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Intervista a Sara Menafra   Tutte le interviste tutte le interviste
Sara MenafraTelegiornaliste anno XIX N. 29 (745) del 22 novembre 2023

Sara Menafra, far prevalere la notizia
di Giuseppe Bosso

Intervistiamo Sara Menafra, vicedirettrice di Open, in precedenza anche giornalista de Il Messaggero, Il Manifesto, autrice televisiva.

Sara, come definirebbe il giornalismo investigativo e il giornalismo d’inchiesta del nostro tempo?
«Mi hanno sempre interessata perché rispetto ad altri settori hanno il vantaggio di far prevalere la notizie, il racconto di quello che accade e l’approfondimento di alcuni fatti, specie in una fase in cui su tanti temi sembra prevalere la chiacchiera poco documentata».

Vicende come quelle portate alla luce da Report e le reazioni quasi sempre scomposte degli esponenti politici direttamente coinvolti cosa rappresentano dal punto di vista dello “stato di salute” , se così possiamo definirlo, del mondo dell’informazione?
«Non ottimale direi, nel senso che nel nostro Paese abbiamo introiettato l’idea che l’informazione non debba spingersi oltre un certo punto. Invece, in una democrazia sana il fatto che i giornalisti indaghino e facciano domande dovrebbe essere una cosa normale, come pure che facciano inchieste a seguito delle quali i protagonisti coinvolti siano chiamati a rispondere davanti all’opinione pubblica. Ed è una cosa che non riguarda solo la politica, ma anche una parte dell’imprenditoria. L’Europa ha più volte stigmatizzato come l’Italia faccia poco per limitare le querele temerarie, anche quando ci sono chiari segnali di intento intimidatorio nei confronti dei cronisti».

Open, di cui è vicedirettore, si propone, testualmente, di valorizzare i giovani, tagliati fuori anche dal giornalismo e di avvicinare i giovani lettori al piacere/dovere di essere informati: è una mission fattibile al tempo dei social network e dell’immagine ed apparenza a tutti i costi?
«Non avrei accettato di partecipare a questa squadra se non ne fossi convinta. È il proposito che l’editore Enrico Mentana ha voluto conseguire fin dal momento della fondazione, come dimostra il fatto che i nostri giornalisti sono tutti assunti con contratti stabili, anche se con salari bassi; una delle attuali sfide per l’informazione è provare ad utilizzare i social per veicolare contenuti approfonditi e non semplificati, stimolando anche i lettori più giovani ad una fruizione non passiva».

“Dovere di essere informati”: qualcosa di imprescindibile nel momento attuale, tra crisi economica, incertezze climatiche e perenne stato di insicurezza per le quotidiane vicende di cronaca nera: come stimolare questo dovere?
«Non dare per scontato anzitutto che sia il lettore ad andare incontro alla notizia pubblicata sul giornale ma capire meglio cosa e perché interessa i lettori e quali possono essere i collegamenti con tematiche più generali. Gli anni di lavoro con una redazione composta essenzialmente da giovani mi hanno aiutato a capire quanto chi oggi ha 20 anni senta la necessità di informarsi, ad esempio, su diritti civili e ambiente. Lo sforzo in più è evidenziare i collegamenti tra questi temi ed altri apparentemente più distanti, dalla finanziaria ai vertici internazionali».

Abbiamo avuto modo di vederla spesso discutere animatamente con altri colleghi in varie trasmissioni, anche ultimamente su La 7. Ma il tono aspro di queste discussioni non rischia di disorientare il cittadino ai fini del dovere informarsi?
«Infatti non amo discutere e cerco di evitare i botta e risposta, anche se capita anche a me di perdere la pazienza in determinati momenti specie quando si diffondono contenuti fattualmente falsi, al di là delle opinioni. Cerco sempre di tenere un contegno adeguato, che però non significa accettare passivamente di fare finta di niente quando si stanno dando notizie false o inesatte».

Cosa rappresenta per lei il progetto Open?
«Una redazione che ho visto nascere e alla cui crescita mi dedico ogni giorno».

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