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Telegiornaliste anno III N. 40 (118) del 5 novembre 2007


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MONITOR Luisa Barbieri, l'informazione vicina alle persone di Giuseppe Bosso

Giornalista professionista dal 2004, Luisa Barbieri è laureata in Filosofia all'Univerità Statale.
Durante gli studi arrivano le prime collaborazioni, poi la prima esperienza a Telelombardia, nel 1998. Un anno dopo passa a Telecity dove si occupa di sport e, solo a distanza di qualche mese, comincia a lavorare nella redazione news.

L'esperienza cresce e da allora si occupa preferibilmente di cronaca nera e giudiziaria, ma anche di politica, istituzioni e spettacolo. Conduce, a rotazione con altri colleghi, l'edizione delle 19.00 del tg.
Ogni giorno per lei è una sfida nuova: vissuta con la stessa passione di sempre.

Luisa, come si è avvicinata al giornalismo?
«Nel ventaglio delle ipotesi prese in considerazione da sempre c'era anche il giornalismo. Non avevo le idee chiare riguardo a cosa avrei fatto davvero nella vita. Ho iniziato a misurarmi con questa professione grazie a piccole collaborazioni durante gli anni universitari; poi, otto anni fa, la prima esperienza importante, a Telelombardia, e in seguito a 7 gold. Lavorando sul campo, come si dice, ho capito che era questa la mia strada».

Quali sono i colleghi e le colleghe a cui si è ispirata?
«Riguardo alla conduzione del tg, il mio modello è Maria Luisa Busi, collega che ammiro molto per la classe e la professionalità».

7 gold è una realtà in costante crescita; è in emittenti emergenti come questa che c'è il futuro dell'informazione?
«Certamente il fatto di essere più vicini alla realtà del territorio è un vantaggio. E offre forse al pubblico la possibilità di conoscere meglio i connotati di ciò che gli è più vicino. Il giallo di Garlasco è un esempio: noi siamo fonte di costanti aggiornamenti».

E a proposito della vicenda citata, che ha allargato la lista nera delle tragedie della provincia italiana degli ultimi anni, da Novi ligure a Erba: come mai, secondo lei, c'è tanto interesse per queste
vicende?

«Credo che l'attenzione sia maggiore per i drammi familiari proprio perché sono storie che raccontano cosa c'è a volte fra le mura domestiche. Si tratta di una tendenza ormai radicata nella nostra società, che suscita anche pietà e comprensione per le vittime».

Il successo di Beppe Grillo e della sua informazione "sommersa" costituisce un sintomo della crisi di quella istituzionale?
«Sì, per alcuni aspetti. Grillo si è fatto portavoce di un malessere e un malcontento per il quale le istituzioni non riescono a dare risposte concrete. Bisognerà semmai vedere, qualora dovesse realmente scendere in campo, se saprà tenere fede alle sue idee e alle aspettative che la gente ha riposto in lui».

Ha mai subito condizionamenti nel suo lavoro?
«Fortunatamente no, ho avuto la fortuna di poter essere libera quasi sempre nel mio lavoro. Qualche volta, forse, è capitato, ma penso che la cosa più importante nel nostro mestiere sia non perdere mai quell'obiettività e quell'imparzialità che richiede l'essere giornalisti al servizio dell'informazione».

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MONITOR Melissa Theuriau, l'impegno per la professione di Giuseppe Bosso

Solitamente incentrato sulle tgiste nostrane, Monitor questa settimana oltrepassa i confini del Belpaese, occupandosi di una anchorwoman transalpina molto seguita anche sul nostro forum: Melissa Theuriau.

Originaria di Échirolles, nel sud della Francia, ha mosso i primi passi nel mondo del giornalismo televisivo presso l’emittente Match Tv nel 2002, per poi passare, l’anno successivo, al canale LCI, appartenente al prestigioso circuito TF1: in pratica, una Mediaset d’oltralpe. Qui ben presto si fa notare dal grande pubblico per il carisma e la spigliatezza, oltre che per il suo fascino.

