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Archivio Telegiornaliste anno XVIII N. 12 (696) del 30 marzo 2022
 
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TGISTE Fabiola Rieti, calcio e libri di Giuseppe Bosso

Incontriamo Fabiola Rieti, giornalista sportiva, ma non solo, per parlare del suo lavoro e... di consigli per una buona lettura.

La tua giornata tipo.
«Non c’è una vera giornata tipo, perché dipende molto dagli impegni. Ci sono giornate in cui sono al campo, quando si allena la squadra, oppure in redazione. Nel week end sono sempre impegnata con le partite sia in casa che in trasferta. Di sicuro la mia mattinata inizia sempre con la lettura dei giornali».

Volto del canale tematico dell’As Roma, tu e il calcio insieme per caso o per scelta tua?
«Il calcio mi ha sempre appassionato. Nonostante il mio percorso giornalistico sia iniziato più nella direzione politica, ho sempre rincorso l’idea di dedicarmi al giornalismo sportivo.
Vengo da una famiglia molto romanista e l’attenzione ai colori giallorossi è sempre stata forte. Quindi direi che è stata una scelta, ma anche un po’ destino».

Tra i personaggi legati alla squadra giallorossa con cui hai avuto modo di interagire chi ti è rimasto maggiormente impresso?
«Ce ne sono tanti e ognuno, a modo suo, ha sempre qualcosa di bello da raccontarti. Dire Francesco Totti è probabilmente scontato, perché chi è cresciuto seguendo le sue gesta sul campo non può non essere affascinato dal suo talento. Però ho una stima infinita per Alberto De Rossi, avendo avuto modo di seguire spesso le sue squadre, credo che nel calcio dell’apparenza e dell’ambizione, lui sia veramente un unicum e in fondo i risultati sono anche tangibili».

Scalpore e polemica ha suscitato mesi fa lo spiacevole episodio in cui è rimasta coinvolta Greta Beccaglia: tu come avresti reagito al suo posto in quella situazione e cosa hai pensato in quel momento?
«È un tema di cui abbiamo parlato anche con i miei colleghi. Non saprei, forse non avrei avuto una reazione composta, però poi bisogna trovarsi nelle situazioni. Sicuramente è stato un episodio sgradevole, perché troppo spesso la figura femminile nel calcio è legata allo stereotipo che relega la donna a complemento d’arredo. Si potrebbero scrivere fiumi di parole su tutti gli argomenti correlati a questa vicenda. Concludo dicendo che alla base c’è sempre un pregiudizio culturale e nonostante le tante conquiste ancora c’è molto da lavorare».

Molto attiva sui social soprattutto molto popolari le tue videorecensioni di libri: com’è nata questa idea e quale riscontro hai avuto dai tuoi follower?
«Sono una grande divoratrici di libri. Ho iniziato a condividere le mie letture prima nelle storie e poi la condivisione si è evoluta. Non sono assolutamente una critica letteraria, leggo e suggerisco quello che trovo interessante, in base anche al momento che si vive. I miei follower apprezzano molto e infatti in un periodo in cui ho postato poco mi hanno chiesto con insistenza di tornare a condividere le mie letture. Anche loro mi inviano le foto dei libri che acquistano, qualcuno mi chiede consigli su libri da regalare. Altri mi hanno scritto che si sono avvicinati alla lettura grazie a me e questo è sicuramente il risultato più bello».

C’è ancora spazio per la lettura in quest’epoca digitale?
«Assolutamente sì. Un libro è una sospensione dal ritmo frenetico a cui i social ci stanno abituando. Credo sia importante leggere e avvicinare le persone alla lettura senza preconcetti. Spesso chi parla di cultura, lancia un messaggio d’élite, troppo sofisticato e le persone comuni pensano di non sentirsi all’altezza. La lettura è di tutti, ognuno legge secondo i propri tempi e in base ai propri interessi. Io non giudico chi legge un tipo di letteratura che a me non appassiona, anzi penso sia positivo che abbia un libro tra le mani».

