
          Telegiornaliste N. 31  del 12 dicembre 2005
          
 Chiariello, giornalista per vocazione di 
	Filippo Bisleri
          
 Anna Maria Chiariello, sposata con 
	un collega dello stesso cognome (Paolo Chiariello di Sky Tg24) 
	è una donna nata per fare la giornalista. E per fare il giornalismo 
	sul campo.
 
 La incontriamo mentre attende di essere ascoltata dai carabinieri sulle 
	modalità con cui è entrata in possesso dell’identikit (poi diffuso anche da 
	Chi l’ha visto) di una persona che avrebbe a che fare con la scomparsa 
	della piccola Celentano sul Monte Faito.
 
 «Fin da bambina – racconta la Chiariello – volevo fare la giornalista. E ho 
	cominciato con piccole collaborazioni fino ad approdare al mondo dello sport 
	collaborando con Autosprint e poi con Rombo. Ho cominciato a 
	seguire la Formula 1 e le gare delle categorie minori, conoscendo il 
	compianto Ayrton Senna, che era davvero un grande uomo, ma di quelli con la 
	“U” maiuscola. Ad un certo punto, però, si trattava di lasciare la mia 
	terra, la Campania, e andare a Bologna ma non me la sono sentita, trattenuta 
	dalla città che ha i suoi mille contrasti, ma proprio per questa è bella, e 
	dall’amore per la cronaca nera».
 
 È più facile fare la giornalista televisiva o lavorare nella carta stampata?
 «Personalmente credo che lavorare nella carta stampata sia molto utile per fare 
	bene la televisione. È vero che la televisione è bella, ma lo è solo se ha 
	le immagini adeguate. Secondo me, per essere un buon giornalista televisivo 
	devi prima essere un bravo giornalista della carta stampata».
 
 Hai mai condotto un Tg?
 «Mai, anzi no: una volta, quando ero direttore a Canale8 sono dovuta andare in 
	video a condurre, ma non lo rifarei più. Personalmente amo troppo l’idea di 
	fare l’inviata e non amo il desk, preferisco “sporcarmi le scarpe di fango” 
	seguendo gli eventi sul luogo».
 
 Cosa ricordi di più della tua qualificata carriera professionale?
 «Con un po’ di angoscia, ricordo l’intervista ad uno dei tre “orchi” di 
	Silvestro Delle Cave, segnatamente l’uomo accusato di aver aiutato ad 
	occultare il cadavere. L’intervista che invece ricordo con piacere è quella 
	fatta a Roberto Robustelli, il ragazzo sopravvissuto per 72 ore al fango a 
	Sarno. Realizzai il servizio con le riprese della telecamera fatte 
	dall’anestesista e l’intervista il mattino seguente alle 7.00! Che 
	emozione!».
 
 Chi ti ha insegnato di più come giornalista?
 «Detto che apprezzo tutti i miei direttori, non posso che citare il compianto 
	Giampaolo Rossetti, per noi “il rosso”, grande giornalista e grande 
	professionista nonché grandissima persona. E grazie a lui e a Mentana (e ora 
	con Rossella si prosegue) la redazione del Tg5 è sempre stata gestita 
	in modo orizzontale e partecipato e non verticistico. Devo anche ricordare 
	Marcello Sabatini, fondatore di Autosprint. Lui mi ha pure insegnato 
	molto, e ricordo di averlo contattato per lettera chiedendo di collaborare. 
	Lui scommise sui di me e, dopo poche settimane, seguivo già gare di motori».
 
 Quali consigli daresti a dei ragazzi che vogliono fare il giornalista?
 «Mi fa piacere dare dei consigli, e comincio con il consigliare un cognome 
	famoso. Scherzi a parte, sconsiglio di seguire la mia strada che è quella di 
	una ragazza che ha voglia e curiosità di fare informazione, perché oggi 
	chi fa carriera è il popolo del desk. Io consiglio ai ragazzi di 
	fare le scuole di giornalismo come Urbino o Milano per avere un accesso alle 
	redazioni e per arrivarci preparati. Troppo spesso, infatti, vedo delle 
	nuove leve poco preparate che agevolano il tragico processo di scomparsa 
	della figura dell’inviato».
 
 È difficile conciliare il ruolo di moglie e di giornalista?
 «Non è difficile, anche se mi manca la controprova con il ruolo di mamma che ho 
	solo sfiorato qualche anno fa. Forse, però, il fatto che io e Paolo 
	(Chiariello, il marito, ndr) facciamo lo stesso lavoro ci agevola. E così i 
	rientri tardivi dell’uno sono ampiamente compresi dall’altro».