Ma Melissa non è affatto una «bella senz’anima», o belle sans anime che dir si voglia: è molto determinata a farsi strada nel mondo dell’informazione accettando anche sfide rischiose.
Come quando, l’anno scorso, rifiuta la vantaggiosa proposta di affiancare il direttore aggiunto dell’informazione, Claire Chazal, per tentare nuove strade. Di lì a poco Melissa passa a M6, dove conduce il magazine Zone interdite, trasmissione ultradecennale di giornalismo investigativo della prima serata domenicale.

A inizio 2007 Melissa viene assunta dall’emittente Paris Première che le affida la conduzione della trasmissione settimanale Deux, trois jours avec moi, in cui viene "invitata" da personaggi famosi ad intervistarli in città a loro care, e di Un jour, une photo, dove racconta i segreti e le curiosità legate ad alcune fotografie a cui sono dedicate le varie puntate.

Grande impegno sul lavoro, ma anche grande impegno nel sociale per questa donna che, assieme ad altre quattro colleghe, è diventata madrina dell’operazione Unicef "Le rose", a sostegno dell’istruzione dei bambini nel mondo. Melissa è anche sostenitrice dell’organizzazione Rêves, che opera a favore dei bambini degenti negli ospedali.

Bella fuori e soprattutto dentro, la Theuriau merita decisamente il grande successo e il seguito che ha saputo conquistare negli anni, testimoniato dalla nascita di un sito a lei dedicato da un gruppo di suoi accesi fan.
Forse Telegiornaliste ha fatto scuola anche in Francia!

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CRONACA IN ROSA Appuntamento a Roma di Erica Savazzi

Appuntamento a Roma, sabato 24 novembre, alle 14.00, per far sentire la voce delle donne, per chiedere provvedimenti legislativi ma soprattutto un cambiamento culturale, per portare alla ribalta un problema evidente a tutti ma che, secondo le associazioni femminili, femministe e lesbiche di tutta Italia, non viene affrontato adeguatamente.

Il problema - o più propriamente dramma – affrontato ogni giorno da migliaia di donne è quello delle violenze: violenza psicologica, fisica, sessuale. Secondo il rapporto Istat La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia con dati relativi al 2006, sono quasi sette milioni le donne tra i 16 e i 70 anni che nel corso della loro vita hanno subito violenza fisica o sessuale.

Ma non da sconosciuti: «I partner sono responsabili della quota più elevata di tutte le forme di violenza fisica rilevate», ovvero spinte, strattoni, schiaffi, botte, fino ai tentativi di strangolamento e alla minaccia con armi. «I partner sono responsabili in misura maggiore anche di alcuni tipi di violenza sessuale, come lo stupro, nonché di rapporti sessuali non desiderati, ma subiti per paura delle conseguenze. Il 69,7% degli stupri, infatti, è opera di partner, il 17,4% di un conoscente. Solo il 6,2% è opera di estranei. Il rischio di subire uno stupro piuttosto che un tentativo di stupro è tanto più elevato quanto più è stretta la relazione tra autore e vittima».

E denunciare è difficile: la quasi totalità delle violenze resta sommersa, con le vittime che solo nel 18,2% dei casi percepiscono la violenza in famiglia come reato, contro il 44% che la vede come qualcosa di sbagliato e il 36% che – fatalisticamente – la interpreta come qualcosa che è accaduto.
Da notare che il 62,4% delle intervistate ha dichiarato che i figli hanno assistito a uno o più episodi di violenza.

Tutte in piazza, allora, per denunciare questi dati, per chiedere più attenzione, per ribadire la libertà di scelta delle donne nella vita pubblica e privata, per sensibilizzare donne e uomini, per chiedere rispetto.

