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Telegiornaliste anno II N. 27 (59) del 10 luglio 2006


MONITOR Irma D'Alessandro, vocazione giornalista di Silvia Grassetti

Questa settimana abbiamo incontrato Irma D'Alessandro, giornalista sportiva per Mediaset.
Non potevamo non iniziare la nostra intervista dall'affaire Mondiali.
Irma, i Mondiali su Sky sono una grande occasione persa per la redazione sport di Mediaset?
«Solo apparentemente. Perché comunque, nel corso degli anni, in occasione di Mondiali ed Europei, la redazione sportiva ha sempre confezionato prodotti di ottima qualità, garantendo un’informazione puntuale, pur operando in seconda linea - non possedendo i “primi diritti” dell’evento. E non è un mistero che, comunque, l’Azienda nel passato e ancora oggi, ha preferito dirottare le sue risorse altrove, su un altro tipo di prodotto come la Champions League o il campionato di calcio, che garantiscono uno sviluppo più ampio ed articolato nel corso della stagione, anche in termini di valorizzazione delle risorse professionali della redazione di Mediaset Sport».
E la giornalista sportiva D'Alessandro, com'è nata?
«E’ nata presto, da adolescente. E’ stata una “vocazione” giovanile: con una compagna di scuola delle medie facevamo il giornalino. Come regalo per la promozione in terza media mi regalarono un libro di Gabriel Garcia Marquez, il titolo italiano era Un giornalista felice e sconosciuto: lo presi come un segnale. Nel maggio del 1982 feci a Firenze la prima intervista pubblicata su un mensile di sport a diffusione regionale: Giancarlo Antognoni, “redivivo” dopo la ginocchiata rimediata da Silvano Martina. Diceva: «Abbiate fiducia in questa nazionale, vinceremo il Mondiale». Sembrava una burla, poi andò a finire come tutti sappiamo. Rischiai la sospensione a scuola: eravamo in gita scolastica, frequentavo il classico in un istituto di suore abbastanza severe. Scappai dal gruppo per un paio d’ore, l’appuntamento era in centro nel negozio di abbigliamento gestito all’epoca dallo stesso giocatore, le mie compagne mi “coprirono” ma il mio ritardo alla fine fu scoperto. Rimediai un sonoro rimprovero: Irma, figlia del demonio, sarai sospesa e non farai gli esami quest’anno!, e una strizza, fino alla fine del viaggio, che la Madre Superiora dicesse tutto ai miei genitori. Poi, il tempo ha messo tutto su binari più “seri”: Puglia, due anni, quotidiano locale, poi una radio privata, poi Telenorba (due anni), e dalla fine del 1988 a Mediaset».
Essere bella aiuta nelle discussioni sul calcio?
«Aiuta a tenere desta l’attenzione, ma le sciocchezze non hanno sesso, né età, né senso estetico: possono venir dette da chiunque!
E’ comunque vero che l’aspetto gradevole, oggi, aiuta in tutti i campi della vita di relazione. Ma nel corso degli anni, per fortuna, è cambiato il rapporto del video con l’estetica, c’è una ricerca meno ossessiva della perfezione rispetto agli anni 80-90. Si è partiti dalla bellissima Alba Parietti seduta su uno sgabello ai tempi di Italia ’90, si arriva a Marco Mazzocchi, insomma!
La “bellona” che parla di calcio, tanto per fare “tappezzeria”, mi pare un concetto superato, attaccato ad un modo vecchio di fare televisione. Il tifoso, l’appassionato, può anche guardare le tette fuori dalla scollatura. Ma quando si parla di calcio non vuole sentire sciocchezze e non fa differenza di sesso, l’importante è che gli arrivi un'informazione giusta. E’ questo ciò che vuole. E che l’audience salga sensibilmente grazie ad una “bellona”, in fondo, non mi ha mai convinto. Infatti non mi pare che ci siano state attrici, Missitalie o show girl in pista per i Mondiali in tivvù. Sky si è affidato ai propri giornalisti ed opinionisti, non importa se belli o brutti. Così la Rai, credo, e così Mediaset».
Il nome di qualche giornalista è stato sporcato da "calciopoli": se fossero colpevoli che sanzione vorresti vedere applicata?
«Come nella vita civile, l’interdizione dai pubblici uffici, cioè non occuparsi più di calcio, se non altro perché è venuta meno la credibilità».
E ora, dopo i Mondiali, finalmente vacanze o ancora al lavoro?
