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Archivio Telegiornaliste anno VIII N. 29 (331) del 17 settembre 2012
 
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TGISTE Alma Grandin: il Tg1? Ve lo racconto in un libro di Giuseppe Bosso

Ormai è una delle veterane del Tg1, e forse anche per questo si è cimentata in questa interessante iniziativa editoriale.
Incontriamo Alma Maria Grandin, che ha da poco pubblicato il libro www.viraccontoiltg1.rai.it.

Alma, cosa ti ha spinta a scrivere questo libro?
«Un’idea. L’idea di poter raccontare l’esperienza di una start up come quella del sito del primo telegiornale italiano. La storia del Tg1 va di pari passo con quella dell’Italia, e si è evoluta nel tempo, secondo i ritmi e le esigenze del paese. Ho cercato di ripercorre il valore degli strumenti di informazione, storici ed innovativi, che si confrontano per raggiungere un risultato comune: informare, aggiornando costantemente, e verificando comunque, come ogni giornalista dovrebbe sempre saper fare».

Cosa hai raccolto delle tue esperienze?
«Tutte le esperienze professionali di questi vent’anni sono state utili, formative e preziose. Vivo e lavoro con la curiosità di chi vuole continuamente imparare e, nell’era digitale, i giovani la fanno da padroni».

Per te questo è un punto di arrivo o un nuovo inizio?
«Un inizio nuovo e avvincente, direi quasi una sfida. Un nuovo modo di lavorare che continua ad arricchirmi giorno dopo giorno. Sono stata chiamata da Radio1 proprio per questo motivo: entrare a far parte della nuova redazione del Tg1 online. Per me è stata una sfida dopo oltre 20 anni di professione mi sembrava di colmare quella parte giornalistica che ancora non avevo esplorato: il web, la rete e internet».

Nell'era della tecnologia c'è ancora spazio per i libri?
«I libri non moriranno mai. Loro sono il nostro testamento per l’eternità. Magari libri di carta ed e-book sempre più paralleli. Ma vuoi mettere l’emozione nel toccare un libro, sentire l’odore della carta stampata e poi leggerlo sfogliando delicatamente, o avidamente a seconda del testo, tutte le pagine fino alla fine».

Qual è il tuo prossimo sogno nel cassetto?
«Ne ho tanti e riguardano soprattutto i giovani».

Ci sarà un seguito a questa esperienza?
«Spero di sì, ma deve arrivare l’idea giusta. E sono certa che arriverà presto».
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NONSOLOMODA Una nuova rubrica inno di Italianità! di Francesca Succi

Telegiornaliste.com ritorna in gran forma dopo questa lunga pausa estiva. Ritorna con le storiche rubriche dedicate alle donne, e in particolare alle telegiornaliste, con qualche cambiamento.

La sottoscritta e la redazione (tutta!) ha deciso di mandare "in pensione" la rubrica denominata Cronaca in Rosa, poiché troppo vaga, per dare spazio a qualcosa su cui è fondato il nostro bel paese: moda, bellezza, benessere e lifestyle.

Sulla moda gioco in casa e mi vedrete spesso come autrice; uno degli argomenti che mi appassionano e su cui è fondata la mia professione. La moda, nell'immaginario collettivo mondiale, è tutta made in Italy. E allora perché non dedicare qualche riga settimanale ad un nostro primato? Qualcosa che ci rende ancora fieri di essere italiani!

La bellezza - fisica e immateriale - fa parte del nostro Dna. Le più belle donne del mondo sono italiane, lasciatemelo dire. La maggior parte degli uomini più belli del mondo sono italiani, lasciatemelo dire. I luoghi e le tecniche di bellezza e benessere più apprezzati al mondo sono italiani! E allora, anche qui, perché non dare spazio a tutto questo sul nostro magazine?

Poi entra il lifestyle. Lo stile di vita italiano, lussuoso o meno (per via della crisi), è un concetto che tutto il mondo c'invidia. E ci imita! Tu vuò fa l'americano, ha lasciato spazio al tu vuò fa l'italiano!

Il nostro desiderio è riportare in vita una serie di valori che - per via della crisi e altre problematiche su cui sono puntati i riflettori - sono andati dimenticati. Attraverso le parole e le esperienze di chi ancora è fiero di essere italiano.

Un po' come noi di questa redazione: perché se non fossimo fieri di essere italiani non ci saremmo avventurati in nonsolomoda!

