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Archivio Telegiornaliste anno VIII N. 34 (336) del 22 ottobre 2012
 
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TGISTE Elena Pontoriero: spazio anche a cultura e spettacolo in tv di Giuseppe Bosso

Pubblicista dal 2005, Elena Pontoriero quest'anno ha condotto su Metropolis tv le rubriche Cultura e spettacolo flash e Special guest. Prossimamente, a metà novembre, la vedremo, sulla stessa emittente, con un nuovo format, La tela dell'artista.

Come nascono i programmi che hai condotto quest'anno?
«Special guest è nato in una notte, dopo una chiacchierata al telefono con Simeri, mio carissimo amico, Cultura e spettacolo flash è una mia idea, che nasce dalla voglia di dare spazio e visibilità a tanti artisti campani che meritavano maggiore visibilità. Dopo tanti anni di lavoro sulla stampa ero un po' incerta di questa nuova esperienza davanti alle telecamere, ma alla fine mi è stato d'aiuto il fatto che da assidua telespettatrice non ho avuto difficoltà ad assimilare i tempi. La tela dell'artista è un progetto a cui tengo molto, in cui sarò affiancata dagli speaker Reika Hinch e Mino Monelli. Sono felicissima di dare un mano all'ampliamento dei format di Metropolis, la mia palestra».

In tempo di crisi come si può parlare di cultura e spettacolo?
«Mi rendo conto che la crisi c'è e si sente, ma è giusto anche trovare momenti di svago per andare avanti; il pubblico avrebbe bisogno di più contenuti, ed è quello che cerco di trasmettere, a maggior ragione in un'area come quella campana che da sempre è fucina di grandi talenti».

Quali sono, tra quelli che hai intervistato, gli artisti che ti hanno maggiormente colpito?
«Non vorrei sembrarti buonista, ma lo posso dire con convinzione: da tutti ho avuto risposte positive e grande disponibilità; molti sono diventati anche grandi amici che mi hanno presentato, per altre interviste, loro colleghi. Mi sono sentita davvero 'adottata' da questo ambiente».

Metropolis è una vetrina conciliabile con le tue ambizioni?
«Si. Essendo una tv regionale lavora molto sulla notizia. Ci sono cresciuta, ho imparato questo mestiere e sto avendo un grande riscontro anche dal punto di vista del seguito, dei fans».

Sul tuo profilo facebook di recente hai parlato di grandi novità in arrivo sul versante professionale e privato.
«Sì. Oltre al nuovo programma, sempre per Metropolis, sto per realizzare un altro programma, in cui mostrerò ciò che succede intorno all'area vesuviana. I miei sacrifici iniziano finalmente ad essere ripagati, anche nel privato, dove sto trovando molte conferme. Sembrerà banale dirlo, ma per una donna, una mamma quale sono, è importante anche trovarne».

Hai anche un canale su Youtube. Cosa ti piacerebbe trovarci, tra dieci anni?
«Non saprei... Spero solo di poter continuare a crescere professionalmente e fare del mio meglio».

Hai mai ricevuto proposte indecenti?
«Sfortunatamente sì... purtroppo un carattere aperto e socievole come il mio si presta ad essere frainteso. Ma per fortuna chi ha imparato a conoscermi davvero sa come sono e non confonde la cordialità con altro».

Come concili l'Elena mamma con l'Elena giornalista?
«Non sempre ci riesco. È un lungo percorso da seguire, ora soprattutto che mio figlio sta iniziando ad andare a scuola e la mia presenza è più che mai necessaria. Anche mio marito lavora in tv, come tecnico per la Rai. Tra qualche anno, quando sarà più grande, magari ripenserò a questi momenti chiedendomi se sono riuscita a conciliare le due sfere come avrei dovuto».

Come ti descrivi?
«Impulsiva».

Oltre allo spettacolo, a quale altro ramo dell'informazione vorresti dedicarti?
«Cronaca bianca».