«Ancora una settimana di lavoro, poi due concerti imperdibili: Simple Minds a Taormina e Depeche Mode a Roma. La musica è, dopo lo sport ed il lavoro che faccio, la mia altra grande passione! Fatto questo, finalmente fuga al mare, Minorca, splendida isola delle Baleari. Mare meraviglioso, colori mutevoli, poco mondana, pochi italiani (si parla prevalentemente lo spagnolo): perfetto!».
Fra i lettori di Telegiornaliste ci leggono molti giornalisti e molti aspiranti colleghi: hai un consiglio per i giovani che vogliono tentare la professione?
«Aprite gli occhi! Chi inizia ora ha una grande fortuna ed un grande vantaggio: le vie di accesso alla professione, rispetto a vent'anni fa, si sono moltiplicate in modo esponenziale. La sfortuna è che l’accesso quasi incontrollato al lavoro e alla professione ha messo in moto la “fabbrica delle illusioni“ e creato un esercito crescente di disoccupati. Senza contare che, con le nuove tecnologie, l’idea romantica del giornalista “grande inviato” che gira il mondo alla Hemingway sta rapidamente tramontando salvo poche eccezioni. E’ un mestiere che vira sempre più verso la scrivania e la vita impiegatizia: altro che la valigia sempre pronta, taccuino e biglietto in tasca!».
CRONACA IN ROSA Cocaina nei nostri fiumi di Tiziana Ambrosi

È arrivata. È l'estate record, quella del grande caldo, della siccità che non risparmia né il nord né il sud. A sentire i telegiornali pare che ci stiamo dirigendo verso la desertificazione pressoché immediata: ogni anno sempre peggio. Così a scorrere sono solo le immagini dei fiumi in secca ridotti a poco più che rii di campagna.
Ma anche l'inverno non è da meno. Freddo e pioggia record, così che i fiumiciattoli estivi diventano impetuose masse d'acqua a stento trattenute dagli argini.
Scaricare le colpe su "madre natura" vorrebbe però dire nascondere la testa sotto la sabbia. Il clima del nostro pianeta sta - impossibile negarlo - cambiando. La diatriba scientifica verte sull'individuazione delle cause: naturali o antropiche. Una commistione tra le due non è affatto impensabile.
Se alle bizze del clima sommiamo una sconsiderata gestione delle risorse naturali - fiumi, laghi, boschi - i disastri sono dietro l'angolo.
Periodi di estrema siccità alternati a precipitazioni abbondanti, violente e prolungate, indeboliscono il territorio, con le conseguenze che spesso vediamo.
Lo stato dei nostri fiumi è stato recentemente reso noto da un'indagine del Corpo Forestale dello Stato in associazione con Legambiente: Fiumi INFORMA.
Un dato per tutti. Ogni giorno vengono commessi mediamente quattro reati contro i fiumi, uno ogni sei ore. Maglia nera per i fiumi di Lazio, Abruzzo e Toscana, in particolare Tevere e Arno.
Gli illeciti commessi vanno dal prelievo di sabbia e ghiaia dall'alveo, all'occupazione delle aree golenali, dall'abusivismo edilizio alla pesca illegale. A farla da padrone lo sversamento di sostanze inquinanti o tossiche. Appare assurdo che molti di questi scarichi siano praticamente legali e autorizzati dalle amministrazioni locali. La mancanza o la scarsa efficienza dei depuratori, il non adeguamento delle condotte fognarie, in molti tratti ancora di tipo misto - reflui e acque piovane insieme - inquinano i nostri fiumi. Senza parlare degli scarichi totalmente illegali.
Per avere un'idea della situazione basti pensare che nel Po sono state rilevate tracce di cocaina, provenienti ovviamente dagli scarichi civili versati poi nel fiume. Un equivalente di quattro chilogrammi al giorno.
Abbondano i rifiuti solidi: sacchetti della spazzatura, biciclette, lavatrici, ombrelli. Uno stato di abbandono totale che, oltre a rendere insalubre l'ambiente, crea problemi nelle situazioni di emergenza.
L'incuria dei versanti boschivi e l'abbandono delle montagne compromettono a monte lo stato delle reti idriche, che trasportano tutto ciò che si deposita nel loro letto. Salvo poi andare a creare uno sbarramento al primo ponte.
I nostri fiumi sono un bene prezioso, sono stati la culla della nostra civiltà, del mercato e della globalizzazione ante litteram. Sono un polmone naturale nel cemento delle nostre città. E ogni tanto ci ricordano che dobbiamo portare loro rispetto.