Buona lettura!
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TUTTO TV Morena Salvino, la mia strada da attrice di Giuseppe Bosso

Nel 2002 grande notorietà con lo spot tormentone Buonaseera; poi un anno a Passaparola come letterina e l’esperienza a Centovetrine nel ruolo di Chiara Baldi; quindi grande successo anche al cinema con Principessa; incontriamo Morena Salvino.

Cosa stai facendo adesso?
«Al momento niente, in Italia, dopo la partecipazione a Il restauratore su Rai 1; all’estero sto lavorando in Danimarca e Croazia».

Cogli l’attimo, il motto di quello spot che ti diede grande visibilità: è così anche per te?

«Si, in effetti devo dire che mi ha accompagnata in molte decisioni».

Ancora oggi ti vediamo spesso in spot e televendite: per te la gavetta non è ancora finita?
«Non finisce mai, fino a quando non compi il grande salto, che per me potrebbe essere il cinema ad alto livello. Mi piace fare spot, sono il mio bancomat, la mia fonte di sostentamento. Dietro pochi secondi di messa in onda ci sono giornate di duro e impegnativo lavoro».

Ha fatto molto discutere, questa estate, il programma Veline: da ex ‘letterina’ cosa consigli a queste ragazze che cercano di avvicinarsi al mondo dello spettacolo?
«Veline, in realtà, non è poi tanto diverso dai concorsi di bellezza a cui ho partecipato quando, sul finire degli anni ’90, iniziavo a muovere i miei primi passi in televisione. Sono un’importante vetrina, in cui hai la possibilità di dimostrare anche cosa sai fare. A queste ragazze consiglio solo di pensare bene a cosa vogliono fare nella vita, di andare avanti solo se sentono che è questa la loro strada, tenendo presente che è un settore difficile, dove la concorrenza è agguerritissima».

Com’è cambiata Morena dai tempi di Passaparola ad oggi?
«Passaparola per me è stato in realtà la fine di un percorso, quello della tv, che avevo cominciato molto prima come ti dicevo; fin da bambina, a 11 anni, avevo fatto teatro un po’per gioco e poi, man mano, ho capito che era questa la mia strada. Finito il programma con Scotti ho iniziato il mio percorso da attrice, con Enrico Bertorelli, ed è su questa strada che intendo proseguire. E ho avuto una grande soddisfazione a New York, vincendo un premio per il film Principessa».

Guardando indietro, ci sono rinunce che non ripeteresti o no che non diresti di nuovo?
«Forse nella vita privata, ma per quanto riguarda l’ambito professionale no, sono sempre stata convinta di quello che ho fatto; non è stato un percorso facile ma ho sempre seguito il mio istinto e ne sono sempre stata contenta».

Negli spot di oggi ti vediamo quasi sempre nel ruolo di mamma. È un tuo desiderio?
«Si, comune ad ogni donna del resto. È l’apice della soddisfazione sicuramente».

Hai mai pensato a un percorso giornalistico?
«No. Mi piace conoscere il mondo, viaggiare, ma non sono incuriosita dalla vita degli altri».

Come attrice c’è qualcosa che non faresti proprio mai?
«No. Il lavoro di attrice ti porta ad accettare qualunque cosa ed io per entrare nel personaggio non mi pongo limiti. Certo, magari, per le scene di violenza è meglio sempre limitare qualcosa. Ma se devo, per farti un esempio, ricevere uno schiaffo, lo ricevo senza problemi».

Come ti vedi tra dieci anni?
«Spero con una famiglia, come dicevo. Quanto al lavoro, se non dovessi continuare lungo questa strada, spero in ogni caso di fare qualcosa che non mi pesi, quando mi alzo la mattina; che mi dia la gioia di farla».

A Centovetrine, per un periodo, ti abbiamo vista nei panni di una conturbante Catwoman: ti è capitato anche nella realtà di ‘vestire’, simbolicamente, i panni di un’eroina per conquistare un partner?
«No, assolutamente. Fin da ragazzina i fidanzati che ho avuto mi hanno sempre voluta e accettata per quello che sono, senza alcuna costrizione o travestimento, simbolico o reale (ride, ndr)».
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HOT GIRLS Salute e sesso, lui e lei: Angel, consigli utili di Giuseppe Bosso

Una vita sessuale sana e piacevole, ma non solo. Tanti dubbi sui temi, tante domande da confidare a un esperto in rete. Nasce così Salute Lui & Lei, il blog di Angel.

