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Archivio Telegiornaliste anno XIX N. 12 (728) del 29 marzo 2023
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TGISTE
Giulia Bianconi, aperta a nuove occasioni
di Giuseppe Bosso

Incontriamo Giulia Bianconi, volto di Tgr Umbria.

L’Umbria fa parte di quell’Italia lontana dalle grandi metropoli ma non per questo meno importante, territorio ricco di storia e tradizioni: come cerca di raccontarla?
«Non sono molto portata per la cronaca, forse, anche se nei tg regionali bisogna prestarsi a tutto senza problemi; cerco di raccontarne gli aspetti di cui si parla meno, e a me stanno a cuore aspetti come la situazione nelle carceri, e in particolare sul fatto che nella mia regione manca una struttura per accogliere i detenuti con problemi psichiatrici, e tematiche sociale come quelle dei ragazzi con problemi alimentari. Non voglio consolidare certi luoghi comuni, come spesso si sente in varie trasmissioni, ma andare a fondo nella cura e nelle scelte delle parole, non citare solo numeri, come le statistiche sulle persone che soffrono di problemi alimentari in Umbria che non sono un numero ma persone che bisogna aiutare».

Qual è stato in questi anni l’evento o la notizia da lei raccontata che l’ha maggiormente coinvolta?
«Come le dicevo amo maggiormente i lavori di approfondimento, come quelli che ho realizzato su Marta Russo o sul mostro di Foligno, per il lavoro che c’è dietro e per quello che ti rimane dentro anche ad anni di distanza; la cronaca non è solo qualcosa che accade nel passato ma è anche un modo utile per il presente per riflettere su alcuni aspetti».

Parliamo anche del podcast Il gioco del mostro, disponibile su Rai Play, realizzato anche da lei con Massimo Solani e Dario Tomassini: come nasce e come ha sviluppato questo progetto?
«Nasce in una stanza di compagni di stanza al concorso Rai: Dario è di Foligno, e parlando di quella tragedia è nata l’idea di realizzare questo podcast, per raccontare una triste vicenda che ha terrorizzato per oltre un anno un territorio che non era abituato a questi efferati delitti; le generazioni più giovani, alle quali è forse più complicato rivolgersi per la Tgr per la poca familiarità che hanno con il mezzo televisivo, poteva essere interessante usare mezzi di comunicazione che usano abitualmente per raccontare una vicenda di cui forse nemmeno avevano mai sentito parlare».

La vicenda di Foligno risale a oltre trent’anni fa, in un’epoca in cui la cronaca nera non aveva raggiunto, riguardo i contenuti e i programmi di approfondimento, l’attenzione dei nostri giorni, in cui proliferano trasmissioni anche di prima serata e larghi spazi di programmi di approfondimento dedicati: non rischia di diventare, come si può dire, un ‘diversivo’ per non trattare argomenti di attualità che dovrebbero maggiormente interessare al cittadino?
«No, nell’ultima puntata ci siamo soffermati su aspetti di attualità, parlando delle Rems come quella in cui oggi si trova, in Sardegna, Luigi Chiatti, per interrogarci sulla storia degli ospedali psichiatrici, di allora e di oggi, e per esaminare approfonditamente cosa sono le Rems (che non sono presenti in tutte le regioni) e per comprendere cosa fanno per queste persone, che una volta scontata la loro pena devono comunque, se ritenute ancora socialmente pericolose, essere sotto osservazione. È stato un lavoro finalizzato soprattutto a far riflettere lo spettatore».

Ha mai pensato di tentare un’esperienza all’estero o comunque al di fuori della sua regione, come sta per fare sia pure provvisoriamente a Napoli?
«Sono aperta assolutamente a nuove occasioni; il concorso ci vincola per cinque anni a stare nella regione dove abbiamo sostenuto la prova, per ora non ci penso assiduamente comunque».

Conciliare lavoro e vita privata è una delle maggiori difficoltà per una donna lavoratrice di oggi, è così anche per lei?
«Al momento non trovo differenze tra me e mio marito, non avendo figli ognuno ha i suoi spazi di tempo libero che poi sfrutta come preferisce; però immagino che in un futuro, certo, almeno in un primo momento, con l’arrivo di figli gli impegni cambieranno e sarà difficile conciliare con i turni, che per chi lavora nelle sedi regionali sono diversi e più impegnativi rispetto a chi lavora al tg nazionale. Ci penserò comunque quando sarà il momento (ride, ndr)».
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TUTTO TV
Ludovica Porreca, la storia di Tamina
di Giuseppe Bosso

Partita lo scorso 1 marzo su Rai Gulp sta riscontrando molto successo Crush – La storia di Tamina; prodotta da Stand by me con Rai Kids, racconta la vicenda di una ragazza afghana rifugiatasi in Italia con la sua famiglia, alle prese sia con le difficoltà di integrarsi in un nuovo mondo che con una passione per il calcio osteggiata da un ambiente per molti aspetti non diverso da quello che si è lasciata alle spalle. Ne parliamo con la protagonista, Ludovica Porreca.

