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Intervista a Lisa Iotti   Tutte le interviste tutte le interviste
Telegiornaliste anno VII N. 42 (302) del 19 dicembre 2011

Lisa Iotti: per un'Italia migliore di Giuseppe Bosso

Incontriamo questa settimana Lisa Iotti, inviata del programma di Rai 3 Presadiretta.
Lisa Iotti
Come ti sei avvicinata al giornalismo?
«Il mio è stato un percorso un po' a zig zag. Diciamo che ho sempre voluto fare la giornalista ma l'ho presa un po' alla larga. Ho iniziato a collaborare alle pagine locali di Reggio Emilia del Resto del Carlino quando avevo vent'anni e facevo l'università. Scrivevo qualche articolo, ma niente di continuativo. Poi ho lasciato perché dovevo studiare, anche se ho sempre tenuto una zampetta dentro. Mi sono laureata in Lettere, indirizzo artistico a Bologna. Lavoravo al mattino ai musei e al pomeriggio a Telereggio, la tv della città. Una palestra, perché ho sempre creduto all'importanza della gavetta, ma se tornassi indietro farei la scuola di giornalismo».

Come sei arrivata a Presadiretta?
«Ho mandato una semplice mail a Riccardo Iacona. Nel frattempo ero venuta via da Reggio, ero stata a Milano, vivevo a Roma, e dopo aver fatto varie cose stavo lavorando a Exit, il programma di inchieste de La7 condotto da Ilaria D'Amico. Ho scritto a Iacona dicendo che ero innamorata delle cose che faceva e che mi sarebbe piaciuto un giorno incrociarlo, e chissà che non avremmo lavorato insieme. Mi ha chiamato Francesca Barzini, l'altra autrice del programma e sono stata molto fortunata. Stavano cercando una persona, avevano urgenza perché il programma ripartiva e io per caso passavo di lì...».

Il giornalismo d'inchiesta secondo te è bistrattato nel nostro Paese?
«No, non credo. Prova ne è che i programmi di approfondimento vanno molto bene. Vedi Report, che vedono tutti anche se tratta temi per addetti ai lavori e non fa sconti a nessuno. La gente ha bisogno di sapere ed è sempre più preparata e attenta. Non credo che in questo momento si voglia accendere la tv o sfogliare un giornale per distrarsi. Ridere sì, ma con intelligenza e profondità (penso al programma di Maurizio Crozza che fa pezzi giornalisticamente molto interessanti). Più si danno chiavi di lettura alle persone più si approfondiscono i temi più si guadagna pubblico. Raitre va benissimo».

La vicenda che ti ha maggiormente appassionato?
«Mi appassionano sempre tutte, molto. Forse quella che mi ha più colpito è stata l'ultima inchiesta sul cibo e sull'agricoltura. Vedere ettari e ettari di campi abbandonati, pesche lasciate marcire sugli alberi, intere famiglie rovinate mi ha fatto stare male. Non immaginavo che la situazione fosse così disperata. Un conto queste cose leggerle, un conto è vederle. Questa è anche la forza del video rispetto alla parola. A volte racconti cose che altri hanno già scritto, e meglio. Però farle vedere, farle sentire, è un'altra cosa».

Nei tg spesso si dà troppo spazio alla cronaca nera e ad argomenti come gossip e gastronomia: sarebbe ora di cambiare?
«Non sono la persona giusta per parlare di cronaca nera perché non la seguo, non l'ho mai seguita per lavoro e non mi ha mai appassionato. In generale penso che la cronaca nera si possa fare con rispetto e garbo. Spesso invece diventa un modo per vellicare il voyeurismo di chi guarda e questo lo trovo mostruoso. Rispetto al gossip invece l'argomento è più complesso. Di recente una bella inchiesta di Presadiretta, firmata da Alessandro Sortino, ha mostrato come amorazzi, foto, tradimenti mostrati su certi giornali possano essere usati come arma impropria nella lotta politica. Le informazioni sul privato sono usate a volte per ledere e diffamare l’avversario, un formidabile strumento di potere. Io mi diverto a leggere certi giornali di gossip, a volte raccontano più di tante analisi politiche. Sulla gastronomia mi limito a constatare il paradosso. Tutti parlano ormai di come cucinare il cibo, ma nessuno pensa a come e dove viene prodotto quel cibo. Fra un po' in Italia non produrremo più nulla da mangiare, in compenso saremo degli ottimi cuochi!».

Come pensi si debba rapportare un buon giornalista con le istituzioni, soprattutto a fronte di malfunzionamenti e carenze di servizi essenziali?
«Non so, chiedo scusa per la banalità. Io credo però semplicemente che il giornalista debba solo essere corretto e scrupoloso. Poi non c'è istituzione che tenga. L'importante è chiedere conto e ragione alla persona giusta. Bisogna tenere il punto, senza mollare. Personalmente non amo il modello giornalista aggressivo. Credo che il giornalista veramente bravo sia quello che riesce a tirare fuori le cose senza essere mai sopra le righe, anzi con grazia. Ma ammetto che non è facile. A volte vorresti saltare addosso all'interlocutore e metterti a urlare...».

La storia che ti piacerebbe raccontare un giorno?
«Mi piacerebbe, dico un'altra ovvietà e mi scuso, raccontare l'Italia migliore, l'Italia che funziona, quella che ce la fa nonostante tutto, i piccoli eroi che tengono in piedi il Paese e che non fanno notizia perché i giornalisti parlano sempre di quello che non va, delle magagne e dei disastri. Non è facile, perché il bene è in genere più noioso e il male è più affascinante. Bisogna essere dei grandi narratori per fare un racconto di questo tipo, e bisogna avere la purezza del cuore, sennò si annoia e si diventa retorici. Penso che il più bravo di tutti sia Riccardo Iacona. Se un racconto così lo fa lui pensi, un altro mondo davvero è possibile».

Un lavoro così intenso come il tuo lascia spazio per gli affetti?
«Questo lavoro lascia poco spazio agli affetti, ti assorbe l'anima e non stacchi mai. Ci pensi di giorno e di notte. Io sono stata molto fortunata perché ho un compagno molto paziente, incontrato nella vita precedente e due bambini meravigliosi che però stanno più con la tata che con me. E questo non va bene. Da tempo cerco un equilibrio che non trovo. Vorrei fare un gruppo d'ascolto, magari qualcuno mi potrebbe dare dei consigli. Io non so come si fa. E a ogni giro, giuro 'basta questa è l'ultima volta, adesso smetto'... chissà».

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