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Telegiornaliste anno IV N. 38 (163) del 27 ottobre 2008

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MONITOR Fiammetta La Guidara, nomen omen di Giuseppe Bosso

Fiammetta La Guidara è giornalista pubblicista dal 1997. Attualmente conduttrice sul canale tematico Nuvolari di Fuori Pista, primo tg interamente dedicato al mondo dei motori, ha lavorato anche nella carta stampata, collaborando con Gazzetta dello Sport e Motitalia, e tuttora scrive su Motosprint.

Giornalista specializzata in motori: per passione o per destino?
«Assolutamente passione. Fin da bambina ho amato il mondo dei motori e in particolar modo quello del motomondiale, tanto che mi svegliavo in piena notte o all'alba per seguire le gare che venivano trasmesse dall’Australia. Appena compiuti i sedici anni ho acquisito anche il patentino per la moto: passione pura!».

Nell’intraprendere la carriera giornalistica in un settore ancora maschile hai incontrato diffidenze dai colleghi?
«No, anzi. Mi hanno accolta con pieno spirito di cameratismo, anche con simpatia. Fin dall’inizio hanno capito la mia passione, e devo dire che sono stata sempre trattata molto bene».

Claudia Peroni ci ha detto che le donne che si avvicinano al giornalismo dei motori lo fanno più che altro per un aspetto mediatico. Non per vera passione.
«Per qualcuna può essere un modo per mettersi in mostra. Ma se non hai competenze, se non mostri le tue doti, difficilmente vai avanti».

Il motociclismo italiano è molto legato all’immagine di Valentino Rossi, che però tende a fare notizia anche per vicende extrasportive. Cosa ne pensi?
«Dopo i tempi di Agostini, Uncini e Lucchinelli, il motociclismo italiano aveva bisogno di un nuovo eroe, di un personaggio che catturasse l’attenzione dei media e degli addetti ai lavori.
Prima di Valentino sono emersi piloti come Capirossi e Biaggi che hanno permesso al pubblico italiano di tornare ad appassionarsi a questo sport. Questo ha avuto dei riflessi anche dal punto di vista dell’offerta al pubblico televisivo, visto che in precedenza, e ti parlo anche dei miei trascorsi come spettatrice, le gare del motomondiale non venivano nemmeno trasmesse per intero e meno che mai il podio».

Qual è lo scopo della "tua" tv, Nuvolari?
«Fornire 24 ore su 24 piena informazione agli appassionati delle due e quattro ruote. Negli ultimi anni i nostri sforzi si sono concentrati anche su quegli eventi come il MotorShow e il Salone della Moto, oltre che sulle gare, molte delle quali seguite in diretta, come la prestigiosa 24 Ore di Le Mans. Cerchiamo insomma di fare un lavoro a 360°».

L’apprezzamento più bello che hai ricevuto dai piloti che hai intervistato e... Quello che ti ha imbarazzato?
«Mi ha fatto piacere che molti abbiano sottolineato come gli fosse evidente la mia passione per il loro mondo. Imbarazzo? No».

In futuro che tipo di programma ti piacerebbe condurre?
«Sono molto soddisfatta del presente e del programma che conduco, Fuori Pista, in cui ho la possibilità di affrontare tutti i temi d’attualità attraverso servizi, inchieste e interviste con ospiti in studio. E’ già un buon traguardo».

Una donna appassionata di moto affascina o intimorisce gli uomini di oggi?
«Intimorisce, purtroppo. L’ho notato, è uno degli aspetti meno positivi del mio lavoro. Magari all’inizio suscita anche una certa curiosità ed interesse, ma poi subentra una sorta di timore».

Hai mai avvertito condizionamenti nel tuo lavoro?
«No, ho sempre potuto lavorare in maniera libera ed autonoma, ho sempre avuto la possibilità di dire quello che volevo e anche a Nuvolari nessuno mi ha mai detto come pormi o cosa dire».
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CRONACA IN ROSA Crisi un corno! di Camilla Cortese

Ogni cinque secondi nel mondo muore un bambino di malnutrizione o di una malattia facilmente curabile... Che noia! Andiamo tutti a comprarci un cellulare tempestato di diamanti alla fiera dei milionari a Monaco di Baviera!

