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Telegiornaliste anno II N. 21 (53) del 29 maggio 2006


MONITOR Anna Marino, la giornalista che vola di Silvia Grassetti

Ci ha incuriositi, l'iniziativa editoriale di Anna Marino e Antonio Alessio Boccia dedicata al mondo dell'aviazione. L'abbiamo incontrata per saperne di più.
Anna, come ti è venuta l'idea che ti ha portato a scrivere Signori, si vola!? L'aviazione è uno dei tuoi interessi?
«Volare è un’esperienza che tocca ormai da vicino tutti, più volte in un anno, in un mese, per alcuni in un giorno. Ed è un’esperienza che si fa alla cieca, non sapendo nulla o quasi nulla del mondo che ruota intorno al nostro viaggio in aereo. Sappiamo come si guidano un’automobile, un autobus, a volte anche come funziona un treno. Ma non come funziona il trasporto aereo, e a volte questa ignoranza si trasforma in ansia, in paura di volare. Con questo libro non solo il viaggio in aereo non ha più segreti, ma si può sapere tutto anche su controlli, sicurezza, responsabilità, diritti dei passeggeri, curiosità sui modelli, e soprattutto si possono sfatare quei luoghi comuni che a volte anche noi giornalisti, ahimè, utilizziamo.
Aggiungo che sono una divulgatrice, una giornalista. E ho studiato legge. Per questo conosco bene la differenza tra essere informati, conoscere un proprio diritto o una regola e non averne idea. E conosce bene questa differenza anche Antonio Alessio Boccia, avvocato civilista milanese, con cui ho scritto il libro “a quattro mani”, e che è stato una colonna portante per il nostro lavoro. Signori, si vola! Tutto quello che avreste voluto sapere sul trasporto aereo e non avete mai osato chiedere, edito da "La Bancarella Aeronautica", è perciò una finestra informativa globale sul "sistema aviazione" in Italia ed in Europa, con un linguaggio adatto non solo agli addetti ai lavori ma anche al grande pubblico. Si può comperare su internet su www.bancaero.it , ma si trova anche nei negozi dell’editore a Torino, a Milano e a Roma, nonché presso la Hoepli. E per chi è interessato nel libro c’è anche qualche suggerimento per “business” da realizzare negli aeroporti, grazie anche a un’intervista concessa da Aeroporti di Roma.
L'idea di un testo sull'aviazione civile ci e' venuta certamente a seguito della riforma del Codice della navigazione aerea approvato lo scorso anno ed in vigore dal 21 ottobre 2005: lo spunto ci ha indotto a seguire la falsariga del codice della navigazione e a suddividere l'opera in 18 capitoli tematici. Ma se all’origine doveva essere un testo puramente giuridico e di aggiornamento per gli addetti ai lavori, dopo la catena di disastri aerei nei mesi di agosto e settembre scorsi ed il successivo clamore mediatico, abbiamo deciso di scrivere un libro che informi tutti sul funzionamento del sistema aviazione e che serva a tranquillizzare anche chi viaggerà quest’estate. Ma le radici del mio interesse risalgono ai tempi dell’università, quando ho affrontato tra i vari esami anche quello di Diritto aeronautico e spaziale!».
Signori, si vola! è uscito un mese prima della pubblicazione della prima lista europea di interdizione al volo per quelle compagnie aeree al di sotto dei canoni di sicurezza, a cui avrai certamente dato un'occhiata: c'è qualche esclusione che ti ha stupito?
«La pubblicazione della lista nera europea delle compagnie aeree più pericolose è arrivata in tempo per la stagione estiva. Sull'onda degli incidenti dell'anno scorso, che comunque nelle statistiche non hanno superato la media degli ultimi dieci anni. Non mi ha stupito perché la sua nascita ha avuto un percorso lineare: ogni Stato membro ha comunicato alla Commissione le linee aeree comunitarie ed extracomunitarie che hanno violato gli standard europei. E dopo il parere di un comitato di esperti è arrivata la lista nera, la black list. Sono le 93 compagnie aeree, soprattutto africane ed asiatiche, messe al bando dagli aeroporti dell'Unione Europea, e tre hanno limitazioni su tipologie o singoli velivoli. La lista non contiene linee europee ed è centrata soprattutto sull'Africa e sull'Asia. L'elenco dei vettori, circa 50 del Congo, ma anche della Guinea equatoriale, della Sierra Leone, della Liberia, della Corea del nord, dell'Afghanistan, sarà aggiornato ogni tre mesi, sia in entrata che in uscita. E’ consultabile su tutti i siti internet, da quello europeo a quelli delle compagnie aeree a quelli degli aeroporti. E’ questa la vera novità che dovrebbe stupire tutti: d’ora in poi la lista ci sarà e sarà un metodo per scoraggiare ogni inosservanza per tutte le compagnie aeree, comprese quelle europee!».
Il libro che hai scritto insieme ad Antonio Alessio Boccia non si concentra però sulle compagnie aeree, piuttosto dedica molta attenzione all'aviazione civile e "amatoriale", se così si può dire. In effetti, anche di recente le cronache hanno riportato l'ennesimo grave incidente sportivo, che ha causato la morte di due persone. Incidenti del genere si possono prevenire? E come?
