
Telegiornaliste anno XVI N. 
		29 (646) del 11 novembre 2020
		
		
Ludovica 
		Ciriello, raccontare la vita reale 
		di 
Giuseppe Bosso 
		
		Inviata di
		
		L’aria che tira, incontriamo 
		
Ludovica Ciriello. 
		
		
Come ha cambiato il tuo lavoro lo scoppio della pandemia in questi 
		mesi? 
		«Da quando c'è la pandemia, gli inviati non entrano in redazione. Mi 
		manca il rapporto quotidiano con i colleghi. Le nostre pause a pranzo e 
		persino le lunghissime riunioni. Ma è giusto così. Pur nell'assoluto 
		rispetto delle distanze dalle altre persone e di ogni norma di 
		sicurezza, il lavoro di un inviato è, fondamentalmente, per strada. 
		Quindi, inevitabilmente, a rischio». 
		
		
Raccontare l’Italia al tempo del Covid, come cerchi di farlo?
		
		«In queste settimane sto incontrando soprattutto medici e infermieri, 
		autisti di ambulanze del 118, le persone impegnate in prima linea; ma 
		dall'inizio della pandemia a oggi, ho intervistato anche molti 
		lavoratori in difficoltà, penso ad esempio a chi ancora non ha ancora 
		percepito la cassa integrazione di giugno. Storie incredibili, che 
		gridano vendetta. Ed è sempre bello dare voce a chi tendenzialmente non 
		ne ha. Finora, per 
L'aria che tira, mi ero occupata 
		principalmente di politica, ma in questa fase sono contenta di potermi 
		confrontare con... “la vita reale”, passami il termine». 
		
		
Un domani potresti scrivere un libro sulla base delle esperienze che 
		hai avuto modo di raccontare? 
		«No, non è nei miei progetti. Ora che me lo chiedi, penso che al più 
		potrei prendere parte, con altri colleghi, a una raccolta delle storie 
		più forti che abbiamo ascoltato in questi mesi, come una sorta di 
		affresco. Questo potrebbe essere interessante». 
		
		
Ti sta stretto il ruolo da inviata, sia pure in un programma 
		importante come L’aria che tira? 
		«Al momento, è precisamente quello che voglio fare. Ho ancora tanto da 
		imparare e, finché non mi sentirò pienamente soddisfatta, dubito che 
		abbandonerò questo ruolo». 
		
		
Il tuo rapporto con
		Myrta Merlino. 
		«Myrta è una ‘madre professionale’. Ero una 
		ragazzina quando sono arrivata a 
L'aria che tira. Lì dentro, sono 
		cresciuta umanamente, oltre che professionalmente. E, così, nel tempo, 
		anche il rapporto con lei è diventato un rapporto, oltre che 
		professionale, anche molto personale. Myrta è molto esigente, un punto 
		di riferimento con cui confrontarsi sempre, nel bene e nel male». 
		
		
Che Italia vorresti raccontare nel 2021? 
		«Spero un’Italia con il vaccino e che riesca a ripartire riuscendo a 
		superare le disuguaglianze che sono emerse, dimostrando che la pandemia 
		ci ha dato modo di voltare pagina».