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Telegiornaliste anno IV N. 16 (141) del 28 aprile 2008

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MONITOR Ambra Pintore, tradizioni e costumi dell'affascinante Sardegna di Giuseppe Bosso

Nata a Roma, Ambra Pintore è giornalista pubblicista. Da dieci anni conduce Sardegna Canta su Videolina, trasmissione dedicata ai costumi, alla musica e al folklore della regione.

Possiamo definirla una "telegiornartista"?
«In questo momento della mia vita mi sto dedicando meno al telegiornale e più alla trasmissione che conduco e ad altri progetti editoriali. L'informazione è comunque al centro di tutto ciò che faccio».

Che effetto le fa condurre il programma più longevo di Videolina?
«Sono dieci anni ormai che conduco Sardegna Canta e sono molto orgogliosa di questo. Avendo studiato canto e danza, mi sento davvero a casa. Ciò che mi piace di più è il fatto che questo tipo di programma ti permette di essere vicina davvero alla gente, di partecipare attivamente con il pubblico e di sentirti una di loro. E' questa la televisione che voglio».

Le tradizioni e i costumi di una terra affascinante come la Sardegna possono essere valorizzate da una trasmissione come la sua?
«Certo. Il nostro è forse l'unico programma d'Italia che si occupa in questo modo dei costumi e delle tradizioni della sua regione. E' un grande merito di Videolina che, da oltre trent'anni, cerca di essere vicina al suo territorio».

In occasione del Capodanno 2007, fu protagonista suo malgrado di uno sgradevole episodio riportato anche da Atzori nel suo blog. Ripensandoci, cosa prova oggi?
«Cosa dire? A Capodanno, si sa, si tende ad alzare un po' il gomito e quindi, tra un bicchiere e un altro, può succedere di dare anche qualche numero, ma quella persona penso abbia capito. D'altronde, per qualche mese, ha anche temuto una denuncia, cosa che alla fine ho preferito non fare. Per il resto, al di là del grande fastidio del momento, è una cosa che ho superato e non penso sia nemmeno il caso di parlarne tanto».

La Sardegna, di recente, è stata teatro di una violenta rivolta contro le navi di rifiuti dalla Campania. Cosa ha pensato a riguardo?
«Credo che accogliere i rifiuti in Sardegna sia accettabile per solidarietà nazionale, ma c'è il dubbio che dietro queste scelte si celino ben altre motivazioni politiche».

Cosa sogna Ambra Pintore per il suo domani?
«Sicuramente tanti progetti. Spero di continuare questo lavoro, magari riprendendo anche a fare teatro e alternandolo con la televisione».
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CRONACA IN ROSA Le donne brasiliane contro le multinazionali della cellulosa di Federica Santoro

In mezzo secolo è raddoppiato il consumo mondiale di carta: nei soli Stati Uniti se ne consumano 312 chili all’anno per persona. Per soddisfare questa domanda crescente, le multinazionali della cellulosa sfruttano da anni le risorse dell’America Latina. Ettari di vegetazione locale sono stati disboscati per fare posto a migliaia di piantagioni di eucalipti, acacie e pini per cellulosa. Con lo scopo di difendere il valore della terra e della biodiversità, è nato il movimento di Via Campesina, una rete mondiale di organizzazioni contadine composta da piccoli e medi produttori, indigeni espropriati della terra e donne. Quest'ultime, le più agguerrite.

Nel gennaio del 2006 l’Aracruz Celulose, la maggiore produttrice di pasta bianca da eucalipto del mondo (320mila ettari di piantagioni nello Stato di Espirito Santo) invase 11mila ettari di territorio indigeno, lasciando quasi novemila famiglie senza terra, acqua e cibo. In quell’occasione le donne di Via Campesina aiutarono le popolazioni indigene guarani e tupiniquim a opporsi all’esproprio danneggiando alcuni stabilimenti per la produzione di cellulosa. Lo scorso 7 aprile, in seguito all’ennesimo esproprio ai danni dei contadini, un gruppo di ottocento donne ha occupato un bosco di eucalipti nell’estremo sud del Brasile: l’azione è stata violentemente repressa, almeno 50 donne sono rimaste ferite dalle manganellate e dalle pallottole di gomma sparate dalla polizia che le ha poi imprigionate per alcune ore in uno stadio.

