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Archivio Telegiornaliste anno V N. 28 (199) del 20 luglio 2009
 
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MONITOR Francesca Salemme, una vita a colori... sgargianti di Giuseppe Bosso

Giornalista professionista dal 1997, Francesca Salemme lavora al tg dell’emittente salernitana Lira tv. Vanta esperienze sulla carta stampata, una parentesi a Euronews a Lione e a Radio RAI.

Francesca, pregi e difetti di lavorare in una tv locale?
«L’aspetto positivo è dato senza dubbio dal poter fare un vero e proprio lavoro giornalistico sul campo. Coprendo l’intera provincia di Salerno (per dimensione è la più vasta d’Italia, ndr), siamo sempre pronti a recarci sul luogo dove avvengono i fatti che raccontiamo, non potendo far riferimento unicamente sui comunicati stampa. Credo che se si fa il proprio lavoro con serietà e dignità, lo si può far bene dappertutto. Il calore delle persone, poi fa il resto. Non credo che sia un aspetto ‘brutto’...»

Salerno ha fatto parlare, recentemente, per il caso dell’aeroporto. Come avete vissuto la notizia?
«Fin dal principio avevamo sottolineato i disagi e i limiti della struttura: la carenza delle infrastrutture di servizio come la rete stradale, i collegamenti, l’illuminazione. Comunque spero che riapra al più presto: è un’occasione di sviluppo che non possiamo perdere anche perché la Campania è l’unica regione, in tutta Italia, a poter contare solo su uno scalo, Capodichino».

Come è andata la vicenda?
«Il 18 dicembre è stato sconvolgente apprendere via fax della chiusura dello scalo. Ero di turno sia il giorno dell’inaugurazione, il 2 agosto, sia quello della chiusura. Ricordo che mi recai sul posto per realizzare il servizio e mi trovai a dover dare io la notizia a degli ignari passeggeri. Sono convinta della necessità di rilanciare l'aeroporto, Salerno e la provincia ne possono avere solo benefici. Siamo una realtà dal grande valore turistico. Basti pensare che anche quest’anno il nostro mare ha ricevuto da Fee ben 7 delle 11 bandiere blu riconosciute alla regione».

L’avvento del digitale terrestre: quali i cambiamenti per la tua redazione?
«Il nostro editore Budetti ha creduto più in questa sfida rispetto al satellitare. Sono anni che facciamo sperimentazioni, siamo dunque pronti e competitivi. Credo che chi vive sul territorio continuerà a cercare di essere informato rivolgendosi a quelle testate, a quelle emittenti che negli anni si sono guadagnate la fiducia del pubblico».

Ritieni che a livello locale ci siano maggiori o minori condizionamenti da parte delle istituzioni?
«Credo che tutto dipenda dalla coscienza e dalla professionalità del singolo giornalista. Peraltro i giornalisti che seguono la politica a livello nazionale sono più o meno sempre gli stessi pertanto anche in quel caso si arriva a conoscersi a fondo, direttamente».

Com’è la giornata tipo di una mamma telegiornalista?
«Mi ritengo fortunata perché posso contare su una famiglia vicina e su una tata che riesce a supplire alle mie assenze. Una buona rete di aiuti (mia madre, mio marito) mi permette di potermi dedicare al mio lavoro con serenità, certa che mia figlia sia in buone mani. Per il resto la giornata è fatta di incastri, salti mortali e organizzazione. Come tutte le mamme che lavorano, sono un po’ maga, un po’ acrobata ed un po’ giocoliera!».

Pensi che per una giornalista sia più arduo conciliare lavoro e affetti?
«No, gli orari magari sono più incerti, ma con una buona organizzazione riesci a trovare tempo anche per i piccoli piaceri di ogni giorno. In ogni caso, credo che ogni donna lavoratrice meriterebbe continuamente riconoscimenti per i sacrifici che fa. Devo ammettere che mi facilita anche il non avere l’onere di dover cucinare, compito che lascio a mio marito! (ride, ndr)».

