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Archivio Telegiornaliste anno VI N. 4 (221) del 1 febbraio 2010
 
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MONITOR Lisa De Rossi, giornalista in continua evoluzione di Giuseppe Bosso

Giornalista professionista, Lisa De Rossi lavora ad Antenna Tre nordest e conduce l’edizione di Padova dei notiziari serali. Un passato a Canale Italia dove, oltre al tg, curava e conduceva la trasmissione settimanale Medicina Oggi. Si è quasi sempre occupata di cronaca nera e salute, le sue grandi passioni, ma anche di cronaca bianca.

Di fronte a episodi come quelli di Rosarno, quale deve essere l'atteggiamento dell'informazione?
«Informare, ma non a qualunque costo. Purtroppo la regola delle tre s - esso, sangue, soldi - risponde a un'esigenza di vendita di copie e di un aumento degli ascolti. L’accentuazione di queste notizie attrae molto il pubblico, ma negli ultimi tempi mi sto rendendo conto che, rispetto a notizie eclatanti come i delitti all'interno delle famiglie, da parte del pubblico c'è un'inversione di tendenza. I dettagli e i particolari morbosi iniziano a stancare. Abbiamo il diritto e il dovere d’informare, ma si può farlo senza soffermarsi sugli aspetti più beceri».

Un allontanamento un po' brusco, quello che hai avuto con Canale Italia, e ora sei il volto del tg Padova di Antenna Tre Nord Est.
«Non può esserci un distacco senza dolore se l’esperienza ha contato qualcosa. Questo allontanamento purtroppo non ha riguardato solo me, ma 17 giornalisti in un anno. Nessun licenziamento, non sono stati rinnovati i contratti. Scelte editoriali. Al di là di questo, rimarrò sempre legata ai miei colleghi e al direttore Angelo Cimarosti, una persona ricchissima dal punto di vista umano e professionale. È stato un passaggio fondamentale per la mia formazione. Sono tornata per la seconda volta ad Antenna Tre, un anno guidata dal direttore Domenico Basso, giornalista di grande esperienza che mi ha dato una grande opportunità, oltre a una nuova veste al tg».

Quali sono le difficoltà di operare in una realtà locale come la tua?
«Le difficoltà si presentano proprio per la realtà circoscritta: fatti che accadono al tuo vicino di casa o al tuo ex compagno di classe. La serietà e la deontologia s’impongono. A volte è davvero imbarazzante occuparsene e non sempre puoi sottrarti. Il nostro poi è un piccolo ma laborioso universo in cui c'è una continua evoluzione che ti porta a dover cogliere al volo le occasioni che ti si presentano. Funziona un po’ come in amore e nell’amicizia, lasci le persone quando vanno e le prendi quando vengono. Posso dire di aver quasi sempre scelto dove andare a lavorare, accettando le possibilità che mi si sono presentate».

C'è una figura, professionale ed umana, a cui cerchi di ispirarti?
«Sì, ho due modelli. Rita Levi Montalcini, che ho avuto la fortuna di intervistare, e poi Giovanni Paolo II, che ho incontrato 10 anni fa. Professionalmente adoro lo stile di Cesara Buonamici: dolce, rassicurante, a portata di ogni pubblico. L’inviato? Senza dubbio Tony Capuozzo».

Le notizie che non vorresti più dover trattare?
«In 14 anni di lavoro, purtroppo, ne ho visti di casi di cronaca come quello capitato ultimamente a Padova, un padre che ha tentato di uccidere il figlio. Vorrei non doverne parlare, così come non vorrei più trattare storie come quella di Iole Tassitani che ha pagato la sola colpa di essere ricca di famiglia e nel mirino di un criminale ambizioso».

