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Teresa PaoliTelegiornaliste anno XIX N. 28 (744) del 15 novembre 2023

Teresa Paoli, approfondimento e riflessione
di Giuseppe Bosso

Abbiamo il piacere di incontrare Teresa Paoli, giornalista con alle spalle una ormai ventennale carriera fatta soprattutto di reportage di grande successo, attualmente in forza nella squadra del programma di Rai 3 Presadiretta.

Sono passati ormai vent’anni dal suo primo documentario, Genova Senza Risposte, realizzato a ridosso dai terribili eventi del G8: com’è nata quella esperienza e quanto ha inciso nel suo percorso giornalistico?
«Quell’esperienza è nata senz’altro da un’urgenza. Quella di raccontare dall’interno la repressione di un movimento arrivato a Genova per protestare contro le distorsioni e disuguaglianze della globalizzazione di fronte ai grandi della terra. Un disastro definito da Amnesty International “la più grande sospensione dei diritti democratici in Occidente dopo la Seconda guerra mondiale”. Io e gli amici Lorenzi e Micali ci eravamo incontrati ad uno stage di regia cinematografica all’Anna Magnani di Prato, e ci siamo trovati a vivere e a filmare l’esperienza del G8 da angolazioni diverse. È stata la necessità di mettere in fila i fatti e le emozioni a farci montare questa inchiesta, senz’altro uno spartiacque nella mia vita. Non avrei mai pensato che un grande produttore cinematografico come Gianluca Arcopinto, avrebbe preso il nostro lavoro acerbo e lo avrebbe portato al cinema. Eravamo agli albori della rivoluzione digitale e ho iniziato questo lavoro prendendo la videocamera in mano e usandola come una penna. Nascevano in quel momento anche i primi software di montaggio a basso costo, con cui le immagini diventavano racconto. Per anni fare la filmmaker mi ha dato la possibilità di raccontare le storie che mi premevamo. Ero affascinata da network internazionali di giornalisti come Indymedia, che ti davano la possibilità di “uploadare” da tutto il mondo e per tutto il mondo i propri filmati, quando non esisteva ancora YouTube e neppure i social media. Ma anche dal linguaggio cinematografico, più potente e riflessivo».

Inchieste e reportage sono una costante nel suo lavoro: l’Italia è un Paese per giornalisti con il suo spirito?
«Ci sono tantissimi giornalisti molto bravi in Italia, come ci sono tanti autori non giornalisti altrettanto validi. E abbiamo un’infinità di contenitori di news, che ormai corrono velocissime tra i media tradizionali e i social. Mentre mancano contenitori capaci di accogliere lavori di “giornalismo lento” e investigativo, che di norma sono più costosi. Necessitano approfondimento e riflessione. Questo mondo è in costante evoluzione e consiglio a chi volesse cimentarsi col giornalismo d’inchiesta di non fossilizzarsi sui media tradizionali, che sono in crisi, ma di sperimentare il più possibile. Ciò che conta è la forza del racconto».

Negli ultimi tempi si è dedicata molto alle tematiche legate alla ormai non più trascurabile questione del cambiamento climatico e dell’emergenza ambientale e spicca in particolare il documentario Plastica Connection premiato a Bari al Prix Italia: come ha sviluppato questo progetto e cosa rappresenta per lei?
«L’emergenza ambientale è sempre stata una priorità nella redazione di Presadiretta capitanata da Riccardo Iacona. Il mondo dell’inquinamento da plastica è stato affrontato tante volte ma con le colleghe Paola Vecchia, Daniela Cipolloni ed Eleonora Tundo ci eravamo rese conto che c’erano degli aspetti sconosciuti e letteralmente scioccanti che ancora non erano stati approfonditi, e dei viaggi mai intrapresi. È stato il viaggio in Turchia, affrontato con il filmmaker Fabio Colazzo a rappresentare il punto di non ritorno. Vedere con i nostri occhi la plastica italiana, ammassata e bruciata a migliaia di chilometri da casa nostra, anziché essere riciclata, con conseguenze disastrose sull’ambiente e sulla vita reale delle persone, ci ha fatto molto male. È diventato chiaro davanti a me, esplicitato dalle discariche tossiche che abbiamo attraversato, il legame diretto tra tutela dell’ambiente e diritti umani. Da quell’esperienza è nato anche il libro Mal di Plastica, scritto con le colleghe Daniela Cipolloni e Paola Vecchia per Edizioni Dedalo e la collana diretta da Riccardo Iacona Sottoinchiesta».

Al di là della soddisfazione per il riconoscimento, ritiene di aver avuto un riscontro in termini di sensibilizzazione sull’argomento da parte delle persone che l’hanno seguito?
«L’inchiesta sta girando ancora e quel che mi da più gioia è il dibattito che si genera attorno ad essa. I dubbi, le domande, le discussioni che portano a mettere in discussione un pezzo del sistema in cui viviamo. Penso che abbia colpito molto il concetto di responsabilità collettiva. È giusto che ognuno di noi si faccia carico del problema, ma sono i comportamenti dei grandi player industriali che possono fare la differenza e dunque sono le leggi e i governi a dover prendere di petto la situazione per ridurre la plastica usa e getta».

Un aggettivo e un aneddoto per descrivere Riccardo Iacona, conduttore di Presadiretta
«È un giornalista che non rinuncia mai alla complessità del mondo che racconta, con un profondo rispetto nei confronti dello spettatore che deve cogliere quella complessità. Con le colleghe abbiamo immaginato la nostra redazione come una specie di tappeto elastico in cui le idee di ciascuno prendono vita, si amplificano e, se sono abbastanza forti, dopo un po’ di capriole ritornano in piedi più robuste di prima».

E a proposito di Presadiretta, ha suscitato molta attenzione la sua recentissima inchiesta Cibo Sovrano, nella quale abbiamo appreso come nel resto del mondo alcune produzioni vengono ritenute all’avanguardia e sono ormai consolidate ma in Italia per contro sono ritenute vietate, come la carne coltivata: quali sono secondo lei i pro e i contro da tenere in considerazione in un eventuale cambio di prospettiva nel nostro Paese?
«L’inchiesta racconta come la carne coltivata possa essere un’opzione, ancora futuribile, per mangiare carne evitando l’uccisione di animali. Non sostituirà mai la carne tradizionale, né sappiamo ancora se sarà più sostenibile dal punto di vista ambientale ma è giusto porsi delle domande e approfondire le prospettive di questa ricerca. Anche perché, sull’insostenibilità dell’attuale sistema di produzione industriale di carne invece, non abbiamo grossi dubbi».

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