Come è nato il vostro sito?
«Il nostro blog nasce con lo scopo di offrire contenuti ed informazioni valide sulla salute sessuale, in veste del tutto informale rispetto a 121doc, il sito a cui fa riferimento e dietro al quale lavora uno staff sanitario con cui collaboriamo. L’impegno speso dalla nostra redazione nel proporre articoli sempre freschi ed originali e quello nel rispondere ogni giorno ai commenti degli utenti, hanno portato Salute Lui & Lei a raggiungere in meno di 2 anni quasi 4.000 visite al giorno».

Salute e sesso: metaforicamente si potrebbero definire una coppia talvolta un po’ litigiosa; come farle andare d’accordo?
«Certamente salute e sesso sono, soprattutto tra i giovani, una coppia alquanto litigiosa. I metodi contraccettivi durante i rapporti sessuali non vengono ad esempio sempre impiegati, non pensando a quali potrebbero essere le conseguenze: una gravidanza indesiderata, come un’infezione genitale. L’unico modo per fare andare d’accordo sesso e salute rimane la corretta informazione, magari resa più comprensibile ed accessibile ai giovani attraverso un linguaggio chiaro, come quello di Salute Lui & Lei».

“Parlare di queste tematiche è fondamentale in un paese come il nostro dove di salute sessuale si parla poco e male” è scritto nella vostra presentazione: secondo voi perché è così?
«Per tante ragioni - sia culturali, sia sociali – nel nostro paese quelli della salute sessuale sono temi spesso trascurati o non affrontati adeguatamente. Una politica sociale in questo senso sarebbe il provvedimento che più in assoluto potrebbe risolvere la situazione. Dal canto nostro, noi ci preoccupiamo di dare informazioni in materia e cerchiamo di farlo senza inutili tabù».

Chi si rivolge a voi principalmente, uomini o donne?
«Riceviamo commenti ed email da entrambe le parti, ma soprattutto in tema di contraccezione le donne si rivolgono a noi molto più di frequente rispetto agli uomini».

La rete può sopperire alle carenze che scuola e famiglia non forniscono ai giovanissimi sul tema?
«La rete non può essere vista come un sostituto di scuola e famiglia, ma non possiamo non essere sensibili ai cambiamenti della società. È un dato di fatto che non solo i giovani, ma in generale la popolazione utilizzi sempre più spesso internet per reperire informazioni. La nostra società - attraverso il sito istituzionale e attraverso i propri blog - cerca semplicemente di far arrivare una corretta informazione: ci piace pensare che internet possa rappresentare più un'opportunità che un pericolo. È importante quindi essere presenti sul web, rimanendo consapevoli della delicatezza degli argomenti trattati e della funzione importante che gli utenti ci riconoscono».

Chiudiamo con una battuta, ma forse non lo è: una vita sessuale in salute può aiutare a superare la crisi?
«Assolutamente! Non è forse vero che i soldi non sono tutto nella vita?».
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DONNE La magia di Paola Goretti di Francesca Succi

Non servono presentazioni per una donna così. Dirà tutto lei, Paola Goretti, in questa splendida intervista che ha rilasciato esclusivamente per i lettori di Telegiornaliste.com.

Come autrice che rapporto ha con le parole?
«Assoluto, totale, amoroso, carnale. In tutte le direzioni. Le parole sono la sostanza più intima del mio essere, il mio sangue, il mio respiro, i miei figli. La mia musica. Mi nutro di loro, più ancora che di cibo reale, che per me ha sempre avuto un’importanza relativa. Ne potrei tratteggiare infinite sfumature, nelle carambole vorticanti di cui è composto il loro involucro e la loro emanazione. Le parole vanno restaurate, indossate, parlate; vanno tenute vive, messe in circolazione. Soprattutto, vanno incarnate. Il quinto chakra – che presiede al processo della comunicazione e all’atto della fonazione - non è solo aria. È aria che diviene carne, materia, spirito, accadimento, mutamento. È Aria che diventa Realtà».

