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Telegiornaliste N. 11  del 27 giugno 2005


Diciamo no alla “legge del taglione” di Filippo Bisleri

Nel segno della violenza e della vita (negata o privata). Questa settimana, “Telegiornaliste” torna sulla vicenda dei referendum dove molti cantano vittoria e pochi ammettono la sconfitta mentre certamente molte coppie (e le recenti indagini europee parlano dell’allarmante dato di un terzo di copie sterili entro il 2010) sperano almeno nella modifica della Legge 40.
Così come molte donne italiane sperano di essere protette dagli stupratori stranieri che, violando le donne italiane davanti ai loro uomini, proverebbero il loro disprezzo per il nostro Paese. Una tesi un po’ ardita, che presta il fianco alla ventilata “legge del taglione” del Ministro Roberto Calderoli. Uomo non nuovo all’idea delle taglie ed esponente di un partito (la Lega Nord) che ha “cavalcato” anche la tragica vicenda dell’omicidio del barista di Besano ad opera di un giovane albanese. Peccato che, sulla vicenda di Besano, la Lega, movimento che molti reputano contiguo ad una certa tifoseria ultrà (cui apparteneva anche Claudio Meggiorin, la vittima), ha sparato a “zero” sugli stranieri, poi ha abbassato il tiro limitandosi ai clandestini e infine ha invocato posizioni più tolleranti.
Ai politicanti da “legge del taglione” (politici non li vogliamo considerare perché ben altro è lo spessore richiesto per dirsi tali) chiediamo di fermarsi. Di smettere di gettare benzina sul fuoco.
Lo fa già Aldo Biscardi, ma lui parla di calcio e i danni possono essere limitati (anche se l’euroderby o il post Bologna-Parma non depongono a favore dei danni contenuti).
Impariamo piuttosto a leggere i segnali positivi come la possibile ammissione, nell’islamica Arabia Saudita, delle donne ai corsi di guida o interroghiamoci sul perché, a distanza di anni, sul “metodo Di Bella”, il cocktail anti tumore del fisiologo modenese Luigi Di Bella, ancora si fa informazione legata agli steccati di partito. Col rischio di creare ulteriore rifiuto nella gente di affrontare il tema, come accaduto coi referendum.
Intanto il campionato di serie A accoglie
Cristina Parodi e Maria Leitner, mentre saluta Francesca Senette e Diletta Petronio. L’ex campionessa De Nardis si sta giocando la salvezza contro Marica Morelli.
Chi approderà nel porto sicuro della serie A?


