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Telegiornaliste anno III N. 29 (107) del 23 luglio 2007


MONITOR Alessandra Addari, amica della gente di Giuseppe Bosso

Nata a Cagliari, Alessandra Addari, dopo varie peripezie, entra nel 1990 nella redazione di Cinquestelle Sardegna: una tv regionale con sede ad Olbia che aveva a Cagliari una piccola base con due soli redattori: Alessandra, appunto, e il direttore.
Con lui Alessandra ha lavorato per circa sette anni, occupandosi di tutto, dallo sport alla cronaca, e collaborando nel frattempo con alcune riviste. Lasciata l'emittente, nel 1997 ha iniziata a collaborare al tg di Videolina. Nel frattempo insegnava diritto e comunicazione nei corsi di formazione professionale. Ha anche diretto una rivista che si occupava di riabilitazione di tossicodipendenti, Bhang, che aveva una redazione particolare, formata da ex alcolisti, carcerati, eroinomani.
Nel 2000, con il cambio di editore nel gruppo Unione Sarda, le fu offerta la possibilità di condurre la rubrica Oggi al mercato. Da qui sono iniziate le collaborazioni negli altri programmi di informazione, fino al 2007, che l'ha vista conduttrice della trasmissione Le Feste insieme ad Enrico Rais.
Alessandra scrive per l'Unione Sarda, ogni tanto insegna giornalismo, da autodidatta, a chi le chiede di iniziarlo alla professione.
Che ricordi hai dei tuoi esordi nel mondo del giornalismo,non proprio agevoli, a quanto mi hai detto?
«Quando iniziai il mio primo lavoro ero al settimo cielo perché era un sogno che si realizzava: ricordo con tenerezza la mia prima intervista, ad una persona ricoverata in una casa di cura per malattie mentali, che mi colpì molto. Ma ben presto, superata la fase dell’entusiasmo, ho capito le difficoltà e le insidie che comporta questo mestiere, soprattutto per una donna: l’ostracismo dei colleghi più anziani, che non mi hanno dato molto aiuto e, anzi, per lo più hanno cercato di dissuadermi dal continuare. Un consiglio che mi sono ben guardata dal seguire».
Quale settore dell'informazione tratti con maggior piacere?
«A me piace trattare soprattutto temi legati alle problematiche sociali delle fasce deboli, come i disabili: niente mi gratifica più che poter dare ascolto a queste persone e ai loro disagi. Altri temi, come sport e politica, li tratto solo se mi costringono con una pistola puntata alla tempia».
Al tempo in cui dirigevi Bhang, rivista dedicata ai tossicodipendenti, hai ricevuto collaborazione dall'esterno?
«Purtroppo non molta. Inizialmente abbiamo potuto contare su un finanziamento dell’Unione Europea, e io accettai con entusiasmo di continuare il lavoro della collega che aveva fondato la rivista. Mi piacque vedere nei ragazzi che lavoravano con me (ex tossicodipendenti) una voglia e un entusiasmo enorme di portare avanti l’iniziativa: potevano interagire con persone che ai loro occhi costituivano i “normali”, in senso ovviamente di gente al di fuori del mondo della droga. Poi, sfortunatamente, i soldi del finanziamento sono finiti e ben presto anche l’idea è andata a monte, e nessuno si è più interessato a mantenerla. Un vero peccato, soprattutto per quei ragazzi che avevano trovato nel giornalismo una via d’uscita».
Oggi al mercato può dirsi come una sorta di "Virgilio" che cerca di orientare il consumatore nella "selva oscura" del mercato e dei prezzi, problematica ostica negli anni dell'euro e dei rincari. Come cerchi di porti?
«Tutte le mattine in cui vado al mercato per la trasmissione cerco di calarmi io stessa nei panni delle signore che vanno a fare la spesa. Con due scopi: orientare la gente nella scelta dei prodotti, e portare nelle case gli odori e i sapori del mercato, facendo capire, per esempio, che differenza c’è tra una orata di mare e una di allevamento. Noto che non sempre la gente compra ciò che effettivamente desidera quando va al supermercato, dove tutto è confezionato, mentre il mercato è il posto dove puoi riscoprire la genuinità dei prodotti e delle cose che desideri veramente. Come la natura le crea, dalla frutta al pesce, in base alle stagioni».