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FORMAT Il pagellone di ottobre di Giuseppe Bosso

10 con lode al più antipatico e amato dei medici del piccolo schermo, ossia il Dr.House. Approdato quasi in silenzio nel palinsesto di Italia1 due anni fa, il cinico e caparbio dottore interpretato da Hugh Laurie, che ha tenuto testa nella gara degli ascolti anche al Festival di Sanremo, passa trionfalmente sulla rete ammiraglia di Cologno Monzese senza risentirne. Anzi.
Oltre sei milioni di telespettatori alla “prima” su Canale5 (22% di share) e standard conseguiti su Italia1 più che confermati. È lui il vero trionfatore del mese.

Un eccellente 9 a Michele Santoro e Annozero. Che si parli di Prodi o di Berlusconi, di Grillo o di Clementina Forleo, di politica o di giustizia, lui c’è sempre. In prima linea, senza timori, senza peli sulla lingua. Come il collega Marco Travaglio.

Merita un 8 il "salto" di Ilaria D’Amico. Regina del calcio a Sky, regina in prima serata a Exit, il lunedì, che per il secondo anno ripropone le sue inchieste a tutto tondo e i suoi reportage scottanti, come quello della prima puntata su Chiesa e omosessualità. È ormai una vera garanzia della nostra televisione, e non certo la regina del "guardonismo catodico".

7 a sorpresa per Tempesta d’amore. E’ ormai un anno che questa soap tedesca è approdata sugli schermi Mediaset: non era facile affermarsi in casa di Centovetrine, Vivere e Beautiful, ma le vicende del grande complesso alberghiero bavarese sono pian piano entrate nel cuore degli spettatori (e delle spettatrici), e quello che doveva essere un tampone per l’assenza estiva delle soap nostrane, per Mediaset si è trasformato in un successo di prima serata su Rete4. Tra poco usciranno di scena i due protagonisti cardine, Laura e Alexander, ma la soap continua, si spera con medesimi risultati.

Un inossidabile 6 a Maurizio Crozza. Altra garanzia di La7. Irriverente e pungente come sempre, è tornato dopo le polemiche della scorsa stagione legate all’imitazione di papa Ratzinger. Ottime anche le sue incursioni a Ballarò su Rai3.

5 di consolazione ai vari Ciao Darwin, Ballando con le stelle, L’Isola dei famosi, e a tutti quei format che dopo edizioni su edizioni non riescono a rinnovarsi nelle idee e negli sviluppi.

Un 4 da dividere almeno in cinque (Perego, Bettarini, Gregoraci, Varone, Braida) a Buona Domenica. Max Pezzali cantava Stessa storia, stesso posto, stesso bar. Noi diciamoStesso canale, stesso programma, stesso trash.

Uno sbuffante 3 al Treno dei desideri di Antonella Clerici, che evidentemente ha deciso di rendere onore ai disagi di Trenitalia. Ascolti bassi, critica non certo benevola e poca resistenza al confronto del sabato sera con Maria De Filippi. Cara Antonella, molto meglio rimanere per ora tra i fornelli de La prova del cuoco.

2, voto pessimo ma meritato, ai produttori e sceneggiatori di Vivere. E’ ufficiale, lo avevamo preannunciato ai primi di settembre: la prima soap “fatta in casa” a Canale5, dopo otto anni di passione chiude definitivamente i battenti, malgrado sia in corso una vera e propria mobilitazione da parte dei fan, anche in rete. Il ritorno di Lorenzo Ciompi, la presenza della veterana Anna Maria Malipiero e i nuovi innesti non sono bastati a salvare la barca che affonda.

Un lapidario 1 a The Box Game e a tutti quei programmi di dubbio contenuto che, oltre alle vistose forme di statuarie conduttrici, nello specifico la discussa Melita del Grande fratello, nulla aggiungono.

Un risentito 0 a Rai e Mediaset, per l’annosa e irrisolta questione prima serata. All’inizio dell’anno sembrava finalmente tornato tutto normale, e invece, dopo l’estate, si ricomincia: programmi che iniziano sempre più tardi, pubblico insoddisfatto e redazioni invase da lettere e email di protesta. Ci sarà una fine a tutto questo?