La coltivazione degli alberi di eucalipto è causa dell’inquinamento dei fiumi e della crescente aridità della terra. Per svilupparsi, infatti, hanno bisogno di grandi quantità d’acqua che sottraggono ad altre coltivazioni. Inoltre c'è l'utilizzo di pericolosi concimi chimici che minacciano seriamente la qualità dell’acqua e della terra. «Le multinazionali del settore distruggono la biodiversità, il suolo, inaridiscono i fiumi, inquinano l'aria e l'acqua e sono un pericolo per la salute umana - denunciano le campesine - Se il "deserto verde" continua a crescere, presto non ci sarà abbastanza acqua da bere e terra per produrre cibo per tutti».

Purtroppo la fame di cellulosa non accenna a diminuire: le multinazionali europee Stora-Enso e Azenglever, già presenti in Uruguay, Argentina, Cile e Brasile, vorrebbero aumentare da 45 a 100mila gli ettari di piantagioni di eucalipto, a danno delle varietà locali. Secondo i Sem Terra, il movimento brasiliano attivo nella lotta per la giustizia sociale nelle campagne, «per operare indisturbate, nel solo Rio Grande do Sul, queste grandi aziende hanno finanziato il governo statale (di Luiz Inacio Lula Da Silva, ndr) con 300 milioni di dollari. Non riusciamo davvero a capire – continuano - come un governo che voglia liberare il Paese dalla fame possa sostenere un deserto verde invece di investire nella riforma agraria e nell'agricoltura contadina».
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FORMAT La tv per le donne di Sara Di Carlo

Fra i molti canali tematici nati grazie a digitale terrestre e satellite, qual è l'offerta dedicata alle donne?

Il canale tematico più completo è Facile Tv, del gruppo Sitcom, sorto grazie all'avvento del digitale terrestre. Propone nel suo palinsesto vari argomenti, per lo più rivolti ad un pubblico femminile.

Programmi curiosi, come Il Paiolo, dove vengono dispensati consigli sull'utilizzo delle erbe medicinali, intervallati dall'oroscopo settimanale. O appuntamenti culinari come Facile cucina, che consiglia ricette veloci e sfiziose adatte per ogni occasione, perché le donne che lavorano hanno sempre meno tempo per cucinare piatti che richiedono una lunga preparazione, ma desiderano comunque essere creative.

Facile Tv offre anche uno sguardo al mondo che ci circonda: Venezia-Pechino racconta il viaggio on the road su uno scooter, alla scoperta dei luoghi più suggestivi e sconosciuti dell'Oriente. Programmi di approfondimento, come L'ottuso, rivolgono l'attenzione all'attualità. E per restare in tema c'è VotAntonio che, in questi giorni, ha prestato grande rilievo alle elezioni, focalizzandosi sulle problematiche che riguardano le persone comuni.

E infine gli argomenti che più fanno "impazzire" le donne. Freeze è un programma dedicato alla moda, una guida sulle tendenze per chi vuole creare un proprio stile; Case e Stili propone in modo originale soluzioni alternative e ricercate su come arredare la propria casa, prendendo spunto dalle idee di fantasiosi architetti e designer; Narciso si dedica alla cura della salute del corpo e della mente, in cui esperti del settore svelano i segreti su come mantenersi belle ed in forma.

L'ultimo nato in casa Mediaset Premium è Mya, il canale dedicato interamente ai film e alle serie tv che hanno come filo conduttore storie riguardanti le donne, i sentimenti e le grandi passioni amorose. Il telefilm più in voga è Gossip Girl, dove una misteriosa ragazza annota sul suo blog tutti i pettegolezzi che riguardano le persone più in vista di Manhattan. Ultimissime novità sono tre serial tra il thriller e il mistery: Dolmen, Suspectes e Il segreto di Laurie.