CRONACA IN ROSA Lavoro: gioia o dolore? di Stefania Trivigno

Uno studio condotto da alcuni fra i più noti psicologi a livello mondiale dimostra che nei Paesi occidentali e industrializzati il segreto della serenità non è più avere automobili di lusso, portafoglio pieno e party in riva al mare.
Secondo il dottor Martin Seligman, direttore del Centro di psicologia positiva dell’Università della Pennsylvania, perché una giornata inizi bene fin dal mattino sono necessari tre elementi: un pizzico di autostima, una dose di cortesia e, soprattutto, un duro lavoro.
L’esperimento di Seligman, fra l’altro condotto su ben 92 individui vicini alla depressione e ora prossimi alla guarigione, ha portato alla conclusione che l'adempimento dei propri doveri è alla base della serenità. Più sodo un individuo lavorerà, più passione e dedizione ci metterà nel farlo e più sarà felice.
Nei Paesi occidentali. Infatti mentre il dott. Seligman e la sua equipe conducevano i suddetti esperimenti, dall’altra parte del globo il Giappone, potenza economica mondiale grazie ad high-tech e industria automobilistica, mostrava il lato oscuro della medaglia.
Secondo gli psicologi giapponesi, nel Sol Levante il duro lavoro opprime la gente e crea generazioni sempre più apatiche perché schiacciate dal peso di vivere in una società che impone ritmi di lavoro quasi disumani. Non è la stanchezza o la scarsa voglia di lavorare ad annientare i giapponesi, quanto il timore di non riuscire a stare al passo con la competitività unito all’umiliazione dei più anziani che devono rinunciare al proprio lavoro a causa della ormai poca produttività.
E come la tradizione insegna, i giapponesi trovano via d’uscita alla decadenza morale con la morte, proprio come facevano i samurai.
Dopo che gli ultimi dati statistici hanno portato alla luce cifre inquietanti sui suicidi - il Giappone “vanta” il più alto tasso di suicidi tra i Paesi industrializzati - il parlamento nipponico ha deciso di intervenire varando una legge che stanzierà fondi alle amministrazioni locali perché sostengano i soggetti considerati a rischio con strutture adeguate e uno staff di medici altamente qualificato.
Da dove deriva allora la felicità? Per ora nessuno può dirlo con certezza. Di certo il lavoro è solo una delle componenti che portano le persone a essere più o meno soddisfatte.
FORMAT MEDIA & MINORI Bimbi a tutti i costi di Serenella Medori

Riuscire a leggere tra i frames degli spot consente di scoprire un mondo parallelo che si rivela solo ad uno sguardo più attento. I giovani, bambini e ragazzi, sono il target preferito dei pubblicitari. La ragione è semplice: sono loro ad avere davanti un lungo futuro di acquisti da fare. Sono i giovani dunque a rappresentare un vero e proprio investimento: ecco perché molti pubblicitari in numerose interviste affermano che il pubblico va educato alla pubblicità.
I giovanissimi sono talmente importanti per il mercato che nei commercial sono presenti quasi ovunque, anche in spot in cui non si vendono giocattoli o cartelle. Facciamo un esempio: gli strani odori emanati dal corpo all’interno della sala da bagno possono essere combattuti con un deodorante come tanti. L’interprete è un bimbo giapponese in equilibrio instabile sul water che riesce a spruzzare il deodorante appeso al muro allungando il suo braccino, e tutto questo senza cadere! Far vedere un bimbo in bagno è forse più dignitoso che mostrare un adulto nella stessa situazione, senza considerare che un adulto avrebbe potuto rifiutarsi, mentre il bimbo, nella sua ingenuità, non sembra mostrare alcun imbarazzo.
I Sofficini, nei primi spot, sorridevano a bambini e ragazzi, poi l’attrazione è stato il camaleonte, nuovo simpatico protagonista che voleva convincere i piccoli a mangiare. In seguito lo spot è stato convertito ai giovani, presumibilmente attorno ai diciotto anni, che sono stati barricati in casa per settimane assediati dall’esterno da un camaleonte in versione mostro che voleva divorare tutti i Sofficini. Una pubblicità non completamente simpatica, dal momento che la tensione e la paura erano garantite dall’ambientazione notturna e da un montaggio degno di un film del terrore. Inquadrature dal basso che rendevano deforme il camaleonte, ombre lunghe e lume di candela che, accompagnati da passi e rumori sospetti, completavano il cocktail.
Questa era la finzione cinematografica che portava ben oltre i confini della realtà. La realtà? È riassumible in poche e semplici battute: comprate queste omelette, sono ripiene di formaggio! Riflessione: la paura non faceva passare la fame? Mah.