Com'è il tuo rapporto con Telegiornaliste?
«Bellissimo. Mi sento coccolata e amata, ma tengo a precisare che non condivido chi vi dice 'dovreste tutelarle di più queste ragazze'. Sono assolutamente aperta alle critiche e alle osservazioni. Ho trovato in voi un vero gruppo di amici, ho avuto maggiore visibilità e un pubblico più ampio. Non posso che ringraziarvi per la dedizione, la cura e l'affetto che mi date giorno per giorno».
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CRONACA IN ROSA Welcome di Erica Savazzi

Benvenuti in paradiso, cantava Antonello Venditti. E c'è chi il paradiso lo cerca, sulla terra, però. Bilal, diciassettenne iracheno protagonista del film di Philippe Lioret Welcome, il suo paradiso lo individua in Inghilterra, dove c'è la sua ragazza, e forse un lavoro. Il problema però è arrivarci, in Inghilterra, dopo tre mesi di viaggio a piedi e camion dalla guerra di Mosul, bloccato in una Calais dove gli immigrati non sono i benvenuti.

È un distributore indipendente quello che ha fatto arrivare il film in Italia, e perciò è proiettato in poche sale e per poco tempo; l'anno prossimo probabilmente sarà nei cineforum o nelle proiezioni mattutine per le scuole. Nel frattempo, pochi l'avranno visto. Un peccato perché, se non bastassero le Rosarno di casa nostra, l'immagine è più potente della scrittura dei giornali, delle parole degli intervistati e delle testimonianze più o meno edulcorate del giornalista accorso sul luogo.

Nella sua ricerca del paradiso, Bilal incontra un istruttore di nuoto francese, rude e triste. Convertito sulla via di Damasco, si mette nei guai per aiutare il ragazzo. Nel frattempo il vicino di appartamento, che all'ingresso di casa ha un gentile, ironico tappetino che annuncia allegro “benvenuti”, si rivela razzista e pieno di pregiudizi.
E voi, da che parte della porta state?
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FORMAT Pagellone di gennaio di Giuseppe Bosso

Sole splendente su Terence Hill. Incredibile, ma vero: le repliche di Don Matteo sconfiggono, e pesantemente, la prima visione della nuova serie di Caterina e le sue figlie. Demeriti altrui o meno, è certo che le avventure del prete-investigatore più amato d'Italia piacciono tanto.

Sereno su Un caso di coscienza 4. Anche stavolta l'avvocato Rocco Tasca, alias Sebastiano Somma, fa centro. Nuovi casi scottanti e attuali, dalle morti sul lavoro alle truffe ai danni dei risparmiatori dalla parte degli indifesi. È questa la fiction d'impegno che vogliamo.

Soleggiante su Lorella Cuccarini. Rimpiangiamo le domeniche pomeriggio di Canale 5 con lei e Marco Columbro, specie se paragonate a quello che assistiamo ogni settimana e che ci ha fatto persino riabilitare le ultime edizioni targate Paola Perego. Cara Lorella, quello che hai dichiarato a Chi è il pensiero di molti.

Variabile su Lo scandalo della banca romana. Sarà stato oltre cento anni fa, ma per il resto cosa ha mostrato di diverso la vicenda interpretata da Beppe Fiorello e Lando Buzzanca rispetto ai crack dei grandi gruppi finanziari di oggi?

Poco nuvoloso su Guida al campionato. Niente contro i simpatici Turbolenti, ma preferiamo decisamente un programma di sola e semplice informazione sportiva epurato da intrattenitori. Fortunatamente è quello che la trasmissione sta facendo quest'anno con i bravi Mino Taveri e Susanna Petrone. Possiamo chiudere un occhio con i consueti "pendolini" e le "bombe" targate Maurizio Mosca.

Foschia su Italia 1. Possibile che non ci sia niente di meglio da trasmettere al pomeriggio che sitcom d'oltreoceano di non eccelsa qualità? Forse sarebbe il caso di incentrare nuovamente quella fascia oraria sulla tv dei ragazzi, come ai tempi ormai remoti di Bim Bum Bam.