Le esperienze e i personaggi che più ti hanno colpito?
«Come ti dicevo, amo molto il contatto con la gente ed è alla gente che cerco di dare voce; ho conosciuto tantissime persone in questi anni, e con alcune ho anche creato un bel rapporto di amicizia. Penso che la ricchezza del giornalista sia proprio questo poter sempre imparare cose nuove, cogliere tanti spunti nuovi da ogni intervista e da ogni personaggio che incontra, dal botanico che ha scoperto una nuova pianta, alla persona che ha problemi per un figlio malato. È una fortuna unica».
Da autodidatta che quando può insegna giornalismo, cosa credi che occorra per affermarsi, al giorno d'oggi, nel settore?
«Una grande tenacia e un carattere forte anzitutto. Molta creatività e anche un grande senso di umanità: sono queste le doti che servono per affrontare le difficoltà del mestiere. È una cosa che occorre anche quando conduci un programma come quelli che ho fatto; ciò che più mi fa piacere, lo dico senza falsa modestia, è l’essere riconosciuta dalla gente che incontro per strada e apprezzata perché il pubblico vede in me “una di loro”, una persona che, senza egocentrismo, cerca, nel lavoro che fa, di calarsi nei loro panni».
Videolina è tra le emittenti più seguite tra i nostri lettori, anche per l'avvenenza di molte tue colleghe, come Egidiangela Sechi. La cosa vi lusinga o vi crea imbarazzo?
«Inutile nasconderlo, la bellezza aiuta molto e al pubblico piace vedere in video una bella donna (o un bell’uomo,a seconda dei casi): ti da una marcia in più ed è un valido biglietto da visita, ma naturalmente non deve rimanere fine a se stessa».
Dopo una lunga gavetta nella tua Sardegna, non sogni una significativa affermazione a livello nazionale?
«Certo, mi piacerebbe eccome, anche per confrontarmi con realtà diverse da quelle in cui ho operato fino ad oggi, per scoprire nuovi orizzonti. Sono contenta di quello che sto facendo adesso, ma non rifiuterei certo la possibilità di affrontare una nuova sfida al di fuori della Sardegna».
CRONACA IN ROSA Gli italiani preferiscono le tgiste di Erica Savazzi

Le telegiornaliste sono le preferite dei maschi italiani, più sexy delle pornostar, oggetto di apprezzamenti bipartisan, considerate per la bellezza ma anche per la professionalità. E sembra anche che l’ambito televisivo sia particolarmente “rosa”, con quasi il 70% di conduttrici donne.
Così dicono i freddi numeri delle ricerche. Ci stupirebbe il fatto che le giornaliste sono più erotiche delle pornostar: ma l'eccitazione non parte forse dal cervello?
Fino a poco tempo fa erano le ragazze da calendario le più desiderate. Almeno, così sembrava. Ma è di certo diverso guardare una Manuela Arcuri discinta dall'ammirare una Monica Maggioni – risultata la più apprezzata – in tailleur mentre, mezzobusto, illustra i fatti del giorno.
Donne curate, sicure di sé e preparate. Contro ragazze sorridenti, per fortuna silenziose, con lo sguardo languido: è la rivincita della professionalità e della “vera” donna, anche matura, che, preparata e intellettualmente vivace, parla di argomenti impegnativi.
Azzardiamo un’ipotesi: che il maschio italiano, per definizione predatore, si sia stufato della bionda in costume da bagno e abbia dirottato le sue attenzioni su "prede" più difficili. Se la soubrette o la velina si offrono allo sguardo di tutti senza troppi problemi, e senza avere molto da dire, la giornalista professionale, seduta alla scrivania, rappresenta il gusto della sfida: non è una preda, forse una predatrice di news.
E’ il sex appeal della serietà, della pacatezza, della irraggiungibilità. Più mentale che fisico.
E così la giornalista diventa la preferita. Noi, ovviamente, siamo i felici precursori del trend attuale: la professionalità continua a rimanere un punto di merito senza lasciare il posto al mero primo piano.
Almeno fino alla prossima stagione dei calendari.
