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Intervista a Oliviero Beha tutte le interviste
Oliviero BehaTelegiornaliste anno IV N. 20 (145) del 26 maggio 2008

Oliviero Beha: non sapete di sapere di Erica Savazzi

Se decidete di trovarlo, dovete cercare bene. Non perché si voglia nascondere, tutt’altro: se sei un giornalista che non rinuncia alla funzione sociale – sì, funzione sociale – di osservare e denunciare le malefatte dei potenti, di ricordare al lettore il luogo da cui veniamo e quello in cui ci siamo ritrovati, e perché, è difficile che ti invitino ai salotti televisivi. O che ti lascino parlare.

Oliviero Beha fa parte della sempre più sparuta schiera di giornalisti che non rinunciano ad informare. «Pago molti prezzi di censure ed emarginazione – dice ai nostri microfoni -, ma fino adesso ho avuto la fortuna di trovarmi con persone grandi, medie, piccole con cui avere un buon rapporto editoriale, come Avagliano Editore. Un piccolo editore garantisce un’attenzione e una nicchia motivata, ragionata, che i grandi, naturalmente, non prevedono».

La sua ultima fatica, Il paziente italiano, in uscita il prossimo giugno, segue a distanza di vent’anni Trilogia della censura: «Erano tre libri, stampati e mai distribuiti, editi ma inediti. Un’operazione curiosa che serve più che altro a far memoria». Mentre «oggi si tratta di un’operazione di attualità – continua il giornalista -, un diario degli ultimi due anni».

Ma cosa vuole dirci Il paziente italiano? «Sta già tutto nel titolo: noi siamo pazienti, in due sensi: siamo malati… E siamo fin troppo pazienti».
Dell’essere malati a volte non siamo consapevoli: l’eccesso di informazione rischia di coincidere con la mancanza di informazione. «Ci sono tre aspetti: la quantità dell’informazione che schiaccia la qualità, le notizie vistate all’origine, la mancanza di consapevolezza. La gente sa, ma non sa di sapere, e questo rende quasi nullo il livello di informazione che c’è. Se uno, le cose che sa, non sa di saperle, è finita».

Fortuna che c’è il web: «Se c’è una cosa di cui per il momento, e per il futuro, non si può fare a meno, quella è proprio internet. Anche se siamo arretrati, abbiamo molto spazio davanti, molta strada da fare».
Possiamo guarire.

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