La sua passione letteraria per Eugenio Montale come nasce e s’intensifica nel corso del tempo?
«È una vecchia storia, che ha preso corpo tanti anni fa quando, nel 1993, vinsi il premio Montale giovani con una raccolta di poesie, Gli arcobaleni sul tappeto, poi pubblicata da Scheiwiller l’anno successivo. Gli sono sempre stata profondamente riconoscente, l’ho amato moltissimo. L’ho sentito, auscultato, accarezzato. Di lui ho amato le atmosfere immobili e meridiane, l’articolato fraseggio antiretorico, il nitore e la complessa musicalità del verso. Poi con gli anni l’ho tenuto sullo sfondo, per dare spazio maggiore a registri differenti, più soavi e morbidi, più incantati, più di realismo magico, più femminili, impastati alla terra. Avevo bisogno di incontrare figure edificanti di sesso femminile, dopo un’enorme Galleria di Uomini Illustri (Montale, appunto; Petrarca, Luzi, Manganelli, Borges, Garcìa Màrquez, Guadalupi, Bufalino, Tabucchi; l’immenso Piero Camporesi. Ma anche i miei adorati Fabrizio de Andrè, Franco Battiato, Vinicio Capossela), avevo bisogno di incontrare le mie donne. Così, sono andate in cerca di loro e le ho trovate tutte. Dopo ho mescolato, cercando di mantenere ben salda la robustezza dell’impianto maschile acquisito con la grazia soave del sentire femminile, o con gli incendi visionari di archetipi antichissimi ricollocati nella giusta vibrazione. Con entrambe le parti, ho cercato di comporre il mio pentagramma e di dipingere con le parole. Continuo ancora oggi a farlo in ogni impresa: letteraria, saggistica, progettuale, didattica che mi viene proposta. O, semplicemente, nella Vita; nel suo flusso emotivo, nel sentimento, nelle Sacre Parole di cui ogni relazione ha bisogno per essere rigenerata, alimentata, curata, annaffiata, tenuta in perpetuo movimento».

Quale donna del passato avrebbe voluto essere?
«Isabella d’Este! Lo sanno tutti. Ho un rapporto con lei che a tratti ha sfiorato la simbiosi. Ci sono una serie di aneddoti esilaranti… Quando andai in Brasile per lavoro, con due valigie sovraccariche (una era di libri), quelle serpi delle mie adorabili compagne di viaggio, amiche e colleghe, mi chiesero se dentro avevo i candelabri di Isabella d’Este… Ho intere pagine di aneddotica. E interi ciclopici carteggi amorosi dove mi firmo Vostra YS, siglando dal Camarino della fiamma o dalla stanza degli orologi. Sì, non c’è dubbio. Avrei voluto essere Lei. Un concentrato di intelligenza, cultura, eleganza e regalità messa al servizio del bene. Se penso ai rapporti che intratteneva con tutti gli intellettuali che la circondavano, ai suoi “bei conversari”, all’intrico delle relazioni, non posso che sentire un flusso di radianza che ancora si propaga dall’onda lunga della sua persona. Con lei, La cresta sottile del rinascimento era davvero possibile; era possibile, sul finire del Quattrocento e all’aprirsi del nuovo secolo, immaginare congiunture talmente colte ed educate da far quasi dimenticare il sangue che scorreva a fiotti nel crudo delle battaglie sferraglianti. Lei teneva alto l’esempio di Civiltà, avviava a regole che secoli dopo sarebbero state le pietre miliari della società galante francese. È stata un modello, lo è ancora. Nella sostanza del classico. Quella che continuo a preferire sopra ogni cosa».