Foxlife è un canale tematico dedicato alle grandi serie tv: dai nuovi episodi in anteprima di Ugly Betty, la segretaria bruttina ma competente e volenterosa che lavora presso una grande rivista di moda, a Medium, le avventure di una praticante avvocatessa che grazie ai suoi sogni/incubi premonitori, riesce a risolvere i casi più misteriosi e disperati e a proteggere la propria famiglia. E per finire, l’ormai classico Una mamma per amica, il racconto del rapporto di complicità di una madre con la figlia.
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CULT I precari di Virzì al cinema di Antonella Lombardi

«Il popolo che parla al telefono per mestiere, fuori dai call center non ha voce alcuna». Così scrive Michela Murgia, precaria centralinista e autrice del libro Il mondo deve sapere che ha ispirato Tutta la vita davanti, ultima pellicola di Paolo Virzì, arrivato a Palermo per presentare il suo film.
«E’ una tragicommedia dove l’ansia per il futuro accomuna vittime e carnefici», dice il regista livornese che ha esplorato l’odissea moderna dei precari che lavorano in un call center. Nel cast, oltre Sabrina Ferilli, Valerio Mastandrea e Massimo Ghini, anche Micaela Ramazzotti e la siciliana Isabella Ragonese (già nota per la sua interpretazione in Nuovomondo di Crialese).

«Non mi piacciono i film che danno ragione a sé stessi – dichiara Virzì - piuttosto volevo affrontare senza pregiudizi una questione cruciale. E con lo stesso candore di Marta, la protagonista, (Isabella Ragonese), ci siamo avventurati nell’inferno della sottoccupazione». Del suo personaggio, la Ragonese dice che «incarna una delle solitudini inconciliabili raccontate nel film e che esercitano tra loro una strana solidarietà. Il film dà voce a uno smarrimento dovuto anche al fatto che non esiste più neanche un nemico: siamo tutti dei poveri disgraziati».

Ma come lavora Virzì sugli attori? «Dalla verità della persona lavoro alla stilizzazione del personaggio. Scommettere su talenti sconosciuti è il mio pallino. Non a caso ho scelto per questo film Mary Cipolla, una ragazza palermitana acqua e sapone che interpreta Luisa e che ho voluto trasformare in punkabbestia». A Micaela Ramazzotti, invece, che nel film interpreta Sonia, Virzì ha imposto di «riprendere a fumare per darle la giusta voce roca e infine l’ho ricoperta di tatuaggi». Isabella, dal canto suo, si è messa a studiare i filosofi Heidegger e Hannah Arendt «ma non l’ho costretta a lavorare in un call center – dice il regista – perché volevo che avesse l’aria di un pesce fuor d’acqua. Nel nostro piccolo proviamo anche noi a fare come gli americani», ironizza l’autore di Ovosodo e Caterina va in città.

Virzì, che vanta origini siciliane - «sono figlio di un maresciallo dei carabinieri di Palermo» -, è uno dei componenti del “movimento dei 100 autori” che spiega così: «Non è una rivendicazione corporativa, ma l’affermazione di una serie di principi che sottolineano il valore del cinema italiano. Avere la possibilità di scegliere all’interno di un mercato che tende invece all’omologazione è anche un diritto per gli spettatori. Il movimento dei 100 autori è stato un "Su la testa" ideale del nostro cinema». E sulle sorti del nostro cinema l’autore ha le idee chiare: «Oggi ha un grande successo commerciale un certo tipo di commedia adolescenziale, ma ci deve essere spazio anche per altri generi e linguaggi. L’Italia non può essere raccontata dai salotti televisivi. Non siamo l’industria americana, facciamo venti film l’anno, di cui cinque veramente belli come avviene anche in America ma, cifre alla mano, il nostro è uno dei cinema meno assistiti d’Europa».