MONITOR Tra la vita e la vita di Fiorella Cherubini

Il 12 e 13 giugno scorso gli italiani sono stati chiamati ad esprimersi, a mezzo referendum, per abrogare o confermare alcune parti della Legge 40/2004, che disciplina la fecondazione assistita.
La scelta quasi strategica del governo – come spesso accade, quando argomenti spigolosi sono oggetto di materia referendaria – di far cadere il giorno della votazione in pieno mese di giugno puntando sulla speranza che gli italiani preferissero il mare alle urne, si è tradotta in un’affluenza ai seggi assolutamente insufficiente al raggiungimento del quorum: ha votato, come noto, uno su quattro degli aventi diritto.
E non ha giovato alla sensibilizzazione politica e civile dei cittadini la traslazione dei contenuti referendari da un aspetto etico-scientifico ad uno squisitamente politico, per cui l’astensionismo ha in pratica rappresentato la vittoria della destra e la sconfitta della sinistra.
In questo astensionismo diffuso, il Vaticano ha voluto ravvisare il proprio merito di aver “illuminato le menti”; il leader dei DS Fassino vi ha visto l’influenza ideologica esercitata appunto sui cittadini dalle sollecitazioni cattoliche; la maggioranza degli opinionisti lo ha, invece, interpretato con faciloneria come la preferenza degli elettori per il mare piuttosto che per le urne.
E se fosse invece un’attestazione di umiltà? Magari il passo indietro di un popolo che, di fronte a temi così importanti come la vita e le sperimentazioni sugli embrioni, ha responsabilmente scelto il silenzio.
Dal coro di opinioni si sono distinte due voci autorevoli: quelle di Oriana Fallaci e Umberto Veronesi.
La prima, ingrossando le fila di coloro che si sono astenuti o che hanno votato “No”, ha manifestato - in un articolo pubblicato il 3 giugno su “Il Corriere della Sera"-
un categorico disappunto verso una legge che garantirebbe figli da concorso di bellezza, selezionati, scelti sul menù dell’eugenetica.
Decisamente forte l’associazione della Fallaci tra gli attuali laboratori e i campi di sterminio di Birkenau ed Auschwitz; tra l’olocausto degli embrioni e quello degli ebrei.
Ai più attenti non sarà sfuggita l'inversione di marcia rispetto al passato: la contraddizione fra la scrittrice di "Lettera a un bambino mai nato" e l'opinionista odierna.
La mangiapreti, che non mancò di votare a favore della Legge 194/78 sull’interruzione di gravidanza, in pochi mesi, prima su Terry Schiavo e l’eutanasia, poi in occasione del referendum, non ha indugiato ad esprimersi a favore della “vita” (che nell’ Intervista a se stessa qualificò come: “Il miracolo dei miracoli, il regalo dei regali, anche se si tratta di un regalo molto complicato, molto faticoso, a volte doloroso").
La Fallaci ha dato ragione a Ratzinger mentre si costruiva una sorta di schermo difensivo dalle critiche autodefinendosi ironicamente "un nuovo acquisto del Vaticano", una "ravveduta in punto mortis".
La pioggia di critiche non si è fatta attendere, e ha trovato il suo apice in una lettera di Umberto Veronesi.
Questi, medico e scienziato da anni dedito alla ricerca sui tumori del seno, si è reso portavoce dei sostenitori del “Si”.
Veronesi ha evidenziato l’illogicità - all’interno di una stessa legislazione - della coesistenza di due leggi come la 40 sulla fecondazione assistita e la 194 sull’interruzione di gravidanza, rimarcando che chi ha votato a favore della seconda (come anche la Fallaci fece a suo tempo) dovrebbe coerentemente battersi per l’abrogazione di alcune parti della prima.
Per Veronesi la scienza dovrebbe essere lasciata libera di avanzare, nel rispetto, certo, dell’essere umano, ma scevra da eccessivi vincoli morali; di contro v’è il divieto assoluto della Fallaci a non sostituirsi alla Natura.
Ma è un assolutismo, alla fine, monco, quasi intriso di rammarico, laddove si esprime con le parole: “Questo referendum si concluderà come quello sulla caccia. Cioè con i cacciatori che continuano a sparare sotto le nostre finestre e ad ammazzare gli uccellini”.
Ed infatti.


CAMPIONATO Arrivederci campionessa di Rocco Ventre

Per ironia della sorte, proprio quando mancano pochi giorni al suo atteso ritorno in video, la campionessa uscente Eleonora de Nardis sprofonda nel baratro della serie B. Non era mai successo prima che una telegiornalista facesse un salto all'indietro così clamoroso. Sarà dunque Marica Morelli a disputare il campionato di serie A in compagnia di Cristina Guerra che ha condannato alla retrocessione la Spiezie.
Chi sarà l'erede di Eleonora de Nardis? Una cosa è sicura: la campionessa sarà una novità assoluta per il campionato.
Manuela Moreno e Francesca Todini infatti per la prima volta disputano la finale per il titolo: ai votanti l'ardua sentenza. Per le sconfitte Mattei e Panella rimane solo la finalina di consolazione.


