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Telegiornaliste anno II N. 31 (63) del 4 settembre 2006


MONITOR Gaia Tortora, amica del mattino di Giuseppe Bosso

E' una vera "amica del mattino", che ci dà la sveglia ogni giorno facendoci scoprire cosa scrivono i principali quotidiani e approfondendo i temi della giornata, dalla politica alla cronaca. Trentasei anni da poco compiuti, romana, figlia d'arte, Gaia Tortora è il volto femminile di Omnibus, dopo averne brillantemente condotto l'edizione estiva con Edoardo Camurri. Una lunga gavetta tra emittenti locali (Teleroma, Cinquestelle) e satellitari (Inn, Enel tv), e poi l'approdo a La7.
A Omnibus lei ha raccolto, idealmente, un’eredità pesante come quella di Marica Morelli, volto storico del programma: ha cercato di ispirarsi a lei nella conduzione oppure di essere sempre e comunque se stessa?
«Non dimenticare Paola Cambiaghi, che ha di fatto sostituito per prima Marica lo scorso anno, quando è passata a Mediaset; io non mi ispiro a nessuno, se non a me stessa, cerco di essere molto spontanea e naturale nel mio lavoro».
La sua trasmissione è al tempo stesso rassegna stampa dei principali quotidiani e approfondimento delle tematiche del momento: per quale di queste parti si sente più portata?
«Non c'è un ambito particolare. A Omnibus ci occupiamo di vari temi, soprattutto di politica e cronaca, senza trascurare gli argomenti più leggeri. Certo di dare il meglio sempre in ogni momento».
Ha iniziato nelle emittenti romane, è passata poi al canale Enel tv e quindi a La7: in quale di questi ambiti si è meglio trovata e dove sente di avere espresso meglio la sua professionalità?
«Angolazioni diverse, con diverse sfaccettature. Le tv locali sono state una buonissima palestra per me, e per altri colleghi, dove impari il mestiere sul campo decisamente molto meglio che stando dietro a una scrivania. Giungere a La7 è stato per me molto gratificante e un traguardo importante».
Il pubblico che la segue, e questo lo potrà riscontrare anche sul nostro forum, la apprezza, oltre che per professionalità, anche per simpatia e bellezza: pensa che tutte queste componenti siano importanti in egual misura o qualcuna deve prevalere sulle altre?
«Mi fa piacere, anche se non sono certo Sharon Stone (ride, ndr), ma io ho puntato soprattutto sulla professionalità nei confronti del pubblico. Credo che sia questa la cosa più importante».
E a proposito di pubblico, o meglio, di ammiratori: quali sono i commenti (e i complimenti) che più le ha fatto piacere ricevere, e quali, magari, un po’ imbarazzare?
«Imbarazzare no; comunque mi fa molto piacere quando mi dicono che riesco a condurre la trasmissione mettendo a proprio agio gli ospiti, e soprattutto a interessare il pubblico che mi segue da casa. E' questo che mi gratifica soprattutto».
Non deve essere stato facile intraprendere questa strada con un cognome pesante come il suo. Come è riuscita a seguire il suo percorso professionale nella sua posizione?
«Pesante non direi. Ho semplicemente avuto un papà che sapeva fare questo mestiere 70 mila volte meglio di quanto lo faccio io. Poi non è un mistero che in questo, come in altri lavori, ci siano figli di personaggi illustri che si sono inseriti più o meno bene, ma io, come ti ho detto, sono sempre stata solo me stessa, e ho fatto la mia strada con le mie forze».
La7 rappresenta un po’ il terzo incomodo tra i due grandi poli tradizionali del piccolo schermo: a distanza di ormai cinque anni dalla sua nascita, crede che la sua emittente sia riuscita a costituire una valida alternativa ai palinsesti Rai e Mediaset?
«Direi proprio di sì. Lo dicono gli ascolti, lo dice il pubblico che ha avuto modo di apprezzare tanti programmi di qualità».