Ma perché per raccontare la vita da precario Virzì ha scelto di ambientare la sua storia in un call center?
«Da padre di una ragazza 19enne destinata allo stesso percorso di studi umanistici di Marta, credo che il cinema italiano abbia il compito di scrutare l’anima segreta di questo Paese, che non è quella di Cogne, Fabrizio Corona o delle Veline. L’Italia va raccontata, ed è questo il compito che noi registi italiani fin dagli esordi ci siamo dati. E poi il call center è una specie di caverna di Platone del XXI secolo – spiega Virzì – se ne percepiscono le ombre, ma la vita è illusoria. Non ho inventato io la canzoncina motivazionale che si sente nel film, ma è uno degli stratagemmi usati da ditte come Kirby, Folletto ed Herbalife e che la Murgia (autrice anche di un blog sul popolo senza voce – e perciò ricattabile - dei precari) ha descritto. In questi posti il lavoro viene concepito come un reality o una gara dove si è esclusi o c’è il pubblico ludibrio se si sbaglia».

Sembra un ciclone in piena Virzì, che non risparmia critiche sulle dinamiche lavorative: «Negli anni della flessibilità nessuno ha nostalgia del lavoro fantozziano che accompagna dalla culla alla tomba, ma oggi il clima è "mors tua, vita mea". Questa è regressione civile, barbarie. Il lavoro è anche incontro degli altri».

Per le generazioni sommerse dal lavoro sommerso sarà possibile rivivere ora al cinema alcune storie personali. Per tutti gli altri, sorridere e indignarsi. Perché il mondo deve sapere che chi è precario non ha tutta la vita davanti.
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DONNE Claudia Gerini, la femme fatale di Camilla Cortese

A conclusione del Festival cinematografico Schermi d’Amore 2008, l’attrice romana Claudia Gerini, impegnata in questi giorni a Trieste sul set di Diverso da chi? di Umberto Riccioni Carteni, è andata a Verona per ritirare il Premio Femme Fatale, Feministe Fatale 2008, assegnato dal direttore di Ciak Piera Detassis, che incorona il “fascino coatto” e l’ironia della brillante attrice.

Ti riconosci in questo premio?
«Sono onorata per questo premio e per essere stata considerata l’erede di Monica Vitti che reputo una delle più grandi interpreti italiane. Credo che l’ironia sia una dote innata. Ho sempre cercato di diversificare molto le mie scelte, di cambiare per non annoiare il pubblico e me stessa, mi piace misurarmi con nuovi ruoli e ho rifiutato copioni con personaggi simili al passato».

Perché a differenza di tante colleghe non cerchi solo ruoli drammatici e prestigiosi ma ti presti alla commedia?
Il mio primo film fu una commedia, Roba da ricchi di Sergio Corbucci, avevo 14 anni e facevo la figlia di Laura Antonelli e Lino Banfi. Dopo quasi dieci anni, il mio primo ruolo importante fu in Viaggi di nozze di Carlo Verdone, e divenni famosa con una commedia. Prima di allora non avevo mai pensato a me stessa come un’attrice comica o brillante però Carlo, che vide in me una vena di romanità, mi ha insegnato lo spirito di osservazione e la ricerca dei personaggi per la strada».

Quanto lavori ai tuoi personaggi?
«Sono cresciuta nella periferia di Roma, in una famiglia di impiegati, e ho vissuto in mezzo a tantissime “coatte”. Nel caso di Enza Sessa di Grande grosso e... Verdone il travestimento e i costumi sono stati il passo iniziale per creare un effetto eccessivo di donna superficiale. Anche il trucco e le parrucche sono piccoli espedienti che ti aiutano a trovare il personaggio, la camminata, la parlata. Con Carlo c’è un’intesa magica che ci consente di improvvisare e creare i personaggi che non siano macchiette, ma veri».

Parlare di bellezza con un’attrice è scontato. Tu sei cosciente della tua fisicità? Spesso i registi indugiano sul tuo portamento con un effetto molto sensuale e il tuo corpo parla...
«E' molto imbarazzante rivedermi nelle scene di nudo! Però non ho pregiudizi e il corpo dell’attore, vestito o nudo, è uno strumento che deve continuamente comunicare. L’attore trasmette le emozioni attraverso la voce, il viso e il corpo. Quando scelgo un personaggio ci metto tutta me stessa, sono molto generosa e do tutto quello che posso perché voglio che il sogno nella testa del regista sia realizzato completamente».