La Campania non ti sta stretta?
«No, anzi, sono molto legata alla mia terra».
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NONSOLOMODA La moda secondo Roberto Capucci di Sara Giuliani

Tra i grandi nomi della moda italiana ormai figura anche il suo, Roberto Capucci, memore di una carriera che dura dagli anni '50. Il 17 ottobre è stato ospitato a Torino al Circolo dei Lettori per la serie di eventi di Voce del verbo moda. E proprio con una cliente torinese è iniziata una serie di abiti destinati a far sognare le donne di tutto il mondo.

Capucci è un uomo che ha basato il suo intero lavoro sugli abiti, coltivando un'idea ben precisa di ciò che significa vestirsi: un vestito si porta per rispetto verso se stessi e verso gli altri, bisogna saper riconoscere ciò che è appropriato per il proprio corpo e ciò che non lo è, a prescindere dal trend di stagione. Oggi sempre più spesso le donne rischiano di diventare schiave della moda, scegliendo l'abbigliamento solo in base a ciò che è raffigurato sulle riviste senza chiedersi "Sta bene addosso a me?". A tal proposito il Maestro ne approfitta per sottolineare una differenza con il passato, quando, negli anni '50 per esempio, erano le riviste stesse che,accanto ai modelli delle nuove collezioni, indicavano il tipo di fisico per cui l'abito era più appropriato e su cosa puntare se si possedeva una corporatura differente.
Capucci lavora principalmente con clienti importanti, dive del cinema, personalità di spicco, perché, dice lui, spesso le altre donne rinunciano a rivolgersi a lui prima ancora di provare. Non è stato questo però il caso di Rita Levi Montalcini, che si è rivolta allo stilista per il vestito da indossare durante la serata in cui le fu consegnato il premio Nobel: l'abito fu confezionato completamente sulla base di una fotografia, senza che i due si incontrassero di persona, i colori ispirati al Caravaggio erano amaranto, viola e verde scuro ed era provvisto di una coda inizialmente oggetto di controversia con la cliente. I complimenti per l'abito furono però talmente numerosi che quello divenne solo il primo di una serie di abiti confezionati dallo stilista per la ricercatrice, che predilige abiti scuri e dalla vita sottile.

Analizzando alcuni dei più significativi tra i lavori di Roberto Capucci si nota come le ispirazioni arrivino da oggetti presenti intorno a noi e di come l'artista sia stato in grado di miscelare tra loro materiali diversi e convenzionalmente estranei al mondo della moda, come il bambù o dei ciottoli, trasformandoli in vere e proprie opere d'arte da indossare. Perché quello che conta non è come è fatto il vestito, l'importante è portare il vestito senza essere portati dal vestito ed essendo sicuri di quello che si indossa.

Ma un abito di un marchio così importante come viene creato? Per prima cosa si parte dall'oggetto di ispirazione e si crea un modello di carta di quello che dovrà essere l'abito terminato; in secondo luogo si prepara un modello di carta su cui vengono effettuate delle correzioni e dopo di ché il modello corretto viene ricreato in tela. Vengono dati gli ultimi ritocchi prima di riportare il modello sul tessuto e procedere alla confezione.

Se si è interessati a ricevere un suo abito quindi bisogna inizialmente prendere un appuntamento, durante il quale si cerca di capire la personalità e il tipo di persona,in modo da confezionare un abito che si adatti totalmente alla persona-cliente.

Ovviamente non si poteva non chiedere al Maestro quale fosse stata la sua opera più bella a suo parere. La risposta? "Lei ha figli? Ecco, io ho migliaia di figli, non posso sceglierne uno".
Qualche consiglio per i giovani disposti ad intraprendere la sua stessa strada? La risposta è stata molto semplice: studiare e lavorare, studiare e lavorare, anche se purtroppo di giovani che si avvicinano alla professione sartoriale si sente un po' la mancanza, tant'è che egli ricorda come le sue lavoranti siano di età avanzata. Esse contribuiscono in modo essenziale alla produzione, "devo anche a loro il mio successo".