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CULT Ridillo, un musical da bar assai brillante di Valeria Scotti

Bengi, Claudio, Paul, Renzo e Albertz. Sono cinque i componenti dei Ridillo, una delle più coerenti realtà del panorama musicale italiano. Più di quindici anni trascorsi tra approcci funky e atmosfere easy listening. Un marchio di fabbrica per la band romagnola che non hai mai smesso di sperimentare e di giocare con i suoni. Soul Assai Brillante, il loro ultimo album, dà il nome anche a un musical da bar, un progetto unico in Italia che il gruppo promuove in tour. Questo e altro ancora nelle parole di Daniele Bengi Benati, voce e leader dei Ridillo.

Lo scorso marzo è partita la tournée di Soul Assai Brillante. Ce ne parli?
«L’idea è del regista Michele Ferrari con cui c’è un rapporto di amicizia e di lavoro da molto tempo. Michele conosce gli equilibri del gruppo e ha pensato di scrivere una vera e propria storia legata a noi in stile musical. Tutto parte da una sessione di prove nella cantina di una funky band in attesa dell’esibizione serale. Due le muse ispiratrici: Melania Maccaferri, attrice di Centovetrine, e Francesca Cheyenne, dj e vj di Match Music e Rtl. E’ una bella esperienza nata per posti piccoli dove si fa musica live, bar che hanno voglia di aprirsi a nuove idee come questa».

Qual è stato il percorso dei Ridillo in questi anni?
«Il gruppo nasce nel 1991. Per quattro anni abbiamo lavorato ai pezzi che sono nel nostro primo album, Ridillo. Pubblicato nel 96, è il frutto delle nostre esperienze, come il premio Yamaha Music Quest ricevuto in Giappone e il primo trofeo Roxibar di Red Ronnie. E’ un album molto variopinto e rimane forse il più genuino. Il secondo, Ridillove, raccoglie pezzi famosi come Mangio amore e ha una connotazione molto funky con atmosfere soul e lounge. Il terzo, Folk’n’Funk, aveva l’intenzione di riprendere i suoni tipici della nostra terra, la Romagna, come il liscio, e fonderli insieme a temi naif. Il quarto, Weekend al Funkcafé, è l’album che ci ha dato più soddisfazioni. Un brano è stato usato a Passaparola, mentre alcuni singoli hanno visto la partecipazione di ospiti importanti: Carmen Villani, Montefiori Cocktail, Sam Paglia e il grande Eumir Deodato.
Quanto a Soul Assai Brillante, l’idea di questo ultimo album si è dimostrata vincente. Da tanto tempo infatti ci chiedevano un album di cover. Il lavoro è stato caratterizzato da una grande ricerca, insieme a tanti amici, sui pezzi americano tradotti in italiano negli anni Sessanta e Settanta. Abbiamo riarrangiato alcuni brani e siamo arrivati a un prodotto finale di dodici canzoni».

Tra le vostre esperienze, l’apertura dei concerti italiani degli Earth Wind & Fire e di James Brown. Tuttora in atto, una collaborazione con Gianni Morandi. Quanta soddisfazione e quanta responsabilità c’è nel suonare con personaggi che hanno alle spalle una carriera così lunga?
«Aprire i concerti ti fa conoscere al grande pubblico. Ancora oggi riceviamo email di chi ci ha seguiti al concerto degli Earth Wind & Fire o a quello di James Brown. Sono testimonianze importanti, ti fanno capire che stai arrivando al pubblico giusto, quello che sa apprezzare il tuo suono.
Quanto a Morandi, tutto è partito da un pezzo scritto da me e Michele Ferrari che Gianni ha inserito in un suo album. Una sera è venuto a un nostro concerto dove avevamo preparato la cover di un suo brano, Ma chi se ne importa. Prima ci ha proposto una trasmissione televisiva su Canale5, poi ci ha voluti nelle ottanta date del suo tour. Sino a maggio scorso lo abbiamo seguito in Canada. E’ stata una grande responsabilità, soprattutto nelle serate nei maggiori teatri italiani: non eravamo solo il gruppo che accompagnava il cantante ma in certi momenti anche coprotagonisti della scena. Una grandissima esperienza che ci ha permesso di imparare alcuni trucchi da un maestro come Morandi».