CRONACA IN ROSA Nuove tendenze primavera estate di Silvia Grassetti

Milano, maggio 2005: tre stranieri, probabilmente rumeni, aggrediscono una coppietta appartatasi in auto, picchiando il ragazzo e violentando la ragazza di 26 anni che era con lui.
Milano, giugno 2005: cinque stranieri, tra cui due minorenni rumeni, stuprano una giovane di 22 anni dopo averne picchiato e immobilizzato il fidanzato.
Bologna, giugno 2005: due extracomunitari marocchini, sotto la minaccia dei coltelli, violentano una ragazzina di 15 anni, mentre il suo fidanzatino 17enne assiste impotente.
Milano, giugno 2005: cinque stranieri aggrediscono una coppia: picchiano il ragazzo e stuprano la 19enne che era con lui.
L’arrivo dei primi caldi è in qualche modo connesso con questi atti efferati di violenza? Siamo sicuri che presto i sociologi ci forniranno anche dati del genere. Per ora ci pensano gli antropologi e i politici a fornirci nuove chiavi di lettura.
Ida Magli, antropologa, intellettuale “libera” e perciò scomoda nel panorama culturale italiano, si pronuncia sulla questione dalle pagine altrettanto scomode del quotidiano “La Padania”, in una intervista apparsa lo scorso 21 giugno: “Nel momento dello stupro non è il desiderio erotico che fa scattare la violenza, ma usare il pene sulla donna di qualcun altro, costringendo il compagno, il fidanzato o il marito ad assistere, rappresenta la vittoria sull’altro maschio".
E se il giornalista leghista chiede cosa significano tanti aggressori stranieri, la Magli ci casca, e risponde: “non dobbiamo mai pensare che chi arriva in Italia da altri Paesi ci ama. Il fatto di aver bisogno di un Paese straniero, appunto, ci rende ai loro occhi ancora più nemici. La violenza sessuale rappresenta la forma di maggiore disprezzo verso i maschi mentre la donna è lo strumento attraverso cui comunicarla”.
Un interessante spunto di riflessione, che sarebbe stato più autorevole fuori dal contesto capzioso di questa intervista leghista.
Soprattutto dopo la presa di posizione del Ministro per le Riforme Calderoli: "Davanti a delitti così aberranti, come le violenze sessuali degli ultimi giorni, l'unica legge che può valere è quella del taglione: così come in altri Paesi, credo sia necessario introdurre come pena la castrazione chimica per i reati sessuali".
Che, non contento, ha aggiunto: "Personalmente penso che la castrazione chirurgica sia la più idonea da un punto di vista della prevenzione, ma anche quella chimica, anche se non irreversibile, consente di mettere queste bestie in condizioni di non offendere”.
Registriamo quindi due nuove tendenze della primavera - estate 2005: l’escalation di violenza sessuale ai danni delle donne, che le istituzioni devono imparare a prevenire; e la violenza verbale di quei politici che gettano benzina sul fuoco, invece di fare, con coscienza, il loro mestiere.


CRONACA IN ROSA Vecchi tabù e nuove speranze di Tiziana Ambrosi

E se le donne potessero guidare? Certo, in "occidente" una domanda di questo tipo provocherebbe ilarità e spingerebbe a consigliare al proprio interlocutore qualche ora di sonno in più.
In alcune parti del mondo arabo, in particolare in Arabia Saudita, questa domanda non fa sorridere per niente, anzi provoca non pochi turbamenti e irritazione, visto che, alle donne, guidare l'automobile è vietato.
Tuttavia è probabile che questo divieto vigerà ancora per poco, visto l'orientamento del Consiglio Consultivo, una sorta di Parlamento non eletto, composto (senza necessità di specificarlo) da soli uomini, ad aprire la portiera dal lato del guidatore anche alle donne.
Chi immagina questa notizia come avvio di una svolta epocale verso la libertà di cultura e di pensiero casca male.
Certo non è l'esame di coscienza di coloro che detengono il potere ad aprire a questa possibilità, né una rivoluzione culturale scaturita dalla popolazione: sono bensì le difficoltà economiche in cui versa uno dei Paesi più ricchi sulla faccia della Terra.
E' stato stimato che le famiglie saudite siano costrette a spendere 2,6 miliardi di euro all'anno per pagare autisti stranieri che facciano scorrazzare in giro le signore per le loro necessità. Un costo inaudito che, nonostante il greggio alle stelle, il Paese non si può permettere. Ed ecco, allora, che a qualche compromesso con i principi dello Stato e conseguentemente della religione si può scendere, richiamando tutti, uomini e donne, ad aiutare un sistema economico in ristrutturazione (non di solo petrolio si può e potrà vivere).
Ma non è detto che questa vicenda debba essere colorata solo dalle tinte fosche del cinismo, perché forse un primo passo verso l'emancipazione femminile può essere intravisto. Anche in Occidente, quando la donna ha cominciato ad uscire dalle cucine e via via si è inserita nel sistema economico, ha ottenuto quell’indipendenza culturale e per conseguenza economica, che ha dato l’impulso più vivo ai movimenti di emancipazione femminile. Il discorso è molto complesso, ma è intrigante considerare come, nel momento in cui la donna riconosce le proprie capacità, e la società le affida un ruolo nella strutturazione del tessuto sociale ed economico, inizi la liberazione femminile dalle costrizioni.
A questa notizia parallelamente si associa quella proveniente dal Kuwait, all'interno del cui governo è stata inserita per la prima volta una donna Massuma Al Mubarak, nuovo Ministro della Pianificazione e dello Sviluppo Amministrativo. Indubbiamente le pressioni dei Paesi occidentali verso uno degli Stati arabi più filoamericani hanno avuto le loro incidenze, ma per una nazione che ha introdotto il suffragio universale nel maggio di quest'anno, si può definire senza ombra di dubbio un bel passo in avanti.


