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Telegiornaliste N. 2 del 25 aprile 2005 


Tanta voglia di informazione. Le vocazioni al giornalismo di Filippo Bisleri

La difficoltà di raccontare la verità. Le insidie più o meno occulte nei luoghi di guerra tra popoli o di faide interne ad un popolo. Ma anche le difficoltà di raccontare le dinamiche perverse che regolano il comportamento delle tribù dei tifosi-ultrà delle diverse squadre di calcio.
Vetrina naturalmente per Ilaria Alpi e per la sua dolorosa vicenda che, nel 1994, l’ha accomunata nella morte al suo operatore Miran Hrovatin. Sulla vicenda Alpi-Hrovatin tanto è stato detto e tanto è stato scritto. Di certo possiamo dire che Ilaria Alpi, una dei tanti giornalisti che hanno pagato con la vita il desiderio di raccontare la verità sui fatti del mondo (come più recentemente è accaduto per l’altra giornalista italiana Maria Grazia Cutuli - di cui ci occuperemo prossimamente), è senza dubbio diventata l’icona del giornalismo inchiesta, del giornalismo che vuole fare luce sulla verità. Ilaria Alpi ha dato la vita, è una martire dell’informazione.
Un’informazione che, poi, qualche problema lo pone ai colleghi chiamati a “spiegare” le escandescenze degli ultrà del calcio che hanno rovinato un appuntamento da mondovisione come l’euroderby Inter-Milan. Colleghi che si trovano, loro malgrado, alle prese con altri colleghi che per giorni, nell’attesa delle partite, fomentano i dubbi, i sospetti. E allora il giornalista che vuole fare correttamente il suo mestiere è assalito dai dubbi, dal timore di essere proprio lui che, raccontando dei petardi o del gol annullato, crea agitazione nelle tifoserie e arma le mani dei teppisti. Fare informazione è, però, dire tutto, senza reticenze, senza se e senza ma.
Fa invece piacere notare come, dati alla mano, sia entrato in crisi il mondo dei realities. Dopo la sbornia di “Grande Fratello” & company, il morbo di curiosità che accaniva gli italiani sembra essere stato vinto con l’adeguato vaccino. Meno male. Anche perché, ai tempi d’oro dei grandi ascolti dei realities, al telespettatore poco importava di sapere se quello che veniva mostrato era studiato a tavolino o accadeva per casualità. Verrebbe da dire che aveva ragione il grande cineasta Akira Kurosawa proponendoci un film nel quale lo stesso evento, visto da personaggi diversi, portava a ricostruzioni diverse. 
Infine, venendo a “Ballarò”, bravo Floris ad ospitare il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, reduce da una “scoppola” alle consultazioni regionali. Certo, Berlusconi ci ha “messo la faccia” del tutto a sorpresa assicurando ai telespettatori un momento di spettacolo, ma va anche fatta una riflessione se quello sia stato un momento di informazione o una tribuna politica extra in cui i nostri politici, di qualunque schieramento, dimostrano di sapersi muovere meglio. Certamente meglio della capacità di capire i reali problemi (e sono molti) dei cittadini e dell’informazione. 
Perché le vocazioni al giornalismo non mancano, ma poter fare i giornalisti in modo autentico e pieno è sempre più difficile.