Come vive il suo rapporto con i colleghi, non solo col suo “compagno di scrivania” Andrea Pancani, ma anche con l’altro volto femminile di Omnibus, Rula Jebreal?
«Assolutamente bene, sia con Andrea che con Rula; riusciamo a gestiere al meglio i nostri spazi e ad alternarci senza pestarci i piedi. Siamo una squadra molto affiatata».
Un recente sondaggio afferma che le giornaliste sono le lavoratrici che poco riescono a conciliare lavoro e vita privata; la giornalista Gaia Tortora a tal riguardo cosa sente di dire?
«Che è decisamente vero, a maggior ragione nel mio caso, con due splendide figlie; cerco di non mancare mai nei momenti importanti, e mi costa dei veri e propri salti mortali».
CRONACA IN ROSA Immigrati tra noi di Erica Savazzi

Brescia e Padova simboli di integrazione mancata e di immigrazione “cattiva”? L’uccisione di Hina e di Elena, assassinate rispettivamente da padre, zio e cognato pakistani, e da un sagrestano cingalese, e la strage dello scorso 28 agosto, in cui un intero nucleo familiare è stato spazzato via, riaprono dubbi, timori e paure. Come se già non bastasse il caso di Padova, dove si è dovuto costruire un muro per separare cittadini e immigrati dediti al crimine.
Qualcosa non va, è innegabile. Anche se, dal punto di vista comunicativo, l’immigrato assassino fa più scalpore del padre di famiglia che uccide il figlio di nove anni e si butta sotto un treno.
Qualcosa non va. Separati in casa, italiani e immigrati. Persone che lavorano in fabbrica, nelle case, ma che, finite le otto ore, tornano nel loro mondo, nella piccola Casablanca o Islamabad famigliare. Uomini che parlano italiano perché devono lavorare, donne – soprattutto quelle arrivate da poco o più anziane – che non escono di casa, non hanno la patente, non parlano la lingua.
È ora di cambiare. È ora di corsi di italiano obbligatori per tutti, donne e uomini, perché tramite la lingua si comprendono anche abitudini e modi di vita. È ora di corsi di educazione civica e di diritto di famiglia, come già accade in Germania. È ora che si aboliscano i quartieri abitati solo da maghrebini, pakistani eccetera, perché è solo vivendo a contatto con gli italiani che ci sarà vera integrazione. È ora di controlli più severi, perché poche mele marce possono rovinare intere comunità.
È ora che queste persone conoscano diritti e doveri della cittadinanza, che comprendano e rispettino il nostro modo di vivere. È ora, soprattutto, che noi italiani la smettiamo di guardarli come ospiti.
FORMAT La nuova stagione televisiva Rai e Mediaset di Nicola Pistoia

Informazione, spettacolo e tanta fiction: sono questi gli ingredienti della nuova stagione televisiva targata Rai e Mediaset. Lo scorso luglio, a Saint vincent, sono stati presentati i nuovi palinsesti che preannunciano cruenti battaglie tra le due rivali.
Si parte lunedì 11 settembre con il nuovo Affari Tuoi, il gioco di Rai1 che prepara alla prima serata. Fresco volto del programma sarà l’attore Flavio Insinna. Alla stessa ora, su Canale5, ritorna l’ormai consolidato Striscia la notizia.
Per gli amanti del genere poliziesco, ma impreziosito da una buona dose di commedia all’italiana, il 12 settembre, sempre su Canale5, riparte Distretto di Polizia, giusto alla sesta serie, che riserverà ai propri affezionati telespettatori un mix di suspense, tensione e sano umorismo. Confermato su Rai1 lo show che fa sognare: torna, dal 13 settembre, Il Treno dei Desideri, guidato anche quest’anno dall’esuberante Antonella Clerici, che riprenderà, per l’ottavo anno consecutivo, anche la conduzione de La Prova del cuoco.