«Gli appassionati del volo sono moltissimi, e non esistono solo l’aviazione commerciale e quella di Stato. Scuole di volo, aeromobili leggeri, volo da diporto e sportivo, aviazione d’affari si stanno sviluppando sempre di più. Ma nel nostro libro spieghiamo che ci sono obblighi e controlli anche in questi settori: l’Enac, Ente Nazionale Aviazione Civile, per esempio conserva notevoli poteri sugli aeromobili privati, dovendo procedere alle periodiche verifiche obbligatorie sui certificati di navigabilità, licenze, abilitazioni di volo dei piloti. Nel volo da diporto o sportivo per esempio si deve usare un casco protettivo, e ci sono regole ben precise di conduzione dei voli, limiti che devono essere osservati in presenza di determinate condiziono meteorologiche, quote massime e distanze da aeroporti. E’ una specie di "lo sapevate che", che magari aiuta tutti a capire quando sono osservati gli standard di sicurezza, se c’è l’assicurazione obbligatoria, anche in questi tipi di aviazione, e a tenere gli occhi ben aperti quando ci capita di utilizzarli in Italia e all’estero. E nel capitolo sui luoghi comuni si capiscono molte cose in più sugli incidenti aerei e sulla prevenzione…».
Oltre che giornalista, sei una giurista e un'attenta osservatrice del mondo economico e dell'imprenditoria. Cosa ti piace di più?
«Mi piace osservare, studiare e “tradurre” leggi, regole, meccanismi, concetti “difficili” per tutti, perché i tecnicismi e la fretta spesso non ci aiutano a capire le leggi e concetti economici che ci riguardano da vicino e che dovremmo conoscere: diciamo che al lettore - ascoltatore - telespettatore, se posso, faccio risparmiare fatica e tempo! Ma soprattutto adoro inchieste, approfondimenti e interviste ai “grandi personaggi” che arricchiscono tutti con le loro parole».
Prima di approdare a Ventiquattrore tv hai lavorato anche per un periodico, Cose di casa: preferisci la tv alla carta stampata, o un argomento all'altro?
«Tutt’ora scrivo, sempre per il Gruppo Sole 24 Ore, e dopo Ventiquattrore.tv in cui ho totalizzato più di 800 puntate tra Esperto Risponde ed Help, trasmissioni di servizio dedicate a lavoro, famiglia, fisco, pensioni, sono anche approdata a Radio 24, un’esperienza che ha dato maggiore completezza al mio percorso professionale. In cui mi sono misurata, come in tv, con tempi stretti e sintesi. Ma lasciare andare la penna (in modo figurativo perché è la tastiera che fa da padrona) è sempre un’emozione, sento che il lavoro sulla carta stampata è davvero palpabile, concreto. A Cose di Casa mi occupavo soprattutto di temi di servizio, ma mi è piaciuto anche ampliare i miei orizzonti, come sempre».
C'è un sogno nel cassetto di Anna Marino?
«Sì. Continuare a scrivere, libri, articoli, ma soprattutto scrivere parole utili. E continuare a viaggiare, perché adoro salire su un aereo e farmi portare via: il viaggio inizia già dall’aeroporto!».
CRONACA IN ROSA 60 anni di voto alle donne di Tiziana Ambrosi

2 giugno 1946 - 2 giugno 2006. Sessanta anni fa l'Italia si trovava di fronte al bivio monarchia o Repubblica. Un passo decisivo per il futuro del Paese, messo in ginocchio dai combattimenti. Comincia a farsi strada l'idea che il bacino dell'elettorato debba comprendere anche le donne. Considerato il ruolo che hanno avuto durante gli anni di guerra, anche attivamente, diventa impensabile continuare ad escluderle dalla vita del Paese.
 Ricordiamo solo che il suffragio universale è stato introdotto nei maggiori Stati europei - Francia, Germania, Inghilterra - già all'inizio del '900.
Alle donne italiane tocca nel 1946. Ripercorriamone le tappe.
Nel gennaio 1945 l'Italia è spaccata in due: a sud il Paese ormai liberato e il Governo Bonomi a pieno regime, al nord l'occupazione tedesca e la Repubblica di Salò. Con decreto legislativo del 2 febbraio 1945, n.23, viene esteso alle donne il diritto di voto. Per amor di cronaca, le "donne indicate nell'art. 354" sono le prostitute. Attenzione comunque, si parla di diritto al voto attivo, non passivo. Pertanto una donna non può essere eletta.
Questa "dimenticanza" sarà colmata solamente l'anno successivo con il decreto n. 74 del 10 marzo 1946.
La storiografia ancora si domanda se l'estensione del diritto al voto sia stata una concessione ormai necessaria o un effettivo riconoscimento dei diritti della donna. Resta comunque il fatto che l'affluenza femminile alle urne il 2 giugno 1946 fu altissima, quasi dodici milioni di donne, grazie anche alla propaganda capillare che arrivò fino alla provincia profonda, come racconta Tina Anselmi in Storia di una passione politica (in questa pagina è possibile scaricarne alcune pagine in formato .pdf).