MONITOR Giornaliste di frontiera: Ilaria Alpi di Silvia Grassetti

Ilaria Alpi è nata il 24 maggio 1961 a Roma, ha conseguito il diploma di maturità classica presso il liceo “Tito Lucrezio Caro”, e si è laureata il 3 dicembre 1986, col massimo dei voti, in Lingue e Letterature straniere moderne presso l’università capitolina “La Sapienza”. Conosceva e parlava l’arabo, il francese e l’inglese. 
Ha collaborato con “Paese Sera” (1987), “L’Unità” (1988 – 1989), “Il manifesto”, “Rinascita” e “Noi donne”. ed è stata corrispondente da Il Cairo per “Italia Radio”. 
E’ stata iscritta all’Albo dei Giornalisti, elenco Pubblicisti, nel 1989, lo stesso anno in cui, da praticante giornalista, è arrivata prima al concorso di ammissione in RAI. Nel marzo del 1990 è passata a RAI Sat; nel dicembre dello stesso anno è stata trasferita alla redazione Esteri del Tg3. Nell’ottobre del 1992 ha superato l’esame da giornalista professionista. E’ stata inviata in Somalia sette volte, dal dicembre 1992 al marzo 1994. Aveva già lavorato come inviata del Tg3 in Marocco, a Zagabria, Belgrado e Parigi. 
Il 20 marzo 1994 è stata uccisa in un agguato a Mogadiscio, insieme al suo operatore televisivo Miran Hrovatin.
Barbara Carazzuolo
è una giornalista di “Famiglia Cristiana” che da anni, insieme ad Alberto Chiara e Luciano Scalettari (con i quali è autrice del libro “Ilaria Alpi, un omicidio al crocevia dei traffici”, ed. Baldini & Castoldi) si interessa del “caso Alpi”; ha fatto parte della Commissione Parlamentare d’inchiesta relativa per la sua profonda conoscenza e analisi dello scenario e dei personaggi apparsi sul palcoscenico di questa triste vicenda. Vogliamo riportare qui un suo intervento in merito: 
«Non ho mai conosciuto Ilaria Alpi (…). Ma dopo questi anni passati a cercare di capire, da collega, il perché della sua morte e di quella di Miran, una cosa posso dire di sapere con certezza. Ilaria era una gran brava giornalista, dotata di curiosità e rispetto, passione e compassione, amore per la verità e ribrezzo per l’arroganza, la prepotenza, l’ingiustizia. E queste sono le qualità di un buon giornalista, quelle che fanno la differenza tra chi fa questo mestiere con amore ed onestà, credendo che possa servire a rendere il mondo un posto migliore, e chi lo fa con calcolo pensando che possa servire a rendere migliore la sua personale posizione in questo mondo. (…) Razionalmente mi ripugna l’idea che vincano i cattivi, non mi piace pensare che alcuni colpi di mitra o di pistola possano mettere a tacere non solo le vittime ma anche i loro compagni di lavoro, e odio l’idea che il potere, ma sarebbe meglio dire “i poteri”, siano più forti della giustizia e della verità. Raccogliere il testimone, certe volte, è un dovere


MONITOR  Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni di Tiziana Ambrosi

Il 20 Marzo è ricorso l’undicesimo anniversario dell’uccisione a Mogadiscio dell’inviata del tg3 Ilaria Alpi e del telecineoperatore che la accompagnava nel suo lavoro, Miran Hrovatin.
Rai3, per l’occasione, ha trasmesso il film di Ferdinando Vicentini Orgnani “Ilaria Alpi, il più crudele dei giorni”, in cui Giovanna Mezzogiorno interpreta il ruolo di Ilaria.
Dal punto di vista cinematografico, la pellicola pecca delle solite affezioni tipiche del cinema italiano: alcuni passaggi risultano poco chiari, in qualche punto la recitazione è al di sopra delle righe, i mezzi non sono dei più sofisticati, ma d’altra parte non siamo a Hollywood.
Complessivamente, a prescindere dall’argomento trattato, lo si definirebbe un film discreto.
La sua marcia in più tuttavia sta proprio nella vicenda che tratta: la storia di Ilaria e Miran ha infatti scosso l’Italia per la brutalità con cui sono stati uccisi.
Dubbi, stranezze, scomparse di materiale si sono avuti da subito (come documenta anche il film), facendo sì che la vicenda apparisse poco chiara.
Dopo undici anni ancora non è stata accertata la verità, anche se ipotesi (per altro piuttosto concrete) su modalità e moventi dell’omicidio sono trapelate.
Il film ripercorre innanzitutto l’incontro tra Miran e Ilaria, entrambi professionisti conoscitori di luoghi e di modi di comportamento in situazioni delicate (certo è che fare l’inviato di guerra non è da tutti) durante la guerra nella ex Jugoslavia. La storia si dipana poi nella realtà della redazione romana della Rai, tuttavia con il pallino di Ilaria per ciò che stava accadendo in Somalia.
Il regista adotta sicuramente una linea coraggiosa, facendo nomi e dichiarando esplicitamente quel che per lui è il movente (sarà la magistratura, forse, ad avallare o smentire): la scoperta di un traffico di rifuti tossici proveniente dai Paesi occidentali e seppelliti sotto le terre somale.
E indubbiamente fa riflettere che sulle coste della Somalia, dopo l’arrivo dell’onda anomala proveniente dall’Oceano Indiano (causata dal terremoto del 26 dicembre scorso in Asia), la sabbia portata via dal mare abbia scoperto dei depositi di bidoni con scorie tossiche, notizia passata in secondo piano, vista l’emergenza e l’angoscia di quei giorni.
Un film da vedere, per ricordare due professionisti che hanno fatto fino in fondo il loro lavoro, con passione, alla ricerca di quella verità che tutti noi dobbiamo pretendere.
In conclusione una curiosità: nel film compare anche un ricordo per Maria Grazia Cutuli. E' la giornalista con accento siciliano che intervista i genitori di Ilaria nella loro casa. Maria Grazia Cutuli, legata ad Ilaria dalla stessa passione per la verità e dallo stesso destino in una terra, l’Afghanistan, sconvolta dalla guerra.