FORMAT Metodo Di Bella, sconfitta informativa di Filippo Bisleri

In queste settimane molte trasmissioni, citiamo per tutti “Porta a porta” e “Omnibus", si sono cimentate sul delicato argomento del possibile ripristino della sperimentazione del "metodo Di Bella".
Molto è spiegato sul portale
www.metododibella.org, ma va detto che le due trasmissioni, come le altre che hanno affrontato l'argomento, non sono riuscite a chiarire i mille dubbi dei cittadini italiani.
Dopo la fallita sperimentazione di qualche anno fa, infatti, il metodo basato sulla somatostatina e su altri farmaci sembrava accantonato. Bruno Vespa e la redazione di “Omnibus” per quanto riguarda La7 si sono gettati sull’argomento: puntavano a capire qualcosa di più e, soprattutto, a far capire qualcosa di più agli spettatori.
Ma i molti italiani che hanno seguito le due trasmissioni non hanno ricavato alcun beneficio informativo.
Da due ben collaudate redazioni giornalistiche come quelle di “Porta a porta” e di “Omnibus” sinceramente ci aspettavamo qualcosa di meglio, ma i dubbi su cui si sono aperte le trasmissioni sono rimasti tutti sul tappeto. Anzi, se ne sono aggiunti altri.
Le due redazioni erano in grado di spiegare agli italiani se la sperimentazione del 1998 sia stata ben eseguita o meno, e se il metodo ha oggi, magari con qualche aggiunta e rivisitazione dovuta al progresso scientifico, i numeri per poter essere nuovamente testato.
E invece gli sforzi per fare capire ai telespettatori qualcosa di più sono stati vani, cosicché è andata sprecata anche una bella occasione per svolgere un servizio utile alla gente: è mancato il chiarimento sul punto di vista della comunità scientifica in materia di oncologia. Soprattutto si è lasciato (voluto?) che gli scienziati si dividessero come guelfi e ghibellini senza quasi ragionare sulle motivi delle diverse prese di posizione.
Trasmissioni come “Porta a porta” e “Omnibus" avrebbero potuto cogliere l'occasione per mandare in soffitta la partigianeria, le posizioni preconcette e le visioni politiche e parlare, da bravi giornalisti, delle nuove frontiere della medicina.
Non vogliamo fare la difesa d’ufficio del metodo Di Bella (chi scrive ha conosciuto persone che hanno provato il cocktail a base di somatostatina e acido retinoico e non ce l'hanno fatta); piuttosto segnalare che l'informazione si fa chiarendo i termini della vicenda, non spettacolarizzandola.


FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri

Gradino più alto del podio per la “regina” del Palio di Siena. Tranquilli, non stiamo parlando di una contrada, ma di Susanna Petruni, apprezzata voce del palio senese ormai da qualche anno. La Petruni non si mette in luce solo nelle due conduzioni annuali della storica kermesse della città del Panforte, ma brilla di luce propria anche all’interno del Tg1 che conduce (edizione delle 13.00) con piglio autoritario, grande professionalità e qualche concessione alla sua femminilità. Il tutto sempre senza eccessi perché per la tgista bionda “tutto pepe” la realtà più importante è la notizia, seguita dal come la si porge al pubblico. Brava Susanna. Un bellissimo “8.5”.
Novità della nostra classifica il secondo gradino che viene conquistato da un uomo. Si tratta, nello specifico, di Luca Rigoni. “Beccato” più volte da quelli di “Striscia” per le sue disavventure da inviato negli Usa, il bravo Luca Rigoni sta dimostrando, settimana dopo settimana, di essere invece un giornalista doc, incappato purtroppo nella frenesia dei collegamenti in diretta e negli scherzi del fuso orario. Per lui secondo gradino del podio con un bel “7.5”.
Non poteva mancare dal podio Annalisa Spiezie, la brava tgista metà campana e metà trentina che, a dispetto del cognome che per molti è di difficile pronuncia e per lei stessa un po’ scomodo (visto che a Roma significa “cozza”), sta offrendo delle conduzioni televisive sempre più pregevoli. Un po’ sprecata nel solo tg, per lei auspicheremmo anche la conduzione di programmi di approfondimento. Promossa. Con un “6.5”.
Non ce ne voglia il buon Maurizio Biscardi ma, come l’omonimo (per cognome) collega, sembra sempre di più portato a fare show, e a dire di aver sempre ragione, che a mettersi a disposizione del confronto con gli altri. Evidentemente la scuola del “Processo” l’ha ben appresa. Il problema è che si sta preoccupando di esportarla in altre televisioni oltre a “La7”. Un vero guaio. Bocciato. “4.5”.
A volte ci chiediamo il perché di alcune domande che fa e del modo in cui le fa. Starete certamente pensando al buon Marzullo e invece no. Stiamo parlando di Anna La Rosa, il cui stile nell’intervistare i politici è davvero sempre più simile alle domande del citato Marzullo. Il salotto politico di Anna La Rosa non ha mai colpi d’ala degni del nome di una trasmissione con la “T” maiuscola. Rimandata. “5”.
Evidentemente fatica ad adattarsi al nuovo direttore, forse soffre la maggiore visibilità della collega Cesara Buonamici, ma certo è che Lamberto Sposini non ha tratto giovamento neppure dalla vittoria dello scudetto della sua Juventus. Ultimamente prova a infarcire i lanci dei servizi o i rientri in studio di commenti. Ma Chicco “mitraglietta” Mentana è su un altro pianeta. E se invece vuole scimmiottare Fede, riesce male anche in questa impresa. Da rivalutare. “5.5”.


TELEGIORNALISTI Biscardi, il re dello scontro di Filippo Bisleri

Aldo Biscardi è sicuramente un giornalista particolare. Partito come “assistente” al “Processo del lunedì” (in questa veste è apparso anche nel cult-movie che ha come protagonista Lino Banfi: “L’allenatore nel pallone"), il giornalista abruzzese si è mano a mano avvicinato alla conduzione del programma che oggi porta il suo nome.
“Il processo di Biscardi” è partito dagli schermi Rai, è approdato a quelli di Mediaset e ora “vive” sugli schermi di La7. Il re degli “sgoob", il giornalista più imitato e caricaturizzato della televisione italiana, imperversa con i suoi supermovioloni (chissà che avrà pensato nel momento dell’assegnazione dello scudetto del basket alla Climamio con l’instant replay).
E imperversa nel non trasmettere una vera cultura sportiva ma nel giocare, in ragione degli ascolti, sugli scontri tra diverse tifoserie, e tra città. Non è raro vederlo fare qualche gesto per incitare i suoi ospiti ad alzare la voce, a creare la polemica.
Già, perché se polemica non ci fosse, se mancasse lo scontro verbale, il povero Aldo Biscardi, che nel salotto buono tiene appesa una laurea in Scienze Politiche con tanto di 110 e lode, avrebbe per le mani un programmino.
"Il processo" qualche anno fa fu anche oggetto di denuncia da parte dell’intera famiglia arbitrale italiana del calcio (Aia, associazione italiana arbitri); non seguì condanna poiché il giudice ritenne che il livello delle discussioni del programma fosse "da bar" e dunque poco credibile o punibile.
Il “nostro” Biscardi, dall’alto della sua tribuna da pontificato, sempre affiancato da vallette mute, urlò la sua soddisfazione per la positiva conclusione della vicenda giudiziaria. Peccato che non capì (o forse finse di non capire) che in realtà era stata una mezza condanna. Come una mezza condanna per l’Italia veramente sportiva è l’esistenza di un programma come il “Processo".
Biscardi è in grado di realizzare programmi veri ed educativi. Lo faccia, per il bene dello sport e per dimostrare a tutti, ai molti che non lo sanno, che anche lui è un bravo giornalista.
 