L’economia americana è sprofondata nel buco nero della sua stessa avidità, trascinando con sé i mercati mondiali e ripercuotendosi sui piccoli risparmiatori che hanno perso la casa. Ma chi se ne importa, ho giusto bisogno di un jet privato per andare a fare la messa in piega a Parigi!

Che tristezza tutti quei piccoli azionisti, borghesucci pidocchiosi che piangono per due lire perse in borsa, cosa saranno mai i risparmi di una vita quando c’è chi guadagna quella stessa cifra in un giorno e ancor più velocemente la spende.

Quel simpaticone dell'editore della rivista Miljonair Magazine ha avuto proprio una bella idea con questa fiera, una povera facoltosa abbiente signora non sa mai come dar aria alle carte di credito, per fortuna che le precedenti edizioni in Olanda, a Mosca e a Shanghai, sono state un successone.

Però che seccatura: una pensa di andare a Monaco a respirare un po’ di ordine e pulizia, ad ammirare le casette coi gerani alle finestre, a valutare se sia più soffice una pelliccia di ermellino o una seta pregiata, e si ritrova con quei puzzoni del Social Forum tedesco che protestano e inscenano un mercato degli schiavi.

A pensarci bene, il filippino si è appena licenziato... Ragazzi? Offro un milione!
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FORMAT Il Pagellone di Ottobre di Giuseppe Bosso

10 indiscutibile a La Bibbia giorno e notte. I sette giorni di lettura ininterrotta della Sacra Scrittura nella Basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma è stato un evento di grande successo che ha caratterizzato questo mese. Un plauso alla Rai e agli organizzatori.

9 ad Antonella Clerici, malgrado l’imminente parto sempre smagliante alla Prova del cuoco e alla seconda, riuscitissima, edizione di Tutti pazzi per la tele. A gennaio saluterà temporaneamente il suo pubblico. Auguri per il lieto evento e a rivederci al più presto, cara Antonella.

8 al Moto Gp che, parallelamente all’ennesimo trionfo di Valentino Rossi, conquista grandi ascolti su Italia 1, confermando il buon momento per le due ruote.

7 a Provaci ancora prof 3. L’insegnante-detective interpretata da Veronica Pivetti imperversa al giovedì, riuscendo a battere sistematicamente un colosso come Distretto di polizia (in verità non alla migliore serie). Piace vedere come humor e giallo (con un po’di rosa…) siano talvolta un miscuglio vincente.

6 a Cold Case e NCIS, che tagliano il prestigioso traguardo delle cento puntate con gli stessi ascolti e lo stesso consenso degli inizi. La linea rossa di Raidue prosegue il suo momento fortunato anche con Senza traccia e Criminal Minds.

5 alle deludenti serie ambientate nel mondo degli ospedali made in Italy. Crimini bianchi e Terapia d’urgenza sono stati chiusi per i bassi ascolti, e la pessima sitcom Medici miei (piena com’è di sedicenti personaggi televisivi improvvisati attori) è stata sospesa senza remora da Italia 1. I fasti di ER sono lontani anni luce.

4 alle Iene. Nuovo look per Ilary Blasi, nuovo conduttore, Fabio De Luigi, sfasato, e il programma è ai minimi storici, malgrado qualche buona inchiesta. A gennaio torneranno Luca e Paolo: salveranno la barca?

3 a Canale 5, per il flop di due programmi iper pubblicizzati in estate come Fantasia e Il ballo delle debuttanti, sospesi forse troppo tardi, e per la bocciatura di una serie attesa e reclamizzata come Crimini bianchi, inesorabilmente spostata su Italia 1 in seconda serata. Inizio difficile di stagione per la rete ammiraglia del gruppo Mediaset, salvata dal grande boom di Zelig al lunedì e dalla solita Maria De Filippi con C’è posta per te.

2 ad Artù. Non sfonda la coppia Gnocchi - Canalis, con l’ex velina ed ex padrona di casa di Controcampo al debutto sulle reti Rai. Ospiti discutibili, contenuti monotoni e l’ex partner di Simona Ventura con la solita ironia che ormai è a dir poco scontata.

1 a Volami nel cuore, impietosamente uscito con le ossa rotte nel confronto con Maria De Filippi. Stavolta Pupo non riesce a centrare il buco della ciambella, nemmeno con il piccolo Ernesto Schinella.