CAMPIONATO Luisella da 10 di Rocco Ventre

Nel girone 2 Luisella Costamagna vince anche lo scontro diretto con la Todini ed è l'unica concorrente del campionato ad essersi aggiudicata 10 vittorie su 10 gare. Vanali che aggancia in classifica proprio la Todini al terzo posto. Vittoria facile per la Capulli che conserva il secondo posto , mentre Di Gati e Guerra rimangono nella scia della zona playoff. 
Nel girone 1 Tiziana Panella, ancora imbattuta, approfitta della vittoria della Moreno sulla Mattei (prima sconfitta stagionale)  e si porta solitaria in testa alla classifica. Vince anche Ilaria D'Amico   che insieme alle 3 prima citate forma un formidabile quartetto in fuga verso i play-off. Sconfitta pesante per la campionessa in carica de Nardis sempre più invischiata nella lotta per non retrocedere.


CRONACA IN ROSA Il caso Ilaria Alpi: una ricostruzione del contesto, il punto sulle indagini di Silvia Grassetti

Dopo 11 anni di depistaggi e insabbiamenti, c’è finalmente la possibilità che sia fatta luce sull’omicidio di Ilaria Alpi: tornano infatti in queste ore da Nairobi i componenti della Commissione parlamentare d’inchiesta che negli ultimi giorni hanno ascoltato alcuni testimoni oculari del duplice omicidio della giornalista italiana e del suo operatore tv Miran Hrovatin.
 Un altro importante obiettivo della trasferta della Commissione è ottenere la consegna dell’auto su cui si trovavano la Alpi e Hrovatin al momento dell’uccisione, dalla cui perizia potrebbero scaturire riscontri definitivi sulla dinamica del duplice omicidio – non appena avremo ulteriori notizie vi aggiorneremo su queste pagine.
Carlo Taormina, Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Ilaria Alpi, ha annunciato il mese scorso che sono oggi noti i nomi del mandante e dei 6 componenti del commando che il 20 marzo 1994 a Mogadiscio uccise Ilaria e Miran.
Ma 11 anni di indagini, processi e inchieste non sono finora bastati a far luce sulla vicenda. In attesa dell’esito della trasferta africana della Commissione, cerchiamo di darvi una breve ricostruzione dei fatti e del contesto in cui sono avvenuti.
Nel 1994 in Somalia era ancora in corso l’operazione ONU Restore Hope, sponsorizzata dagli USA, che doveva pacificare le fazioni locali in guerra tra loro; anche l’Italia era presente con il contingente militare denominato Ibis.
Ilaria era a Mogadiscio dal 12 marzo di quell’anno (era la settima trasferta) per realizzare servizi telegiornalistici sul ritiro dalla città del contingente italiano.
Nei giorni immediatamente precedenti all’agguato in cui morì, la Alpi era stata a Bosaso, un piccolo centro portuale del nord del Paese, dove aveva intervistato il sultano locale, Abdullahi Mussa Bogar.
Purtroppo non sappiamo se l’intervista fosse incentrata sul presunto traffico di armi fra l’Italia e la Somalia: gli appunti della giornalista o non sono mai stati trovati, o sono in mano alla Commissione d’inchiesta, coperti da segreto.
Sappiamo però che a Bosaso Ilaria venne a conoscenza del sequestro della nave Farah Omar, donata dalla Cooperazione Italiana al Paese africano, ufficialmente adibita al trasporto di pesce; e intervistò alcuni membri dell’equipaggio che affermarono che spesso quel tipo di navi trasportava armi o effettuava traffici illeciti con l’Italia.Il 20 marzo 1994, alle 14.43, l’agenzia ANSA informava che “la giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e il suo operatore (…) sono stati uccisi oggi pomeriggio a Mogadiscio nord in circostanze non ancora chiarite. Lo ha reso noto Giancarlo Marocchino, un autotrasportatore italiano che vive a Mogadiscio da dieci anni”.