Non sono previste sostanziali variazioni nel palinsesto quotidiano delle tre reti Rai: proseguono il mattiniero Uno Mattina su Rai1, il contenitore d’informazione e intrattenimento della terza rete, Cominciamo Bene, con Fabrizio Frizzi ed Elsa di Gati, La Vita in Diretta di Michele Cocuzza, L’Italia sul Due del pattinatore Milo Infante e della bella Monica Leofreddi, il naturalistico Geo & Geo con Sveva Sagramola e i programmi legati a Rai Educational diretti da Giovanni Minoli, sempre sulla terza rete.
Quasi tutti riconfermati anche i programmi del day time in casa Mediaset: Forum e Vivere Meglio su Rete4, Verissimo, Uomini e Donne e Amici di Maria De Filippi su Canale5, e una scorpacciata di cartoni animati e telefilm su Italia1.
Non ci sarà più il programma di informazione e intrattenimento di Maurizio Costanzo (che dovrebbe lasciare anche il contenitore goliardico Buona Domenica passato nelle mani di Paola Perego). Tutte le mattine, infatti, cambia forma e orario diventando così Buon Pomeriggio. Confermata anche l’informazione di Matrix con Enrico Mentana su Canale5 e Liberitutti con l’ex onorevole Irene Pivetti su Rete4.
Le novità della nuova stagione televisiva interessano principalmente la fascia preserale e la prima serata. Gerry Scotti, che da novembre ritorna alla conduzione di Paperissima, lascia il posto al suo eterno rivale Amadeus, che porterà su Canale5 un nuovo quiz. Confermato, per il sabato sera, il reality C’è posta per te di Maria De Filippi che presenterà anche un nuovo game show già in onda su FoxLife. Il titolo è tutto un programma: Unanimous.
Nella prima serata si concentra tutto il meglio della programmazione Rai e Mediaset. Grandi spettacoli e reality come Ballando con le Stelle, che ritorna su Rai1 dal 15 settembre con alla guida sempre Milly Carlucci. Su Rai2 ritornano i naufraghi de L’Isola dei Famosi con a capo Simona Ventura. Sempre sulla seconda rete, dal 21 settembre, è previsto l’atteso ritorno di Michele Santoro con il nuovo programma d’informazione Anno Zero.
Le prime serate di Rai3 saranno invece dedicate alle inchieste e reportage: da metà settembre torna Chi l’ha Visto, a metà ottobre salpa la nave di Licia Colò con Alle Falde del Kilimangiaro e il martedì non potrà mancare il consueto appuntamento con Ballarò di Giovanni Floris.
Una delle coppie più strambe della tv ritorna ad unirsi per dare vita ad un nuovo spettacolo divertente e ironico: parliamo di Paolo Bonolis e Luca Laurenti. La messa in onda dovrebbe essere per il giovedì sera sulla rete ammiraglia. E ancora tanti reality e moltissimo sport. Ritornano La Talpa su Italia1, il Grande Fratello e La Fattoria su Canale5. Barbara D’urso sarà inoltre alla guida di Circus, la vera novità di quest’anno. Il programma domenicale dedicato al calcio, ex Serie A, in questa nuova stagione vedrà alla conduzione Sandro Piccinini, già al timone dell’ormai collaudato Controcampo
Per concludere in bellezza sono previste oltre 150 prime visioni tv e vedremo fiction importanti come Giovanni Falcone, Jo Petrosino, Papa Luciani, La Contessa di Castiglione, Maria Montessori, Il Giudice Mastrangelo 2, Azione Civile, Carabinieri 6, Codice Rosso.
A tutti buona visione!
ELZEVIRO La leggenda di Primo Carnera in mostra di Antonella Lombardi

E’ stato il primo pugile italiano divenuto campione del mondo, ma anche un mito e un simbolo per intere generazioni. Ha colpito l’immaginario collettivo insieme a pochi altri sportivi. Come Coppi, Bartali, Nuvolari. Una leggenda entrata di diritto nella storia del Novecento.