(15-continua)
FORMAT I telefilm dell’estate, tra novità e vecchi ritorni di Nicola Pistoia

Continua il nostro viaggio attraverso i telefilm che ci accompagneranno per tutta l’estate. In questa puntata ci occupiamo delle reti Mediaset.
A metà giugno è partita su Canale 5 una nuova intrigante serie: Agente speciale Sue Thomas. Questo telefilm è ispirato alla vera storia di ragazza sorda dall’età di 18 mesi che è stata capace di superare grandi impedimenti per diventare la prima donna non udente che abbia mai lavorato nell'FBI. Grazie alla sua abilità nel leggere le labbra.
Sulla stessa lunghezza d’onda s’inquadra l’avvolgente Missing: Brooke Haslett è un agente del FBI che dopo essere stata colpita da un fulmine scopre di avere poteri particolari: riesce a scovare le persone scomparse attraverso degli indizi misteriosi.
Decisamente meno forte dei precedenti, ma anch’esso molto appetibile, è il nuovissimo Hope and Faith, in onda su Italia 1 in seconda serata. Hope e Faith sono due sorelle completamente diverse tra di loro: la prima è la classica casalinga, la seconda, invece, fa parte del mondo dello spettacolo. La presenza di Faith in casa di Hope finirà col portare scompiglio.
Ci sono poi i grandi ritorni, che volgeranno al termine proprio con la messa in onda delle ultime puntate realizzate, ad eccezione del sentimentale Una mamma per amica - i nuovi episodi, ogni mercoledì alle 21.00 su Italia 1 - dove i produttori sono già in fermento per la realizzazione della nuova serie.
È giunto al suo capolinea il simpatico Will & Grace. L’ottava serie arriverà in Italia il prossimo settembre. Salvataggio in extremis per Settimo Cielo. Lo scorso 8 maggio, oltre sette milioni di americani hanno detto addio alla numerosissima famiglia del reverendo Eric Camden. In realtà si è trattato solo di un arrivederci: la casa di produzione ha deciso la realizzazione di altri tredici episodi.
In questo ricco carnet di appuntamenti nuovi di zecca, non mancheranno di certo le numerose repliche, come quelle di Love Bugs, Paso Adelante, Doc e la sempre verde Casa Vianello, già in onda dal 5 giugno su tutti i canali.
(2-fine)
ELZEVIRO Keiko Ichiguchi: fumetti giapponesi e editoria italiana di Gisella Gallenca

«Sono soprattutto una chiacchierona curiosa. Tuttavia questa mia curiosità è anche la fonte principale delle mie distrazioni. Dovrei focalizzare meglio la mia attenzione su un argomento per volta, o almeno credo».
Keiko Ichiguchi, nata a Osaka, classe 1966.
 L’amore per i fumetti la accompagna fin da piccola. Diventa fumettista negli anni Ottanta. Si laurea in letteratura italiana. E poi, la grande svolta: Keiko sbarca a Bologna nel 1993 e qui si ferma.
La carriera decolla: libri, fumetti, e non solo. È una storia particolare la sua: in bilico tra oriente e occidente, in continuo contatto con l’Europa e il Giappone. Grazie alla disponibilità della Kappa Edizioni, la casa editrice che pubblica i suoi lavori in Italia, siamo riusciti a contattarla. Perché la sua esperienza è interessante e più di altre merita di essere raccontata.
Da dove nasce il tuo interesse per l’Italia che ti ha portata non solo a laurearti in lingua italiana, ma anche a venire a lavorare qui?
«Mi dispiace deludervi, ma anni fa non avevo uno spiccato interesse per l’italiano, come lingua! Per accontentare i miei genitori mi sono laureata mentre lavoravo, come fumettista, in Giappone. Ho avuto la fortuna di avere un ottimo professore italiano, che mi ha fatto scoprire il fascino di poter comunicare in una lingua straniera. Quando ho iniziato a desiderare di esplorare un mondo lavorativo diverso da quello giapponese, mi è tornato utile tutto quello che avevo studiato durante gli anni universitari. Chi avrebbe mai previsto che la mia vita avrebbe preso una piega simile?».
Nel tuo libro Perché i giapponesi hanno gli occhi a mandorla, descrivi in modo molto preciso il mondo del fumetto giapponese. In base alla tua esperienza, quali sono le analogie e le differenze con l’ambiente fumettistico italiano?