Nebbia sul confronto del prime time del venerdì. Da un lato i Raccomandati, dall'altro la serie Tutti per Bruno; sembra di assistere ad un brutto 0-0 senza grandi emozioni, tra un varietà ormai trito e ritrito e una serie piuttosto banale e monotona. Auguriamo alla coppia Pupo-Emanuele Filiberto di fare meglio a Sanremo, e a Claudio Amendola di tornare al più presto a vestire gli amatissimi panni di Giulio Cesaroni.

Pioggia su chi ha tenuto al palo Cielo. Solo da poco l'emittente targata Murdoch è visibile sul digitale terrestre, a dimostrazione del fatto che c'è ancora molto da fare, e non solo in ambito tecnico, perché questa sia una vera rivoluzione mediatica.

Temporale su quanti, anche quest'anno, iniziano a sputare sentenze troppo preventive sul Festival di Sanremo. Diamo fiducia ad Antonella Clerici, ma ci spiace vedere come molti critici (o presunti tali) abbiano già bocciato canzoni come quella di Povia prima di avergli dato la possibilità di essere ascoltata.

Grandina su quanti, in occasione del decennale della sua scomparsa, non hanno fornito una commemorazione di Bettino Craxi completa ed obiettiva. Non vogliamo entrare nel merito della questione statista o corrotto, esule o latitante. Però chi ricopre una carica di rilievo come quella della direzione del più importante (o almeno così dovrebbe essere) tg nazionale potrebbe risparmiarci certi editoriali.

Burrasca sull'informazione che non è riuscita, nei giorni della tensione a Rosarno, a trasmettere messaggi distensivi e stemperanti di un clima esasperato. La strada dell'integrazione è ancora lontana per l'Italia.
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HOT GIRLS Ti voglio maschio ed escort di Valeria Scotti

Sesso a pagamento. Non scandalizziamoci più, soprattutto quando è lei a pagare lui. Prendi la 33enne Emma Menyon, approdata sulle pagine inglesi del Sun per raccontare la sua esperienza. E che sia di esempio alle altre donne. Quanto adoro la (finta) solidarietà femminile.

Emma, dicevamo. Profondamente sfiduciata negli uomini dopo la fine della sua storia d'amore con il fidanzato Tom. Lui che la tradisce con la migliore amica di lei. Banalità.

Emma non ci sta, si allontana da conoscenze negative e decide di inaugurare un nuovo capitolo della sua vita. Punto uno: voglio pagare per fare sesso. «Mi sentivo sola e non aveva alcuna intenzione di essere ferita di nuovo. Ma come ogni giovane donna, avevo la necessità di stare fisicamente con un uomo», ha spiegato l'intraprendente signorina.

Ed ecco arrivare sulla sua strada Jamie, escort in piena regola. «Mi è sembrato da subito affascinante, un ragazzo con i piedi per terra, e ho deciso di dargli una possibilità». Lui, 60 sterline all'ora, non si è fatto negare.

Un primo incontro insolitamente casto in un albergo di Londra, ove lui si è dimostrato un vero gentleman tra massaggi alla schiena e al collo, nulla più. L'esplosione sessuale è avvenuta solo qualche incontro più in là. «Fare sesso con lui mi è molto piaciuto, e poi è stato divertente farlo con un uomo senza avere alcun tipo di legame. Ovviamente sono stata attenta a praticare sesso sicuro». Almeno questo.

Ma dietro l'angolo, c'è sempre un ostacolo. E come il transfert ti fa innamorare del tuo analista, a un certo punto Emma si è accorta di tenere un po’ troppo a Jamie. «Quando mi sono resa conto di essere gelosa delle altre sue clienti, ho capito che dovevo interrompere i nostri incontri. Con il passare del tempo, avrei avuto maggiori difficoltà a staccarmi da lui emotivamente».