Secondo te quale libro, tra quelli usciti negli ultimi due anni, meglio esprime lo stato d’animo dell’essere umano che si è trovato improvvisamente alle prese con la pandemia e oggi, al di là di tutti gli ottimistici “andrà tutto bene”, nuovamente si trova in guerra con tutto quello che sta portando e porterà?
«La produzione letteraria è stata molto ricca post lockdown. Però devo dire che non ho amato particolarmente i libri che ripercorrono quel periodo. C’è stata un’eccessiva voglia di comunicare pensieri legati a un contesto che la maggior parte di noi voleva solo archiviare. L’unico che ho letto con piacere è stato Come il mare in un bicchiere di Chiara Gamberale. Mi è piaciuto perché il momento storico era un contorno e la vera protagonista era l’evoluzione emotiva dell’autrice».

Consigli di lettura relativi alle ultime uscite che vuoi indicare ai nostri lettori?
«Domanda difficile. Provo a risponderti cercando di soddisfare tutte le tipologie di lettori. Tra i recenti consiglierei La casa di Roma di Pierluigi Battista per lettori over 40. Roma Calibro Zero di Mauro Marcialis, adatto anche ai più giovani. Tra i romanzi Violeta di Isabel Allende e come lettura più introspettiva Il grembo paterno di Chiara Gamberale. Un libro trasversale invece è Una persona alla volta di Gino Strada. Anzi direi che quest’ultimo dovrebbe essere sul comodino di ognuno di noi, perché la pace si costruisce attraverso la consapevolezza».
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TUTTO TV Noi, la serie delle polemiche di Silvestra Sorbera

Noi, la serie con Lino Guanciale, Aurora Ruffino e Dario Aita, realizzata prendendo spunto dalla serie americana This is Us, non ha riscontrato il successo sperato.

Probabilmente perché il pubblico italiano non è abituato a certe tematiche spigolose: per quanto la serie fosse un remake, la serie italiana affronta argomenti non da poco.

L'adozione di un ragazzo di colore che poi si rivela essere plusdotato e, per non essere emarginato si omologa al resto della classe, l'obesità infantile, tema caro ai genitori ma cui si parla poco; l'obesità non solo femminile ma anche maschile e di come questo problema possa far soffrire da bambini ma anche da adulti.

Una serie tv probabilmente non capita, una serie con ottime potenzialità ma probabilmente non adatta ad un pubblico abituato a vedere sempre la stessa retorica.
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DONNE Madeleine Albright, luci e ombre di Giuseppe Bosso

Penso che questa sia stata una scelta molto difficile, ma riteniamo che il prezzo pagato fosse necessario”.

Siamo a maggio del 1996. Così, freddamente e cinicamente, intervistata al programma “60 minutes” si pronuncia Madeleine Albright in merito ai milioni di bambini irakeni morti come conseguenza delle sanzioni imposte allo Stato di Saddam Hussein dagli Stati Uniti, di lì a poco prima donna a ricoprire la carica di Segretario di Stato Usa, scomparsa all’età di 84 anni.

Raccontare la storia di una persona da poco scomparsa non è mai una cosa semplice, tanto più quando si sono ricoperte cariche di questa importanza, cruciali per la storia del mondo, a maggior ragione in questo momento terribile in cui il mondo è nuovamente ripiombato nella follia della guerra che porta morte e sofferenza, per le scelte non sempre ponderate di chi queste cariche ricopre.

Così come meravigliano quelle parole se si pensa che a pronunciarle era stata una donna che aveva conosciuto sulla sua viva pelle di bambina, di origini ebraiche, nata nella Praga degli anni 30 l’orrore della guerra che aveva costretto la sua famiglia a spostarsi prima a Londra e poi, dopo un breve rientro in Cecoslovacchia, a fuggire negli Stati Uniti con l’avvento del regime comunista.

Ma questa è la politica; questo è essere luci e ombre, quando si arriva un gradino sotto l’inquilino della Casa bianca. E così è stato anche per Madeleine Albright.
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