Le elette alla Costituente furono ventuno, giusto per capire la portata, pari ad un 3,7% del totale. L'estrazione politica molto variegata: comunisti, Democrazia Cristiana, socialisti e liste indipendenti.
I maggiori fautori del voto alle donne furono i democristiani, mentre i comunisti si mostrarono più cauti, perplessi sostanzialmente per l'influenza che la Chiesa potesse avere sull'elettorato femminile, il quale, peraltro, negli anni successivi si dimostrò invece molto realista e pratico, fino alle leggi su divorzio e aborto.
Sessanta anni dopo festeggiamo la nostra Repubblica e l'anniversario del diritto al voto femminile. Considerando che l'ultimo governo è composto da sole sei donne, viene da pensare che qualche meccanismo si sia arrugginito.
Concludiamo citando il filosofo tedesco Marcuse: «L'emancipazione femminile è un fattore decisivo nella costruzione di una vita qualitativamente migliore».
Peccato si stia ancora a battibeccare sulle "quote rosa".
CRONACA IN ROSA Le partigiane di Stefania Trivigno

Pensando al periodo storico della Resistenza al nazismo, la nostra mente è spesso proiettata verso le immagini ben definite presenti sui manuali di storia.
Sono loro, i partigiani. Figurini in bianco e nero, alti o bassi, con barba un po’ incolta, cappello in testa, maniche della camicia arrotolate, mozzicone di sigaretta fra le labbra, scarpe rotte e lo sguardo fiero di chi lotta per la libertà.
E mentre questi signori impugnavano le armi, c’era anche chi, lontano dai combattimenti, portava avanti la stessa battaglia, ma in modalità del tutto differenti.
Le donne nella Resistenza hanno avuto un ruolo certamente diverso da quello degli uomini, ma non meno importante e decisivo.
In quegli anni le donne non impugnavano armi, ma da casa lottavano per sfamare i bambini, nel silenzio percorrevano chilometri a piedi per un po’ di farina barattata con altri generi alimentari. Le donne prestavano aiuto ai feriti e proteggevano i disertori, erano spesso impegnate come staffette partigiane, affrontavano fatiche superiori alle loro forze per portare da una parte all’altra della città non solo messaggi, anche armi.
Queste donne, soprattutto, erano nello stesso tempo mogli e madri di combattenti cariche delle ansie, preoccupazioni, timori e angosce proprie di chi resta a casa e spera di sentir bussare il proprio caro alla porta.
Oltre alle donne silenziose, ci sono quelle che si sono fatte sentire: le donne apuane che combatterono e vinsero una battaglia importante. Per protestare contro il bando di evacuazione della città di Carrara, emanato dagli occupanti il 7 luglio 1944, centinaia di donne scesero in piazza e per le strade, gridando davanti al comando tedesco la propria volontà di non sfollare. Lottarono per sé, per le proprie famiglie, per la propria comunità, sconfiggendo l’ipotesi di una diaspora senza futuro.
Del ruolo delle donne nella Resistenza se ne è parlato in modo approfondito durante l’incontro Il coraggio delle donne nella resistenza, a cura di FIAP Lazio e del Circolo giustizia e libertà.
L’incontro si è tenuto a Roma lo scorso 27 aprile presso la Sala multimediale della Casa della Memoria e della Storia.
Sono stati proiettati due filmati, Schegge di vita e Le radici delle Resistenza, e ascoltate testimonianze di donne che hanno raccontato le proprie sensazioni nel momento della partecipazione al pericolo, il freddo delle montagne o il silenzio dei coprifuochi, le violenze viste o subite, le loro compagne perdute. Il tutto senza retorica e senza mitizzazione. Infatti la modestia e la riservatezza dei caratteri di queste donne dà il senso della loro dedizione verso gli altri, ma anche della loro passione per una causa vissuta come fondamentale per la dignità.
L'incontro è stato il primo di una lunga serie perché la società prenda coscienza che le scelte di vita, le prove di coraggio, la capacità di sacrificio da parte delle donne sono su un livello di assoluta parità con gli uomini.
FORMAT MEDIA & MINORI Informazione, pubblicità e spettacolo di Serenella Medori

Informare ed essere informati, nel terzo millennio, è divenuto un must: non si può non sapere. Bisogna sapere un po’ di tutto. La storia del mondo la raccontano i Tg e i programmi di approfondimento, la storia del costume la raccontano i filmati pubblicitari e gli spettacoli che hanno sempre più protagonisti scelti tra la gente comune.
La gente comune? Ma chi è? Non possiamo più parlare di casalinghe perché gli spot e la moda in tv hanno insegnato loro a vestire Cavalli. Non possiamo più pensare al metalmeccanico di Lina Wertmüller, sicuramente anche lui ha la sua cintura firmata e il suo profumo D&G. Ovunque ci sia una tv è arrivata un’opportunità di vedere e confrontare gusti, esigenze e stili di vita diversi.
Il Tg, pur con l’accusa di deformare il vero, affronta la realtà, la riprende e la narra. Gli spettacoli televisivi sono ora delle vetrine che mostrano la cosiddetta gente comune con la sua realtà. La pubblicità invece può creare la realtà. Anche se questo, in verità, sarebbe il risultato estremo.