Detto, fatto. Emma oggi ha smesso (forse) di frequentare gigolò, e si sente una donna nuova anche grazie a James. «Mi ha dato di nuovo la fiducia necessaria per prendere il controllo della mia vita e non lasciare che un altro uomo mi faccia del male. Questo, per me, non ha prezzo». Ci credo: ai soldi ci ha già pensato il 'suo' Jamie.
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DONNE Mary e diritti umani di Erica Savazzi

Mary Robinson. Avvocato, consigliere comunale a Dublino, senatrice per due decenni, prima donna presidente della Repubblica d'Irlanda dal 1990 al 1997, Alto Commissario ONU per i Diritti Umani dal 1997 al 2002, presidente onorario della Ong inglese Oxfam, consigliere in numerosi progetti benefici, presidente di Realizing Rights: The Ethical Globalization Initiative che promuove i diritti umani come elementi necessari per una globalizzazione giusta, equa e che porti vantaggi a tutti.

Nel luglio 2009 il presidente USA Barack Obama le ha assegnato la Medal of Freedom, la più alta onorificenza civile americana, dicendo: «Come difensore degli affamati e dei tormentati, dei dimenticati e degli esclusi, Mary Robinson non è stata solo messo in luce le sofferenze umane, ma ha illuminato la strada per un futuro migliore per il nostro mondo».

Un cursus honorum incredibile per una donna che si è sempre occupata di diritti umani. Nel proprio Paese, con battaglie per rendere lecito l'uso di anticoncezionali, per far decadere le legge che imponeva alle donne sposate di non dover abbandonare le cariche pubbliche, e per depenalizzare l'omosessualità; all'estero, parlando con tutti, col Papa, col Dalai Lama, con gli avversari politici e perfino – durante un suo viaggio a Belfast – con Gerry Adams, presidente del partito indipendentista Sinn Fein. Primo presidente irlandese a incontrare la Regina Elisabetta, ha contribuito a riscrivere le relazioni tra i due Paesi. Durante i suoi viaggi ha prestato particolare attenzione agli emigrati irlandesi residenti all'estero.

«Il soggetto dello sviluppo è la persona umana (…) – ha dichiarato la Robinson nella sua funzione di Alto Commissario per i Diritti Umani – riconoscere la promozione e la protezione di tutti i diritti umani è la base per uno sviluppo sostenibile». Belle parole, cui seguì la sciagurata conferenza di Durban contro il razzismo del 2001, presieduta proprio dalla Robinson, che viene ricordata per il ritiro della delegazione statunitense come protesta per un approccio troppo anti-israeliano e giustificativo del terrorismo palestinese. E proprio per questo motivo l'assegnazione della Medal of Freedom all'ex presidente irlandese è stata duramente criticata negli Stati Uniti.
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TELEGIORNALISTI Giornalisti sotto l'occhio del Grande Fratello di Valeria Scotti

Siamo abituati agli esperimenti estremi. Ma quando c’è di mezzo l’informazione, quella vera, il dubbio viene. Ora non chiamatelo Grande Fratello, altrimenti si rischia di confondersi col bailamme televisivo a cui siamo abituati. Questa è una questione seria. Più seria.

Prendi infatti cinque reporter - Benjamin Muller, Nour-Eddine Zidane, Janic Tremblay, Anne-Paule Martin, Nicolas Willems - rinchiudili per una settimana in una casa nella Francia del Sud, e fa che possano accedere solo a Twitter e Facebook. Niente cellulari e tv, banditi giornali e radio.

A disposizione di ognuno, un computer abilitato alla connessione sui due social network. La sfida? Andare in onda ogni giorno con i rispettivi programmi e cercare di informare il pubblico attraverso le notizie trovate esclusivamente sulle due fonti online. Sia chiaro: vietato fare riferimento agli account delle grandi testate. Il giornalismo, in questa prova, deve nutrirsi solo di fonti dal basso.

L’idea di Huis clos sur le Net (Porte chiuse sulla Rete) è della Radio Pubbliche Francofone (RFP), associazione che riunisce le emittenti di stato di Canada, Francia, Belgio e Svizzera. E il reality, che ha preso vita poche ore fa, si concluderà il 5 febbraio.