Parallelamente ai Ridillo, ti occupi di musica “in proprio”. Jingle, sigle per la tv e il cinema, brani per altri artisti. Come si fa a coniugare i propri gusti con quelli di chi va a interpretare i tuoi lavori?
«A volte è più facile scrivere per gli altri rispetto alle tante censure che magari rivolgi verso te stesso. Cerco di dare loro un indirizzo diverso da quello che hanno fatto fino a quel momento, senza comunque allontanarmi troppo dal personaggio. Insieme a Paolo Belli, ad esempio, abbiamo scritto Ho voglia di ballare con te, un brano destinato al Festival di Sanremo e utilizzato poi come sigla del programma Ballando con le stelle. Mi ha fatto molto piacere ciò che un giorno Paolo mi ha detto, e cioè che riesco a scrivere “in maggiore”: ovvero canzoni allegre, fresche, positive. Senza mai essere banale».

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DONNE La Presidenta Cristina dalla nostra corrispondente Silvia Garnero

BUENOS AIRES - Cristina Fernandez de Kirchner ha vinto le presidenziali in Argentina con il 46% delle preferenze. 54 anni, avvocato e senatrice, la Kirchner è il nuovo presidente dell'Argentina e succede al marito Nestor Kirchner.
Cristina entrerà il 10 dicembre prossimo nella Casa Rosada, il palazzo del governo, e sará la prima donna a farlo in Argentina per volere popolare.

L'affluenza alle urne è stata del 74,11%, la più bassa nella storia argentina dopo il ritorno della democrazia nel 1983.

Nel suo primo intervento, Cristina Kirchner ha detto che «abbiamo vinto ampiamente, forse con la maggior differenza tra prima e seconda forza» nella storia della nostra democrazia. La futura presidenta ha ringraziato Nestor Kirchner, «il mio compagno di tutta la vita», che «con i suoi successi ed i suoi errori ha dimostrato di essere un uomo profondamente impegnato con il suo Paese ed il suo popolo». Reprimendo a tratti l'emozione, Cristina ha riproposto il suo progetto di «concertazione pluralistica» con cui superare «le vecchie antinomie» e «lavorare per i profondi cambiamenti che ci attendono».

Cristina Fernández de Kirchner: di ampia traiettoria politica, ferrea antimenemista nelle camere legislative, candidata per il “Frente para la Victoria”, fedele riflesso della nuova composizione rappresentativa in Argentina: le coalizioni dei partiti.
Così che sarà lei, fra pochi giorni, che gestirà il destino della nostra nazione.

A me piace l'idea che una donna sia capace di osare occupare uno spazio chiave del potere come lo è la presidenza della nazione. Anzi, ne sono fiera. Dopo valuteremo la sua gestione, col passar dei mesi.

Speriamo di non diventare ciechi dall'ignoranza né dai pregiudizi, e che quello che propone la candidata più popolare con molto senso comune: dialogo politico, lotta contro la corruzione, salute, lavoro e educazione, siano le mete non solo difese dal nuovo governo, ma da tutta l'opposizione.
È già l'ora che le postlauree, le costanti gestioni, pure ininterrotte nei diversi scranni del potere che ha la nostra classe politica, servano a qualcosa di più di una pensione sicura e qualche buon affare.

Il popolo argentino tutto ne sarà grato.

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TELEGIORNALISTI Ugo Francica Nava, veterano de La7 di Giuseppe Bosso

Questa settimana abbiamo incontrato Ugo Francica Nava, telecronista sportivo di La7, grande esperto delle varie discipline nonché veterano della rete televisiva fin dai tempi di Cecchi Gori.