Torniamo indietro. Fino a 25 anni fa gli italiani guardavano ancora con sospetto gli spot. Erano percepiti come un bieco e subdolo tentativo di spingere al consumismo. Oggi sono diventati un gioco. Gli spettatori tengono d’occhio i prodotti ma soprattutto il contesto in cui vengono collocati. Così nasce anche la critica comune sul contenuto degli spot, una critica consapevole della differenza che esiste tra prodotto e storia narrata, tra prodotto e ambientazione.
Le storie banali o non credibili vengono ormai bollate. Fu così che il buon Mulino Bianco scoprì di fare biscotti amati dai consumatori, ma spot ridicoli. Sotto accusa era la famigliola, la tavola apparecchiata, le tazze, i piattini ciascuno al posto giusto, del colore giusto ma all’ora sbagliata! Nessuno imbandisce la tavola alle 7.30 del mattino: tutti a quell’ora sono già in strada diretti a scuola o a lavoro.
I ritmi sono frenetici, e allora è nata Alicia, una caffettiera che viene preparata la sera con un timer che la accende all’alba del giorno dopo. C’è chi la posiziona direttamente sul comodino e non c’è neanche più il bisogno di alzarsi dal letto, altro che culto della colazione! E se è dunque vero che i biscotti vanno in controtendenza, il caffè non solo non lo fa ma crea una nuova realtà, impensabile prima dell’avvento di Alicia. A meno di non dormire in cucina.
(9-continua)
FORMAT Il Codice: un vero fenomeno mediatico di Nicola Pistoia

Due libri straordinari a confronto. Due visioni diverse della storia. Due verità messe in discussione l’una dall’altra. Da una parte la Bibbia, il libro più venduto della storia, dall’altra il Codice Da Vinci, il secondo romanzo più venduto al mondo.
Il primo esiste da sempre. Il secondo, in solo tre anni, ha venduto oltre 43 milioni di copie e si propone di scalfire le fondamenta religiose della vita cristiana, di cui il primo è la base. Un turbinio di emozioni controverse, di dogmi falliti e di espressioni ambigue.
Tutto questo ha accompagnato e accompagnerà ancora la clamorosa opera di Dan Brown, che ha suscitato l’interesse mondiale e che ora è approdata anche sui grandi schermi nonostante la dura opposizione della Chiesa.
E chi ancora non avesse compreso l’importanza degli argomenti trattati e le inevitabili conseguenze che essi hanno scatenato, non potrà perdersi l’appuntamento con Giovanni Minoli, direttore di Rai Educational e già conduttore de La storia siamo noi, il 5 giugno alle 23.40 su Rai3.
Il giornalista avrà l’arduo compito di mettere a confronto le ipotesi inquietanti riportate nel Codice con quelle storiche e ufficiali della religione. Il dibattito sarà animato da una controffensiva molto motivata, caratterizzata da ospiti illustri come Massimo Introvigne e il biblista Jean Noel Alessi.
Tutti insieme per cercare di "decodificare" la figura di Gesù e la sua misteriosa vita. Una caccia al tesoro che continua a entusiasmare lettori e telespettatori, lasciandoli come "color che son sospesi" tra la consapevolezza che sia solo pura immaginazione e il dubbio che, forse, in fondo qualcosa di vero ci sia.


FORMAT Voci alla ribalta di Giuseppe Bosso

Fanno parte di quel piccolo grande mondo del “dietro le quinte”; di tutto quell’universo che il pubblico, impegnato ad ammirare i grandi divi del piccolo e grande schermo, non conosce. Eppure sono anche loro componente essenziale del successo di un film o di un serial.
Grandi voci per grandi volti, questo potrebbe essere lo slogan dei doppiatori italiani; dai grandi pionieri del passato (Renato Izzo, Emilio Cigoli, Pino Locchi tra i tanti), alle "voci" di oggi, questa professione ha sempre avuto grandi protagonisti che hanno aggiunto quel tocco in più, che ha contribuito ad affermare nel nostro Paese opere e personaggi d’oltreconfine.
E poi, non bisogna dimenticarlo, questa è anche un’ottima scuola da cui sono usciti grandi artisti della nostra epoca: Alberto Sordi, Nino Manfredi, Mariangela Melato, Giancarlo Giannini, Gigi Proietti (sua l’indimenticabile «Adrianaaaa!» del primo Rocky, che poi nei successivi capitoli della grande saga avrebbe “parlato” italiano grazie al compianto Ferruccio Amendola). Grandi nomi dello spettacolo che hanno cominciato proprio così, in una sala di doppiaggio a “prestare” la voce a questo o a quel divo straniero.
Una professione affascinante, ammirata, come dimostra il sito di Antonio Genna, grande banca dati della rete, ma anche, spesso, non adeguatamente apprezzata da quello show business che vorrebbe mantenerla costantemente relegata ai piani bassi, alla periferia dello star system, tanto che negli anni non sono mancate agitazioni di matrice sindacale per protestare contro questo atteggiamento.