Eppure, Primo Carnera, pugile che ha portato al nostro Paese la prima cintura iridata nella categoria dei pesi massimi, ha superato i confini della boxe, trasformandosi in elemento di costume, storia sociale, linguaggio: «Mangia, così diventi forte come Carnera», hanno detto per anni le madri ai propri bambini, guardando al campione come all’uomo più forte del mondo; un gigante per l’epoca, considerati i suoi due metri di statura in una società in cui l’altezza media non raggiungeva il metro e settanta.
Carnera come il “gigante dei valori” non solo sportivi, ma anche umani, un esempio di riscatto per milioni di emigranti partiti per vincere la fame come lui, che è stato in grado di diventare, da manovale, campione; da anonimo, un idolo. Ma anche strumento di un periodo storico, il fascismo, nel quale il corpo eccezionale di Carnera e i suoi trionfi sono divenuti, suo malgrado, trasposizione, per il popolo, dell’eccezionalità e dei successi del regime.
Nel centenario della sua nascita la Provincia di Pordenone ha allestito una mostra, curata da Roberto Festi e Ivan Malfatto, per ricordare la vita del campione friulano, ma anche la storia e gli eventi che sono stati parte integrante della sua epoca.
Diversi gli aspetti trattati, corrispondenti alle sezioni in cui si articola la mostra: dall'emigrazione dal Friuli Venezia Giulia tra Otto e Novecento, all'arte e allo sport negli anni del fascismo.
Dalla lotta per la vita, affrontata dal pugile con tour estenuanti sui ring di tutto il mondo - per conquistare quella solidità economica che le traversie della guerra gli avevano negato - ad Hollywood e alle 17 pellicole che, tra il 1933 e il 1959, videro coinvolto Carnera.
E poi, in mostra, anche gli oggetti culto della vita sportiva: dalla cintura mondiale di Carnera ai guantoni, alle scarpette, ma anche al corredo da corsa del pilota automobilistico Tazio Nuvolari, agli oggetti d’arte classica, con prestiti da importanti musei e collezioni private; persino opere di artisti del Novecento come Fortunato Depero, Giacomo Balla, Mino Rosso, e altri che hanno raffigurato, tra gli anni Venti e Quaranta, il mito dello sport.
Completano la documentazione fotografie, video inediti, bozzetti del Conte di Savoia e del Rex, i transatlantici protagonisti dei molti viaggi che Carnera fece tra Europa e America, oltre alle strisce originali a fumetti con le sue “avventure” pubblicate dai quotidiani U.S.A.
Infine, lo scrittore Nantas Salvalaggio, che lo ha conosciuto in momenti diversi della sua vita, ricorda Carnera nell’introduzione al catalogo che accompagna la mostra. Quindici saggi, affidati a diversi esperti, tracciano la più completa trattazione su Primo Carnera e il suo tempo.
A Pordenone, fino al 3 dicembre. Per informazioni, si può consultare il sito della Provincia di Pordenone.
DONNE La Perla bianca del blues di Tiziana Ambrosi

E' stata definita una delle voci bianche più nere della storia della musica: una vocalità particolare, roca e straziata, abbinata a testi di impegno sociale, hanno reso indimenticabile Janis Joplin.
Nata nei primi anni Quaranta in un piccolo paese texano, già a diciassette anni fugge da un'infazia grigia e priva di sbocchi. Sono gli anni degli hippy, delle comuni, una vita all'insegna di ideali, dell'impegno. Ma anche di tanti eccessi.
Le muse ispiratrici di Janis Joplin sono state Bessie Smith, Odetta e Big Mama Thornton. Il loro blues, la musica triste e malinconica, era lo specchio perfetto della vita della giovane Janis.
Si trasferisce in California e dopo qualche tempo entra nella band che la portò al successo: i Big Brother & the Holding Company.
L'album del trionfo è Cheap Thrills (la cui copertina è quasi un pezzo d'arte). Con Summertime, grattata in fondo alla gola e con Piece of my heart, quasi urlata, Janis entra a far parte del panorama musicale internazionale. Verranno il festival di Monterey e poi, da solista, Woodstock, con cui viene definitivamente consacrata icona di una generazione.