 Ilaria e Miran si trovavano a bordo di una Toyota Land Cruiser quando da una Land Rover verde, parcheggiata in strada, venne aperto il fuoco contro di loro. L’autista e la guardia del corpo non riportarono conseguenze, mentre la Alpi e il suo operatore morirono sul posto. Accorsero subito il citato Marocchino e giornalisti e operatori televisivi: la troupe della tv americana ABC e quella dell’emittente svizzera – italiana RTSI. L’operatore della ABC sarà rinvenuto cadavere dopo qualche mese in un hotel di Kabul; quello della RTSI, Vittorio Lenzi, è morto a causa di un incidente stradale, di cui non è mai stata chiarita la dinamica, avvenuto sul lungolago di Lugano.
Il sospetto, non ancora confermato, è che Ilaria Alpi fosse in possesso di informazioni scomode e prove filmate su un traffico illecito di armi, scorie radioattive e/o rifiuti tossici dai Paesi dell’ex Patto di Varsavia verso la Somalia, effettuato con le navi donate dalla Cooperazione italiana alla Shifco – società appartenente allo Stato somalo che gestiva una flotta di pescherecci. Ed è singolare come non siano mai stati trovati gli appunti della giornalista di Rai 3, né la macchina fotografica, né tutto il girato delle troupes televisive sul luogo del duplice omicidio.
A detta di Carlo Taormina, “le cose indicate come causali sono tutte vere: incredibili traffici di armi e rifiuti di ogni genere, la Cooperazione. Tutto ciò è un dato che consideriamo acquisito. Il problema è se ciascuna delle situazioni possa tradursi in elemento di prova”. E il Presidente della Commissione d’inchiesta aggiunge: “Si può ragionevolmente ritenere che il Sismi, la struttura più direttamente implicata nelle indagini sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, abbia mostrato gravissime lacune dal punto di vista dell’acquisizione dei dati per l’inchiesta”.
Per tentare di chiarire questo aspetto, facciamo un passo indietro nel tempo: è il 1993, Ilaria si trovava a Mogadiscio, e, tra i pochi italiani presenti in Somalia in quel periodo, c’erano Vincenzo Li Causi, maresciallo del Sismi, e Giancarlo Marocchino. Quest’ultimo conosceva sia l’una che l’altro.
Vincenzo Li Causi è stato ucciso il 12 novembre 1993 in circostanze misteriose. E il 13 giugno 1995 verrà trovato ucciso anche Marco Mandolini, paracadutista della Folgore, stretto collaboratore e amico di Li Causi. Lo troveranno cadavere sulla spiaggia di Livorno, ucciso da 40 coltellate e con la testa fracassata.
Un documento riservato del Sismi proverebbe la collaborazione tra Li Causi e Mandolini nel trasporto di materiale bellico dal porto di La Spezia al porto di Trapani, all’aeroporto militare trapanese, alla Somalia. Traffici “sospetti” che erano stati filmati clandestinamente dal giornalista Mauro Rostagno, ucciso anch’egli il 26 settembre 1988 in circostanze a loro volta mai chiarite. E ancora: Rostagno era il fondatore della comunità Saman (associazione no-profit che opera dal 1981 per il recupero di tossicodipendenti), la quale avrebbe realizzato alcuni progetti in Somalia, negli anni successivi alla morte di Rostagno, ma le cui imbarcazioni, secondo alcune segnalazioni, sarebbero state usate per trasportare armi.