Del resto, come detto, non sono pochi quelli che hanno fatto il grande salto dal chiuso delle sale doppiaggio: qualche nome? Luca Ward, veterano del mestiere, che da qualche anno è anche un volto familiare al pubblico della grande fiction (da Centovetrine a Elisa di Rivombrosa), Giorgio Borghetti, protagonista della fiction Carabinieri e all’inizio degli anni ’80 voce del bambino protagonista di un cult come E.T.; e infine un'affermata regista come Simona Izzo, primogenita di una delle tante grandi dinastie che si sono formate negli anni.
ELZEVIRO A proposito di donne di Antonella Lombardi

«Viaggiare è come provarsi diverse vite per vedere quale ti stia meglio. A volte ti fa male, ti stringe come stringono un paio di scarpe a chi è abituato a camminare scalzo. Altre volte, le esperienze vissute durante il viaggio sono come un cappotto che ti sta grande (…). Un bel cappotto troppo grande non ti rende elegante ma ridicolo».
Scrive così José Ovejero, nell’incipit del suo romanzo Donne che viaggiano da sole, pubblicato da Voland. Una serie di racconti sul tema del viaggio visto con gli occhi di undici donne diverse, in luoghi immaginati o realmente visitati.
C’è la scienziata austriaca che si reca in Pakistan per certificare l’autenticità di una mummia, la giovane senegalese che si imbarca su una carretta del mare verso un paese sconosciuto, forse inesistente… Tutte hanno voglia di gettarsi il passato alle spalle in cambio di una nuova possibilità, magari di un paradiso perduto. E ogni storia è segnata da quel desiderio di evasione in cui ciascuno può ritrovarsi; ma a volte il luogo e l’incontro sognato non bastano a trasformare la propria vita.
Una riflessione sul “perché la gente viaggia”: «Come espiazione?(…) Per convincersi di poter rinunciare alle ricchezze e ai lussi?», come si chiede la protagonista di uno dei racconti. Ma anche un punto di vista inedito sulle donne che viaggiano sole: «Viaggiate sempre da sole? Il silenzio che segue la mia domanda rimbomba come una cannonata. Viaggiamo insieme. Sì, d’accordo, volevo dire… Vuole dire senza un uomo. Diecimila donne che viaggiano insieme secondo lui sarebbero da sole».
Un libro che rompe gli stereotipi più comuni sull’idea del viaggio e spiazza il lettore con risvolti inusuali.
Dalla stessa casa editrice Voland, Acido solforico, il nuovo romanzo di Amélie Nothomb che in Francia ha fatto molto discutere. Una critica corrosiva e spietata nei confronti dell’invadenza dei mass media.
Per le strade di Parigi si aggira una troupe televisiva inviata a reclutare i concorrenti per un nuovo reality show dall’inequivocabile nome Concentramento, basato su regole che ricordano il momento più orribile della storia dell'umanità.
I concorrenti, sottoposti a intollerabili umiliazioni, sono divisi tra Kapò e prigionieri. La vita di tutti si svolge sotto l’occhio vigile delle telecamere e il momento di massima audience arriva quando i telespettatori decidono l'eliminazione - esecuzione dallo show di un concorrente attraverso il televoto.
Gli strali della scrittrice, da sempre al centro di polemiche, colpiscono questa volta, con meno leggerezza ironica e più disgusto, una società in cui la sofferenza diventa spettacolo: «Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo. Per essere fermati non serviva alcun requisito (…) L’unico criterio era l’appartenenza al genere umano».
Paradossale, inquietante, avvincente, inchioda il lettore fino all’ultima pagina, nel tentativo di scoprire come evolverà una relazione intensa e sbilanciata come quella tra vittime e carnefici.
DONNE Donne al governo di Erica Savazzi

Solo sei su ventisei le donne del governo Prodi. Francamente ci aspettavamo di più, dopo le promesse post-elettorali e le discussioni sulle quote rosa.
Cambiano le maggioranze ma i problemi rimangono: uomini che non vogliono lasciare la poltrona, onorevoli che fanno la voce grossa per ottenere questo o quel ministero, salti mortali per cercare di mettere tutti d’accordo. E alla fine chi urla di meno ha sempre la peggio.
A urlare di meno sono le donne, assenti in campagna elettorale, scomparse quando si discuteva sull’assegnazione degli incarichi. Nessuna che abbia puntato i piedi, e se qualche discussione si è aperta – vedi il caso di Emma Bonino – è perché un collega maschio ha voluto rivendicare una nomina.
Tutto sommato è andata ancora bene: sei donne ministro contro le due (Moratti e Prestigiacomo) del governo Berlusconi. Solo una con portafoglio, Livia Turco alla Sanità, tre assegnate a ministeri “femminili”, Rosy Bindi alla Famiglia, Barbara Pollastrini alle Pari opportunità, Giovanna Melandri alle Politiche giovanili e sport. E poi Linda Lanzillotta agli Affari regionali e Emma Bonino alle Politiche comunitarie con delega al Commercio estero. Tre di loro hanno già fatto parte della compagine di governo del 1996.
