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Intervista a una maestra tutte le interviste
Telegiornaliste anno III N. 24 (102) del 18 giugno 2007

Professione maestra di Erica Savazzi

«A me piace questo mestiere, è sempre bello vedere i bambini che imparano, crescono, ragionano. Purtroppo però i risultati calano e capita di trovarsi di fronte a delle situazioni inimmaginabili. Con i genitori non c’è più un rapporto confidenziale, bisogna stare attenti a quello che si dice, a volte sono gli stessi alunni che ci pregano di non dire alcune cose ai loro genitori, per paura».

A parlare così è E. G. una insegnante della scuola primaria di Suno, in provincia di Novara, a cui abbiamo chiesto un parere sui fatti di cronaca che hanno visto protagonisti studenti – vandali e professori incapaci di reagire durante l’anno scolastico appena terminato.

E’ vero che gli alunni sono cambiati?
«Sono cambiati la società, gli alunni, le regole di comportamento e anche le sanzioni. E forse anche la conoscenza stessa delle norme del vivere civile. E’ cambiata soprattutto la concezione del rispetto che si deve al prossimo».

E’ successo pochi giorni fa: un insegnante punisce un allievo che impedisce a un compagno di andare in bagno accusandolo di essere gay e gli fa scrivere cento volte “Sono un deficiente”. I genitori denunciano l’insegnante, che rischia due mesi di reclusione e una sanzione di 25.000 euro. Cosa ne pensa?
«L’insegnante ha sbagliato a dare un castigo in forma negativa. Avrebbe dovuto far scrivere per esempio “I miei compagni vanno rispettati”, perché l’alunno è in fase di formazione e non deve crescere pensando di essere deficiente. Bisognava fargli capire che doveva rispettare i compagni. D’altra parte gli alunni dovrebbero arrivare in classe conoscendo un minimo di comportamento civile, dovrebbero sapere che ogni compagno – quale che sia la sua situazione – va rispettato, per cui ogni trasgressione va punita, anche duramente. Ci sono sempre state forme di prevaricazione, ma l’educazione delle famiglie, prima ancora che della scuola, dovrebbe insegnare a rispettare gli altri».

C’è stato anche il caso del preside picchiato dai genitori di un alunno perché aveva vietato i cellulari in classe.
«La preparazione dei docenti è una questione centrale. Si presume che siano adeguati al loro ruolo. Qualora non lo fossero sono possibili degli interventi: il genitore si può rivolgere al dirigente scolastico e anche ricorrere a vie legali. Il fatto che un genitore abbia aggredito un preside indica in primo luogo la mancanza di rispetto e la svalutazione del lavoro dei docenti, nonché la pretesa di ricattarli. Il genitore vuole sostituirsi all’insegnante nella gestione scolastica del figlio».

Qual è il rapporto studente - genitore?
«Ci sono ragazzi che pur impegnandosi il meno possibile vogliono avere buoni voti da mostrare ai genitori. Così come ci sono genitori che pur vedendo che i figli non studiano mai, pretendono risultati eccellenti. Il brutto voto non viene nemmeno preso in considerazione, e se viene assegnato i familiari non si arrabbiano con lo studente indisciplinato ma con gli insegnanti. D’altra parte, nella mia esperienza è ormai evidente che il rapporto affettivo coi genitori è sempre più assente. Qualche giorno fa abbiamo chiesto ai ragazzi di quinta elementare di spiegarci le loro aspettative per il futuro. E' emerso che vogliono tanti soldi, fare carriera e avere bei vestiti e una bella auto. Nessuno ha menzionato il lato affettivo».

Secondo lei cosa c’è alla base degli spiacevoli fatti di cronaca sentiti durante questo anno scolastico?
«Nella società del comunicare l’importante è apparire, e siccome è difficile farsi notare per cose positive va bene qualsiasi cosa. Finché non si distingue più tra bene e male».

Cosa può fare un insegnante quando si trova di fronte a episodi di questo genere?
«Purtroppo poco. L’alunno arriva già da casa con una certa educazione. In questi casi l’insegnante – che è anche un educatore – dovrebbe intervenire facendo ragionare i ragazzi, “rieducandoli”. Ci vorrebbero delle ore apposite di recupero comportamentale. Poi può anche intervenire lo psicopedagogista scolastico, che però dovrebbe lavorare non solo con il ragazzo, ma con tutta la famiglia. Infine credo siano necessarie delle pene severe, anche pecuniarie. E sarebbe bene tornare a insegnare l’educazione civica seriamente».

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