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Intervista a Lia Capizzi tutte le interviste
Lia CapizziTelegiornaliste N. 26 del 7 novembre 2005

Lia Capizzi, la prima telecronista di Filippo Bisleri

Una giornalista sportiva e, dal 9 gennaio 2005, data storica per la tv italiana, la prima commentatrice di partite di calcio di serie A in Italia. Stiamo parlando di Lia (Amelia) Capizzi, frizzante e brava telegiornalista di casa Sky che vive di sport, per lavoro e per hobby, e quindi è più “preparata” sulle materie che affronta e racconta ai telespettatori.

Lia, come hai scelto di fare la giornalista?
«Fin da piccola – racconta la Capizzi - avevo due sogni: diventare ingegnere o fare la giornalista. Proprio durante il mio primo anno di Università (la facoltà di Ingegneria a Padova), per caso un amico mi propone di fare un provino radiofonico. Inizio così a curare programmi musicali, infarcendoli di notizie sportive. Era il 1991, da lì inizia tutto. Per quattro anni concilio le due attività, di notte lo studio, di giorno la radio…difficile che possa durare! Arriva il momento in cui (1994) mi trovo davanti al vero bivio…e, con mille sensi di colpa e nottate in bianco, scelgo la via più incerta… chiamata a Milano decido di trasferirmi, lasciando così la facoltà di Ingegneria - un abbandono che rimane ancora un mio cruccio».

Sei una giornalista che arriva dallo sport e la prima telecronista sportiva di un match di serie A per Sky. Ricordaci data ed emozioni...
«Quando la prima telecronaca? – sorride.
Data difficile da dimenticare: 9 gennaio 2005, Messina-Brescia. Da molto tempo il condirettore di SkySport Massimo Corcione insisteva per “buttarmi nella mischia” ed ogni volta trovava un mio rifiuto. Quella famosa domenica, invece, approfittando di un’emergenza, mi ha messo di fronte all’impossibilità di dire “no”. Agitazione, tanta, gola secca…e per me che lavoro con la voce da anni è stata un’emozione. Da lì, una volta rotto il ghiaccio, ho continuato a fare Diretta-Gol. Piano piano, con tanto studio, si migliora…».

Sei una giornalista sportiva. Cosa pensi del luogo comune che vuole i giornalisti sportivi meno preparati dei loro colleghi?
«Ecco, appunto, è un luogo comune che sento da una vita e che non cambierà mai – risponde. Sono partita e…arrivo dallo sport. Nella mia carriera mi sono servite molto le esperienze di cronaca (locale e giudiziaria), spettacolo. Le considero una gran bella palestra ma… ho sempre voluto occuparmi di sport. Una scelta che ho dovuto difendere con i denti dall’insistenza di quanti mi proponevano altre redazioni. Le famose frasi “ma non ti senti sprecata per lo sport?", o ”Ma come, ti propongo di occuparti di politica, per il tuo futuro, e vuoi continuare a fare la testona con lo sport?”. Da vera testona ho sempre voluto dare retta al mio cuore… di sportiva».

Sei una sportiva con molti interessi. Esistono sport minori? Nella tua carriera hai incontrato diversi personaggi. Chi ti ha colpito di più?
«La definizione “sport minore” mi infastidisce – replica Lia - e per questo cerco di limitarla. Sembrerà retorico e banale ma ogni disciplina ha la sua importanza e bellezza, per chi la pratica o semplicemente la segue da appassionato. Preferisco chiamarli “sport vari”. È vero, li amo e li seguo quasi tutti. Dall’atletica al nuoto, fino al rugby. Regole diverse ma lo stesso principio, quello dell’agonismo, della voglia di vincere e delle emozioni che trasmettono. Non ho un campione preferito, ti posso dire che, tra le tante interviste del passato, ricordo la personalità di un grande del motomondiale come Mike Doohan: davanti ad un microfono mi raccontò come, per questione di minuti, e solo grazie all’intervento del dottor Costa, non gli fu amputata la gamba dopo un incidente in pista.
Tornando invece al calcio, continua a colpirmi Alessandro Del Piero, il suo essere campione fuori e dentro il campo. Mai una polemica o la voce grossa, anche quando avrebbe avuto potuto farlo».

Hai un modello di telegiornalista?
«No, nessun modello», è la pronta risposta.
«Guardo, ascolto tutti e tutte, ma senza spirito di emulazione. Ognuno di noi ha una sua storia personale e professionale diversa, ed è la personalità che fa la differenza. Ammiro le colleghe brave ma soprattutto spontanee e non costruite».

Come giornalista hai un sogno nel cassetto?
«Certo che ce l’ho – sorride la brava collega -, ma…posso tenerlo chiuso chiuso nel cassetto? Che sogno sarebbe altrimenti, eh?».

È possibile coniugare, per una donna, il lavoro di giornalista e quello degli affetti e della famiglia?
«Il nostro è un lavoro particolare – ricorda Lia Capizzi -, con orari che richiedono un minimo d’elasticità, qualche sacrificio di troppo…nel mio caso i week-end liberi si contano a malapena negli ultimi 10 anni, ho le vacanze come quelle dei calciatori, ed in più conducendo il tg di SkySport in diretta a mezzanotte finisco di lavorare molto tardi. Non mi lamento, non rimpiango nulla, è stata ed è una mia scelta. D’accordo, non è facile, ma il tempo per affetti e famiglia si trova. Anche da giornalista, eccome. Se si vuole».

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