«Il mercato dei fumetti in Giappone è smisuratamente più grande di quello italiano. Per questo i tempi di lavorazione sono davvero molto stretti e i fumettisti spesso lavorano con orari disumani; ma finché reggono tali ritmi riescono a mantenersi disegnando. In Italia il mercato è molto piccolo, per cui non è facile mantenersi facendo solo fumetti. Tuttavia i due mercati si stanno mescolando, e i due mondi tendono ad avvicinarsi sempre di più. Mi sono accorta di questo durante la promozione in Belgio e in Francia di 1945: si tratta di un fumetto sulla vicenda storica del gruppo La Rosa Bianca, ambientato in Germania, durante i tristi giorni della seconda guerra mondiale. Ho interpretato una tematica tipica europea dal mio punto di vista giapponese ma sembra che fortunatamente abbia suscitato l'interesse anche del pubblico francese».
Nei tuoi lavori, fumettistici e non, spesso traspare una volontà di raccontare, in qualche modo, l’Italia ai giapponesi e il Giappone agli italiani. Secondo te, perché l’interesse reciproco tra le culture di questi due Paesi è sempre più forte?
«Riesco a vedere sia quello che gli italiani ignorano sul Giappone, sia quello che i giapponesi ignorano sull’Italia: per questo penso mi venga naturale e semplice raccontare di questi due Paesi nei miei libri. Come si legge in Perché i giapponesi non amano essere toccati (ovvero Keiko World #3), spesso le differenze maggiori sono visibili negli atteggiamenti che riteniamo più comuni, come viaggiare in metropolitana o regalare della cioccolata. Poi debbo aggiungere che gli abitanti della provincia di Osaka (il mio paese natale) amano molto chiacchierare e raccontare disavventure divertenti».
Pensi che, prima o poi, ti piacerebbe ritornare a lavorare in Giappone?
«Anche adesso lavoro per il Giappone come scrittrice, traduttrice e fumettista. Mi piacerebbe continuare in questo modo, penso di avere ancora tanto da raccontare. Se proprio siete curiosi di sapere altre novità sui miei lavori futuri, potete consultare il mio sito e il sito del mio editore italiano».
ELZEVIRO L'isola del cinema di Antonella Lombardi

Anni Sessanta al cinema: la commedia italiana conquista le luci della ribalta grazie a registi come Monicelli, Risi, Germi, De Sica. Sullo schermo, le atmosfere oniriche di Fellini e della Dolce Vita, le interpretazioni indimenticabili di Marcello Mastroianni, Sophia Loren, Vittorio Gassman, Gina Lollobrigida, e altri, riempiono i cartelloni e i sogni degli italiani di allora.
Una magia che adesso sarà possibile rivivere a Roma, fino al 3 settembre, all’Isola Tiberina, trasformatasi per l’occasione nell’Isola del cinema. Una kermesse che anche quest’anno propone la riscoperta del grande cinema del passato, con un occhio, attento, rivolto ai nuovi talenti nostrani e internazionali.
Uno scenario suggestivo, con allestimenti e ambienti che vogliono riproporre l’atmosfera tipica della “Roma by night” negli anni del boom economico.
L’apertura anticipata alle 18.00 permette ai visitatori di ammirare il tramonto in un ambiente unico, magari consumando un aperitivo prima di assistere alle rassegne cinematografiche, alle anteprime o ai dibattiti che si svolgono in due sale appositamente allestite: l’arena maxischermo, con 450 posti a sedere, sullo sfondo del Ponte Fabricio, dalla parte del ghetto ebraico; la sala laboratorio Cinelab, dalla parte del rione di Trastevere, sullo sfondo di Ponte Garibaldi.
Qui andranno in scena le nuove proposte del cinema italiano, con la rassegna “Articolo 28” (ovvero i film prodotti con fondi statali) e due concorsi dedicati ai cortometraggi: Urban Islands e Vodafone Mobile film festival, che premierà i migliori corti girati con il telefonino.
Inoltre, la mostra fotografica Anni Sessanta, di Rino Barillari, farà rivivere l’atmosfera della Dolce Vita attraverso gli scatti più famosi di quel periodo.
Ma l’Isola del cinema è anche eventi, cultura, spettacolo, solidarietà.
Numerosi gli attori ed i registi che si avvicenderanno sul palco affinché il cinema viva tra il pubblico e non solo sugli schermi; diversi i Paesi e le relative Ambasciate ospitate sull’Isola, per una serie di serate all’insegna della conoscenza e dell’integrazione tra i popoli e le diverse culture. Dieci le “Serate Einaudi”, dove gli autori del momento e i loro libri in uscita saranno al centro di incontri con Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Gifuni, e, tra gli altri, Ascanio Celestini.