Pensi che tra donne sia più difficile fare squadra in redazione?
«Non credo sia un fatto di sessi, ma di teste. Penso di avere un buon feeling sia con i miei colleghi che con le mie colleghe. C’è grande solidarietà e affetto con Simona Cataldo ad esempio, ma penso sia inevitabile trovare un equilibrio con tutti».

Quale esperienza credi abbia maggiormente segnato la tua carriera?
«Senza dubbio quella a Radio RAI, ho trovato un ambiente fantastico a cominciare da Lella Marzoli, caporedattore, una donna dalle grandi capacità organizzative e dalle grandi doti umane. E poi colleghi stupendi come Andrea Vianello, Anna Maria Caresta, Gerardo Greco, Daniela Orsello, Filippo Nanni, Francesca Romana Ceci (moglie di Vianello). Fu un periodo molto intenso, in quell’estate del 1996 ci furono fatti di cronaca di notevole interesse, dal processo Priebke all’arresto di Brusca».

A cosa non rinunceresti mai?
«Alla libertà di pensiero, alla possibilità di poter esprimere la mia opinione, anche se poi non verrà adottata, malgrado siamo per Freedom House al 77mo posto per libertà di stampa. Nella vita, ovviamente, non rinuncerei mai ai miei affetti, ai miei spazi. Come ogni donna contemporanea non vorrei rinunciare a niente, anche se poi non è sempre facile».

Come ti descriveresti?
«Esuberante caratterialmente, pronta a recepire stimoli, amante dei colori sgargianti. Mi piace il confronto, sono una vera chiacchierona sensibile alle novità. Come donna e come giornalista, mi ritengo curiosa e vivace».
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CRONACA IN ROSA Soprammobili di lusso di Camilla Cortese

Il G8 italiano 2009 finalmente è chiuso e archiviato. Destinati i miseri e caritatevoli fondi all’Africa, visitati i terremotati aquilani, degustati i raffinati menu nei colori della nostra cara Italia. Un bel programmino per Capo di Stato e Signora. Alla sigla G8 propongo quindi di affiancare la sigla D0. Ovvero, otto grandi e le loro donne azzerate.

Mentre gli otto uomini più potenti della Terra si riunivano per discutere di tematiche economiche e politiche d’importanza cruciale per i nostri destini, le loro mogli bevevano il tè, passeggiavano tra le rovine di Onna, esibivano mise haute couture.

Ai Capi di Stato, cui il Paese ospitante usa donare costosi souvenir di varia natura, è stato regalato un libro realizzato con marmo statuario di Carrara per la copertina, carta fatta a mano, broccati di seta e fili d'oro per la rilegatura. Alle consorti, che evidentemente si suppone non sappiano leggere, una borsa africana e un gioiello abruzzese.

La massiccia copertura mediatica dell’avvenimento ha sviscerato minuto per minuto gli spostamenti, gli appuntamenti, le foto ufficiali e i temi trattati nelle riunioni dei G8. Parallelamente, a fine carrellata di questioni politiche noiosone, ecco il servizio sulle first ladies, finalmente un momento di frivolezza! E chi meglio di noi donne sa essere solo ed esclusivamente frivolo e valutabile in base all’aspetto esteriore?

Ma no! «Oltre le gambe c’è di più» e l’immagine pubblica planetaria delle donne che rappresentano il mondo (al pari dei potenti mariti) riserva loro altri compiti culturalmente definiti “femminili”, cui le first ladies paiono votate strenuamente: la beneficenza, la conversazione, lo shopping.

Non lo dico io, lo dice il programma delle giornate, redatto e deciso dagli organizzatori, organizzatori che lavorano per il nostro governo, governo che è stato votato dagli italiani e per questo li rappresenta. Perciò, è come dire che gli italiani hanno questa immagine delle donne. Edificante.