L'enorme successo, accompagnato da una fragilità innata, portano Janis Joplin a cercare una sorta di aiuto e conforto dapprima nell'alcool, poi nelle droghe, via via più pesanti. I capricci, la rottura con la band che le diede la fama, le delusioni d'amore cocenti accompagnano l'ultima parte della sua vita.
Una vita che si spegne il 4 ottobre 1970 - solamente a pochi giorni dalla morte di un altro mito, Jimi Hendrix - nella solitudine di una stanza di motel a Los Angeles. Un'overdose di eroina che non le fece assaporare il successo del suo ultimo album, uscito postumo, Pearl (il soprannome di Janis): dieci brani che hanno il sapore del testamento di una vita vissuta all'insegna delle grandi passioni e di tutto ciò che queste comportano, nel bene e nel male.
Da ascoltare al buio, senza pensieri.
TELEGIORNALISTI Emilio Carelli di Giuseppe Bosso

E’ con vero piacere che riprendiamo la pubblicazione di Telegiornaliste dopo le vacanze estive, incontrando il direttore di Sky Tg 24 Emilio Carelli.
Emilio Carelli, nato nel 1952, dopo aver conseguito la laurea in Lettere Moderne con specializzazione in Comunicazioni di Massa, nel 1975, all'Università Cattolica di Milano, diventa giornalista professionista. Approda in Mediaset (allora Fininvest) nel 1980, come redattore e inviato.
In Fininvest collabora come redattore e inviato dei diversi programmi giornalistici di Canale5, Rete4 e Italia1. Nel 1991 diventa vicedirettore di Studio Aperto, e l’anno dopo partecipa alla fondazione del Tg5 come vicedirettore e conduttore dell'edizione delle 13.00; rimane lì per nove anni, per poi diventare direttore responsabile di TgCom, la testata del gruppo Mediaset che si occupa dei new media, in particolare di Internet (Mediasetonline) e Teletext (Mediavideo).
Dal 16 giugno del 2003 è direttore responsabile di Sky Tg24.
Da tre anni lei è direttore di Sky Tg24: soddisfatto di questa esperienza?
«Molto. Ritengo che abbiamo ottenuto risultati importanti, realizzando dal nulla un news attivo 24 ore su 24 che ha saputo conquistarsi la credibilità degli spettatori e degli addetti ai lavori».
Quali differenze ha riscontrato tra la tv generalista, come Canale5 dove ha lavorato per anni, e quella satellitare? Cosa ha cercato di portare a Sky della sua esperienza passata?
«Ho cercato di portare a Sky la professionalità acquisita sulla scrivania del Tg5 in nove anni. Sulla qualità il discorso cambia, in quanto i ritmi sono più serrati proprio per il fatto che dobbiamo essere attivi tutto il giorno, cercando di informare i nostri spettatori puntualmente e in tempo reale. Le notizie dell’ultim’ora sono in flusso continuo, da dare anche in diretta; ritengo sia questa la principale differenza tra la tv generalista e quella satellitare».
Viviamo un periodo di grandi cambiamenti nel mondo dell'informazione, legati soprattutto agli ultimi ritrovati della tecnologia. Cosa vede per il futuro?
«Credo che il modo di fare informazione con questi strumenti sia profondamente cambiato, appunto per la possibilità che offrono allo spettatore di essere informato quasi sul momento, non appena succede qualcosa di rilevante, mentre fino a poco tempo fa tutto o quasi era vincolato ai canoni degli orari di messa in onda dei telegiornali».
Rispetto ai suoi esordi come è cambiato il mondo del giornalismo?
«Ho iniziato, tanti anni fa, battendo le agenzie sulla telescrivente. L’arrivo delle nuove tecnologie ha inciso anche sul modo di lavorare; io, ad esempio, mi occupo anche del montaggio dei servizi, una cosa impensabile fino a pochi anni fa. Ma a parte questo, direi che nulla è cambiato, il mestiere è sempre lo stesso».
Cosa consiglierebbe a chi volesse diventare giornalista?