Otto gli appuntamenti con “Zac - Risate all’italiana” per compiere un viaggio in Italia attraverso la comicità di autori come Rodolfo Laganà e Caterina Guzzanti, oltre alle importanti serate dedicate alla Comunità di S. Egidio ed alla solidarietà.
Infine, una buona notizia: un ascensore disponibile per chi ha problemi motori, consente il superamento delle barriere architettoniche sulle banchine del Tevere.
Per avere informazioni e conoscere in dettaglio il programma, è possibile consultare il sito dell’Isola del cinema.
DONNE La prima volta al voto delle donne kuwaitiane di Erica Savazzi

29 giugno 2006, Kuwait, Golfo Persico. Si tengono le elezioni parlamentari, per la prima volta a suffragio universale.
Votano anche le donne, e donne sono 28 candidate all’elezione. Un grande successo, considerando che il voto femminile è stato sancito per legge solo poco più di un anno fa, quando all’altra metà del cielo è stato finalmente riconosciuto un diritto finora negato. Un anno fa si è votato per le amministrative, oggi per le politiche.
Le donne hanno votato in seggi appositi, separati da quelli per gli uomini secondo i dettami della legge islamica. Si sono viste file di donne in attesa del proprio turno, ma si sa anche che molte di loro hanno dato la propria preferenza seguendo le indicazioni di padri e mariti.
La legge elettorale del piccolo stato ricchissimo di petrolio risaliva al 1962, anno della fine del protettorato inglese. L’Articolo 1, in particolare, stabiliva che solo gli uomini potessero esercitare il diritto di voto. Dopo anni di discussioni parlamentari, nel 2005 la svolta: con 35 voti favorevoli, 23 contrari e un astenuto, il parlamento decide l’estensione del diritto di voto alle donne. I soli a opporsi furono gli Islamisti e le fazioni tribali.
Il 29 giugno 2006 nessuna delle candidate è stata eletta, nonostante le donne rappresentino il 57% della popolazione kuwaitiana e circa il 60% di loro si sia recato alle urne. Secoli di emarginazione politica e di subordinazione fanno sentire i loro effetti: il cammino per una partecipazione femminile alla vita sociale e politica del Paese è appena agli inizi.
DONNE Giovanna d'Arco, la Pulzella d'Orléans di Stefania Trivigno

La figura di Giovanna d'Arco è con forza entrata nella leggenda: impossibile non ricondurla a grande esempio di fede, ostinazione e coraggio.
Nella prima metà del 1400 la Francia era stata prepotentemente occupata dai soldati inglesi: i sovrani d'Oltremanica miravano ad espandere i propri domini sul suolo francese, riprendendo il possesso della Normandia.
Siamo nel periodo della Guerra dei Cent'anni: Francia e Inghilterra vivono una lunga e sanguinosa battaglia per l’egemonia.
Da questa lotta sembra uscire vittoriosa l’Inghilterra, che impone agli avversari il Trattato di Troyes: il Delfino di Francia Carlo VII è escluso dalla corsa per la successione al trono che, invece, spetta all'inglese Enrico V e ai suoi successori. Per rafforzare e legittimare il trattato, il re d’Inghilterra sposa Caterina, figlia di Carlo VI.
Nel 1429, una contadina bussa alla porta del re per chiedergli l’autorizzazione a scendere in campo al fianco dell’esercito francese. Forte nella sua fede, dicendo di essere stata scelta da Dio vuole salvare e liberare il proprio Paese.
Giovanna è ancora poco più che una bambina, non sa leggere né scrivere. Non ha mai combattuto in vita sua, ma chiede al re un esercito che la assista in questa missione. Senza esitazione, è pronta a morire per la Francia e per Dio.
Ottenuto l’esercito e la fiducia da parte del re, la Pulzella inizia ad ottenere le prime vittorie: fra le più importanti, la liberazione di Orléans e la conseguente proclamazione ufficiale, a Reims, di Carlo VII re di Francia.
La piccola Giovanna ha vinto, la Francia ha di nuovo al trono un re legittimo e pian piano quasi tutto il territorio francese occupato viene sgombrato dalle truppe nemiche.
Ma l’inesperienza di Carlo VII, o forse l’ambizione di portare a termine da solo una manovra politica delicata, fa sì che la situazione precipiti nuovamente. Accordi segreti con l’Inghilterra costringono il re a ordinare lo scioglimento dell’armata.
Giovanna d’Arco è catturata dagli inglesi e processata.
La ragazza è accusata di stregoneria e di eresia perché ha lottato come un uomo, ha indossato indumenti maschili e, soprattutto, ha sostenuto di averlo fatto perché Dio le aveva chiesto di farlo.
