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Intervista a Caterina Laita (3)   Tutte le interviste tutte le interviste
Caterina LaitaTelegiornaliste anno XIX N. 3 (719) del 25 gennaio 2023

Caterina Laita, tre storie in un libro
di Giuseppe Bosso

Abbiamo nuovamente il piacere di incontrare Caterina Laita, giornalista napoletana, direttore editoriale dell’emittente Campi Flegrei Tv, che ci presenta la sua prima opera letteraria, presentata lo scorso dicembre presso la sede dell’ordine dei giornalisti della campana. Per Edizioni Mea La rinascita di Venere – siamo tutti parte civile, tre storie di donne che le hanno raccontato le loro esperienze di violenze subite e di reazione.

Bentrovata Caterina. Come nasce questo tuo libro?
«Mi sono sempre occupata di cronaca nera e ho voluto approfondire questa tematica soprattutto relativamente alla violenza sulle donne. Ho conosciuto queste tre donne che si sono aperte e mi hanno raccontato i loro percorsi, che si sono articolati lungo tre diversi aspetti: la prima storia va a intaccare la sfera della fragilità dell’età adolescenziale dove incontri “sbagliati” vanno a compromettere le vite di giovani donne come la protagonista che per volontà del suo carnefice arriva a raggiungere trenta chili di peso e a subire abusi sessuali. La seconda è una donna rinchiusa nel carcere del suo matrimonio con un uomo sottomesso all’alcol e alla droga e con cui ha concepito i suoi tre figli, risultati di abusi sessuali del compagno; è una donna il cui corpo smette di appartenerle perché oggetto di sevizie, torture e violenze da parte del marito. La terza storia, infine, affronta il ruolo di figlia abusata da un padre “imperatore” perché picchiata e plagiata psicologicamente e colpevolizzata in quanto donna e quindi come tale oggetto di desiderio degli uomini, tra i quali un cugino, giustificato per l’abuso inflitto».

Storie più che mai attuali purtroppo e le cronache lo dimostrano: secondo te, l’attenzione mediatica sulla violenza domestica può fungere da deterrente o invece rischia sempre di cadere nella denuncia a vuoto?
«Purtroppo tante volte la denuncia non è accompagnata dai fatti, perché la donna che denuncia non è poi sostenuta nell’iter giudiziario che ne segue, anche per carenze legislative che “codice rosso” ha in parte cercato di colmare. Informare è importante, certo, ma in ogni caso bisogna anche permettere a queste donne di vincere il timore di farsi avanti, di comprendere cosa vuol dire essere accanto a un uomo, sia un narcisista o un borderline, che sta rovinando loro la vita».

Come ti sei relazionata con le tre donne che hanno raccontato le loro storie?
«In maniera molto differente da quella che forse dovrebbe essere la modalità con cui un giornalista si avvicina alla fonte della notizia; lo so, dovremmo essere distaccati, ma in questo caso non ce l’ho fatta. Potrei dire che ho messo anzitutto alla prova Caterina Laita nell’incontro con queste tre donne, cercando di essere il più delicata possibile perché mi sono resa conto che loro potevano essere capite, comprese nel loro dramma ma se non vivi queste esperienze in prima persona non riesci poi a trasmettere le loro sensazioni. Ho riportato fedelmente ogni singola parola, ma non posso permettermi di alterare i loro sentimenti, la loro vita raccontata in maniera cruda. Non potevo addolcire una pillola al lettore».

Tuo figlio che cresce sempre più ha avuto modo di leggere il libro o di confrontarsi con te sull’argomento?
«Ha undici anni, sa di cosa si parla nel libro, ma non ho voluto fargli leggere le vicende. Oggi sei madre di un bambino che un domani sarà uomo, la vita è già brutale così, questi ragazzi hanno già modo di accedere a tante informazioni in svariate modalità».

Hai potuto contare anche sulla collaborazione dell’avvocato Maria Visone, responsabile legale per la Campania dell’Osservatorio violenza e suicido, che ha scritto la postfazione: parlando di tutela legale a dispetto di tanti proclami non sembra che gli strumenti a tutela delle vittime di violenza siano particolarmente efficaci, ed è da poco entrata in vigore una riforma legislativa proprio in materia di giustizia. Avete affrontato anche questi aspetti nella lavorazione del libro?
«No, abbiamo affrontato più che altro gli aspetti in termini percentuali perché, purtroppo, i casi di violenza sono sempre più in aumento. Mi sono sì avvalsa della collaborazione dell’avvocato Visone perché lei in quanto donna e in quanto giovane vanta una notevole esperienza nel campo affrontando la prospettiva della donna che denuncia e che si relaziona con le leggi che dovrebbero essere poste a sua tutela, e infatti nel libro si evidenzia anche il supporto che ho ricevuto da Ida Floridia, assistente sociale che si è battuta e si batte quotidianamente per informare in maniera esaustiva le persone che si rivolgono a lei, e da Odile Mannini, criminologa che ha analizzato il profilo del carnefice dal punto di vista patologico. Senza dimenticare la prefazione di Mimmo Falco, vice presidente dell’ordine dei giornalisti. Tutti e tre mi hanno fornito il loro supporto proprio per analizzare la problematica sotto i diversi punti di vista del loro ambito professionale».

Quale speri sia il riscontro del libro?
«Sociale. Non ho scritto un libro per guadagnarci, sono una giornalista con ormai vent’anni di esperienza alle spalle prediligendo di affrontare argomenti come la politica e la cronaca nera. Il libro è anzitutto una dedica a me stessa, perché ho sentito di voler fare un passo in avanti, anche per dare un segno alle donne che vorrebbero raccontarsi ma non hanno i mezzi, culturali e sociali, per poterlo fare, anche per il contesto in cui vivono in stato di degrado anzitutto culturale e familiare. In questo ho avuto la fortuna di poter contare anche sul supporto di una casa editrice che ha condiviso questa mia intenzione».

Con Campi Flegrei Tv di cui sei direttore editoriale hai la possibilità di essere portavoce e punto di riferimento di una comunità territoriale. Non ti senti però pesce grande in stagno piccolo come si potrebbe dire?
«In verità definirmi “un pesce grande” non mi appartiene perché sento che questo mio è un mestiere che ti impone di imparare sempre, per tutta la carriera non si può mai dire “sono arrivata”. Campi flegrei, è come un figlio anche mio perché nasce da un matrimonio solido, quello dell’amicizia. Chi ha fondato questa realtà (che oggi vanta numeri notevoli e ha fatto passi da gigante superando realtà più consolidate che purtroppo non sono riuscite a mantenere il passo dei tempi), sono prima di tutto miei amici, quell’amicizia vera che supera difficoltà e sorride alle cose belle. Oramai sono vent’anni di professione e devo dire che ho avuto tante soddisfazioni nonostante la grande responsabilità che mi investe, e prima tra tante è quella di vedere oggi pubblicisti che portano il nome della tv, a cui sono riuscita a trasmettere ciò che ho imparato negli anni e principalmente la mia passione per questo lavoro, è un traguardo impagabile».

Siamo alla nostra terza intervista, dopo le due precedenti che si incrociavano sempre in momenti importanti del tuo percorso, professionale e privato, prima e dopo la maternità. Quali sensazioni ti suscita il ricordo di questo cammino che hai attraversato?
«Mi sento più giovane (ride, ndr) nel lavoro ma anche nella vita e questo anche grazie a mio figlio che mi porta per mano a cresce con lui, vedendo una società sempre in ascesa in termini di progresso e anche se l’età avanza, io mi sento ancora ragazzina».

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