E l'uomo che nella sua carriera ha detto novantanove no e un sì, a chi direbbe volentieri di sì oggi? A nessuno, o meglio, a quelle donne che ha vestito quarant'anni fa, ma come erano quarant'anni fa. La moda moderna la considera deludente, e non è difficile cogliere nella sua voce, nel suo modo di esprimersi, una certa nostalgia per la vecchia scuola degli anni '50-'60.

Se qualcuno volesse vedere i suoi modelli oggi non dovrebbe cercarli nelle sfilate, ma nei musei perché offrono una visibilità notevole per mesi; non solo il breve tempo di un giro di passerella.
Ora non resta che aspettare di vedere le prossime creazioni del maestro che, da sempre più interessato al risultato dei suoi abiti che ai soldi offertigli, sapranno certo regalarci nuove emozioni attraverso originali spunti creativi.
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TUTTO TV Telegiubando: la tv secondo Giubo. Dallas: il ritorno di un cult su Canale 5 di Giuseppe Bosso

Era il 4 febbraio 1981, mercoledì. Raiuno trasmetteva la prima puntata di un serial targato CBS giunto in patria alla terza stagione all’epoca. L’accoglienza del pubblico italiano non è particolarmente entusiasmante, ma quando approderà sulla nascente tv commerciale, Canale 5, la musica cambierà totalmente.

Queste le origini di Dallas, vera e propria serie cult degli anni’80; su tutti, protagonista assoluto indiscutibilmente il perfido J. R. Ewing, al secolo Larry Hagman, a tutt’oggi considerato per eccellenza il ‘cattivo dei cattivi’ del piccolo schermo. Senza dimenticare, ovviamente, gli altri interpreti che hanno fatto la fortuna dello show,da Sue Ellen a Bobby Erwing, alias Linda Gray e Patrick Duffy.

Nel 1991, con alle spalle una invidiabile bacheca di premi (dall’Emmy al Golden Globe, senza ovviamente dimenticare il nostro Telegatto) cala il sipario sulle vicende dei petrolieri Ewing, fino al 2012, quando Ted Turner decide di produrre un sequel della storica serie. 10 episodi per rivivere, adattandole ai giorni nostri, le avventure ambientate in Texas.

E così rieccolo, invecchiato ma non meno cinico e spietato, J. R., ancora interpretato da Hagman (che, una volta finita la serie, ha affrontato una dura battaglia, fortunatamente vinta, contro il cancro al fegato); riecco Sue Ellen e Bobby; e ovviamente ecco nuovi protagonisti, una nuova generazione di attori che spera, per quanto possibile, di ottenere lo stesso successo dei loro predecessori: Jesse Metcalfe, noto in passato come sexy giardiniere di Desperate Housewives, che vestirà i panni del nipote di J. R., Christopher; Jordana Brewster, americana di origini brasiliane vista al cinema in due film della serie Fast & Furious, chiamata a interpretare la conturbante Elena Ramos.

Vedremo come il pubblico italiano accoglierà il serial; oltreoceano la critica e gli ascolti si sono espressi più che favorevolmente, anche se l’exploit degli anni '80 fu diverso.
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HOT GIRLS Eva Henger: l'ungherese che ha ammaliato gli italiani di Fausto Piu

Una pelle ambrata, bionda e occhi azzurri; una bomba sexy che ha fatto sognare tanti italiani. Stiamo parlando di Eva Henger, ex attrice pornografica e attualmente conduttrice del programma Pescati dalla rete su Vero TV.

Classe 1972 e una bellezza caucasica incarnata in 177 centimetri d’altezza, Eva viene eletta giovanissima, a soli diciassette anni, Miss Teen Ungheria. Un’infanzia difficile, la sua, che, in un’intervista, la ricorda così: «I miei si separarono e, visto che con mia madre non potevo stare, sono stata affidata a mio padre. Lui era un musicista e spesso mi addormentavo nei posti dove suonava oppure mi scordava in giro per la città. Mia nonna era molto severa, non mi permetteva di fare nulla, al massimo un film in tv alla settimana. Per il resto ero segregata in casa».

Forse tormentata da questo periodo triste della sua vita, Eva decide di abbandonare la sua amata terra per arrivare in Italia, cercando fortuna. Conosce così Riccardo Schicchi, produttore attivo nel mondo del porno, con cui convola a nozze nel 1994 e da cui ha due figli, Mercedes e Riccardino.