Ancora una volta le donne si sono dovute accontentare: sei ministeri al posto degli otto promessi, solo uno strategico (la Salute). Non che gli altri siano inutili, anzi si spera che la presenza femminile possa portare ventate di innovazione, per esempio nel campo della famiglia e delle pari opportunità, però resta un po’ d’amaro in bocca. Ci voleva più coraggio, ci voleva un segnale più evidente per una società che le donne tende ad allontanarle e discriminarle.
D’altra parte, rispetto ad alcuni colleghi maschi poi diventati ministri, le donne hanno dimostrato molta più educazione: niente risse, niente pretese, niente urla e minacce.
E a chi dice che Rosy Bindi non dovrebbe gestire il ministero della Famiglia perché, secondo lui, lesbica, diciamo in tutta sincerità che dalle donne dovrebbe prendere esempio e imparare l’educazione, perché non è tollerabile che un parlamentare – che rappresenta tutti i cittadini – scenda a così bassi livelli.
Con certi uomini in libertà è già un miracolo che le donne al governo siano sei.
DONNE Nilde, 53 anni in Parlamento di Erica Savazzi

Il 2 giugno si celebrano i sessant’anni dalle prime elezioni dell’Italia liberata dal fascismo, quando si scelse la Repubblica e venne eletta l’Assemblea Costituente. Ventuno donne entrarono a far parte dei delegati scelti per scrivere il nuovo ordinamento dello Stato, e Leonilde Iotti, detta Nilde, fu una di quelle.
Era giovanissima allora, appena ventiseienne, ma aveva già alle spalle molte esperienze. Seguendo le orme del padre, morto nel ’34, allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale si iscrisse al Partito Comunista. Partecipò alla Resistenza svolgendo il ruolo di porta-ordini: era cioè la postina dei partigiani, compito pericoloso e importantissimo. Nella sua città, Reggio Emilia, divenne responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna – organizzazione che mobilitava le donne allo scopo di aiutare i combattenti anti-fascisti trovando generi di prima necessità, preparando rifugi, nascondendo armi.
Laureata in Lettere all’Università Cattolica di Milano grazie ai sacrifici dei genitori – la famiglia era in condizioni economiche precarie – venne chiamata a far parte della “Commissione dei 75” che doveva redigere la Costituzione. Ricorderà questa esperienza come «la più grande scuola politica, a cui abbia mai avuto occasione di partecipare».
Da allora Nilde Iotti fu rieletta a ogni legislatura, fino alle sue dimissioni da parlamentare nel settembre 1999, preludio alla sua scomparsa.
È ricordata per essere stata le prima donna a presiedere la Camera dei Deputati: e lo fece ininterrottamente dal 1978 al 1992, una permanenza da record sullo scranno più alto di Montecitorio.
Nel suo lavoro di parlamentare fu innovatrice e precorritrice di tematiche oggi più che mai attuali. Si batté per ottenere il riconoscimento dei diritti delle donne – allora le donne era completamente sottoposte al padre o al marito -, per l’uguaglianza nel diritto al lavoro, per l’uguaglianza giuridica dei coniugi, per la legge sul divorzio e sull’aborto.
Nella sua Relazione sulla Famiglia del 1946 scrive: «Dal momento che alla donna è stata riconosciuta, in campo politico, piena eguaglianza, ne consegue che la donna stessa dovrà essere emancipata dalle condizioni di arretratezza e di inferiorità in tutti i campi della vita sociale e restituita ad una posizione giuridica tale da non menomare la sua personalità e la sua dignità di cittadina». Quando viene chiamata alla presidenza della Camera invoca anche la necessità di riforme costituzionali che eliminino il bicameralismo perfetto, diminuiscano il numero dei parlamentari e introducano un ruolo più forte delle Regioni.
Innovatrice e scandalosa allo stesso tempo: fu ufficialmente riconosciuta come “compagna” di un uomo. L’uomo in questione era Palmiro Togliatti, leader comunista trent'anni più vecchio e per di più già sposato. Si erano conosciuti in ascensore, alla Camera: fu una storia d’amore disdicevole, per l’Italia di allora, osteggiata anche dai colleghi di partito. Adottarono una bambina, il cui padre era morto per difendere la fabbrica in cui lavorava, consentendo a Nilde di avere la figlia che altrimenti non sarebbe mai arrivata.
Fu sempre equilibrata, sobria, elegante, convinta che «il Parlamento, non può e non deve essere superato dai tempi. Nel senso che il Parlamento diventi iniziativa, stimolo, confronto e incontro delle volontà politiche del Paese». Il presidente Napolitano, nel suo discorso di insediamento, l’ha ricordata come esempio delle «formidabili risorse delle energie femminili».
TELEGIORNALISTI Andrea Mantovani, giornalista e allenatore di Mario Basile

E' stato il primo giornalista - allenatore nel Veneto. Ex calciatore, Andrea Mantovani ha iniziato la carriera giornalistica pochi anni fa, dopo aver appeso le scarpette al chiodo. Oggi è uno dei volti di Pianeta Donna Sport: il primo talk-show tutto dedicato al calcio femminile.
Come ha iniziato a fare il giornalista?
«A dire la verità il fatto di fare il giornalista non era assolutamente contemplato nei miei progetti presenti e futuri, ma, come tutte le cose migliori della mia vita, è capitato per caso. Sono una persona che crede nel destino, anche se qualche volta bisogna dargli una mano».