Benvenuta Ludovica, piacere di conoscerti. Anzitutto come sei arrivata a questa serie?
«Tramite la mia agenzia ho avuto la possibilità di superare il provino per il personaggio di Tamina, cercando di immedesimarmi in questa ragazza afghana che deve affrontare le ostilità di un ambiente scolastico che non vede di buon occhio il suo desiderio di giocare a calcio come aveva fatto nel suo Paese prima della presa del potere da parte dei talebani».

Una storia di oggi, potremmo dire, con una ragazza straniera che oltre a cercare di integrarsi in Italia sfida ulteriormente le convenzioni di chi ancora non ha accettato pienamente una realtà ormai consolidata come il calcio femminile: possiamo dire che la vostra è una ‘fiction sociale’?
«Sì, assolutamente, a maggior ragione perché la condizione femminile in Afghanistan, purtroppo, ancora adesso è molto dura, e abbiamo cercato di raccontarlo attraverso una storia reale di una protagonista in cui ogni donna afghana potrebbe identificarsi».

Quali sono stati i primi riscontri che hai avuto dai fan, anche attraverso i social?
«La cosa che ha meravigliato molti di loro è stata scoprire che io in realtà non sono afghana, e questo mi ha fatto piacere perché vuol dire che sono riuscita ad essere credibile per come mi sono calata nei panni di Tamina».

TTamina si pone in qualche modo in continuità con un’altra fiction recentemente approdata su Rai Gulp, La storia di Stella, interpretata da Anita Serafini che abbiamo avuto modo di intervistare nelle scorse settimane, che pur con una diversa ambientazione ha come finalità quella di raccontare gli adolescenti di oggi con problematiche non da poco, dal cyberbullismo all’integrazione. È con questo spirito che ti sei calata nei panni di Tamina?
«Sì, entrambe le nostre serie hanno il merito di trattare temi seri venendo trasmessi su un canale destinato ai bambini e ai giovanissimi, con finalità educative per far comprendere loro problemi come il bullismo e la condizione femminile in culture diverse da quella occidentale, in modo che sappiano affrontarli».

Chi è Ludovica Porreca al di là della fiction che stiamo guardando?
«Una ragazza che in questo momento vive e studia a Londra, coltiva come Tamina una passione per lo sport, giocando a basket, e sogna di diventare attrice, essendo anzitutto una gran secchiona (ride, ndr)».

Oltre a Crush a cos’altro stai lavorando?
«Al momento nulla in particolare, spero che Crush abbia ancora riscontri positivi e magari in futuro ci sia un seguito, o comunque mi crei ulteriori possibilità».
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DONNE
Sara Vallefuoco, potente scrittura al femminile
di Antonia del Sambro

In questa primavera appena iniziata gli amanti dei romanzi di genere possono trovare in libreria il nuovo lavoro letterario di Sara Vallefuoco, insegnante di Lettere in una scuola secondaria del profondo nord, ma romana di nascita e scrittrice per autentica passione.

Il romanzo si chiama Chimere e possiede una bellezza malinconica, una tragicità poetica e una scrittura potente e autentica come non se ne vedevano da tempo nella nostra narrativa di genere.

Che Sara avesse il “dono” della scrittura i lettori lo avevano compreso fin dal suo esordio letterario con Neroinchiostro dove la novità assoluta rappresentata dal vicebrigadiere Ghibaudo, investigatore di fine ottocento con una vita privata sui generis e una indole volitiva e perseverante, aveva affascinato davvero tutti.

Ora la Vallefuoco ci riprova e confeziona un giallo originalissimo e corale dove accanto alla figura del vicebrigadiere chi legge trova un caleidoscopio di personaggi al femminile tratteggiati con una sapienza e una cura da grande scrittrice.

La storia parte dalla morte di una giovane sposa trovata senza vita nella sua vasca da bagno la notte di san Silvestro del 1899, l’ultima del vecchio secolo e anche l’ultima della sfortunata donna. Intorno a questo evento l’autrice imbastisce una trama dove accanto alle indagini degli inquirenti, appassionati pionieri delle nuove tecniche investigative, si snodano aspetti sociali e di costume che affrontano la particolare condizione della donna in un’epoca a cavallo tra il rigore ottocentesco di un piccolo mondo antico e il desiderio di modernità ed emancipazione del Novecento.

Chimere affascina fin dallo stesso titolo e conferma il talento di una delle nostre autrici di genere più autentiche.
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