In queste democrazie occidentali dove il Presidente deve diventare Coppia Presidenziale per allargare il consenso, pare di essere al cospetto di una monarchia repubblicana dove i re si conoscono, si baciano sulle guance, si abbracciano e non muovono un passo senza essere seguiti dalle loro regine. Perché le regine piacciono al popolo e lo rassicurano. Peccato che ciò avvenisse nel Medioevo. Pare che non abbiamo fatto molta strada.

Queste signore potrebbero continuare con le loro professioni precedenti, oppure starsene a casa, perché sono al G8? A cosa servono? Chi rappresentano? Le donne? Le donne sposate? Le donne sposate con uomini potenti? No, grazie. La politica dell’immagine impone che femmine estremamente colte e brillanti (Michelle Obama, ex avvocato) o estremamente ricche e di dubbia moralità (Carla Bruni, ex top model) siano tutte equiparate, appiattite, disoccupate e annullate nei loro tubini bon ton e in ruoli servili, gregari e defilati, come costose suppellettili sugli scaffali del potere.
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FORMAT Elena Sofia Ricci: talento e tanta gavetta di Federica Santoro

«Lucia non muore, ma se ne andrà di casa per un po’ per poi ricomparire nell’ultimo episodio della quarta serie». I fan possono stare tranquilli: per Elena Sofia Ricci questo è solo un arrivederci. Lo assicurano i vertici della Publispei, la società che produce la serie I Cesaroni diventata ormai un appuntamento imperdibile, da tre stagioni, nel panorama televisivo di Canale 5.

Per l’attrice sta per cominciare una nuova storia d’amore, ma solo nella finzione. Questa volta la Ricci girerà una miniserie per la Rai con Massimo Ghini, dal titolo Gli ultimi del paradiso, dove interpreta un'operaia che si innamora di un camionista. Un ruolo che si va ad aggiungere al suo già lungo e ricco curriculum.

In Caro maestro del 1996, una delle prime fiction tv di successo, la ricordiamo protagonista accanto a Marco Columbro, nel personaggio di Elisa, preside della scuola elementare del maestro Stefano, interpretato appunto da Columbro, di cui poi diventerà moglie. Sarà questa la serie che la consacrerà nell’alveo delle attrici cult del piccolo schermo.

Le sue performance variano negli anni dai ruoli televisivi leggeri a quelli drammatici. Da Anime fiammeggianti del 1994 di Davide Ferrario, a Tra noi due tutto è finito di Furio Angiolella; nel 2006 interpreta una toccante Francesca Morvillo, moglie del giudice Falcone, nella fiction Giovanni Falcone, l'uomo che sfidò Cosa Nostra.

Ma è il 2007 l’anno di maggiore fortuna: in tv arrivano Caravaggio, Tutti i rumori del mondo ma soprattutto la già citata serie I Cesaroni, caso televisivo di straordinario successo.

Amata dal pubblico e corteggiata dai produttori, la Ricci è considerata una tra le più brillanti attrici italiane e ha saputo coniugare la bellezza ad uno spirito leggero. Apprezzata anche sul palcoscenico teatrale dove riscuote sempre un discreto seguito, ha vestito i panni di donne forti, di grande personalità.

Un destino segnato per Sofia che, fin da giovane, frequenta il mondo dello spettacolo. Figlia di una scenografa e di un padre adottivo regista, la Ricci si innamora presto della recitazione. Ottima interprete anche nel cinema dal suo primo lavoro, Impiegati, di Pupi Avati, ai film Turnè e Io e mia sorella, grazie ai quali vince nel 1988 e 1990 due David di Donatello.
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CULT Ode alla messa in piega di Valeria Scotti

Tredici storie nate sotto il phon. Siamo nei saloni dei coiffeur, le seconde case delle donne. Elvira Seminara, giornalista e docente di Storia e tecnica del Giornalismo all’Università di Catania, è l’autrice de I racconti del parrucchiere (Gaffi Editore in Roma).