0 all’Arma dei Carabinieri per il grande polverone sollevato sulla partecipazione di Margherita Granbassi ad Anno zero. Come per l’Ordine dei Medici di Napoli riguardo Lina Carcuro, concorrente dell'ultimo Grande Fratello, sentiamo di rivolgere alla Benemerita la stessa domanda: non sarebbe il caso di provare imbarazzo per cose ben più gravi della partecipazione di una di voi ad un programma televisivo?
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CULT A Scuola di Rock, cinquant'anni di storia di Valeria Scotti

Elvis, i Beatles, i Rolling Stones. E poi i Led Zeppelin, i Deep Purple, i Pink Floyd e i Queen. Sono solo alcuni dei grandi nomi racchiusi nel primo corso in storia del pop-rock dagli anni Cinquanta ad oggi, curato dai critici musicali Carmine Aymone e Michelangelo Iossa, con il patrocinio morale dell’Ordine dei Giornalisti della Campania e dell’Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa. Gli otto appuntamenti, alla Fnac di Napoli, vedono i riflettori puntati sul rock e sulla sua evoluzione con l’ausilio di documenti sonori, memorabilia d’autore e interventi di musicisti.
Abbiamo incontrato i due giornalisti a metà di questo percorso che si concluderà il 17 novembre.

Come è nata l’idea di proporre un corso di storia del rock?
Michelangelo: «Il corso è nato dalla congiuntura di tanti fattori che affondano le radici già nel 2005. Carmine fu tra i primi a Napoli a istituire degli incontri tematici - School of Rock e School of Jazz - al Teatro Spazio Libero. Contemporaneamente io organizzavo alla Fnac il ciclo tematico in quattro appuntamenti Non Sono Solo Canzonette, incentrato sull’evoluzione e la storia della forma-canzone. Durante uno di questi appuntamenti, io e Carmine notammo che lavorare insieme attirava molto più pubblico. La Fnac ci chiese allora di organizzare dei cicli a doppia firma fino ad arrivare a un incontro cult, Voce Chitarra Basso e Batteria - cinque puntate a novembre 2007 - che ha totalizzato seicento persone. Grazie a questi successi, abbiamo strutturato un vero e proprio corso e scoperto una cattedra di storia del rock esistente a San Francisco».

Chi sono gli allievi di questo corso?
Carmine: «Con somma gioia e soddisfazione, ci segue una fascia trasversale che abbraccia sia il giovane appassionato di chitarra che il sessantenne, e così via. Ci vengono ad ascoltare i nostalgici di Woodstock, chi seguiva i Guns N' Roses negli anni Novanta e oggi ascolta i Muse. Evidentemente il rock piace, coinvolge e continua ad appassionare».

Entrambi collezionisti di cimeli della storia del rock. A quali siete più affezionati?
Carmine: «Ce ne sono molti: le pelli di batterie autografate da alcuni dei più grandi batteristi del mondo, gli autografi di Eric Clapton e Paul McCartney. E poi, essendo un fan dei Led Zeppelin, i dischi autografati da Robert Plant o quelli dei Genesis firmati da Steve Hackett».
Michelangelo: «Come oggettistica personale, sono legato a tutto ciò che fa parte dell’universo Beatles. Come i due autografi di Paul McCartney che ho incontrato nel 2001 a Milano dopo un’attesa di 12 ore, o il biglietto e il libretto del Concert for George del 2002, un tributo che Eric Clapton organizzò a Londra, a un anno dalla scomparsa di Harrison, con alcuni dei più grandi nomi della storia del rock».

Quali sono i cambiamenti che il rock ha affrontato dagli anni Cinquanta a oggi?
Carmine: «E’ cambiato il modo di vendere il rock e ne è cambiata anche un po’ l’essenza. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, i capi del mondo come Clinton e il suo sax o Tony Blair alla chitarra, si definivano delle rock star. Un concetto assurdo se si pensa che, vent’anni prima, il rock era nato proprio per contrastare il potere. Il rock è diventato schiavo del sistema: si è modificato ma non si è evoluto. Negli ultimi anni è abbastanza in stand by. Credo che l’ultimo colpo di coda sia stato nel 1991 con Nevermind dei Nirvana: spazzarono tutto quello che c’era e tornarono alle origini. Dagli anni Cinquanta fino agli anni Settanta è stato quasi inventato tutto e ci si rende conto che è difficile ora proporsi in maniera originale, ma chi ci riesce merita ancora più pregio e lustro. Credo anche stia diminuendo un po’ la cultura del rock: prima andava di pari passo con la letteratura, con l’arte, la poesia, ora i settori della cultura sono isolati e dalla non mescolanza non può nascere quel brodo primordiale, la scintilla che generò quel battito di batteria che ha dato vita a ciò di cui noi parliamo».

