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Intervista a Maria Vittoria Jedlowski (Ori)   Tutte le interviste tutte le interviste
Maria Vittoria Jedlowski OriTelegiornaliste anno VI N. 38 (255) del 15 novembre 2010

Donne e musica: Maria Vittoria Jedlowski di Simona Di Martino

Incontriamo Maria Vittoria Jedlowski, in arte Ori, docente di chitarra classica al conservatorio G. Verdi di Milano, compositrice e cantautrice, studiosa di musiche scritte da donne. A ottobre è uscito il suo ultimo album in doppio cd, Giallo verde oro muschio.

Nei suoi concerti lei ama presentare brani composti per lo più da donne. Perché questa scelta?
«È una curiosità nata dal mio impegno sociale e civile per il sostegno dei diritti delle donne. Come musicista e come chitarrista ero curiosa di vedere se c’erano delle donne che avevano scritto per chitarra classica, visto che suonavo ed ero interprete solo di autori maschili. E da lì si è aperto un grande mondo. Nell’800 le compositrici erano pochissime, allora era difficile pubblicare ed era altrettanto difficile studiare. Le donne potevano farlo solo in casa, a livello amatoriale. Nel 900, si aprì il problema della difficoltà di essere donna: un compositore necessita un sostegno di tempo ed economico che raramente le donne hanno. A quei tempi, aumentarono queste possibilità con le università, gli studi e vi furono sempre più studentesse donne. Imporsi sul mercato è comunque stato sempre difficile per le compositrici».

In cosa consiste questa difficoltà?
«Non credo sia legata al suonare o al presentarsi come musiciste, ma semmai riguarda quello che c’è intorno socialmente. Ci sono dei pregiudizi sociali che non sono sensibilmente visibili. Una donna con figli deve crescerli e tenere i ritmi per studiare quanto necessario, muoversi per fare concerti. Un lavoro come il concertismo, che richiede viaggi e tempo, necessita veramente di un substrato sociale che sostenga questa scelta. Manca un sostegno sociale per le madri. In più c’è una questione sociale forte sulla donna che viaggia per lavoro e lascia la famiglia: non è sorretta di solito da stima e supporto. Ci vuole una situazione sociale che permetta a una donna di viaggiare da sola per il mondo, di dormire in alberghi… In certe culture non è possibile, così come non lo era nella nostra fino a un secolo fa. A momenti non si lasciava uscire una donna di casa senza un accompagnatore, figurarsi lasciarla andare in altri Paesi in aereo o in treno a suonare. Era proprio uno scandalo».

La questione tocca l'argomento della libertà della donna. Carriera a parte, esiste anche un problema di realizzazione personale…
«Sì, esatto. Penso per esempio a quando le donne si prendono cura della famiglia, dei figli, dei genitori anziani. Questo ovviamente pesa su una realizzazione artistica che richiede molto tempo, molte energie. Tutti gli individui devono realizzarsi nel modo che è loro consono. Poi, le situazioni cambiano da Paese a Paese: è più difficile in alcuni, più facile in altri».

Tra donne e uomini cambia il modo di comporre?
«La mia sensazione è che le donne siano sempre piene di senso. Non ho mai trovato autocompiacimento nelle donne che compongono; sono veramente capaci di cogliere quello di cui hanno bisogno, quello che vogliono dire. Vanno veramente al sodo, senza perdersi in fronzoli o in altre frasi per riempire il pezzo».

Mi è stato detto da un maestro di chitarra: "Quanto è bello vedere la chitarra in braccio a una donna". Ci sono differenze tra le musiciste in generale e le chitarriste?
«Sì, la chitarra ha dei vantaggi perché affonda in un amore popolare. Nella seconda metà del 900 la chitarra era lo strumento principe dei giovani e questo ha facilitato l’approccio da tutti i punti di vista. Spesso la chitarra è stata paragonata alla donna, come forma e come suono. E io penso che sia proprio uno strumento adatto a loro, a parte tutta l’iconografia che c’è di donne che suonavano la chitarra barocca, il liuto».

Parliamo della Ori cantautrice: tre parole per descrivere le sue canzoni.
«Poesia in musica, comunicazione poetica. Sento forte questo bisogno di messaggio: come tutti, nella vita ho imparato qualcosa, e quel poco che so ho voglia di comunicarlo. Quello che so è di grande felicità: mi sembra che il nostro sociale si basi troppo sull’insoddisfazione, sui drammi che ci sono, per carità! Penso però che questa visione vada anche bilanciata con quello che c’è di buono, perché c’è. La mia tendenza è appunto quella di bilanciare dando voce alle cose che hanno poca voce. Ho lavorato ad alcuni dischi con musiche di sole donne perché mi sembrava che la loro voce si sentisse troppo poco. Nel momento in cui ci sarà equilibrio, non ci sarà più bisogno di fare un disco di sole donne».