FORMAT Si cambia gioco di Nicola Pistoia

L’anno appena trascorso, calcisticamente parlando, è stato scandito da eventi più o meno belli. I telegiornali e i vari programmi sportivi hanno esaltato le virtù dei nostri azzurri durante i Mondiali, e allo stesso modo hanno bastonato, anche se forse non abbastanza, i vizi di quei personaggi poco corretti che hanno contaminato uno degli sport più belli al mondo.
Fortunatamente il peggio sembra passato. Tutti speriamo di vedere un nuovo calcio, e soprattutto di non vedere più immagini di violenza, come quelle che ci hanno accompagnato lo scorso inverno.
Il 26 agosto riparte il campionato con le tre grandi, Milan, Inter e Juve, di nuovo tutte in serie A.
La novità è che, in concomitanza con l’inizio dell'anno calcistico, entra in vigore il “Codice di autoregolamentazione delle trasmissioni di commento degli avvenimenti sportivi", voluto dal ministro delle Comunicazioni Gentiloni, da quello della Giustizia Mastella e dal ministro dello Sport Giovanna Meandri. Un decreto non solo importante: necessario.
Oltre a denunciare i fatti di violenza fuori dagli stadi, bisogna anche porre l'attenzione su quanto avviene durante le trasmissioni televisive: fin troppo spesso volano parole e insulti di ogni genere.
Il decreto di autoregolamentazione, per porre un freno a questo genere di televisione urlata e maleducata, obbliga il conduttore a interrompere la trasmissione in caso di «comportamenti improntati alla violenza e all’odio».
Vieta inoltre la messa in onda di immagini violente e di espressioni particolarmente offensive, e stabilisce che la correttezza e i valori sportivi dovranno essere sempre garantiti.
Non ci resta che sperare che queste regole vengano rispettate: del resto, non sono poi così difficili da seguire. Basta la buona volontà. Chi non ci dovesse riuscire se la vedrà con la Lega Calcio.
Sono pronte infatti sanzioni di ogni genere: dal taglio dei contributi alla revoca dell’accesso alle tribune stampa.
Giornalisti sportivi di tutta Italia: siete avvisati!
CULT Abu Ghraib. Abuso di potere di Antonella Lombardi

Novembre 2003, prigione di Abu Ghraib. La guerra in Iraq è iniziata da sei mesi. Il mondo fuori non sa ancora l’orrore che si consuma all’interno di quelle mura. Un anno dopo, le foto che ritraggono gli abusi commessi dai poliziotti dell’esercito americano faranno il giro del mondo. C’è Lynndie England, la giovane soldatessa fiera e dritta in piedi sopra il corpo di un musulmano nudo tenuto al guinzaglio. Ci sono uomini ammassati, incappucciati, sofferenti, con i segni di una tortura protratta per ore e assurde coreografie che ritraggono corpi - oggetto svuotati di ogni individualità.
Adesso la mostra Abu Ghraib. Abuso di potere, con le opere su carta di Susan Crile, al museo di Roma in Trastevere, trasferisce su tela l’orrore delle foto scattate nel carcere iracheno.
L’impatto scioccante procurato da quelle immagini si trasmette intatto dalle opere dell’artista. A distanza di tempo, spiazza l’assurdità di una violenza che avrebbe fatto dire a un caustico investigatore di vedere «niente più di una Animal House nel turno di notte».
Gli abusi, ridotti alla loro essenza degradante, sono resi con materiali semplici e tuttavia immediati, almeno quanto le istantanee diffuse nel pianeta e che rimbalzarono da un mezzo di informazione all’altro. «La fragilità della carta, la delicatezza dei gessetti potrebbero essere visti come la metafora della fragilità degli esseri umani che raccontano. Ma l’effetto che ci spiazza e che torna a sconvolgerci è l’estrapolazione di una quintessenza del dolore e dell’umiliazione attraverso la sintesi del disegno e l’astrazione del colore», ha detto della mostra la giornalista Irene Bignardi.