Una del presente e, per assurdo, del futuro?
«Oh, ne ho a dozzine! Un’intera Galleria di Donne Illustri che mi piacciono moltissimo. Monica Guerritore, Mariangela Melato, Eleonora Abbagnato, carattere e temperamento, disciplina ferrea, risultati immensi. E immensa femminilità. Adoro la vocalità di Sade, regge l’usura del tempo alla perfezione, il suo stile è smaltato come trent’anni fa. Adoro la voce di Amalia Gré, l’intensità dei testi di Mariangela Gualtieri, un miracolo di ardore. E poi il volto di Irene Papas, meraviglioso di intensità; quello di Fanny Ardant, bellissimo. Quello, profondamente amato, della mia amica Giuliana Berengan, che a Ferrara non ha certo bisogno di presentazioni: uno dei più belli, antichi e luminosi che abbia incontrato in tutta la vita. Ammiro poi profondamente le donne che sono riuscite ad eccellere nel lavoro, col talento di una creatività robusta e multifocale, ad essere madri, educatrici e pasionarie di ardore creativo, nella vita e nel suo pieno godimento. Un esempio? La direttrice del Museo Egizio di Torino, Eleni Vassilika, un mito. E poi, amo la tempra di mia madre, Lucia; anche se ruvida, per niente incline ai sentimentalismi (è stato un incubo, a suo tempo, per me che sono così languida), ha una memoria prodigiosa, una lucidità soprannaturale, una stravaganza complessa e incollocabile, e la forza di dieci tigri: anche oggi, a 85 anni suonati. Buon sangue, spero che non menta…
Del futuro vorrei reincarnarmi in una donna molto evoluta, di un’altra razza umana, immune dalla sofferenza sterile, dalla stupidità e dai gorghi dell’inferno. Destinata a incontrare solo anime altrettanto avanzate, libere da ogni pedaggio (specie dai debiti karmici), sgravate dal peso della scelleratezza e della follia, impartita o subìta. Diciamo che, come donna futura, vorrei essere la papessa (o fondatrice, sacerdotessa, musa, sirena, maga, fate voi…) del pianeta Venere, ospitante anime in festa destinate a incontrarsi sulla base di prospettive sensoriali, evolute, erotiche; nell’allaccio benefico e fecondante che ogni contatto d’amorosi sensi è in grado di generare con altre anime; specie con quelle di sesso maschile, a loro volta divenute mature e sapienti. Io farei da garante super partes, piantata sul mio tronco sacro, danzante e millenario, per educare alla gioia mediante processi di formazione e di educazione permanente. Voluptas in Virtus, ecco ciò in cui credo. Fuori dalle logiche dell’intelletto e del raziocinio. Non è detto che questo futuro non si realizzi. Avrei giusto in mente un progetto didattico, con la preziosa amica Francesca Faruolo, direttora di Smell Festival. Ci lavoriamo da ormai due anni, speriamo di poterlo realizzare presto. Non sarebbe affatto un capriccio, ma una lezione morale severa e necessaria, per ricominciare veramente tutto da capo, seguendo gli insegnamenti dei Maestri che incitano ad un risveglio profondo, a partire dal rinnovamento delle istituzioni. In questo senso, tutti dovremmo leggere Elogio del moralismo, di Stefano Rodotà. Un grand’uomo. E per di più, bellissimo. Con questa moralità rinnovata, riedificare la nostra vita. Con gli insegnamenti più alti del pianeta Venere incorporati alla concretezza del presente».

La sua voce, così sensuale (e peccato che i nostri lettori non possano sentirla), è una delle sue particolarità. N’è consapevole?
«Sì, consapevolissima. Me lo hanno detto in tutte le lingue, in molte parti del mondo; molte persone, dopo aver sentito la mia voce, sono come cadute in trance, in uno stato di benessere totale indotto dai miei riverberi vocalici naturali. Col tempo, ho capito che avevo un’energia terapeutica e curativa innata. È una storia lunghissima, il cui primo episodio fondamentale risale ad un’interrogazione sostenuta durante le elementari. Avrò avuto 7-8 anni, circa. La chiamata, la vocazione e il destino erano già segnate. Da grande, molte delle cose apprese le ho tramutate in libri e in azioni concrete, sia come voce narrante che come insegnante o saggista, nel nucleo di alcune riflessioni. Ho dedicato alla voce un intero capitolo del mio libro, Il sentimento della cura: appunti per un dialogo affettivo (Pavia, 2004), specie alle pagine su La cura nella sapienza della voce. Lì ho sistematizzato alcuni passaggi sulla teofania del suono tra oriente e occidente, sulla parola che cura, sul pensiero pneumatico, sull’aderenza tra significato e significante dopo lo scollamento teorizzato da de Saussure, sull’ispirazione e l’inspirazione, sul pneuma che gorgoglia negli atti di fonazione e altri intrecci; sempre passando per la mistica, la teologia, la letteratura».

Come storica della moda cosa ne pensa del profondo cambiamento che ha subìto il costume nell’ultimo secolo?
«Qui mi ci vorrebbe un secolo per rispondere! I cambiamenti radicali c’erano anche a metà Trecento, potrei dimostrarlo argomentando tutta una serie di cicli pittorici in cui, in un pugno di anni, prendono forma delle trasformazioni radicali, davvero inimmaginabili fino a qualche tempo prima. Non è una questione dell’oggi. Diciamo che il Novecento ha un suo cambiamento e una sua logica, che si sostanzia attorno ad alcuni paradigmi. La novità principale è che la permanenza degli orientamenti subisce un’accelerata vertiginosa; mode e stili non si misurano più nell’arco di un cinquantennio o di un ventennio, come accadeva nel tempo lento delle corti o in quello dell’industrializzazione ottocentesca, devota al culto feticista della merce. Da quando poi le sottoculture giovanili sono divenute motori trainanti dell’intreccio postmoderno, tutte le combinazioni hanno ridefinito il processo storico dentro una vertigine atemporale, remixando ogni congiuntura. La globalizzazione, il mondo del web, la crisi economica internazionale hanno fatto il resto. Anche negli stili di vita, nei comportamenti, nei consumi. Ma parlare di costume nell’ultimo secolo, in modo così diffuso e generalizzato, davvero non è possibile».
 