EDITORIALE ExtracomunItalia di Giuseppe Bosso

Una tragedia italiana, l'ennesimo fatto di sangue che, come una palla al balzo, è stata colta per inasprire il dibattito sulla spinosa questione della lotta all’immigrazione clandestina.
Quello di Claudio Meggiorin, 23enne di Besano, nel varesotto, assassinato la sera dell’11 giugno scorso per aver tentato di sedare una rissa davanti al locale dove lavorava, sarebbe solo l’ennesimo dramma di una vita spezzata dalla follia umana, pianta e dimenticata in fretta. Se non fosse per la nazionalità degli assassini: albanesi, alias extracomunitari, alias, per molti, pericolosi delinquenti.
La cerimonia funebre, che ha mobilitato anche le telecamere della Rai, si è trasformata in un vero e proprio raduno ultrà, con skinheads e teste rasate presenti: cori da stadio e striscioni mal si conciliavano con l’atmosfera dolorosa che avrebbe dovuto impregnare l’ultimo saluto ad una persona portata via troppo presto da questo mondo.
Fortunatamente nessuna delle paventate ritorsioni verso la comunità albanese si è verificata, se si eccettuano piccoli episodi di vandalismo, come la rottura della vetrina di una pizzeria adiacente al luogo della tragedia, gestita da immigrati giunti dall’altra sponda dell'Adriatico.
Per ora, almeno sotto questo aspetto, la calma prevale sulla rabbia; ma lo stesso non può dirsi riguardo l’opinione pubblica sugli immigrati, istituzioni comprese, come dimostra la presa di posizione del Ministro Pisanu, che vede nell’episodio l’ennesima testimonianza del pericolo che queste persone costituiscano per i cittadini italiani; la Chiesa, nelle parole di monsignor Luigi Stucchi, vescovo di Varese, ammonisce dal fare di tutta l’erba un fascio e dal cercare vendette sommarie, come, pur provati dal dolore, chiedono gli stessi genitori di Meggiorin: il loro dramma non sia pretesto per versare altro sangue.
Qual è la soluzione al problema? Chi ha ragione tra coloro che chiedono più severità, dai controlli alle frontiere al sistema punitivo per i clandestini, e coloro che invitano a non generalizzare e si mostrano più indulgenti?
L’immigrazione non è certo un fenomeno dell’ultim’ora, e noi italiani lo sappiamo bene per esserne stati protagonisti in passato, nelle stesse condizioni in cui versano oggi le miriadi di albanesi, africani e orientali che fuggono da guerre, povertà e carestie in cerca di un futuro migliore, per poi essere sfruttati da gente senza scrupoli, per poi adeguarsi a lavori umili e mal pagati o scegliere la strada facile, ma senza ritorno, del crimine e della delinquenza.
Sono probabilmente quelle stesse istituzioni che tanto dibattono a dover compiere un passo importante, nel dotarsi, per quanto possibile, delle condizioni ideali per accogliere coloro che, ed è opinione condivisa da molti, costituiscono una risorsa indispensabile per un’economia basata ancora in buona parte su agricoltura e industria.
Ma probabilmente il primo, vero, passo da compiere è collettivo, difficile ma fondamentale, se si vuole vincere questa battaglia: mettere da parte quel sentimento chiamato razzismo che ancora oggi, malgrado molti paletti siano caduti, continua ad albergare negli animi e avere comprensione e tolleranza per chi, con coraggio, lascia la propria terra e le proprie radici in cerca di una vita migliore.

 
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