Parli tre lingue, cosa rara per un'attrice italiana. Le hai studiate per lanciare la tua carriera?
«Sì, parlo inglese, francese e spagnolo anche perché amo viaggiare ed imparare. Per alcuni periodi mi sono trasferita a Parigi, poi in occasione di una coproduzione sono andata in Spagna e ho studiato spagnolo, e per l’inglese sono stata tante volte a Los Angeles, ho tanti amici lì. E poi è utile per parlare con i giornalisti stranieri e farsi capire».

In tv hai partecipato a sketch comici a Chiambretti c’è, Mai dire gol, Camera Cafè, Viva Radio2 minuti: ne esce l’immagine di una giocherellona...
«I personaggi che ho scritto e interpretato per la tv erano tutti nati da idee che trovavo divertenti e da gente che incontravo in giro, e anche lì la maschera e il travestimento erano importantissimi per il risultato. Però lavorare in tv è difficile, è faticoso, ti risucchia le energie: la televisione è fatta solo di numeri e di momenti legati alla pubblicità, non ti dà né tempo né il contatto col pubblico. E' divertente, ma in teatro si sente il respiro della gente, la libertà del palcoscenico e lo preferisco».

Vista la tua preparazione come mai non hai ancora fatto un musical?
«Ho ricevuto delle proposte che ritenevo un po’ antiche e già fatte tipo My Fair Lady, Grease, mentre avevo voglia di misurarmi con qualcosa di originale e nuovo. Ho fatto tanti incontri per Chicago, ma andai a vederlo a Londra e non mi sembrava giusto per l’Italia. Adesso sono pronta per un musical, sto ricevendo proposte molto interessanti e ci sto pensando seriamente visto che amo la danza, la studio da quando ero bambina e negli ultimi anni ho lavorato anche sul canto. Il problema è che in Italia gli autori non scrivono!».
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TELEGIORNALISTI Vincenzo Balzano: «Il giornalismo sportivo? Ucciso dal gossip» di Pierpaolo Di Paolo

Giornalista pubblicista dal 2006, Vincenzo Balzano ha portato la sua grande passione per il calcio nella professione giornalistica. Dal 2007 collabora per il sito Tuttonapoli.net. Partecipa, inoltre, a varie trasmissioni radiotelevisive tra cui Sotto Rete, in onda su Radio Stereo 5, e Sotto Rete Live Show in onda sulla web Tv TuttonapoliTv.

E' vero che il calcio è stato il principale motivo che ti ha portato sulla strada del giornalismo?
«Fondamentalmente è vero. La scelta di fare il giornalista dipende soprattutto dal mio amore per lo sport. Io voglio fare il giornalista sportivo e null'altro. Secondo me lo sport è la cosa più bella da raccontare e ho sempre avuto questo pallino, fin da quando al liceo raccontavo le partite di Francia 98 per il giornalino scolastico».

Trovi che il giornalismo riesca a tirar fuori anche nel calcio il suo aspetto più nobile e professionale?
«Oggigiorno il calcio rimane ancora un veicolo assoluto di fama e notorietà, ma è anche vero che negli ultimi anni c'è stato un decadimento dei valori del giornalismo sportivo. Stiamo parlando dello sport più seguito, ed inevitabilmente più chiacchierato, e tutti i gossip che ruotano attorno a questo mondo hanno oramai occupato un posto di rilievo nel "giornalismo" di settore, facendolo scadere molto. Il lunedì il Corriere dello Sport dedica una pagina intera a tutto ciò che accade in tv, dai baci delle vallette agli inciuci su Ilaria D'Amico e Elisabetta Canalis, e questo non è calcio. Il calcio, e lo sport in generale, è raccontare un evento, e un giornalista deve fare questo. Il resto va bene per i giornaletti scandalistici».

Al di là di questa considerazione, non trovi che le interviste ai calciatori siano spesso banali e scontate, basate sempre sulle stesse risposte, sulle stesse frasi fatte che si ripetono continuamente?
«E' vero. Purtroppo questo è un cliché ed è impossibile negarlo. Però se si ha la volontà e la capacità di fare qualcosa di diverso, è possibile. C'è una trasmissione su Sky Sport, Player List, in cui un deejay intervista i giocatori chiedendo loro le dieci canzoni preferite. Così, partendo dalla musica, si parla di calcio in modo originale e interessante».