I saloni dei parrucchieri come salotti preferiti dalle donne. Qual è il meccanismo che scatta?
«Scatta il gioco del "salotto" appunto. Dove fai relazione, trovi un ascolto solitamente raro. E dove ti fermi, soprattutto, e dentro giornate sfibrate dalla fretta trovi una pausa davanti allo specchio. E ti guardi - sei costretta - e rivedi lampi della tua vita. Per questo a me il salone appare un luogo eccezionalmente narrativo, dove succedono storie, si ferma il tempo. Dove in fondo accadono prodigi. Cos'altro è se non un incantesimo la trasformazione dei capelli? Entri bruna ed esci bionda. O rossa. È un'alchimia. Albedo Nigredo Rubedo!».

Il taglio dei capelli spesso e volentieri come desiderio di rinnovare la propria vita. Il parrucchiere, sempre più architetto. Qual è il rapporto che si instaura tra quest'ultimo e le sue clienti?
«Le donne cambiano pettinatura quando non possono cambiare il resto. E se non è bastato, poi cambiano il posto dei mobili in casa! Gli uomini, invece, per sentirsi nuovi cambiano la macchina. A parte lo scherzo, il salone anche per questo è un luogo magico. Il parrucchiere col suo camice e le sue pozioni (lozioni) magiche, e i suoi strani ferri del mestiere, è una specie di sciamano. In città sempre più spaesanti, ad alto tasso di disumanità, il salone sembra una strana oasi nel tempo e nello spazio. Dove riemerge la parola, lo scambio, il contatto fisico tra mani e pensieri».

Tra i personaggi dei suoi racconti chi si distingue di più? Chi, secondo lei, aveva davvero bisogno di un 'taglio'?
«Tutti hanno qualcosa da troncare. Chandrika taglia le radici, l'uomo tradito taglia la memoria, la novizia spezza la sua vita in due, il trans recide il suo lato maschile. Ma fermiamoci qui perché se spacchiamo il capello in quattro, sveliamo tutto!».

Dal romanzo L'indecenza (Mondadori) a I racconti del parrucchiere. Nelle short stories i nodi vengono meno al pettine?
«Beh, forse con meno violenza. Se L'indecenza è un thriller psicologico, questo è un thriller tricologico. E dunque c'è un po' di balsamo che addolcisce».

La sua migliore messa in piega?
«È la piega che prendono le storie quando vengono bene. Intendo un poco spettinate, leggere e flessibili, naturali e visibili, molteplici… Come auspicava Calvino nelle fantastiche Lezioni americane».
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DONNE Mona El Shinnawy, una economista col velo di Deborah Iaizzo

Mona El Shinnawy, nata in Egitto quarantanove anni fa, incarna i desideri, le speranze e le passioni di molte donne islamiche che vorrebbero allontanarsi sempre più dai luoghi comuni attribuiti loro da decenni.

Essere donna, nei Paesi in cui vige la Shari’a, la legge islamica, non è semplice. Cercare di cambiare il proprio status è il più delle volte impossibile. Nonostante ciò ci sono molti esempi di figure femminili che hanno cercato di “sconvolgere” il prototipo della donna musulmana: una di queste è proprio la Shinnawy.

A differenza di molte sue compagne di scuola, decide di proseguire gli studi iscrivendosi, all’età di quindici anni, all’American University del Cairo, dove si laureerà in Economia a vent’anni.
Ottiene il suo primo incarico alla Citybank del Cairo: qui diviene, dopo anni di apprendimento e sacrificio, una delle più importanti manager con il velo. Nel 1998, dopo essersi realizzata come madre e moglie, si trasferisce negli Emirati Arabi Uniti: «In Egitto ero abituata a vedere le donne che ricoprivano ruoli influenti... Ma qui è più raro».