Per quante ore un prigioniero può sopportare posizioni di stress? Quattro, cinque? Le tabelle e i dibattiti distaccati e asciutti sui supplizi sono nei memorandum del Pentagono, scritti «da uomini e donne in uffici con l’aria condizionata e le cui nozioni di durezza derivano da un mondo completamente diverso», nota il giornalista del New Yorker, Mark Danner. Alla fine di uno di questi documenti una frase scarabocchiata: «Io propongo otto o dieci ore al giorno. Perché limitarlo a quattro ore?».
A firmarla, sotto le proprie iniziali, il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld.
Ora, per non far scivolare via la tortura dal nostro patrimonio di immagini, c’è tempo fino al 30 settembre per visitare la mostra al museo di Trastevere.
DONNE La sindacalista dei pazienti di Valeria Scotti

Combattere per la propria salute e per quella degli altri. Prevenire e sensibilizzare la società nei confronti di una realtà in continua evoluzione. Questi sono alcuni dei cardini della vita di Rosaria Iardino, Presidente NPS Italia Onlus e direttore editoriale della rivista trimestrale Parliamone D+.
Metà Anni 80. Rosaria scopre di essere HIV positiva. Ha 18 anni appena. La sua esistenza, da quel momento, si schiera a favore del mondo legato all’Hiv - Aids. Impegno sociale, lotte, volontariato. Vicepresidente del Circolo Mario Mieli, consulente all’Anlaids di Roma. E poi portavoce delle donne sieropositive al I Congresso Mondiale di Firenze e rappresentante europea delle Persone Sieropositive fino al 1992.
Ancora vivo il ricordo del bacio - provocazione, immortalato da foto e telegiornali. Suo complice, il professore e immunologo Ferdinando Aiuti, a testimonianza che l’infezione HIV non si trasmette semplicemente con un gesto d’affetto.
Da quell’azione dimostrativa sono passati più di quindici anni, ma l'ignoranza sulla sieropositività, nell'opinione pubblica, è ancora diffusa.
Oggi Rosaria fa parte di quattro Commissioni ministeriali , tra cui il Comitato Tecnico per le campagne d’informazione sull’AIDS e l'Osservatorio Nazionale Malattie per la Commissione di Sorveglianza sull’AIDS. Dirige inoltre il portale NPS, una finestra online gestita prevalentemente da persone affette da HIV. Il sito offre informazioni sul virus, consulenze di professionisti e un forum per incontrarsi e confrontarsi.
La lotta di Rosaria in difesa dei diritti dei malati – attività che le ha conferito riconoscimenti e il soprannome di sindacalista dei pazienti - è inarrestabile.
La sua forza è nel buddismo, nella passione per la letteratura ebraica e, sicuramente, nel ricordo di quell’incontro, tanti anni fa, con Madre Teresa di Calcutta. Che le sussurrò: «Don’t worry, you won’t die for AIDS».
Non preoccuparti, non morirai di AIDS.
TELEGIORNALISTI Aldo Torchiaro, nuovo volto di Omnibus di Giuseppe Bosso

Questa settimana abbiamo incontrato il giornalista politico Aldo Torchiaro. Nato a Roma il 24 aprile 1974, professionista dal 2006, Aldo conduce trasmissioni di approfondimento politico parlamentare sul canale 890 di Sky, Nessuno TV, ed è autore di saggi di politica interna ed internazionale.
Attualmente è anche su La7 come conduttore di Omnibus estate insieme a Paola Cambiaghi e Luisella Costamagna.
Aldo, che bilancio puoi trarre dopo queste prime settimane di Omnibus estate?
«Solo considerazioni positive: quanto ad ascolti, stiamo mantenendo quel 5% di share che la trasmissione consegue normalmente. Ma in ogni caso non siamo noi conduttori, ma il pubblico, gli spettatori, che devono dare un giudizio. Vedremo a settembre».
Quando Paola Cambiaghi sostituì Marica Morelli molti lettori si dimostrarono scettici, anche perché non è giornalista…
«Mi trovo molto bene con Paola. La ammiro perché riesce a conciliare l’attenzione per l’attualità propria di un giornalista che si rispetti con una grande capacità di tenere la scena. È una presenza che si sente in studio, e riesce ad attirare con simpatia su di lei l’attenzione del pubblico che ci guarda.