Ugo, dodici anni nella stessa emittente: è cambiato qualcosa rispetto agli inizi?
«Sicuramente il fatto che molto del nostro lavoro di oggi è caratterizzato dalle nuove tecnologie, soprattutto internet. Certo, da un lato ciò ha portato il moltiplicarsi delle fonti di informazioni cui il pubblico può accedere, ma al tempo stesso questo richiede una maggiore accortezza da parte nostra nella selezione del materiale di partenza. Per il resto devo constatare che quel tanto auspicato pluralismo non si è realizzato, i grandi editori sono sempre gli stessi e hanno ancora in mano il monopolio del mercato. Si è visto, ad esempio, per il digitale terrestre, che al momento rappresenta una sfida ancora da vincere, almeno al di fuori del settore pay tv».

Cosa ha comportato per lei e i suoi colleghi l'avvento del digitale terrestre e dei diritti sul campionato a La7?
«Premesso che facciamo il nostro lavoro con grande piacere e soddisfazione, sia che riguardi le telecronache che le interviste del dopopartita o i collegamenti a bordocampo, dovendo occuparci soprattutto delle squadre per cui La7 ha i diritti abbiamo in qualche modo idea di come dobbiamo porci nelle telecronache.
Intendiamoci, non voglio certo dire che dobbiamo essere di parte, ma che occorre una maggiore attenzione, tenuto conto delle esigenze e delle aspettative del pubblico che ci segue».

Cosa pensa del caso Del Piero che abbiamo vissuto ultimamente? Il capitano della Juve è davvero in declino come si pensa?
«Non parlerei di declino, assolutamente. È ovvio che anche i grandi giocatori, quando arrivano a fine carriera, non possono pretendere dal loro fisico le stesse cose di dieci o quindici anni prima.
Stiamo parlando di uno dei più grandi campioni di sempre, che ha dato e sta dando ancora molto al nostro calcio, e il talento e la classe non cessano mai quando ci sono.
Venendo alla vicenda legata al rinnovo contrattuale con la Juventus, penso che tanto lui quanto il fratello procuratore abbiano giustamente cercato di sfruttare al massimo la sua posizione: non dimentichiamoci che Del Piero ha accettato di scendere in serie B da campione del mondo, per la società bianconera è più di un semplice giocatore, è un simbolo, ed è anche giusto aspettarsi un trattamento perlomeno pari a quello degli altri giocatori che hanno vissuto da protagonisti il ritorno in serie A della squadra».

Da catanese, cosa pensa del difficile anno, sportivamente parlando, che ha attraversato la sua città, dopo la tragedia di Raciti?
«Sono siciliano e me ne vanto! Purtroppo il fatto che la tragedia sia accaduta nella mia città ha amplificato la vicenda, ma credo potesse accadere anche in altre città italiane. È innegabile che Catania sia una città difficile, per il pubblico e per la collocazione dello stadio, ma in fondo è una realtà non molto diversa da quella di altre frange non meno calde, da Roma a Milano.
E' bene in ogni caso non confondere chi vive il calcio come una sana passione con i teppisti: qui si passa dallo sport al diritto penale! Le società, in questo senso, non mi pare stiano facendo molto a parte proclami di sorta, delegando per lo più il problema alla giustizia ordinaria che ha i suoi limiti e le sue sfaccettature. Il caso di Roma - Napoli, a cui hanno potuto assistere i soli abbonati romanisti, è esemplificativo della vera e propria situazione di ricatto in cui talvolta versano le squadre rispetto a queste frange di facinorosi».

Che differenze ha riscontrato tra la direzione Biscardi e quella Pastorin?
«Aldo è un personaggio straordinario, per la sua grande passione e la sua veemenza verbale; lavorare con lui è stata un'esperienza molto gratificante, ma c'è anche da dire che la sua visione "calciocentrica" ha penalizzato un poco le altre discipline sportive. Diversa è stata la posizione di Darwin Pastorin, uomo di profonda sensibilità e, adesso, di Antonello Piroso, che lo ha sostituito di recente».