Per noi è una vera icona di stile. Gliel’hanno già detto?
«A centinaia. Ringrazio e sorrido ogni volta. Faccio un inchino, volteggio. Faccio la ruota per tre minuti poi volo via, per non prendermi troppo sul serio. E mi chiedo Ma perché? State parlando di me?».

Quale periodo storico, epoca o decennio la ispira e l’attrae in maniera totale?
«Nessuno. Non sono una nostalgica, e le mie nevrosi di sovrapposizione iconografica di me stessa con tutta la fase del Déco, in verità sono sempre rimaste solo ed esclusivamente fascinazioni di tipo estetico, per forme di eleganza superficiale. Non certo passioni vincolate a verticalità complesse e stratificate che in me vanno in direzioni completamente diverse. Io sono e resto un’umanista all’antica, sono una cinquecentista di formazione ed è al mondo delle corti di antico regime che la mia anima appartiene. Ma al tempo stesso, vivo su Urano, ho fortissimi valori uraniani nel mio tema natale; soprattutto, ho fortissimi valori di collegamento che vanno in tutte le direzioni; passato, presente, futuro, circolarità. In me è tutto congiunto, allacciato, come in una forma fluens volteggiante negli slarghi del tempo e della visione; oggi lavoro sul 1630, domani sul 1870, dopodomani sul 1450 o sul 2015. Funziono così, come un paradosso. Proietto il passato davanti agli occhi, lo progetto e lo riprogetto, in continuazione, come ce l’avessi costantemente davanti, non dietro, mai! Questo è ciò che veramente mi affascina, mi cattura, mi seduce, visceralmente. Il dèmone a cui ho venduto l’anima. Girovagare in astronave per tener vive le cose, raccontare, tramandare. Soprattutto tramandare. E riportare il tempo qui, per condividerlo di nuovo insieme».

Di cosa si nutre attualmente l’anima di Paola Goretti?
«In questo momento, mi sto nutrendo degli ornati neoclassici di Antonio Basoli e del suo magnifico progetto grafico dedicato all’Alfabeto Pittorico; di alcuni profumi composti da D’Annunzio nelle sue varie circumnavigazioni rabdomantiche. Di tutto il sistema del Made in Italy, dal Cinquecento ad oggi (progetti bibliografici in corso). Di alcuni libri molto ispirati; Ezio Raimondi, Le voci dei libri; Luce Irigaray, Una nuova cultura dell’energia. Al di là di Oriente e Occidente. Entrambi, dopo tomi e tomi di altissima dottrina e filosofia, si sono aperti ad una visione più fluida, infinitamente semplificata, che coniuga corpo e mente in modo nuovo, per inediti alleggerimenti che molto sono in sintonia con le corde del mio approccio al mondo. E poi di luce; di luce profondissima. Di qui a breve dovrò scrivere un lungo saggio ispirato proprio alla luce, per un importante progettista contemporaneo che desidera avere le sfumature delle mie parole per dar volume ai suoi corpi luminosi. Per evocare la luce, come esercizio spirituale necessario per entrare nella parte, ho persino riletto tutt’estate i miei diari privati tenuti da trent’anni a oggi in quaderni di velluto e seta, oltre ai carteggi con alcuni uomini che ho molto amato. Ho imparato cose sensazionali. Molto istruttivo, rileggersi. Fondamentale, per sperare di non ripetere all’infinito gli stessi errori, schemi, follie. La luce, insegna a fare luce. Sempre».
 
Può dedicare un pensiero, come augurio della nuova stagione?
«Beh, visto che questo articolo aprirà la nuova stagione, ecco il mio augurio. Le cose che tornano erano tue, quelle che non tornano, non le hai mai avute. È un antico proverbio toscano, appreso da amici fiorentini. Mi sembra bellissimo, un auspicio per il mese di settembre (mese del ritorno, per eccellenza), da lasciare a tutti i lettori. Perché torni tutta la bellezza sospesa, le cose dimenticate, quelle lasciate indietro, quelle sfregiate dal tempo; restaurate, incantevoli, luminose e concrete più che mai. Buon ricominciamento».
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