A cosa attribuisci questa difficoltà? E' colpa della semplicità culturale delle star di questo mondo o c'è una responsabilità giornalistica alla base?
«Sicuramente non bisogna mai dimenticare che a rilasciare le interviste son persone che in tanti casi hanno la terza media, se non addirittura la quinta elementare. E' chiaro che questo crea una evidente difficoltà, ma proprio per questo il giornalista deve essere bravo a non fare domande cui il giocatore possa rispondere: "Sì, abbiamo fatto bene ma dobbiamo provare a fare di più". Quindi se le interviste sono quasi sempre banali è da attribuire all'impreparazione dei giornalisti. E' vero che col giocatore non si può parlare di filosofia, né certamente la gente vuol sentire discorsi culturalmente più elevati, l'ambito è limitato e il rischio di banalità è incombente, ma proprio qui entra in gioco la cultura sportiva e l'intelligenza del giornalista che deve impostare l'intervista in modo da far ragionare il giocatore su questioni di tattica, su situazioni di gioco. E' evidente che non tutti ne sono capaci e i risultati sono visibili».

A proposito di cosa vuole la gente, siamo l'unica nazione al mondo ad avere ben due quotidiani che tralasciano completamente cronaca, politica e altri argomenti per dedicare anche trenta pagine esclusivamente allo sport. Trovi che l'argomento sportivo richieda davvero un'attenzione totale, o ciò non è piuttosto indice di una scarsa propensione degli italiani verso letture più impegnate?
«Dirò di più: La Gazzetta dello Sport è il primo quotidiano per vendite in Italia. Sinceramente non saprei come leggere questo dato. Preferisco pensare che in Italia l'amore per il calcio sia tale da giustificare questo enorme successo. Tra l'altro, ultimamente, questo quotidiano ha dedicato alcune pagine alla cronaca. E' anche probabile che, data la pochezza della politica e lo squallore della cronaca, la gente si rifugi nel calcio perché è l'unico ambito che ci fa sentire ancora un po' nobili, ancora tutti eroi. Certo, il ridurre tutto a questo ci dà l'idea di quanto lo scenario italiano e occidentale sia divenuto decadente».

E' passato un anno dallo scandalo Calciopoli. Oggi l'avvento di un nuovo Moggi è impossibile, o dopo lo scossone il sistema tenderà sempre per sua natura a riassestarsi sulla stessa falsariga?
«Per certi versi, la seconda che hai detto. E' vero che è difficile che ci sia un nuovo personaggio così potente da poter organizzare tutto a tavolino come faceva Moggi. Ma è anche vero che col nuovo governo, verrà quasi sicuramente cambiata la legge sui diritti televisivi della Melandri, e andremo sempre più verso un campionato con tre o quattro potenti che si contenderanno scudetto e soldi, e le altre a giocarsi i posti successivi. Milan, Inter e Juventus si organizzeranno tutto da sole, e non c'è neppure alcuna necessità che lo facciano in maniera illegale. Diventeranno sempre di più padroni del calcio e si tornerà alla sudditanza psicologica degli arbitri verso le potenti, ma senza arrivare agli eccessi di partite stabilite a tavolino e arbitri chiusi negli spogliatoi. Non ci sarà un nuovo Moggi perché non è necessario delinquere per impossessarsi del mondo del pallone. Basterà farsi le leggi giuste e saranno i padroni senza rubare».

Il Napoli ha perso a Catania giocando una delle partite più brutte della stagione. Alcuni commentatori sportivi hanno sostenuto che dietro tutto vi sarebbe l'affare Vargas. Sono dunque già iniziati i biscotti di fine anno?
«Non scherziamo, questa cosa è fuori da ogni realtà. Ammesso che Marino si sia accordato con Lo Monaco, con quale faccia poi si recava da Reja e dai giocatori per chieder loro di perdere la partita? E poi, per quanto la sconfitta sia stata netta, io ho visto un Napoli giocare e costruire diverse palle gol. Il gossip è nato per le dichiarazioni di Lo Monaco che ha confermato le chance del Napoli di arrivare ad acquistare Vargas, ma quello che si è poi costruito è pura utopia».