Oggi è vice-presidente della Sharjah Islamic Bank (SIB), una delle principali banche islamiche del Golfo, e membro-fondatore del gruppo Durra (perla, in arabo), formato da sessanta donne provenienti dalle varie banche degli Emirati Arabi. Sostiene la Shinnawy: «Vorrei che più donne riuscissero a rivestire il ruolo di manager, ma purtroppo gli Emirati sono conservatori di natura».

Mona El Shinnawy è una precorritrice della rivoluzione femminile, il più delle volte silenziosa. Sono ormai molte le donne islamiche che seguono le sue orme in diversi campi, evidenziando le proprie capacità, per cercare a tutti i costi di non essere oscurate dagli uomini.
Le donne con lo chador e con l’hijab sono per gli occidentali il nuovo simbolo del sesso debole: in realtà, come mostra la storia di Mona, le cose stanno cambiando, lentamente ma inesorabilmente, anche nel mondo islamico.
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TELEGIORNALISTI Giovanni De Lista: lo sport, con lo stesso entusiasmo di sempre di Giuseppe Bosso

Giornalista pubblicista dal 2000, Giovanni De Lista ha riscosso grande successo durante l'ultima stagione conducendo su Telecaprisport la trasmissione Fuorigioco, in onda la domenica sera.

Giovanni, si può dire che il Napoli è la 'regina' di questo calciomercato?
«Certamente, insieme al Parma e al Genoa».

Quali sono, secondo te, le aspettative degli azzurri per la nuova stagione?
«Premetto che la tattica di De Laurentiis è stata quella di investire adesso gli introiti che percepirà nei prossimi cinque anni per i diritti televisivi. Quindi, se questa estate ha speso tanto, non credo che farà lo stesso nelle prossime stagioni. A questo punto l'obiettivo minimo per questa stagione è arrivare quantomeno tra le prime sei, e quindi almeno in Europa League. Sarebbe un disastro se non fosse così».

Innegabilmente, però, sono stati i colpi del Real Madrid a segnare questa campagna acquisti. Quale scenario intravedi per il futuro del calcio europeo?
«Il calcio italiano è in profonda crisi. Solo dieci anni fa, quando c'era ancora la Coppa delle Coppe, era garantito che almeno due semifinaliste nelle competizioni sarebbero state italiane. Basta sfogliare gli albi d'oro per capirlo. Poi le società hanno iniziato a investire tanto e male. Abbiamo man mano perso credibilità. Se non avessimo vinto il Mondiale in Germania, saremmo scesi ancora più giù. Per contro, inglesi e spagnoli sono cresciuti, le loro squadre sanno anche fare bel gioco, però ho l'impressione che la loro situazione debitoria non sia migliore di quella delle italiane. Lo stesso Real, adesso, deve avere la capacità di far fruttare i massicci investimenti che ha fatto per accaparrarsi i vari Kakà e Cristiano Ronaldo, e soprattutto deve fare risultati in campo. Se non dovesse vincere almeno una tra la Liga e la Champions, sarebbe una vera delusione. Credo comunque che per il momento le italiane abbiano fatto bene a non spendere eccessivamente, ci sono margini per migliorare, ma è sicuro che nessuno potrà più permettersi di seguire la politica che seguiva anni fa, per esempio, il Milan: acquistava giocatori con il solo scopo di non farli andare a rafforzare la concorrenza, come De Napoli, Futre, Baggio. Berlusconi allora poteva farlo, oggi non è più così».

Che bilancio puoi trarre da questa esperienza a Fuorigioco?
«Straordinario. All'inizio dell'anno eravamo partiti un po' in sordina, consapevoli di andare ad occupare una fascia non facile in cui il pubblico napoletano segue un programma consolidato, Campania Sport, al quale ho avuto anche la fortuna di lavorare in passato. Man mano, però, abbiamo acquisito sempre più credibilità soprattutto grazie alla possibilità che offriamo al pubblico di poter interagire in diretta con noi. Anche le società se ne sono accorte, per esempio l'Avellino che proprio con noi ha rotto il silenzio stampa tramite una telefonata del presidente Pugliese. A settembre ripartiamo e raddoppieremo, avremo una nuova striscia, Fuorigioco Anteprima, il sabato alle 14.30».

