
Telegiornaliste N. 26 del 7 
			novembre 2005
                
                
          In diretta dal delirio: intervista a Jana 
			Gagliardi di Tiziano Gualtieri
          
			Siamo abituati a pensare che i luoghi caldi per i giornalisti
          siano quelli dove i kamikaze si fanno saltare per aria, dove le 
			granate centrano gli alberghi, o i militari ti inquadrano nel 
			mirino, ma, in realtà, anche lontani migliaia di chilometri da 
			quelle zone, devi stare sempre attento a cosa accade alle tue 
			spalle.
          
          Sì, perché ti può capitare di venire inviato a raccontare una 
			manifestazione
          che d'improvviso si trasforma in una giornata di ordinaria follia. 
			Follia, sia perché in un Paese civile non dovrebbe accadere che dei 
			manifestanti si trasformino in delinquenti, sia perché non è 
			concepibile che a chi è deputato a far vedere le cose come sono, sia 
			impedito di lavorare.
          
          L'ultima protagonista, suo malgrado, di questa antipatica situazione è 
			la giornalista della redazione politica romana di Sky Jana 
			Gagliardi. «Ero lì per caso, anzi mi stavo quasi lamentando 
			perché dalla mia postazione c'era davvero poco da raccontare, quando 
			d'improvviso è successo di tutto». È tardo pomeriggio davanti a 
			Montecitorio, circa 400 studenti stanno concentrando le loro 
			forze per protestare contro la riforma Moratti, quando 
			partono le cariche della polizia.
          
          Jana ancora non lo sa, ma sta per diventare protagonista di un 
			pomeriggio che i suoi colleghi giornalisti ricorderanno a lungo. 
			«Quello che non è stato detto - ci racconta la giornalista di Sky - 
			è che si trattava di una manifestazione non autorizzata e quindi 
			"sorvegliata" speciale. Poi i ragazzi si sono avvicinati troppo alle 
			transenne, causa scatenante le cariche dei poliziotti».
          
          La postazione da cui Jana fa i collegamenti in diretta è a soli tre 
			metri da lì, la giornalista chiede al suo operatore di inquadrare le 
			cariche, che vengono mandate in diretta. Tutto sembra sotto 
			controllo, ma come detto, l'imprevisto è sempre dietro l'angolo. 
			Forse qualche frase di Jana non piace ai ragazzotti che la stanno 
			ascoltando asserragliati davanti a Montecitorio: «Erano tanti 
			giovani, molti no global, e hanno iniziato - senza motivo - a 
			inveire contro di noi»; mentre racconta, la voce di Jana è decisa 
			nel ripercorrere quegli istanti. «Si trattava di giovani sicuramente 
			non lucidi, alterati, dall'animo caldo. Ci hanno accusato di non 
			voler fare vedere gli scontri (andati, invece, in diretta su Sky 
			Tg24, ndr)».
          
          Poi arriva l'accusa peggiore per un giornalista: il comitato d'ascolto 
			spontaneo, creatosi alle spalle della giornalista per controllare 
			che venissero dette le cose "giuste", sentenzia che Sky non sta 
			facendo informazione, e parte della rabbia contro la Moratti 
			viene indirizzata verso Jana.
          
          Jana, a mente fredda, ammette la sua mancanza di esperienza in 
			situazioni del genere: il fatto che ha davanti (anzi, dietro) 
			ragazzotti più giovani di lei - confessa - la fa sentire protetta, 
			non misura le parole e si lascia trascinare un po' nel nervosismo 
			generale. «Ho pensato che mi trovavo davanti alla telecamera e che 
			quindi non mi avrebbero mai menata, poi comunque se devi prenderle, 
			le prendi ugualmente». Per fortuna nessuno alza le mani su di lei, 
			ma si levano i cori «buffoni, servi di Berlusconi, servi del 
			potere». Una frangia di "studenti" prende di mira anche il pulmino 
			di Sky, che si trova a decine di metri dal punto caldo, lo scuote.
          
          «Volevano dicessi che erano stati caricati mentre passavano di lì per 
			caso, che i poliziotti erano cattivi, senza neppure considerare il 
			fatto che era tutto il giorno che dicevo come avessero tentato in 
			modo pacifico di sfondare il cordone per entrare a Montecitorio». 
			Nel racconto esce l'orgoglio di Jana che, seppur ko per un principio 
			di influenza, tiene a ribadire la sua professionalità: «io non sono 
			una di quelle che si abbassa a dire quello che vogliono gli altri o 
			quello che viene scelto da un comitato d'ascolto che controlla come 
			stai lavorando».
          
          Alla fine, bersagliata da insulti, grida, spintoni
          e getti d'acqua, per Jana diventa impossibile lavorare; del 
			resto la "delegazione" che è andata a trovare i colleghi sul pulmino 
			stacca i cavi delle luci pochi secondi prima che la stessa Jana 
			chiuda il collegamento.
          
          Una grande occasione persa per i manifestanti per dimostrare di 
			saper sostenere le proprie idee senza cadere nella violenza, 
			anche psicologica.
          
          Come tutti, anche Jana ha rivisto le immagini che - almeno per un 
			giorno - l'hanno fatta balzare agli onori della cronaca: «Non sono 
			pentita di quello che ho fatto. Io cerco di fare cronaca in maniera 
			distaccata, non faccio informazione partigiana e racconto quello che 
			ho visto, cioè ordinaria guerriglia urbana messa in atto da presunti 
			studenti a cui la polizia ha risposto con delle cariche».
          
          Jana al telefono si sfoga un po' e si apre. Si lamenta del fatto che, 
			ultimamente, i giornalisti si siano abituati a raccontare di 
			manifestazioni in cui partecipano studenti bravi e belli, senza 
			colpe: «non dobbiamo appiattirci al pensiero che ad essere caricati 
			siano sempre giovani poverini indifesi», cortei che poi sfociano in 
			violenze operate da agenti senza scrupoli che lasciano sul selciato 
			feriti. «In quel contesto ne avrò contati forse cinque».
          
          La giornalista di Sky si rammarica solo di una cosa: di quella frase, 
			infelice, pronunciata in diretta che non ha fatto altro che 
			esasperare ancora di più gli animi. «Mentre facevo notare che si 
			stava votando sulla metodologia per le assunzioni dei ricercatori 
			all'Università senza entrare nel merito delle proteste degli 
			studenti, mi è scappata la frase "Non sanno neppure contro cosa 
			stanno manifestando". Un bravo giornalista - forse - non si sarebbe 
			lasciato prendere dalla situazione. A me, purtroppo un po' è 
			successo».