«Io ritengo che per fare questo mestiere siano determinanti tre fattori: anzitutto, la vocazione, sentire di voler fare questo mestiere; poi, tanta passione, unita ad una grande curiosità e a un grande spirito di sacrificio; e, ultima non meno importante, una grande preparazione culturale. Chi riesce a combinare questi tre fattori, secondo me, può fare molto bene questo bellissimo lavoro».
In una tv satellitare è più facile arginare le pressioni della politica?
«Le pressioni sono uguali ovunque, nel mondo dell’informazione, ma è importante sapervi resistere; per quanto mi riguarda, una delle prerogative di Sky Tg24 è da sempre l’assoluta indipendenza, dichiarata fin dalla nascita, e penso che a distanza di tre anni siamo riusciti a mantenerci su questa linea, che continueremo a seguire».
OLIMPIA L’Olimpiade di Melpomene di Mario Basile

Alzi la mano chi non si è emozionato grazie alle imprese olimpiche di Nadia Comaneci, Gabriela Andersen-Scheiss o della nostra Sara Simeoni. Spettacolo allo stato puro firmato da atlete meravigliose.
In pochi, però, sanno che il barone De Coubertin, fondatore delle Olimpiadi moderne, non voleva che le donne partecipassero ai giochi. Infatti alla prima edizione, tenutasi ad Atene nel 1896, non vi fu posto per nessuna atleta del gentil sesso: proprio come accadeva nelle Olimpiadi antiche.
De Coubertin concepiva le moderne Olimpiadi come un modo per promuovere la pace tra le nazioni spesso in guerra. Era questo un fattore comune con i giochi antichi, dal momento che in Grecia venivano sospese tutte le guerre nel periodo delle gare. Il barone francese, per rispetto della tradizione, decise di organizzare la prima edizione ad Atene, oltre che precludere la partecipazione alle atlete. Scelta infelice quest’ultima, dal momento che la posizione della donna in società stava prendendo sempre più forza. Basta pensare che pochi anni prima Stuart Mill aveva pubblicato The Subjection of Women, fondamento della letteratura femminista.
Il[ 6 Aprile del 1896 cominciarono i primi giochi olimpici dell’era moderna. La gara più attesa, manco a dirlo, era la maratona: la gara di atletica leggera che celebra l’impresa del soldato ateniese Filippide.
Naturalmente nessuna atleta poteva prendervi parte, ma quel 10 Aprile 1896, tra lo stupore generale di pubblico e organizzatori, anche una donna si presentò ai nastri di partenza. Fu soprannominata Melpomene, che nella mitologia greca è la musa della tragedia. La sua reale identità è tuttora ignota. Molto probabilmente si tratta di Stomathis Rovithi, una donna greca di umili origini che già un mese prima aveva percorso il tracciato della gara ottenendo un buon tempo.
Quello che è certo è che gli organizzatori si opposero ed impedirono a Melpomene di misurarsi coi colleghi uomini. Eppure lei non si scoraggiò: troppo forte la voglia di dimostrare al mondo il suo valore. Quando il commissario di gara diede il via, Melpomene partì comunque, a lato del tracciato.
La differenza di preparazione e di fisico si fece sentire. Rimase tutta la gara nelle ultime posizioni, ma non mollò. Giusto il tempo di una sosta per dissetarsi e poi via verso il traguardo: lo stadio Panathinaikos di Atene.
A dieci chilometri dal termine, molti atleti, sfiniti, si ritirarono. Non Melpomene, che giunse all’ingresso dello stadio con un'ora e mezza di ritardo da Spiridon Louis, il vincitore della gara. Anche qui gli organizzatori le si pararono davanti, benché lo stadio fosse oramai vuoto, e le impedirono di correre il giro finale all’interno. Melpomene fece spallucce e completò il tragitto percorrendo il perimetro esterno della struttura.
La sua impresa durò in tutto quattro ore e mezzo, anche se non esiste alcun dato ufficiale. Il suo nome non fu inserito nelle classifiche ufficiali né nel medagliere: Melpomene non meritava così tanto onore.
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