Ma qui, per una volta, l’intrattenimento non fa parte delle regole del gioco. «Il nostro scopo è far vedere che ci sono diverse fonti di informazione e ognuna di queste ha la sua legittimità», ha spiegato il direttore di France Info, Philippe Chaffanjon. Teoria di tutto rispetto.

I dubbi, però, sono legittimi. I due social network, certo, possono essere di grande aiuto per diffondere le informazioni nei Paesi in cui si vive di censura, vedi l'Iran. Ma da soli, e ce ne accorgeremo a fine esperimento, non possono ancora operare miracoli. Poi un giorno, chissà.
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SPORTIVA Jana Pittman-Rawlinson: il mio seno per una medaglia di Pierpaolo Di Paolo

Se dedicare la propria vita al risultato agonistico o concedere maggiore attenzione ai propri spazi personali, alla vita privata, anche a discapito della carriera sportiva, è un vecchio dilemma di quelli da perderci la testa, scegliere di raggiungere il top in una disciplina vuol dire tanti piccoli sacrifici, tante rinunce. Uscire con gli amici, fare tardi ogni tanto, concedersi un dolce in più, sono cose normalissime per una ragazza qualunque, ma diventano off-limits per chi si è avventurato su questa strada. In ogni caso, fin qui, il problema è tollerabile.

Il contrasto donna-atleta si pone in tutta la sua drammaticità nel momento in cui l'attività sportiva incide in maniera determinante su scelte di vita strettamente intime e personali. Sul modo in cui ci si guarda allo specchio e ci si percepisce, su come si vive il proprio corpo. In alcuni casi le cose vanno di pari passo: coltivare la passione o professione sportiva migliora l'aspetto fisico e la sintonia con la propria femminilità. In altri no.

Emblematica in tal senso la storia di Jana Pittman-Rawlinson, stella australiana dell'atletica leggera. A ventisette anni, Jana vanta una carriera eccezionale con 4 ori nei giochi del Commonwealth, oltre ad essersi laureata per ben due volte, nel 2003 e nel 2007, campionessa del mondo nei 400 m ostacoli. Nonostante l'enorme successo, un senso di insoddisfazione crescente si fa strada nella mente della ragazza, fino a diventare insopprimibile: «Quando mi guardavo nello specchio non vedevo altro che braccia muscolose, spalle larghe e gambe forti e grandi. Sono qualità necessarie per correre bene, ma non fanno certo di me una bella donna». Poi l'esplosione: «Non voglio essere come quelle campionesse olimpiche che sembrano uomini!».

Nel 2008, la decisione di affidarsi alla chirurgia plastica per avere un seno che le restituisse quel senso di femminilità che sembrava smarrito. Un piccolo sogno, un gesto di vanità pagato ben 13.000 euro, ma comune a migliaia di donne nel mondo che ogni anno si rivolgono al chirurgo per migliorare il loro aspetto fisico. Ma Jana Pittman non è una donna comune, è una campionessa del mondo. I nuovi attributi poco si confanno alle sue attività agonistiche, modificando il peso, incidendo sulla velocità e scioltezza della sua corsa. I suoi seni adesso sono belli, perfetti, ma le tolgono qualcosa, ed è impossibile per lei non accorgersene. Il dilemma si presenta subito in tutta la sua tragicità: «Ogni volta che correvo ero presa dal panico all'idea che potessi indebolire il mio Paese. E tutto solo per la mia vanità».

Le Olimpiadi di Londra 2012 non sono lontane, e per tornare a vincere occorre una scelta difficile. Da un lato l'ambizione, dall'altro la ritrovata femminilità. La clamorosa decisione non si fa attendere: «Sì, sono tornata piatta come una frittella, ma voglio arrivare sulle piste di Londra nelle migliori condizioni possibili. Potrò riavere i miei seni e dedicarmi nuovamente al mio corpo una volta terminata la carriera. Adesso voglio una medaglia, e non ci sono medaglie per la bellezza».
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