E non è tutto. Nell’ottobre del 1993 Franco Oliva, un contabile inviato dal Ministero degli Affari Esteri per gestire i fondi e i beni dei progetti straordinari, fu vittima di un attentato che solo per una casualità (la presenza di una equipe medica rumena sul luogo) non si tramutò in omicidio; venne quasi subito disposto il trasporto aereo in Italia contro il parere dei medici, secondo i quali il trasferimento del ferito ne avrebbe causato la morte; e lo stesso trasporto fu effettuato in totale assenza di sicurezza, a bordo di un aereo non pressurizzato, non climatizzato, staccando addirittura i drenaggi dal corpo del ferito.
Si è praticamente trattato di un miracolo, se Oliva si è salvato. Ma non è servito a molto: le sue denunce per tentato omicidio sono state archiviate. Ed è lo stesso Oliva a fare il nome del presunto mandante dell’agguato che poteva costargli la vita: Giancarlo Marocchino. Oliva lo ha detto alla Commissione parlamentare di inchiesta
nell’esame testimoniale dello scorso 6 ottobre 2004.
L’ex contabile del Ministero ha anche fornito una testimonianza sulle ultime ore di vita di Vincenzo Li Causi: il rientro in Italia di quest’ultimo sarebbe stato posticipato di una settimana rispetto al previsto, fatto che al maresciallo del Sismi causò uno stato di agitazione molto forte, «era semplicemente terrorizzato», riferisce Franco Oliva. E in effetti, fu quella la settimana in cui Li Causi venne ucciso. Oliva ne fu informato, convalescente, mentre si trovava ricoverato per le gravi ferite riportate nell’attentato ai suoi danni.
Franco Oliva ha detto alla Commissione d’inchiesta molte altre cose, dipingendo lo scenario del classico “magna-magna” di tradizione italica da Prima Repubblica: diversi enti, società, associazioni, privati, intenti a ritagliare la propria fetta di torta dal traffico, lecito o illecito, di beni e mezzi con la Somalia. A partire dai servizi che Giancarlo Marocchino offriva dietro pagamento, utilizzando, sempre a detta di Oliva, risorse che appartengono allo Stato Italiano.
Di Marocchino sappiamo che viveva in Somalia da una decina d’anni, all’epoca dell’omicidio di Ilaria Alpi, che forniva servizi di trasporto in tutto il Paese, che sua moglie fa parte della famiglia di Ali Mahdi, era cioè una parente stretta del primo Presidente somalo del dopo Siad ad interim, membro del governo di transizione, indicato dalla Digos di Udine come uno dei sei mandanti dell’omicidio Alpi – Hrovatin.
Insieme, tra gli altri, a: Abdullahi Mussa Bogar, il sultano che Ilaria aveva intervistato poche ore prima di morire, e Omar Said Mugne, l’armatore della flotta Shifco.
La verità sull’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, quindi, non va forse cercata decontestualizzando l’accaduto dallo scenario in cui si inserisce, ma considerandolo parte integrante di una serie di omicidi e attentati efferati. Ilaria e Miran sono forse “soltanto” due delle persone che hanno dovuto morire perché non venisse a galla la verità sulla Cooperazione italiana in Somalia, nata magari con l’obiettivo dello sviluppo economico e sociale del Paese africano, e divenuta poi, con tutta probabilità, la macchina di alcuni per far soldi sulla pelle e degli italiani, e del popolo somalo.


FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri

Laura Cannavò che si sta imponendo come una delle sicure realtà del Tg5 oggi targato Carlo Rossella. Sempre estremamente professionale, la Cannavò dimostra grande abilità e dimestichezza nel gestire un’edizione decisamente particolare come quella del mattino del Tg5. Un’edizione che è la prima finestra sul mondo per molti telespettatori. Per la brillante e brava Laura Cannavò il posto più alto nel nostro podio con un bellissimo “8” decisamente meritato.
Buone performance professionali sta mettendo in luce anche
Silvia Vaccarezza al Tg2. Meriterebbe spazi decisamente maggiori questa brava tgista che, con grande sobrietà e molta professionalità, guida la finestra di metà mattinata dell’informazione della seconda rete Rai. Senza eccessi, la Vaccarezza aiuta il pubblico dei telespettatori ad introdursi nelle notizie evitando enfasi o un’informazione eccessivamente gridata. Brava. Un bel “7” e secondo gradino del nostro podio.
A chiudere il podio settimanale troviamo Karen Rubin, giornalista che sta sempre più mettendo in luce le sue indubbie qualità professionali all’interno della “redazione” che fa capo a Maurizio Costanzo per “Tutte le mattine”. Da segnalare le sue inchieste per “Buona domenica”. Sta pian piano scrollandosi di dosso l’etichetta di “moglie di Mimun”. Complimenti e un bel “6”.
Da bocciare le ultime performance di Aldo Biscardi. Il leader indiscusso delle trasmissioni sportive di denuncia dei soprusi non ha preso atto che oltre vent’anni di informazione (o controinformazione?) sportiva gridata ha portato l’Italia alla vergogna dell’Euroderby sospeso. Poco importa se le colpe siano nerazzurre o rossonere… Biscardi, padre della battaglia della moviola in campo, è concausa anche di questa triste pagina dello sport nazionale. Per lui un “4” su cui meditare.
Fabio Caressa, di Sky, è riuscito nell’incredibile operazione di sostenere, nonostante ripetuti replay, che a Verona, contro il Chievo, la Juventus il gol non l’aveva subito. Da un giornalista chiediamo obiettività e informazione pur sapendo che l’imparzialità assoluta è quasi un’utopia. Ma sostenere, unico in tutto il programma, la tesi del non gol solo perché l’11 juventino porta sulle maglie la sponsorizzazione di Sky ci ha delusi. Per lui un “5”...sperando nel riscatto.
Marco Civoli continua ad essere l’icona del telegiornalista ancora alla ricerca di una sua collocazione fissa. Bravo è certamente bravo, ma continua a non trovare nessuno che creda in lui (ha guidato la Domenica sportiva solo a seguito dell’incidente pubblicitario di Marco Mazzocchi) forse perché da subito ha mostrato le sue simpatie di tifo… Cosa che invece, colleghi più navigati come Carlo Nesti, hanno aspettato a palesare. Confidiamo nella pronta ripresa di Civoli al quale confermiamo la nostra stima. Un “5 e mezzo” di incoraggiamento…


FORMAT Realities di Paolo Borgognone

E’ diventato difficile orientarsi nella jungla del reality show. Una volta – solo cinque anni fa circa – c’era solo il “Grande Fratello”. Un format internazionale adattato ai gusti e alle tradizioni del pubblico televisivo italiano.
Le critiche cominciarono prima ancora che il programma andasse in onda, su Canale 5. Ma l’obiettivo del successo popolare fu raggiunto.
Ahimè, verrebbe da aggiungere. Perché quel consenso di pubblico innescò una sorta di reazione a catena, un meccanismo perverso di emulazione che ha portato, in pratica, a una proliferazione incontrollata di questo genere di trasmissione.
Agli sconosciuti in cerca di uno spicchio di notorietà si sono aggiunti personaggi che noti lo sono stati, e che si rimettono in gioco nel tentativo di riappropriarsi della popolarità perduta. Case, isole e fattorie si alternano e si rincorrono sulle reti Rai e Mediaset quasi senza interruzione. Con il bel risultato, del resto ampiamente prevedibile, che l’iniziale successo si è andato progressivamente frammentando, fino a trasformarsi in un flop. Alla curiosità delle prime edizioni si è ormai sostituita la noia, e invano gli autori cercano di esorcizzarla inserendo presunti “colpi di scena” che tali non sono affatto.
La squalifica di Jo Squillo nella seconda edizione della Fattoria per “ripetute violazioni del regolamento” non ha sorpreso nessuno, visto che era stata accuratamente preparata da cinque giorni di litigi abilmente preconfezionati. E la notizia che il “Ritorno al presente” dell’incolpevole Carlo Conti ha dovuto chiudere con un mese di anticipo, per cronica carenza di ascolti, è stata salutata con indifferenza, o magari con un sospiro di sollievo.
Altri tempi quando molti italiani, pur senza confessarlo, sbirciavano le mosse di Taricone!