Molto De Andrè…
«È vero. De Andrè è stato il mio maestro storico, come per tutti i cantautori italiani».

Altri modelli di riferimento?
Quelli del mio periodo di nascita, le canzoni di Joan Baez, Bob Dylan, gli Intillimani, Violeta Parra. Canzoni fatte per dare voce a dei popoli, quindi sempre una voce di libertà. In questo momento le mie non sono canzoni direttamente politiche, sono molto più rivolte all’interiorità. Però la mia idea è che l’interno, il privato diventi politico».

Nei suoi concerti le canzoni si mescolano a brani di musica classica, legati tra loro da un unico "tema". Vuol farcene un esempio?
«Ultimamente sto facendo dei concerti legati al tema dell’armonia fra maschile e femminile, un’armonia possibile e costruttiva, sia a livello simbolico che a livello esteriore. Cosa serve per stare in armonia? E la musica può rispondere, con un brano classico o una canzone. Mi diverte molto mettere insieme questi due mondi, quello della musica classica e della canzone; non sono antitetici, anzi si integrano vicendevolmente. E in questo modo posso avvicinare persone molto diverse. Persone che magari non hanno mai sentito musica classica».

Maria Vittoria Jedlowski OriChe ruolo ha e quanto conta il pubblico?
«Fondamentale. Come interprete, il mio lavoro è stato trovare un filo conduttore nelle musiche che proponevo, per poter comunicare al pubblico quello che avevo capito io. E la mia scelta, il più delle volte, è stata di creare dei concerti unendo musiche classiche, dal linguaggio molto comprensibile per quanto complesso, e musiche contemporanee, difficilmente fruibili dal pubblico».

Perché è importante la musica contemporanea?
«Penso che la musica sia qualcosa che possa educare le persone, sia chi la fa che chi la ascolta. Sicuramente avere a che fare con le musiche di oggi è un passo in più che rimanere solo su quelle del passato. Oggi poi la musica classica è molto poco diffusa. Alcuni conoscono alcuni passaggi solo perché trasmessi dalle pubblicità, e non hanno mai sentito un concerto. Credo dunque sia importante avere un contatto con tanti aspetti culturali».

Ori è più chitarrista o cantautrice?
«Musicista. Un mio allievo si era molto stupito qualche anno fa quando ho cominciato a scrivere canzoni. Di solito si comincia con la scrittura e poi si arriva alla carriera di musicista classico. Il mio è stato un percorso atipico, ma ne sono molto contenta. Da un punto di vista educativo mi sembra un buon messaggio di libertà: è possibile fare qualsiasi cosa nella vita finché siamo vivi».

A proposito del nuovo album, Giallo verde oro muschio, che significati racchiude il titolo?
«Il giallo oro è il colore simbolo del maschile, del sole, del luminoso. Il verde muschio è il colore femminile, della terra fertile. Questo cd vuole essere un tentativo di onorare entrambi gli aspetti, maschile e femminile, e sottolineare che è possibile creare questa armonia. Le mie canzoni hanno solo il desiderio di ricordare quello di cui a volte ci dimentichiamo. In questo album parlo proprio dell’idea che mi sta a cuore, quella del costruire. L’idea è nata pensando a quanti uomini distruggono, oppure a quanti uomini nocivi esistono. Ma non c’è solo questo! Ci sono molte persone che distruggono, ma molte più persone che creano. Magari non si vedono».

Qual è l’integrazione fra maschile e femminile?
Tra i tanti aspetti ne ho scelti due: per la parte maschile Giallo oro, la forza sostiene, che vale sia come forza esteriore che interiore, quella che sostiene uomini e donne. Per la parte femminile Verde muschio, il canto guarisce, un po' perché mi tocca molto da vicino, un po' perché penso che il canto sia un aspetto proprio delle donne. Quest'ultime curano i loro bambini cantando le ninne nanne, le filastrocche. In molti paesi africani si insegna anche la matematica con le canzoni».

Potrebbe definire il suo un genere di nicchia?
«Direi di sì. Se quello per chitarra è un repertorio abbastanza di nicchia, figuriamoci un repertorio di musica contemporanea. Ma nella mia vita ho sempre scelto cose che per me avevano un valore, non c’è mai stato un interesse di mercato. Questo è un mio limite, o forse un vantaggio, non so. Di certo so che le mie scelte saranno sempre unite a qualcosa che per me ha significato».

Cosa consiglia dunque ai giovani che vogliono far musica?
«Di farlo. Di essere aderenti a se stessi, e di cercare l’insegnante giusto. Un insegnante ottimo per una persona può non esserlo per un’altra. Qualsiasi sogno, qualsiasi progetto che un giovane ha è assolutamente sacro».

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