Grazie alle sue forme eteree (e bollenti, aggiungiamo), 90-61-88, Eva debutta nel mondo dell’hard alla fine degli anni Novanta, girando undici film, tra cui Finalmente pornostar, diretto dal marito.

Nel 2001 decide di abbandonare il mondo del porno, costruendosi una nuova immagine, passando da diva dell'hard ad eroina dei bambini, conducendo Paperissima Sprint, assieme al Gabibbo. Partecipa ad altri programmi televisivi, in qualità di opinionista o concorrente, come nel reality La fattoria. L’industria dell’hard sembra davvero essere lontana da Eva: «Ho capito in fretta che non faceva per me e ho chiuso, senza nessuna ritorsione. È un po' come girare film horror e poi scoprire che quando li vedi ti spaventi».

Separata da Riccardo Schicchi, Eva è legata a Massimiliano Caroletti, da cui ha avuto, tre anni fa, la piccola Jennifer. E questi ultimi anni sono stati propizi per la bollente Eva: ha inciso la canzone Lost Love; è apparsa sulla rivista di Playboy Italia; e ha recitato in alcuni film, tra cui Torno a vivere da solo e Fallo per papà (no, questo non è un film hard, ma una commedia!).

«I miei figli sono la vera ragione della mia vita. Dopo un po' scopri che i gioielli, gli oggetti costosi, non ti danno la felicità». È questo insomma il nuovo presente di Eva, che ha dimostrato come ci si possa liberare da un passato, considerato ancora un tabù, e iniziare una nuova vita.
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DONNE Nadia Jelassi: l’arte “pericolosa” della verità di Giulia Fiume

Nadia Jelassi ha 54 anni, è una docente universitaria della Facoltà di Arte moderna a Tunisi ed un’appassionata artista. Come tutti i figli dell’arte, la donna tunisina cerca di raccontare, attraverso le sue opere, le proprie emozioni e il mondo che la circonda. Tuttavia, quando la realtà che si vive non è esattamente come quella di un film, non tardano ad arrivare le polemiche.

L’ultima opera di Nadia s’intitola Celui qui n’as pas… ed è una rappresentazione di tre donne velate il cui corpo appare intrappolato tra le rocce. Un’immagine piuttosto eloquente che si rifà, con molta chiarezza, alla dura e triste verità che, ancora oggi, interessa migliaia e migliaia di donne.

Se da un lato l’immagine del velo è un chiaro riferimento all'islamismo, dall'altro l’immagine delle pietre che intrappolano le donne impedendo loro di muoversi può avere più d’una interpretazione. Il messaggio, in ogni caso, è molto chiaro: la donna che appartiene alla cultura islamica non è una donna libera.

Subito dopo l’esposizione dell’opera, i locali della mostra sono stati bruciati e i responsabili della struttura sono stati aggrediti. Secondo gli estremisti islamici, con il suo lavoro, Nadia avrebbe dimostrato di essere «corrotta dalla cultura occidentale e di attentare all'onore delle donne musulmane».

Trascinata in tribunale con le accuse di cui sopra e la grave colpa di aver sollevato la questione della lapidazione, l’artista tunisina rischia adesso il carcere, mentre l’Islam si insinua sempre più prepotentemente in Tunisia. Si tratta dell’ennesima prova di repressione nei confronti non solo dell’arte, ma della libertà d’espressione, di pensiero e di comunicazione della donna e di tutti coloro che non approvano il regime estremista.

L’islamismo oggi continua ad affondare le proprie radici non solo nella politica, ma anche nella cultura. Nell'arco di qualche anno anche l’istruzione in Tunisia potrebbe risentire di questa influenza e artisti, scrittori e pensatori potrebbero ancora rischiare grosso solo per aver raccontato la realtà, così come la vivono ogni giorno. Augurando a Nadia di essere presto rilasciata dalle accuse, speriamo che tutti, come lei, possano un giorno non dover più avere paura della verità.
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