TELEGIORNALISTI Gaudenzi e la “fumata grigia” di Filippo Bisleri

Filippo Gaudenzi è, in questi giorni, la guida dei servizi del Tg1 per le vicende relative al conclave e dintorni. Dopo essere stato per anni il giornalista che più e meglio ha seguito Giovanni Paolo II è stato chiamato, praticamente, a guidare il passaggio dal pontificato di “Karol il grande” a quello del successore.
Un compito che non lo ha messo al riparo da alcune pecche piuttosto evidenti e decisamente censurabili per un esperto, come lui, di mondo vaticano. Sulle fumate del comignolo della Sistina, in questo certo non aiutato da Fabio Zavattaro, ha parlato di un giallo alla prima fumata e di un colore grigio alla seconda.
Certo, si potrà obiettare che Gaudenzi era, come tutti, vittima dell’ansia di conoscere il nome del nuovo Pontefice chiamato a prendere il posto del compianto Papa Giovanni Paolo II.
Gaudenzi, però, non è stato il solo ad incorrere in gaffe sul conclave. Gli ha fatto buona compagnia il collega del Tg1
Franco Di Mare che, bello bello, martedì 19 ha chiesto ad una teologa se “i cardinali scelgono con l’aiuto dello Spirito Santo o è lo Spirito Santo che interviene”. Una domanda del tipo: “è nato prima l’uovo o la gallina”.
Certo i tgisti Rai, però, dopo un iniziale predominanza delle colleghe, stanno riprendendosi la scena. Gaudenzi si è posto alla guida dello speciale del Tg1 che ha traghettato la rete ammiraglia Rai verso la giornata che ha aperto, lunedì 18, il primo conclave del terzo millennio. E ha saputo confezionare, il bravo Gaudenzi, uno speciale di tutto rispetto, ricco di notizie ma non morboso e costellato da curiosità che potrebbero lasciare il tempo che trovano. Uno speciale davvero ben organizzato, condotto con sobrietà da Gaudenzi. E questo avrà certo fatto piacere al direttore di Rai1, e da sempre suo grande amico, Fabrizio Del Noce.


TELEGIORNALISTI La grande serata di Floris di Tiziana Ambrosi

Il programma Ballarò, settimanale di approfondimento di Rai 3, trae non a caso il proprio nome dal famoso mercato di Palermo, a simbolo di luogo di incontro, confronto e discussione.
Il conduttore,
Giovanni Floris, è al timone del programma ormai da più stagioni consecutive, che gli sono valsi l'attuale sicurezza, la scioltezza, e anche quella positiva - se manovrata con astuzia - dose di sfrontatezza che il buon giornalista deve possedere.
Anche gli ascolti hanno premiato questa crescita professionale attestando mediamente lo share attorno al 12%, vale a dire poco più di 3 milioni di telespettatori.
Un buon risultato se si guardano i dati Auditel di altre trasmissioni di approfondimento (attuali) di prima serata: Otto e mezzo di Ferrara racimola mediamente tra i 700 e gli 800 mila spettatori (indubbiamente penalizzato dal mancato “volo” del cosiddetto terzo polo), Punto e a Capo, con il duo Masotti-
Vergara, tocca uno share del 6% (praticamente la metà dei telespettatori).
Un picco assolutamente impensato è stato raggiunto durante la puntata andata in onda martedì 5 Aprile 2005, il giorno seguente la chiusura dei seggi per le elezioni regionali. Gli ospiti politici in studio previsti da scaletta erano quattro, due della maggioranza di Governo, i Ministri Alemanno e La Loggia, e due dell’opposizione, On. Fassino e On. D’Alema. Poco prima dell’inizio della trasmissione, ai cancelli di Via Teulada, Floris intravede il Presidente del Consiglio Berlusconi. Uno scambio di battute: “Buonasera Presidente, va da Vespa?” e la secca risposta “No, vengo da Lei”.
Una doccia fredda, ma allo stesso tempo una grande occasione che Floris non può farsi scappare: da almeno nove anni il Presidente Berlusconi non si affaccia ai confronti diretti con l’ opposizione.
Pochi minuti per sciogliere lo stupore e per mettere insieme le idee. La partecipazione di Berlusconi è del tutto inaspettata, nessuno sapeva e solamente gli aficionados di Ballarò o i cultori dello zapping hanno potuto vedere il dibattito sin dalle prime schermaglie.
Non vogliamo qui analizzare i contenuti del dibattito politico, indubbiamente interessanti e che hanno toccato i più disparati temi della vita del Paese, bensì ci vogliamo concentrare sull’approccio alla conduzione di Floris, nei riguardi di una trasmissione già in partenza incandescente.
Una boccata d’aria fresca, senza troppo esagerare. Floris si è mosso sciolto e sicuro di sé, ponendo domande ma pretendendo risposte, mai con maleducazione (non è certo nel suo stile) ma con la sagacia intellettuale e la bonarietà di chi vuole capire, di chi non si accontenta della risposta di occorrenza, ma vuole andare in fondo alle cose.
E così dopo molti anni abbiamo visto un Presidente del Consiglio interrotto per lasciare la parola ad altri, domande se non scomode quanto meno franche e dirette, insomma quello che dovrebbe essere effettivamente un dibattito politico, domande precise verso qualsiasi interlocutore e risposte da parte di coloro ai quali affidiamo il potere.
Floris è ancora giovane, certamente si sta ancora facendo le ossa: di sicuro non è un azzardo prevedere che nella sua carriera si guadagnerà altre importanti soddisfazioni.