Durante il processo, l’uomo che era divenuto re grazie al suo coraggio, le volta le spalle e la Francia assiste, impassibile, alla sua esecuzione: un rogo nella piazza del mercato nella cittadina di Rouen.
Nel 1920, quasi cinquecento anni dopo la sua morte, la Chiesa riconosce la santità di Giovanna d’Arco, che viene nominata patrona di Francia.
TELEGIORNALISTI Daniele Rotondo di Nicola Pistoia

Ai microfoni di Telegiornaliste questa settimana risponde, per i colleghi uomini, Daniele Rotondo del Tg2.
Daniele, come hai iniziato a fare il giornalista?
«Ho iniziato a 14 anni come cronista sportivo locale. Subito dopo il diploma, nel 1978, sono entrato nella Scuola di Giornalismo di Urbino annessa alla facoltà di Sociologia. L’anno dopo sono entrato a Telenorba (tv locale pugliese) come redattore sportivo. Qui ho passato 18 anni. Ti racconto un aneddoto che sicuramente è stato importante per la mia carriera. Nel 1988, in Africa, venne rapito Giuseppe Micelli, che era tecnico della Salini Costruttori, una multinazionale italo africana. Io parto in Etiopia e mi metto sulle tracce del rapito. Finalmente i terroristi si arresero. Ricevetti i complimenti dell’allora ambasciatore De Michelis. Quando arrivai all’aeroporto di Brindisi con l’ostaggio liberato iniziai una diretta di sei ore sempre per Telenorba. Penso sia stata una delle esperienze più importanti della mia vita, ma anche una grande opportunità professionale. Dal 1997 sono in Rai».
Sei pugliese: la differenza tra Nord e Sud esiste anche nel giornalismo?
«Credo che ormai la globalizzazione abbia annientato questa differenza tra settentrione e meridione. Ci sono ancora alcuni problemi, ma credo stiano risolvendosi. E nell’ambito del giornalismo, più che fare una divisione tra Nord e Sud, sarebbe opportuno distinguere Roma e Milano dal resto d’Italia, dove credo ci sia una forte centralità dell’informazione. E’ possibile fare ottimo giornalismo a Palermo così come al Nord».
Secondo te per la formazione di un bravo giornalista è più importante frequentare una scuola di giornalismo o vivere le varie fasi all’interno di una redazione?
«La pratica senza teoria non esiste. Prendi il mio caso: ho iniziato giovanissimo a frequentare le redazioni giornalistiche locali. Questo, dopo tanti anni, mi è servito tantissimo. Ho frequentato la Scuola di Giornalismo che mi ha dato le basi per fare questo mestiere, ma sentivo il bisogno di rendere più completi i miei studi. Ho 45 anni e questo mese mi laureo in Scienze della Comunicazione. E’ importante studiare ma è altrettanto importante rimboccarsi le maniche fin da subito».
Chi dei tuoi colleghi, anche di altri tg, apprezzi maggiormente?
«Innanzitutto ammiro molto il mio direttore, Mauro Mazza. Penso sia una persona molto equilibrata e professionale. E credo abbia una grande capacità mediatica. Un altro telegiornalista che apprezzo è il corrispondente del Tg2 dall’America Gerardo Greco, molto bravo. Mi piacciono anche Pino Scaccia del Tg1 e Giovanna Botteri del Tg3: due giornalisti di rango».
Quale dei tg nazionali non ti piace affatto?
«Non mi piacciono i telegiornali degli incompetenti. Fortunatamente in Italia ce ne sono pochi. A me piace giudicare i tg che meritano di essere giudicati, positivamente. Tra questi devo senza dubbio citare Sky Tg24, lo reputo molto agguerrito e preparato. Non a caso viene da un’altra tradizione storica. Senza presunzione, ma non posso fare a meno di nominare i telegiornali della Rai e il radio giornale, che sono l’emblema dell’informazione nazionale».
Chi sono stati, se ne hai avuti, i tuoi maestri? E chi ti sentiresti di ringraziare?
«E’ una bella domanda. Sicuramente devo molto, e per questo lo ringrazio, il direttore di Telenorba. Sono molto riconoscente al mio attuale direttore, Mazza».
Cosa consiglieresti a chi come te volesse intraprendere questa difficile professione?
«Bisogna avere tre caratteristiche: curiosità, voglia di approfondimento e umiltà».
