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Intervista a Elsa Di Gati   Tutte le interviste tutte le interviste
Elsa Di GatiTelegiornaliste anno XI N. 42 (473) del 21 dicembre 2015

Elsa Di Gati. Vi racconto la mia vita da giornalista
di Silvia Roberto

Una donna che ha saputo coniugare lavoro e passione, carriera e famiglia. Una donna con la D maiuscola, che ha ottenuto un grande successo professionale grazie alla sua preparazione, agli innumerevoli studi e sacrifici ma soprattutto alla sua semplicità. Intervistiamo Elsa Di Gati.

Perché il giornalismo?
«Ho ereditato la passione del giornalismo da mio padre: era un inviato; lavorava sul campo quando un tempo il giornalismo si faceva per strada. A casa raccontava la sua giornata ed io lo guardavo e lo ascoltavo affascinata tanto da trasmettermi questa passione».

Inizia la sua carriera con il doppiaggio: perché? E quali sono stati i primi inizi in tale settore?
«Devo tutto ad una coincidenza, ad un incontro con Ettore Baruzzi il quale trovava nella mia voce uno spunto per poterci lavorare: all’età di 19-20 anni circa, cominciai a fare doppiaggio, dapprima per documentari e poi pian piano, dato anche il mio grande interesse ed entusiasmo, per cartoni animati; per proseguire in questo campo, era necessario frequentare un corso di recitazione. A quel tempo frequentavo l’Università di Lettere e mio padre, mettendomi con le spalle al muro, mi consigliò di proseguire con gli studi universitari oppure continuare a fare il doppiaggio in quanto non era possibile fare ambedue le cose. Decisi allora di portare avanti gli studi anche se confesso che il doppiaggio è sempre rimasto nel mio cuore e nella mia mente».

Si dice che nel giornalismo ci siano dei compromessi: è vero questo?
«A me non è successo, ma sono contraria: mio padre diceva che volere è potere. Studiare tanto e avere tanta determinazione».

Quale è stata e quale è la sua caratteristica nel lavoro?
«Ho capito di essere cattiva, ma non nel vero senso della parola: ho un grande senso della giustizia e Mi manda Rai Tre è proprio la trasmissione adatta a me; la cattiveria del mancato senso di giustizia mi scatena una tale indignazione che fa uscire in me quel senso di giustizia, appunto, che mi porta ad investigare e in qualche modo riportare alla luce la verità. L’importante è capire quello che si è e non adattarsi a fare quello che gli altri chiedono; meglio dire un no, ma fare una cosa che sai di poterla fare bene».

A proposito di Mi manda Rai Tre, il fatto di essere stata scelta quale conduttrice cosa le ha fatto provare?
«Una grande soddisfazione: Mi manda Rai Tre è una trasmissione che nasce vent’anni fa e fin da allora è stata condotta da soli uomini; quindi una grandissima rivincita che devo soprattutto al direttore, che tra l’altro è stato anche uno dei conduttori».

Quali sono state le sensazioni, paure, timori che ha provato durante la prima puntata?
«Non nascondo che alla prima diretta televisiva tremavo come una foglia, nonostante provenissi già da 13 anni di diretta quotidiana; avevo però quella dose di incoscienza e soprattutto non avevo una dimensione di quello che c’era dietro la luce rossa. Questo mi ha permesso di affrontare la diretta con una certa facilità e anche spontaneità. Ricordo perfettamente la prima diretta, ero terrorizzata… era presente il direttore e quindi avevo anche una certa pressione psicologica».

Ma come è approdata in televisione?
«L’allora direttore di Rai Tre, Paolo Ruffini, è stato anche il mio direttore di radio; mi stimava molto tanto da farmi condurre il giornale radio del mattino; ci fu un buco nella trasmissione di Cominciamo Bene, Così mi chiamò per fare un provino; il mio partner dell’epoca, Toni Garrani, rimase favorevolmente colpito dal mio sorriso».

Quando ha iniziato a fare radio?
«Nel 1994-1995».

Quali sono stati i primi programmi che ha condotto?
«Ho iniziato con la Notte dei Misteri, conducendo la diretta per l’intera notte, da mezzanotte alle 5 del mattino; ho condotto inoltre Radio Favole, Dopo Mezzanotte, Il Baco del Millennio».

Cosa predilige tra televisione e radio?
«Sono combattuta: in effetti mi sveglio la mattina e accendo la radio, però non posso fare a meno della televisione; mi sento a mio agio. Se c’è un buco lo copro con facilità, proprio per il fatto che ho fatto tanti anni di radio».

Cosa le piace di più del suo lavoro?
«Tutto: mi diverto moltissimo; c’è tanto lavoro da fare dietro le quinte, mi riferisco all’organizzazione di un programma; poi, di fronte ad una telecamera sono me stessa, forse la chiave vincente. Ma soprattutto, amo i cittadini».

Un aggettivo che deve secondo lei essere abbinato al giornalismo.
«Essere curiosi, la chiave di base per intraprendere questo mestiere».

Quando ha capitato che voleva fare la giornalista?
«Appena laureata conobbi il direttore di una rivista di Latina, che chiese una mia collaborazione. Ogni mattina mi svegliavo alle 3.45 per andare in redazione e terminare alle nove di sera: dopo 3 mesi capii che nonostante questo grande sacrificio dentro di me c’era una grande passione».

Se non avesse intrapreso la strada del giornalismo cosa le sarebbe piaciuto praticare?
«Sarei voluta diventare medico pediatra: poi quando mi resi conto che avrei dovuto procedere anche ad autopsie capii che non faceva per me».

Ha altri interessi al di fuori del lavoro?
«Sì, mi piace molto dipingere, leggere, ed ho una grande passione per il cinema: sono una patita di serie americane. Non mi piace leggere sull’i-pad, preferisco la carta scritta, mi piace sottolineare il libro, scrivere sulle pagine, piegarle, annotare l’ora e la data quando comincio a leggere un paragrafo o un capitolo; scrivere dove sono al momento della lettura, l’emozione che suscita in me quella particolare frase, quella particolare parola. Così, dopo 2-3 anni, sfogliando le pagine di quel libro ricordo ogni cosa».

Libro preferito?
«Il Piccolo principe, collegato a mia figlia ma il libro in assoluto che più amo è Le Mille e una Notte».

Consigli per aspiranti giornalisti?
«Dimostrare di avere qualcosa che gli altri non hanno. Occorre la forza delle idee e non degli urli; e poi rigore e studio; altrimenti, che sia nello schermo o nella radio passa il vuoto».

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