EDITORIALE Com'è difficile raccontare la realtà. Anche nel calcio. di Tiziano Gualtieri

Teppisti, moviola in campo, arbitraggio scandaloso. Ammettiamolo, sono tantissime le volte che, di lunedì, capita di leggere frasi di questo tipo sui vari giornali sportivi. Giudizi, spesso scritti e detti a caldo, e che un pizzico di tranquillità in più smusserebbe sicuramente.
Fare il giornalista sportivo e soprattutto parlare di calcio, non è sempre così facile e bello come si pensa. Soprattutto in quest’ultimo periodo dove, in Italia, si è spinti a caricare di responsabilità chiunque - all'interno di uno stadio - prenda una decisione o faccia un gesto.
Il diritto di cronaca imporrebbe di raccontare tutto, di non nascondere nulla, di spiegare quello che è avvenuto, eppure - sempre più spesso - chi cerca di fare al meglio il proprio lavoro, rischia di essere additato come chi amplifica, che esagera, che fa da cassa di risonanza.
Quante volte, soprattutto in caso di eventi violenti, si è colpevolizzato il giornalista che ne ha raccontato i passi in tv o ne ha scritto sui giornali? Come se, per assurdo, fossero proprio gli operatori della comunicazione i catalizzatori e, in un certo senso, la causa della violenza.
Fomentatori della malattia da moviola, che tutto trova, tutto scova e tutto modifica. «Basterebbe non parlarne e molti fatti non accadrebbero».
Poco importa chi abbia fatto cosa: molti giustificano dicendo: «Beh, certo però che anche voi giornalisti a continuare a dare importanza a queste cose...a forza di scriverci sopra, ovvio che - alla fine - qualcosa debba succedere».
E allora via a dar contro a Pinco o a Pallino, il cui unico "peccato" è stato avere il coraggio di parlare del fallaccio, degli scontri, dei feriti o - addirittura - abbia "osato" presentare la partita come una di quelle a rischio a causa delle tifoserie particolarmente calde.
È pur sempre vero che c'è anche chi si prende a cuore un argomento, ci marcia sopra e non si lascia sfuggire l'occasione per affermare: «Noi sono vent'anni che lo diciamo, ma nessuno ci dava ascolto», ma - spesso - si rischia di demonizzare un'intera categoria.
A quel punto viene da pensare che, per una domenica, sarebbe davvero il caso di non scrivere nemmeno una parola, far finta che nulla sia avvenuto e che tutto sia regolare. Tapparsi gli occhi (e le orecchie) e vivere una tranquilla giornata in famiglia, visto che - sempre e comunque - è il giornalista a creare un caso che altrimenti non ci sarebbe.
Così ti metti in panciolle, ciabatta a penzoloni sul piede, stravaccato sul divano. Ed è proprio in quel momento d’assoluto relax che, facendo zapping, ti capita di vedere Bisteccone a Domenica In.
Ed è sempre lì che decidi come, probabilmente, sia molto meglio essere criticati il lunedì mattina per quello che si è scritto, piuttosto che per quello che si è mostrato la domenica pomeriggio.

 
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