Telecaprisport ti ha offerto dunque l'ambiente adatto per poter emergere?
«Certo, e devo ringraziare davvero quanti hanno avuto fiducia in me, da Francesco Pezzella a Saverio Russo che mi hanno accolto a braccia aperte, da Pasquale Turco a Gerardo Tucci che mi hanno messo a disposizione lo studio di Ercolano dove c'è la redazione. Hanno avuto fiducia in un progetto nato dal nulla che, come dicevo, aveva l'incognita di doversi misurare con programmi più consolidati».

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato prima di approdare a Telecaprisport?
«Le mie difficoltà immagino siano le stesse dei tanti giovani che inseguono questo mestiere nella nostra realtà, e cioè la mancanza di editori che ti danno fiducia. È un problema di tutti, ma mi auguro che con l'avvento del digitale terrestre ci sia da parte dell'editoria maggiore attenzione e più interesse a promuovere e lanciare progetti e volti nuovi. È una sfida che dobbiamo saper affrontare tutti perché ci propone infinite possibilità».

Hai avuto un modello a cui ispirarti?
«Sono alquanto disilluso avendo avuto modo di conoscere dal vivo diversi professionisti. In generale posso dire di no anche se, come conduzione, ammiro molto Sandro Piccinini per la sua rapidità e prontezza».

Qual è il tuo sogno nel cassetto?
«Ospitare un giocatore del Napoli nella mia trasmissione (scoppia a ridere, ndr). Scherzi a parte, spero solo di poter continuare questo percorso con lo stesso entusiasmo di sempre».
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SPORTIVA Una coniglietta da combattimento di Pierpaolo Di Paolo

Le insegnanti di aerobica possono notoriamente contare su fisici perfetti, tonici, proprio in virtù del continuo esercizio che svolgono di professione. Non di rado rappresentano il sogno proibito e irraggiungibile degli allievi che accorrono alle lezioni coltivando in segreto le loro fantasie.

Beth Fithen, trainer americana 30enne, rispecchia appieno il modello. La ragazza può contare non solo su un corpo innegabilmente sexy, ma anche su una tempra decisa, una grinta, una determinazione che ne aumentano il fascino. Carattere che probabilmente deve alla sua seconda grande passione, quella per il kick boxing, disciplina da cui ha ereditato forza e autocontrollo.

Nella vita privata, insospettabilmente, la passionale istruttrice è già madre di ben quattro bambini. A guardarla non si direbbe ne abbia avuto neppure uno, ma soprattutto ciò non ha affatto spento le sue aspirazioni. Se a questo scenario aggiungiamo un pizzico di esibizionismo e la disponibilità a spogliarsi, il mix che ne viene fuori è micidiale.

Beth infatti non ha disdegnato di mettersi in gioco come modella, e non appena se n'è presentata l'opportunità, ha posato per gli scatti bollenti di Playboy. Essere una delle conigliette più calde del mondo non ha però appagato le ambizioni della bella americana.

Il suo sogno nel cassetto è poter girare dei video per insegnare il kick boxing ai suoi fan. Per farlo, la Fithen invoca Hugh Hefner, proprietario della rivista più rovente del pianeta. A lui chiede la nomina a generale degli sport da combattimento di Playboy. In questo caso, la bella e intraprendente Beth avrebbe un titolo di indubbio richiamo per lanciare il suo progetto.

Non ci sono dubbi date le premesse: sarebbero lezioni davvero infuocate, per la gioia dei clienti. Se il suo appello verrà accolto, il successo sarà assicurato.
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