in me stessa e 
					nell’Universo; qualunque cosa accada, in qualsiasi posto io 
					finisca, il mio obbiettivo sarà sempre quello di migliorarmi 
					come essere umano e come artista».
 
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