Per quanto riguarda i dubbi dei vostri lettori: la lettura dei quotidiani per la rassegna stampa non deve essere fatta da un giornalista iscritto all’Albo, l'importante è riuscire a farsi capire da chi ci guarda da casa. E in questo Paola ha delle capacità notevoli».
La tua esperienza nella carta stampata ti è servita nel passaggio alla tv?
«Sì, è stato importante quello che ho fatto sia per Il Riformista che per L’Opinione e le altre testate con cui ho collaborato: esperienze indispensabili per la formazione che ti danno.
A proposito, voglio segnalare una cosa a cui tengo molto e che partirà da settembre su Nessuno tv: un tg politico fatto da giovani professionisti. Da anni lavoro in questo canale, che è in crescita: speriamo di continuare la tendenza con questo progetto che seguirà da vicino i lavori parlamentari e la vita politica del Paese».
Quali sono i segreti del successo di Omnibus?
«Direi che è la formula il segreto essenziale; la sto vivendo con Paola, conciliando la freschezza e la verve giovanile con l’attenzione per il linguaggio della notizia, senza essere troppo seriosi. Il nostro compito, come del resto quello dei colleghi che curano l’edizione invernale, è proprio quello di fare da traino per il cuore della trasmissione che è rappresentato dal dibattito condotto da Luisella Costamagna con gli ospiti in studio».
E' un peso rinunciare alle vacanze per restare sull'Omnibus?
«No, vivo questa esperienza con molto entusiasmo ed era un’occasione talmente importante che ha avuto la priorità su altre considerazioni. Del resto, i modi per rilassarsi, per staccare la spina, ci sono sempre».
Allora pensi di restare a bordo anche dopo l’estate?
«Da parte mia non ci sarebbero problemi. Ma al di là di come andrà a svilupparsi il mio rapporto con La7, il mio desiderio è continuare a fare questo lavoro sempre con il massimo impegno, a cominciare dal tg di Nessuno tv».
SPORTIVA Uomini duri? Meglio esser donna di Mario Basile

I giorni di metà luglio segnano l’inizio della fase clou dell’estate. Caldo e afa, però, non fermano le nostre sportive, sempre pronte a far notizia. Per alcune servono i risultati, per altre basta la vita privata.
E’ il caso, quest’ultimo, di Philippa York, balzato alla ribalta qualche settimana fa. Agli appassionati sportivi, anche quelli più informati, questo nome non dirà nulla. In effetti definirla sportiva sa di forzatura, eppure lei con lo sport c’entra eccome.
Fino a quattro anni fa, Philippa York non esisteva. Esisteva Robert Millar, ciclista scozzese. Bravo così tanto in salita da conquistare una maglia a pois al Tour de France ’84, un secondo posto al Giro d’Italia ’87, e da guadagnarsi, nell’anno dell’exploit alla kermesse francese, il titolo di «personalità sportiva britannica dell’anno» messo in palio dalla BBC.
Torna alla ribalta dopo ventitré anni, grazie allo scoop del Daily Mail. Robert Millar oggi è Philippa York: ha cambiato sesso e vive nel Dorset con la compagna. Sono lontani i tempi di scatti e scalate. A quarantanove anni ha deciso di godersi la tranquillità della campagna inglese: la bici è diventata solo un hobby.
I più curiosi non hanno esitato a chiedersi il motivo del radicale cambiamento. E le solite malelingue hanno subito pensato a un eccessivo uso di ormoni durante la carriera, chiusa da ormai quindici anni. Per la serie: L’ombra del doping si insinua dovunque…
Curioso il parallelo tra la storia di Millar e quella di Edinanci Fernandes da Silva, la judoka brasiliana ermafrodita.
Il percorso di Edinanci è, però, inverso. Lei è una sportiva a tutti gli effetti, essendosi operata a soli vent’anni, poco prima dei Giochi Olimpici di Atlanta ’96. Da allora in poi, il suo palmares conta tre partecipazioni alle Olimpiadi, due bronzi ai mondiali e un oro ai Giochi Panamericani.
Di lei la nostra Lucia Morico, dopo averla battuta alle ultime Olimpiadi, disse: «Combatte con la forza di un uomo. Ma le manca la grinta di una donna». Non si può mica avere tutto dalla vita.
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