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Intervista a Daniela Cannizzaro   Tutte le interviste tutte le interviste
Daniela CannizzaroTelegiornaliste anno VII N. 18 (278) del 9 maggio 2011

Daniela Cannizzaro: fare informazione è la mia gratificazione
di Giuseppe Bosso

Incontriamo questa settimana Daniela Cannizzaro, volto di punta di Rai News.

Rai News punto di arriva o di partenza?
«Punto di arrivo di una nuova partenza. Vengo dalla carta stampata: Noidonne, dal 1995 al 1999, anno di una chiusura amara per un periodo decisamente critico per la testata e che, ricordo, concise anche con il momentaneo stop de l'Unità. Non entro nei dettagli - anche se mi piacerebbe - perché il capitolo merita un approfondimento a parte. Nel 2000 arriva l'esperienza di Rainews, doppiamente rigenerante anche per la frequentazione di un nuovo media e in un'azienda importante e strategica come la Rai. Messo piede nel canale all news nato da appena un anno, ho trovato entusiasmo e competenza e uno spirito di gruppo necessario a rendere coerente il flusso informativo h24. Ora quasi non concepisco altro modo di comunicare. Una specie di virus entrato ormai nel mio Dna professionale».

Pro e contro di lavorare in un canale all news.
«Il contro è che non ce n'è mai abbastanza. E che le necessarie pause per ricaricare coincidono strettamente con la messa a punto dell'agenda per i prossimi impegni. Insomma, non ci si ferma mai. Non lo considero proprio un fattore negativo ma, se proprio devo, la frenesia di essere sempre sul pezzo - come si dice - può essere fonte di errore e quindi ci vuole doppia testa. Oltre che un esercizio di duttilità e trasversalità tra notizie considerate minori e quelle di prima pagina che considero il vero e proprio privilegio di lavorare in un all news. Oltre a più testa ci vorrebbero anche più mezzi, ma questa è un'altra storia».

A quasi due anni dallo switch off, il digitale ritieni sia stato una scommessa vinta o ancora da scoprire?
«La sfida del digitale ha investito e investe ancora tutto il nostro paese e, in particolare, il servizio pubblico televisivo. Progetto ambizioso per cui servono investimenti importanti che la rai sta mettendo in campo a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Cosa che, come il Forum Telegiornaliste sa, ci ha penalizzato durante qualche switch off regionale. Rainews è sparita e (purtroppo mai riapparsa in qualche caso) dalla selezione dei decoder. Non mi inoltro troppo su quanto è stato fatto ed è ancora da fare. Sono convinta tuttavia che ampliando l'offerta con il digitale si possa amplificare anche la libertà di scelta. Importante e che si punti non sulla quantità, ma sulla qualità. E poi vinca il telecomando!».

Qual è stata l’esperienza che più ti ha gratificata?
«L'esperienza che mi gratifica di più - ogni giorno - è quella di chiunque si avvicini a me per dire: "Sai, ho sentito il tuo pezzo, vorrei chiederti..", quando non il piacere sommo di chi afferma di aver capito qualcosa in più. Occupandomi, il più delle volte, di questioni economiche in realtà metto bocca sul portafoglio e metaforicamente dentro le tasche di tutti. Sciogliere il gergo troppo di settore, parlare in modo diretto e semplice non sempre mi riesce, ma è l'obiettivo che mi pongo ogni volta che inizio il cosiddetto racconto: che sia Fiat, o conti pubblici, rincari e via così. Nel dettaglio: davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat Mirafiori, lo scorso 14 e 15 gennaio, per il referendum sul Piano Marchionne ho avuto la chiara sensazione mi stesse passando la Storia (quella sì, con la maiuscola)».

Rispetto ai colleghi più giovani ti senti un po' chioccia?
«Moltissimo chioccia. Mi viene naturale. Sarà che ho un figlio ventenne. Questo non vuol dire che non pretenda impegno, al contrario. Mi rendo conto però che è difficile arrivare a fare questo lavoro. E la maggior parte dei giovani che incontro sono molto preparati. Buon segno. Sottolineo che sono 'chioccia' con tutti e tutte. Non ho il (pessimo) vizio di entrare in competizione con le giovani colleghe. D'altronde ho avuto brave maestre. E ho amiche compagne di lavoro. Non molte, ma fanno la differenza».

Cosa ti piace e cosa non ti piace del giornalismo di oggi?
«Quello che non apprezzo di un certo giornalismo è l'approssimazione e il servilismo. E continuo ad alimentare la mia professionale con la curiosità (quella sì, della conoscenza) e l'umiltà di porgere un servizio all'informazione. Più sappiamo e meglio stiamo. Anche se non sembra. Mai rinunciare al senso critico di ogni cosa o argomento ti porgano».

La gavetta, che oggi pare essere alquanto accantonata, andrebbe riscoperta secondo te?
«Non credo che la gavetta sia accantonata, visto il tanto precariato che ancora ingombra - anche - questa professione. Soprattutto tra i più giovani e nella giungla del web. E l'errore più grave in questo mestiere è proprio sentirsi arrivati; è chiaro che fa una bella differenza se sei precario o no, ma vorrei riqualificare radicalmente il termine 'gavetta'».

Negli ultimi tempi assistiamo a molte manifestazioni, come quella dello scorso 13 febbraio. Secondo te è un bene o un male che in un Paese ci sia questa esigenza di ‘scendere in piazza’?
«La manifestazione del 13 febbraio meriterebbe una riflessione a parte. Ritengo comunque sempre importante ogni forma democratica di dissenso. Alcune manifestazioni rischiano, oggi, di ridursi a rituale, ma anche per questo ritrovano il loro senso. Di appartenenza, di gruppo. Temo tuttavia la deriva populista, anche delle piazze. L'autorizzazione, cioè, all'arringa, all'identificazione dell'altro come 'nemico'. Che a Roma, tanto per fare un esempio stupido, permette il diritto alla lamentela di coloro che restano imbottigliati in mezzo al traffico mentre passa il corteo. Insomma, quello di cui sento davvero il bisogno è il recupero del senso civico, del sentirci collettività e non variabili impazzite del malcontento. Forse sto andando fuori tema...».

C’è una notizia che vorresti dare un giorno?
«Non una, ma mille notizie! Hai voglia tu di raccontare ancora».

Che idea ti sei fatta di Telegiornaliste?
«Telegiornaliste è la rete. La comunicazione e l'ascolto del futuro. Con tanta passione e curiosità per un lavoro fin troppo bistrattato, anche da chi lo pratica».

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