Qual è il tipo di giornalismo che predilige?
«Naturalmente quello sportivo, anche se scrivo anche di cronaca in alcune testate. Sono una persona che ama mettersi continuamente in discussione. Esempio: mi sono messo in testa di diventare il primo giornalista allenatore in tutto il Veneto. Caparbio come sono, dopo due mesi di estenuante corso, assieme anche ad ex professionisti del calcio, ci sono riuscito: sono anche un allenatore patentato».
Lei è uno degli ideatori della trasmissione Pianeta Donna Sport. Cosa vi ha spinto a realizzare un programma interamente dedicato al calcio femminile?
«Si, sono uno degli ideatori. L'altro, lo sottolineo, è Ivan Bertani, mio socio ed amico in questa avventura. Per quanto riguarda la molla che ci ha traghettato in questo mondo, per prima cosa, la caparbietà di Bertani ad insistere su questo movimento: io ci ho solo messo il mio dinamismo, e naturalmente la mia competenza. Poi il fatto che questo calcio è una realtà che deve crescere e quindi vogliamo prenderla per mano e diventare grandi assieme. Inoltre questo movimento è puro ed incontaminato da falsità e pregiudizi. E questo non è cosa da poco».
...soprattutto in questo momento. Nonostante vada in onda da pochi mesi, Pianeta Donna Sport ha raggiunto in poco tempo buonissimi ascolti. Da dove nasce questo successo?
«Non vorrei essere banale, ma la cosa nasce dall'impegno di tutti e dal fatto che pensiamo di essere i primi ed unici a dedicarci così integralmente al calcio femminile italiano di A, B e C».
Infatti la vostra trasmissione è l’unica nel panorama nazionale che dia piena visibilità al calcio femminile. Secondo lei perché programmi di questo tipo non trovano spazio anche sulle maggiori reti nazionali?
«Penso che sia una questione di mentalità e di mass media. Più visibilità porta più sponsor. E’ una ruota che gira dalla notte dei tempi. In Germania, come nel Nord Europa, il calcio femminile è molto visto, più conosciuto. Un giorno forse ci avvicineremo, ma vedo ancora lontano il fatto di diventare come loro».
Cosa manca, oltre alla visibilità, al calcio femminile per fare un decisivo salto di qualità ed affermarsi definitivamente tra gli sport più seguiti in Italia?
«Tanta visibilità, tanti sponsor e tanti soldi per promuovere il marchio “calcio femminile”. Questo a mio avviso è il flusso necessario per ottenere i risultati. Ma prima di tutto manca l'unità tra le società. Devono creare un gruppo dirigenziale solido che si faccia sentire nei piani alti con una programmazione marketing ben pianificata e concreta. L'unità dà la forza!».
C’è qualche aneddoto della sua carriera che ricorda con maggiore affetto?
«La mia vita è tutta un aneddoto. Sto conquistando spazio a livello cartaceo e televisivo, però sono triste ed un po’ arrabbiato perché più vai avanti e più ti accorgi di amici di circostanza e magari di altri che hai lasciato e pensandoci bene erano persone veramente sincere nei tuoi confronti».
Ha avuto dei modelli di giornalismo?
«Brera era il giornalista più colto del giornalismo sportivo italiano del ‘900. Sono cresciuto con le sue massime ed il suo modo, a dir poco sarcastico, di eludere con battute il problema e poi spalmarlo in maniera semplice per poi tramutarlo in notizia alla portata di tutti».
Un consiglio ai tanti ragazzi che vogliono intraprendere la carriera giornalistica.
«Beh, sono un ragazzo anche io dall’alto dei miei 34 anni. A parte gli scherzi, io credo che i giovani siano privi della cultura del “farsi le ossa”: vogliono tutto e subito. Non fanno la dovuta gavetta e ancor peggio non provano o non hanno provato sulle spalle l’argomento in questione, proiettandosi nel mondo del lavoro senza preparazione adeguata. Nel mio caso sono un giornalista sportivo ed ho giocato fino a 31 anni, poi le circostanze come ho detto mi hanno portato a fare il giornalista. Consigli ai giovani? Andate avanti a testa bassa, ponetevi degli obiettivi, uno alla volta, non dieci di fila e piano piano vi costruirete un regno di cultura e praticità. Altro consiglio, ascoltate tutti e tutto, magari dandogli anche ragione, poi fate quello che volete. Ma attenzione: appena diventerete qualcuno subirete una serie di ingiurie e diffamazioni impressionanti, il tutto perché state lasciando il segno. Non preoccupatevi, fa parte del gioco, ve lo dice Andrea Mantovani».
OLIMPIA Lube, la vittoria più bella di Mario Basile

C’era una volta il tempo in cui nel calcio anche le piccole squadre potevano diventare grandi e vincere. Nessuno ha dimenticato le favole tricolori di Cagliari e Verona, così come le vittorie in campo nazionale ed europeo di Napoli e Sampdoria.
Negli anni il mondo del pallone è cambiato: vincono solo i più potenti e non c’è posto per le outsider nell’olimpo del calcio italiano.