Tra i propositi del corso, c'è quello di educare all’ascolto. In che modo?
Carmine: «Il nostro educare all’ascolto significa proporre quello che le radio, le reti come All Music e Mtv Italia, i programmi come Scalo 76 non passano. Nel nostro piccolo proviamo a fare ascoltare quello che i nostri padri e i nostri nonni riuscivano a rubacchiare dalle prime radio libere. Vogliamo far scoprire il rock, quell’altra faccia della musica che non arriva perché, secondo alcuni, non vende».
Michelangelo: «Partiamo sempre da un dato emozionale: l’ascolto è il primissimo ingrediente. Il rock poi si nutre di citazioni continue, quasi estenuanti. Fare il critico musicale significa mettere in gioco la propria sensibilità, nutrirsi continuamente di contenuti culturali ed associare ogni brano al contesto sociale del suo tempo. Qualche anno fa, ci si incontrava nelle case a gruppi di almeno due, tre persone, come fossero dei reading di poesia. Si prendevano i dischi dalle proprie collezioni, si ascoltavano, s’imparavano i credits a memoria. Si viveva materialmente il disco, la sua genesi. Oggi con l’Mp3 non si può più fare questo, non c’è più, purtroppo, la cultura di aprire un disco e di maneggiarlo».
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DONNE Rita, il coraggio di non tacere di Chiara Casadei

«La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarsi». Parole schiette, taglienti nella loro cruda realtà, scritte a mano in un diario pieno di dolori dalla giovanissima Rita Atria, figlia di un piccolo boss mafioso di quartiere, Don Vito Atria.

Nata il 4 settembre 1974 a Partanna, viene ben presto a contatto con il mondo della malavita, in cui sia il padre che il fratello sono coinvolti. Nei confronti di quel mondo meschino e disonesto dimostra subito un profondo disprezzo, rivolto anche all’indolenza dei concittadini, muti e tacitamente consenzienti.

Dopo l'assassinio del padre, il rapporto col fratello Nicola si intensifica, fino a diventare un legame così profondo e sincero che lui decide di rivelarle molti dei segreti di cui è a conoscenza, dalle persone coinvolte nell’omicidio alla gerarchia criminale del paese. Nel giugno del 1991, però, Nicola viene ucciso dalla mafia e dopo questo affronto sia sua moglie che la stessa Rita cominciano a collaborare con le istituzioni, fornendo nomi e cercando quella giustizia - o vendetta - che non era ancora arrivata.

Il primo a rendersi disponibile e a raccogliere le testimonianze di Rita è il giudice Paolo Borsellino, che diventerà una seconda figura paterna. Grazie all’aiuto di Rita e di altri testimoni, la polizia arresta diversi mafiosi. Le cose sembrano muoversi finalmente per il verso giusto.
D’altro canto, la paura di ripercussioni su di sé e sulla madre la fa vivere in un continuo stato di angoscia e ansia, terrorizzata nell'attesa del momento della sua morte. In alcuni frammenti del suo diario, Rita scrive: «Sono sicura che non avrò una lunga vita sia se sarò uccisa dalle persone che accuserò durante il processo, che per una promessa del destino. Sarei felice se potessi vivere insieme a Nicola e a mio padre».

I suoi timori si dimostrano più che fondati: il 19 luglio 1992 Paolo Borsellino viene ucciso in un attentato di stampo mafioso in via D’Amelio. Dopo questa terribile perdita Rita cade nell’oscurità, senza più alcun punto di riferimento. Le sue ultime parole sono commoventi e disincantate: «Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto ha lasciato nella mia vita. Tutti hanno paura ma io l'unica cosa di cui ho paura è che lo Stato mafioso vincerà e quei poveri scemi che combattono contro i mulini a vento saranno uccisi [...] Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta».
Il 26 luglio Rita si uccide, delusa e sconfitta, cercando disperatamente quella felicità e quella pace che in vita non le erano state concesse.
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TELEGIORNALISTI Vincenzo Lamberti: abbiamo perso la capacità di indignarci di Pierpaolo Di Paolo

Questa settimana incontriamo Vincenzo Lamberti, giornalista di Metropolis tv in forza nella rubrica "Televisione" dell'emittente napoletana, visibile sul canale 902 di Sky. La tv è nata tre anni fa dall'impegno di un gruppo editoriale che ha creato Metropolis, un giornale prima mensile, poi settimanale, infine dal 2004 quotidiano. Partendo da questo e dal sito web, è nata l'idea di provare un terzo canale di comunicazione: si è scelta così la via del satellite.