OLIMPIA Il calcio tra dramma e cambiamento di Mario Basile

E’ cominciato. In sordina, lontano dalle prime pagine dei giornali piene di racconti mondiali, ma è cominciato: il maxiprocesso che cambierà il calcio italiano. E’ questa la speranza di tutti. Lo deve essere. Anche gli imputati devono farsi quest’augurio, perché mai come questa volta la credibilità di chi ha gestito, e di chi gestirà poi, questo meraviglioso giocattolo è stata così in pericolo.
Trenta indagati. Manco a dirlo, il più atteso è lui: Luciano Moggi. Un’attesa però delusa dalla decisione di non presentarsi in aula in quest’inizio di processo. Ma Lucky Luciano, pur minato nell’animo, è sempre una vecchia volpe, così dopo due mesi di silenzio ha deciso di raccontare la sua verità in un’intervista a Ballarò di Giovanni Floris.
Senza giudici contro, Moggi ha prima portato avanti la sua difesa, poi come un pugile ferito spinto dall’orgoglio ha tirato fuori la sua proverbiale verve e la forza dialettica. Ed è stato il Moggi di sempre. Cinico, spietato e sfrontato quanto basta. Ne ha avute per tutti.
Galliani, Carraro, le lobby nascoste dietro le quinte: a detta di Moggi erano loro a comandare il gioco. Lui si è solo adeguato per non essere schiacciato. Ma non ce l’ha fatta. «Sono stato dichiarato colpevole ancor prima del processo. Sono stato crocifisso e hanno anche distrutto la mia famiglia». Moggi dimentica quanto siano inequivocabili le prove a suo carico, ma su un punto ha ragione: lui è solo una delle tante pedine di un sistema che ha radici molto profonde. Per cambiare davvero bisogna andare oltre.
Brutta pagina per il nostro calcio, sconvolto anche dalla tragedia di Gianluca Pessotto. L’ex calciatore, attualmente team manager della Juventus, dieci giorni fa ha deciso di togliersi la vita lanciandosi nel vuoto dal tetto della sede della società bianconera. Per fortuna non è riuscito nel suo intento: le sue condizioni sono gravi, ma migliorano di giorno in giorno. I motivi del gesto sono oscuri, ma forse in questo momento è l'ultima cosa a cui pensare. Quello che ora conta è il recupero di Gianluca, dal punto di vista fisico, ma soprattutto da quello umano.
EDITORIALE Qualcosa di più che il calcio dalla nostra corrispondente Silvia Garnero

BUENOS AIRES - Chiunque dovesse affermare che durante la partita fra Germania e Italia non si è emozionato neanche per un attimo, non dovrebbe considerarsi argentino. Potrebbe sembrare un'esagerazione… ma è proprio così.
Grida, tantissimi gruppi di ragazzi che uscivano dai bar e dai locali gridando entusiasti per i gol degli italiani, un luogo di un incontro che ha generato gioia in tutti coloro che seguivano la partita.
E' il calcio, non è la vita. E’ il calcio, solo un gioco, non ha a che fare coi problemi legati alla vita professionale e sociale. Solo calcio... qualcosa di diverso, che mai dovrebbe trasformarsi in genocidio, come in quel tragico 1978 durante le dittatura militare.
Però un momento dedicato al calcio, come un momento di evasione, potrebbe non essere tanto male… Lo dico a me stessa, e a tutti quelli che come me detestano le esagerazioni e l’oppio che addormentano la coscienza.
Torno all’allegria, che per un momento sentiamo noi argentini, la nazione più italiana che esista fuori dall’Italia. La passione italiana, così presente nel sangue argentino, oggi si è sentita più che mai. Nelle umide e calde calle di Buenos Aires, il sentimento collettivo di ammirazione e allegria che hanno mostrato gli argentini tenendo i colori della bandiera italiana: «Viva Italia, loco, un poco de alegría!», gridava un impiegato bancario che festeggiava con i colleghi in un bar. Ognuno di loro dettagliando la propria genealogia italiana.
E nel pieno centro della Ciudad, Paula, tedesco – argentina sposata con un italoargentino, commentava: «Mirà, io ho sangue tedesco ma mi sento più italiana, io, i miei figli. Sono molto felice per il risultato».
E infine, l’eccitazione del trionfo. Del gioco. Del momento che passa, ma che rende allegri.
Poi, possiamo o meno appartenere a un’associazione italiana, e godere o meno dei suoi benefici, potremo ottenere il passaporto in un giorno o aspettare ingiustamente anni. Potremo credere o non credere nel romanticismo italiano che arriva (e se ne va) vestito di turismo, ma quello che non possiamo fingere è che a questi livelli delle nostre rispettive generazioni, il nostro cuore non sia italiano.
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