Fortunatamente negli altri sport i sogni possono ancora realizzarsi. La conferma arriva dalla pallavolo, dove la Lube Macerata si è laureata Campione d’Italia per la prima volta nella sua storia. In sessantuno anni nessuna squadra di volley marchigiana era riuscita in quest’impresa.
La storia della Lube inizia sedici anni fa. All’epoca parlare di scudetto era pura follia, ma la squadra è forte, e dopo cinque anni arriva nella massima serie. Il 2000 è l’anno della svolta. Approda a Macerata Ivan Miljkovic, fresco campione olimpico a Sidney con la Jugoslavia.
Con il serbo la squadra fa il salto di qualità ed ottiene le prime vittorie. Macerata conquista in cinque anni due Coppe Italia, due Coppe CEV e la Coppa dei Campioni. Il tricolore però è ancora un tabù da sfatare. Tanto che arriva anche l’impietoso paragone con l’Inter: si spende tanto, si vince poco e si cambia con troppa frenesia.
Quest’estate il patron Sileoni decide di cambiare rotta. Individua nel tecnico Fefé De Giorgi, autore l’anno prima di un ottimo campionato alla guida di Perugia, l’uomo giusto per condurre la squadra allo scudetto e lo ingaggia. Il progetto è triennale: cambiare spesso e investire tanto è una tattica che ha fallito. Invece i risultati gli danno ragione subito. La Lube, benché colpita dalla tragica scomparsa del nuovo acquisto Golas, domina la regular season e vince la terza Coppa CEV della sua storia.
Ai playoff i biancorossi arrivano alla finale contro i campioni in carica della Sisley Treviso.
Dopo quattro gare il punteggio è di perfetta parità: 2-2. L’ultima gara è da brividi: chi vince è Campione d’Italia. Trascinata da uno strepitoso Miljkovic la Lube supera la Sisley con un secco tre a zero e fa esplodere i tredicimila spettatori presenti al Bpa Palas di Pesaro.
A fine gara il tecnico De Giorgi ha voluto dividere con tutti, ma soprattutto coi giocatori, i meriti dell’impresa: «Da soli non si può fare niente. Il merito è di tutti, in particolar modo dei giocatori. E’ una squadra che ha dimostrato una grande voglia di migliorare. Tutti hanno lottato e hanno fatto la loro parte».
Non a caso la sua Lube era stata definita una squadra operaia che sa fare gruppo. D’ora in avanti sarà ricordata come una squadra operaia che ha scritto la storia.
EDITORIALE Autogol dell’informazione di Silvia Grassetti

In un momento storico che si presta volentieri alle metafore calcistiche – cominciando dalle cacofoniche espressioni “calciopoli” e “piedi puliti”, parlare di autogol dell’informazione è di certo ridondante. Ma efficace.
Citiamo solo di passaggio le molte intercettazioni pubblicate prima del tempo, che se fanno sensazione, non siamo certi facciano anche informazione – per fortuna, personaggi del calibro di Francesco Saverio Borrelli renderanno un buon servizio agli italiani tutti. Le citiamo soltanto, perché altre brutte figure del giornalismo ci hanno fatto arrossire, negli ultimi giorni. E forse è il caso di rifletterci un po’ su.
Erika De Nardo, la famosa matricida, una decina di giorni fa ha giocato una partita di pallavolo. Qualcuno è riuscito a non sbirciare la ragazza, ripresa da telecamere e fotocamere sul bordo del campo, sigaretta tra le dita, che sorrideva e scherzava con le sue “amiche”?
Diciamocelo: se nessuno ci avesse informato che la De Nardo aveva giocato a pallavolo, saremmo stati in qualche senso defraudati del nostro diritto alla notizia?
Il mea culpa del giorno dopo, che ha accomunato la gran parte dei mass media, ha il sapore delle lacrime del proverbiale coccodrillo. Prima pubblichiamo le foto e alziamo la tiratura. Aumentiamo lo share. Dopo cospargiamoci il capo di cenere.
Ma una figuraccia non bastava. Sentivamo il bisogno di dare risonanza al patetico tentativo della Banelli di passare, una volta di più, per una collaboratrice di giustizia strategica. La brigatista rossa, pentita fuori tempo massimo, le cui dichiarazioni sono arrivate puntualmente con un sospetto momento di ritardo rispetto ai riscontri degli investigatori, ma che ha potuto fin da subito usufruire dei benefici di legge, pochi giorni fa ha ribadito: due basisti delle ex BR sarebbero ancora a piede libero.
Non è chiaro se grazie alla collaborazione della Banelli si riuscirebbe a localizzarli, e di certo è positivo tenere la guardia alzata. Ma quella che è passata per ultim’ora è notizia vecchia di due anni. Troviamo deludente che gli organi di informazione abbiano sguinzagliato gli strilloni a urlare allarmi. Specialmente perché la compagna So qualcosa da guadagnare, a sembrare ancora un teste strategico, ce l’ha.
Non è troppo chiedere a chi per mestiere informa di far nascere un dubbio nelle coscienze dei lettori, degli spettatori. E che sia un dubbio con una funzione: far riflettere. Dobbiamo informare.
Altro che far vendere una copia in più.
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