Vivendo dall'interno questo iter dalla carta stampata alla tv satellitare, il passo è stato naturale o cambia tutto? E' un altro modo di fare giornalismo?
«E' tutto un altro modo, è chiaro che c'è bisogno di specificità e professionalità diverse. La carta stampata, soprattutto il settimanale, presuppone un giornalismo fatto di inchiesta, di continue verifiche, di controlli. Il quotidiano ti accelera sui tempi perché la notizia la devi verificare in poche ore e in quelle poche ore la devi mandare in stampa. La televisione sotto questo aspetto è come se fosse un acceleratore ulteriore di particelle».

Questo acceleratore aumenterà in misura esponenziale "l'ansia del buco" che vivono i giornalisti, o ci si abitua in fretta anche a questo?
«Sicuramente la si vive molto di più adesso, tuttavia devo anche dire che attraverso l'organizzazione e la collaborazione è un problema che non si vive più di tanto. Noi siamo una tv che può contare su un gruppo di giornalisti molto numeroso e una sinergia molto forte, perché alla fine redazione del quotidiano e della televisione sono un tutt'uno. Il giornalista che si reca su un posto per il quotidiano in quel momento lavora anche per il web e la televisione, e viceversa. Quindi la copertura delle notizie sul territorio è assicurata».

Lei coordina e conduce tutta una serie di programmi locali. Quanto e come cambia il lavoro da semplice giornalista a conduttore e coordinatore?
«Non si ha più solo la responsabilità di se stessi e di ciò che si fa, ma di una serie di programmi che vanno in onda. Programmi che in ogni caso, lo specifico con piacere, vanno sotto la responsabilità della testata giornalistica di Metropolis tv che è unica e che è diretta da Giovanni Taranto».

La cronaca nera ha registrato recentemente l'ennesima strage nel casertano ad opera dei casalesi. Le autorità hanno dichiarato che intendono risanare la zona, riportandola alla legalità. Non suona un po' ridicolo per chi vive quella realtà ascoltare da sempre questo valzer di dichiarazioni, mentre è evidente che in quelle zone c'è chi può fare davvero quel che vuole senza temere conseguenze rilevanti?
«Io penso che da Castelvolturno sia venuto un altro tipo di lezione. Al di là di facili strumentalizzazioni e premessa la condanna per ogni forma di rivolta violenta, lì c'è stato un gruppo di extracomunitari, un gruppo di persone che si è ribellato. Uomini che hanno gridato: «Noi non vogliamo sottostare a questo tipo di ricatto, non accettiamo di subire questo tipo di violenza». Chiedo al sindaco di Castelvolturno di riflettere se una cosa del genere è mai venuta dai cittadini di Castelvolturno».

Forse il punto è che i cittadini di Castelvolturno vivono qui da quando sono nati, mentre gli immigrati in questa realtà ci si sono trovati calati adesso.
«Infatti è un problema di humus, di aria che si respira e in cui si cresce. Questa non è solo una realtà di Castelvolturno, ma di tutte le aree - Ercolano, Torre del Greco, Castellammare - dove c'è una camorra che impregna di sé il territorio, con i suoi usi, i suoi costumi. Fare determinate cose e vivere determinate situazioni purtroppo diventa normale, e ciò avviene per tutti, anche per noi che dobbiamo scrivere e descrivere fatti di questo genere. Mi viene in mente qualche collega un po' più anziano che diceva che abbiamo perso la capacità di indignarci. Oggi non ci indigna più niente, mentre questa virtù non dovremmo mai perderla. Personalmente, cerco di non perderla mai».