Non solo sport nel suo curriculum giornalistico: ha anche collaborato alle news sulla guerra in Iraq. Per un giornalista sportivo trattare altri argomenti cosa comporta?
«Ogni settore ha le sue specificità e le sue caratteristiche peculiari, e se si riesce a passare da uno all'altro si sviluppano indubbiamente grandi competenze e qualità. La cosa importante è in ogni caso riuscire sempre a essere intermediari umili e onesti tra la notizia e il pubblico, sia che ci si occupi di sport, di economia o di cronaca».

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SPORTIVA Le tre stelle del fioretto azzurro di Mario Basile

Sono le regine della scherma italiana. Per quello che hanno fatto, potremmo chiamarle anche le fantastiche tre del fioretto, alludendo alla loro specialità e spostando le loro gesta sportive su un piano “supereroico”. Stiamo parlando, ovviamente, di Giovanna Trillini, Valentina Vezzali e Margherita Granbassi.

L’ultimo capolavoro lo hanno compiuto un mese fa, ai Mondiali di San Pietroburgo, conquistando i primi tre posti della competizione: prima la Vezzali, seconda la Granbassi e terzo posto per la Trillini. Proprio come nell’edizione dell’anno precedente disputatasi a Torino. Lì, però, a festeggiare l’oro fu Margherita Granbassi. La prossima tappa mondiale di Pechino, il prossimo aprile, servirà a confermare che non c’è due senza tre.

L’egemonia delle azzurre del fioretto è iniziata nel ’94. Europei di Atene: argento nella prova individuale e a squadre per la Vezzali, argento solo in quest’ultima per la Trillini.

All’epoca Giovanna Trillini era già una star del panorama sportivo azzurro. Due anni prima, ai giochi di Barcellona ‘92, era stata la prima atleta donna a vincere due medaglie d’oro nella stessa olimpiade: impresa che le valse la nomina ad alfiere olimpico, quattro anni dopo ad Atlanta.
I risultati ottenuti negli anni successivi consacrarono il suo talento. Basta pensare che nel suo palmares conta, tra le altre cose, quattro medaglie d’oro olimpiche, nove mondiali e due europee.
Oggi, a 37 anni suonati, è ancora sulla cresta dell’onda ed è l'atleta azzurra che ha vinto più ori olimpici di sempre, insieme all’amica - rivale Valentina Vezzali.

Trentatreenne e marchigiana, di Jesi, come la Trillini, Valentina Vezzali si è imposta al grande pubblico a suon di vittorie, record e grandi imprese. Le vittorie sono un’antica abitudine: da quando ragazzina militava nelle nazionali giovanili, passando per l’oro olimpico, il primo, di Atlanta fino ad arrivare a quelli mondiali ed europei. Il record, invece, l’ha ottenuto alle olimpiadi di Atene 2004, bissando la vittoria nella prova individuale del fioretto: cosa riuscita solo all’ungherese Elek più di cinquant’anni prima.
Il mondiale di Lipsia, vinto due anni fa a pochi mesi dalla nascita di suo figlio Pietro, fece da anticamera al momento più difficile della carriera: un lungo stop per un infortunio ai legamenti del ginocchio. La vittoria di un mese fa, a San Pietroburgo, l’ha rilanciata alla grande anche in ottica olimpiade, che si terrà l’anno venturo a Pechino.

Chi invece vi cercherà gloria per la prima volta è Margherita Granbassi. Lei, ventottenne triestina, ai giochi olimpici non ha vinto ancora nulla, ma le vittorie e gli ottimi piazzamenti a mondiali ed europei l’hanno fatta entrare di diritto nel “dream team” azzurro del fioretto femminile. La sua bellezza ha attirato l’attenzione dei media, soprattutto della tv. Margherita, però, ha messo subito in chiaro le cose: la sua priorità è la scherma. In futuro vorrebbe tentare di coronare un suo sogno: diventare giornalista. Proprio come suo nonno, Mario Granbassi, famoso giornalista radiofonico degli anni ’30.
Un futuro, però ancora lontano. Anzi, lontanissimo. Gli occhi di Margherita sono già puntati ai prossimi appuntamenti iridati. Le avversarie sono avvisate.

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