Eppure i finali di campionato italiani son contraddistinti sempre da risultati scontati. Persino la Snai a fine anno spesso si rifiuta di quotare quelli più sicuri, che poi puntualmente si verificano. Per citare qualche esempio, la Reggina che vince a Milano, o il Verona a Parma, o il Napoli a Firenze. Non sono biscotti?
«Negli ultimi anni ben due volte il Milan ha giocato con la Reggina nel finale di stagione, perdendo sempre e salvandola da retrocessione certa, ma oltre il dato di fatto non penso ci sia dell'altro, né in questo né negli altri casi».

C'è qualche giornalista che rappresenta per te un modello cui ispirarti, o qualcuno che rappresenta l'esempio che assolutamente non va imitato?
«Un giornalista cui mi ispiro è Ciccio Marolda, redattore de Il Mattino. Mi trovo molto nel suo stile e spesso, quando scrivo un pezzo, mi accorgo di imitarlo. Esempi da non imitare sono sicuramente i giornalisti alla Maurizio Mosca. Questo perché il giornalista deve avere sempre molto tatto, non deve mai eccedere nel dare le notizie rischiando magari di dire solo stupidaggini, e anche nel proporre un'ipotesi, bomba o non bomba, occorre sempre preoccuparsi che ci sia quantomeno un fondo di verità».
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SPORTIVA Sportive che fanno notizia di Mario Basile

Di donne che fanno notizia, lo sport è pieno. Ogni settimana dal mondo ci arrivano fatti e notizie riguardanti le atlete. Scandagliando con attenzione il web, poi, si possono conoscere anche quelle più curiose e bizzarre.

È il caso, ad esempio, della statunitense Andrea Jaeger. A sedici anni era la seconda migliore tennista al mondo. Oggi, a quarantadue suonati, ha totalmente cambiato vita per dedicarsi a tempo pieno alla religione. Ventiquattro anni fa, infatti, decise clamorosamente di abbandonare il tennis dopo un brutto infortunio alla spalla e, qualche anno più tardi, di farsi suora.
All’origine di tutto ciò, racconta oggi, il brutto ambiente del circuito tennistico: «Rifiutai l'offerta delle droghe e dissi no anche agli steroidi perché il mio problema non era quello di durare più a lungo, ma di trovare una via di uscita». Cercava una via d’uscita per scappare anche dalle violenze del suo papà allenatore: «Voleva insegnarmi i valori con le cinghiate, così come era accaduto a lui».

Gli insegnamenti e i valori li ha poi trovati nella fede in Dio e nell’aiuto al prossimo. Quando appese la racchetta al chiodo, la Jaeger decise di creare coi soldi guadagnati un’associazione in favore dei bambini malati terminali di tumore. Un’associazione che cura tuttora e che le dona gioia di vivere: «Non mi sono mai sentita felice come adesso» dichiara a chi le chiede cosa prova in questo momento della sua vita.

La felicità in senso strettamente sportivo, invece, è quella di un’altra americana, Danica Patrick, che domenica scorsa è diventata la prima donna a vincere una corsa Indycar. La ventiseienne ha stupito tutti: lei stessa e i suoi avversari, soprattutto due grandi veterani come il brasiliano Helio Castroneves e il neozelandese Scott Dixon, piazzatisi rispettivamente al secondo e terzo posto. Chissà se sul podio la Patrick si è lasciata scappare qualche lacrimuccia di gioia.

Proprio come è accaduto a Laure Manadou. A dire il vero, quelle della nuotatrice francese non sono state lacrime di gioia, ma di dispiacere, dopo la delusione per il terzo posto ottenuto nella sua gara preferita, i 400sl. Non le accadeva di andare così lontano dal primo posto dagli europei a Madrid nel 2004. Anche i campioni piangono.
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