Centinaia di soldati nella "trincea campana" sono una risposta efficace?
«Vengono in gita? Il territorio controllato militarmente non è la risposta a questo problema. In questo purtroppo ci si scontra con un modo di pensare del centrodestra che pensa di dare delle risposte efficaci, immediate, ma che inevitabilmente sono solo delle risposte di impatto mediatico. Questo perché il cittadino che sente o che vede arrivare 500 soldati pensa: «Però... Ora sto più tranquillo». Ma la camorra agisce anche se gli mandi 3000 soldati. La camorra è un sistema. Non stiamo parlando di un apparato militare né dei rivoluzionari della Colombia, che puoi fronteggiare mandandogli l'esercito. La camorra è altro».

Cosa pensa del ruolo di Saviano? Trova giusto che la denuncia oramai debba essere affidata a singoli cittadini che si ritrovano a fare gli eroi?
«Io mi auguro un'Italia in cui non servano più gli eroi, anche perché l'eroe altro non è che un discarico collettivo di responsabilità. Ai cittadini onesti basta dire: «Ah, però c'è Saviano» e hanno detto tutto. E' finita lì.
Saviano ha scritto un bellissimo romanzo basandosi su fatti reali, anche servendosi - bisogna dire la verità - del lavoro di tanti altri colleghi. Il punto è che ciò che ha scritto e descritto è la realtà, non un libro di fantasia. Ha scritto partendo da dati reali e certi. Ben vengano le persone che avranno sempre il coraggio di scrivere e di chiamare le cose col loro nome e cognome. Mi farebbe piacere che fossimo tutti Saviano, così non ci sarebbe più nessun eroe».

Uno degli stragisti di Castelvolturno era agli arresti domiciliari, ciò ha scatenato la reazione del Ministro Maroni che ha tuonato su tutti i giornali: «Basta arresti domiciliari per i mafiosi». Cosa ne pensa?
«Io mi metto anche nei panni di questi poveri magistrati. Su determinati reati devono avere la mano leggera e tutelare l'individuo, su altri gli si chiede di violare le garanzie costituzionali. Decidiamo prima cosa vogliamo dalla Giustizia. E' scandaloso che un mafioso indagato per reati gravi stia ai domiciliari, cioè a casa sua. Ma se prima di questa strage, i capi d'accusa nei suoi confronti non riguardavano reati gravissimi, allora per pretendere un comportamento diverso dai magistrati occorre prima ritoccare la Costituzione. Personalmente trovo altrettanto scandaloso che un immobiliarista che ha truffato e fatto andare in bancarotta decine di persone possa fare i domiciliari in una villa a Portofino».
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SPORTIVA Tutto pur di essere guardate di Chiara Casadei

Se sfogliamo un giornale non ci sorprenderemo di trovare foto di belle (a volte non tanto) donne nude, sia che pubblicizzino un paio di gambaletti che la più inutile trovata commerciale. Un po’ inaspettato potrebbe essere lo scatto pubblicato dalla rivista spagnola Interviù, che immortala in tutte le sue forme la squadra di futsal femminile (calcio a 5) della Encofra Navalcarnero. Le sportive sono dovute ricorrere a questo mezzo strategico per attirare l’attenzione su di loro e ottenere pubblicità. Un piccolo sacrificio: per il bene e la lunga vita della squadra.

Interpellata a questo proposito, il capitano della squadra spagnola, Eva Maguàn commenta: «Siamo le migliori del mondo però non c'è interesse verso di noi. Da un po' di tempo a questa parte la crescita è stata notevole e non è il momento di tirare i remi in barca. Lo sport femminile è stato sempre sottovalutato, ma è una cosa ingiusta».

Il problema dello sport al femminile è proprio questo, troppo spesso sminuito o ignorato, mentre in punta di piedi raggiunge livelli talmente elevati da essere superiori anche a certi record maschili. Le prove le troviamo nelle gare europee o mondiali, appuntamenti sportivi in cui moltissime donne o squadre di donne mostrano qualità e capacità notevoli, riguadagnando in primis stima e orgoglio per la propria bravura, indipendentemente dal sesso.

Ci indigna che le donne, in questo caso le atlete, debbano mostrarsi nei panni della femme fatale, e sfoggiare la propria bellezza anziché la propria abilità. È ridicolo che una società moderna, dove la parità tra uomo e donna è ormai assodata, non progredisca anche a questi livelli e non promuova nella maniera adeguata le donne che intraprendono la carriera sportiva.
Questo è un obiettivo per il futuro e per il mondo.
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