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Intervista a Silvia Rosa-Brusin   Tutte le interviste tutte le interviste
Silvia Rosa-BrusinTelegiornaliste anno V N. 22 (193) del 8 giugno 2009

Silvia Rosa-Brusin, la scienza per il grande pubblico
di TonyJay, Valeria Scotti, Deborah Comoglio

Grazie alla collaborazione con Radio Web Stereo, questa settimana abbiamo incontrato Silvia Rosa-Brusin, vice caporedattore di Leonardo, il tg della scienza di Raitre.

Sei il volto del tg Leonardo da molto tempo.
«Un'eternità. Era il dicembre del 1992 quando abbiamo iniziato con il primo telegiornale scientifico. Il mio caporedattore di allora, Roberto Antonetto, partecipò in Francia a un convegno di film scientifici. L'avevano invitato dopo aver saputo che la Rai stava per intraprendere quest'avventura. Un collega francese, quando seppe della nostra intenzione di andare in onda ogni giorno, commentò "Siete pazzi?". Così Roberto, quando tornò, ci disse "Ragazzi, questa cosa non lo fa ancora nessuno!". È stato molto incoraggiante».

Solo tu e Piero Angela, praticamente, a quei tempi.
«Piero Angela è il maestro di tutti noi, un caro amico e un collega che stimo enormemente. Un faro di riferimento, di serietà per la categoria».

Anche lui ha la dote di spiegare in modo chiaro i concetti più difficili.
«La gente ha voglia di sapere, poi può non essere interessata sempre a tutti gli argomenti. Il difficile e il bello di questo mestiere è fare da tramite tra due mondi: chi sta a casa e chi sta nei laboratori».

Qual è il tipo di informazione che si predilige in Leonardo?
«Noi non riusciamo mai a fare il telegiornale che vorremmo. A volte ci dobbiamo accontentare perché ci sono problemi di mezzi, di rapidità di informazione, di distanze, magari anche di soldi. Adesso non ci occupiamo più di informatica o cose di questo genere perché dopo di noi c'è una trasmissione specializzata, Neapolis. Ma sappiate che quando è partito Leonardo non c'era internet da noi. Occorreva recuperare le notizie dalle fonti. Mi ricordo delle notti passate ad aspettare che in California si svegliassero per chiedere una sola informazione».

Che cos'è per te il giornalismo?
«Una persona tanto più importante di me, Indro Montanelli, disse che il giornalismo è quella cosa che noi giornalisti ameremmo fare anche senza essere pagati».

E' una passione.
«Sì. Raccontare il mondo è un privilegio straordinario perché significa essere in prima linea in qualunque settore. Sei gli occhi degli altri e hai una responsabilità enorme perché racconti il mondo che vedi agli altri. Un mondo in cui spesso i telespettatori, i lettori non hanno accesso, anzi, quasi mai».

L'inviato sul posto.
«Così dovrebbe essere il giornalismo. Purtroppo la nostra professione si sta trasformando e sono sempre più i giornalisti che lavorano al desk, che collezionano notizie di altre fonti. Questo è molto triste».

Qual è la differenza tra il giornalista della carta stampata e il giornalista televisivo?
«La differenza è ovviamente nel mezzo. Alla base il modo in cui si lavora è uguale: si va alla ricerca della notizia. Noi però dobbiamo sintetizzare enormemente. E poi c'è l'uso delle immagini; spesso aiutano a comunicare dei messaggi che con le parole non è possibile. È una sorta di multistrato: la parola, il concetto che tu racconti, l'immagine, e il messaggio arriva completo. Vengono coinvolti quasi tutti i sensi».

Cosa ti sarebbe piaciuto fare se non fossi diventata giornalista?
«Io non volevo fare la giornalista. Ho cominciato perché dovevo guadagnare e mantenermi. Poi è diventato un lavoro. Credo molto ad una cosa: non si può mai capire che cosa ti piace veramente fare fino al momento in cui non lo fai sul serio. Il giornalismo è stata una passione che è cresciuta pian piano. Sono rimasta travolta da questo fiume in piena».

Cosa manca alla tua carriera per poterla considerare completa?
«Ho avuto tanto da questo lavoro e ho dato tanto. Ho intravisto ad un certo punto una strada, quella del ramo scientifico, che molte persone mi sconsigliavano. Mi dicevano che lasciare il telegiornale regionale era una follia. Ora mi piacerebbe poter continuare così, con un raggio internazionale».

C'è stato un momento in cui hai pensato di non farcela?
«Tantissimi anni fa lavoravo all'allora Gazzetta del Popolo e sono stata vittima di quello che oggi si chiama mobbing. Questa cosa aveva messo totalmente in discussione la mia intelligenza, la mia capacità di lavorare. Poi, però, ho superato tutto. I posti di lavoro spesso non sono un luogo così piacevole».

Fai parte del CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale). Quindi credi agli extraterrestri…
«Ovviamente ci credo. Non ci sono degli omini verdi, non c'è niente nel nostro sistema solare, ma con molta probabilità c’è un’altra forma di vita intelligente. Ho partecipato alla fondazione della sede piemontese del CICAP, poi colpevolmente non me ne sono mai occupata, ma fanno un lavoro veramente straordinario».

Parliamo di Telegiornaliste.
«È un sito divertente. L'ho scoperto per caso e ogni tanto saluto tutti sul forum perché sono molto simpatici. L'unica cosa che direi agli amici di Telegiornaliste è di fare magari un po' meno attenzione al nostro aspetto fisico e di più a quello che facciamo».

Hai un pubblico attentissimo.
«Sì, persone assolutamente deliziose. Devo dire che da Telegiornaliste ho avuto un supporto veramente grande, e quindi li ringrazio».

- Ascolta l'intervista su RWS
 

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