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Telegiornaliste N. 3 del 2 maggio 2005


Il telegiornalismo a tutto tondo di Tiziano Gualtieri

Si dice che il tre sia il numero perfetto, anche se - si sa - che in qualsiasi cosa si faccia, non si raggiunge mai la perfezione. L'importante è comunque cercare di andarci vicino mettendoci sempre passione, forza e intraprendenza perseverando nella volontà di dare una visione a tutto tondo del mondo giornalistico. Così ampio spazio viene dato a quella che è considerata la più complicata delle giornaliste italiane: Oriana Fallaci, una personalità che si ama o si odia, ma che non può lasciare indifferenti. Penna tagliente, affilata e pronta ad affondare nelle ferite di una società che ha sempre più paura di guardarsi dentro e scoprirsi debole. Una panoramica sulle Fallaci's fobie, sui suoi pregi e sui suoi difetti. Croce e delizia del giornalismo italiano degli ultimi vent'anni. Spazio, come giusto, anche a una delle telegiornaliste, Beatrice Ghezzi che, nell'ultimo periodo, si sta ricavando il giusto spazio all'interno di quel mondo particolare che è il giornalismo sportivo italiano, da sempre off limits per le colleghe di spessore e spalancato, invece, alle vallette di ogni tipo e sorte. Per par condicio, non si poteva assolutamente prescindere dal fare i "conti in tasca" a Guido Meda: una voce e un modo di commentare il motomondiale diventato ormai inconfondibile. Meda, la voce delle due ruote made in Mediaset, è autore di una carriera in continua ascesa, ascesa che è avvenuta quasi per caso, tra una bomboniera e l'altra. Perché - ogni tanto - la passione si consuma anche sulle are pagane dove invece di sentire rintoccare le campane si ascoltano rombare i motori. Da segnalare anche il tanto gradito ritorno allo spolvero da parte di una delle trasmissioni che, negli ultimi anni nonostante un fine 2004, inizio 2005 sotto tono, ha fatto emergere nuovamente Canale5 quale rete del pomeriggio: Verissimo, un programma diventato ormai una delle colonne portanti di Canale5. Tramissione condotta con la solita maestria da Cristina Parodi che dopo un periodo di calo, ha visto una rinascita, quasi una seconda giovinezza grazie alla capacità di saper cogliere l'occasione che il mondo (non mediatico) ha offerto attraverso la scomparsa del Santo Padre. Infine, in chiusura, oltre all'attesissima parentesi sul campionato, un occhio di riguardo viene data a come è cambiato il mondo della conduzione nel corso degli ultimi anni, con i direttori dei telegiornali forse un po' troppo impegnati a voler svecchiare i tg con proposte a volte bizzarre il tutto a discapito della ricerca della qualità. In pratica una continua lotta della leadership inseguendo obiettivi che assomigliano sempre di più (e solo) a miraggi nel deserto dell'informazione codificata come show.


MONITOR Beatrice Ghezzi, la tgista “nata” dallo sport di Filippo Bisleri

Sposata, 36 anni compiuti mercoledì 27 aprile, Beatrice Ghezzi è uno dei volti più noti di “Studio sport”. Ed è, oltre che una brava giornalista, una persona che nello sport è cresciuta (prima con l’atletica che ha praticato a livello agonistico per un decennio, poi con il basket che l’ha vista anche hostess dell’Olimpia Milano con la moglie di Mike D’Antoni quando i cestisti milanesi di Dan Peterson erano invincibili).
Volto abituale di “Studio sport” della domenica sera (dovremmo dire “notte”, vista l’ora in cui finisce con l’iniziare il programma, dovendo andare in coda a “Controcampo”), a Beatrice Ghezzi è anche affidata la cura della postazione Internet di “Pressing Champions League” su Rete 4. 
Per la giornalista più golosa di cioccolatini di casa Mediaset (è nota infatti la sua passione per tutto quanto sia legato in anche minima parte al mondo del cioccolato), non è un peso eccessivo il sacrificio, all’interno del programma, a favore dell’ex letterina Alessia Fabiani. La Ghezzi ricorda sempre che, in ogni fase del suo lavoro di giornalista professionista, mette lo stesso impegno di quando lavorava ad Antenna 3.
Tutti sanno, poi, che a Mediaset il gran capo dell’informazione sportiva (Rognoni), nonostante la grande squadra di giornaliste sportive a sua disposizione, non ama molto le telegiornaliste. A loro preferisce le vallette, ma Beatrice Ghezzi riesce comunque, grazie alla sua indiscutibile bravura, a ritagliarsi i suoi spazi, e ad emergere nel panorama. Certo, alcune sue colleghe sono più note, più visibili.
La Ghezzi, sembrerà strano ma è così, è una persona molto riservata, al limite della timidezza. Molto discreta, preferisce farsi notare per il suo lavoro ben fatto che per eventi “gossipari”.
E quando le si chiede del bottoncino malandrino della
foto che è più volte apparsa sul forum di “Telegiornaliste” arrossisce… «Non era un vestito mio», spiega arrossendo. E poi aggiunge: «Mi avevano assicurato che non sarebbe successo nulla, invece ho quasi rischiato di diventare un’icona sexy e di buttare a mare anni di sforzi per fare notare che sono una professionista seria dell’informazione»
Già, ma che Beatrice Ghezzi sia una professionista seria dell’informazione in molti se ne sono accorti. Con buona pace delle sartorie dei programmi sportivi Mediaset.


CAMPIONATO Nel girone 2 è... Guerra aperta di Rocco Ventre

Il girone 2 è quello più incerto per quanto riguarda la qualificazione ai play-off.
Costamagna (33 punti) e Capulli (30) possono considerarsi già nei quarti di finale, ma per le rimanenti due posizioni ci sono in lizza ben quattro contendenti: Todini (27), Vanali (27), Di Gati (24) e Guerra (24). Quest'ultima si giocherà le sue aspirazioni proprio in questo turno contro la Todini.
Perdono ancora le due ex campionesse Busi e Fantoni, ed è triste pensare che rischiano di retrocedere in serie B.
Il girone 1 presentava delle interessanti sfide incrociate tra le prime quattro: la Mattei ha battuto la Panella e scavalcandola si è portata al primo posto, mentre Moreno e D'Amico hanno pareggiato tra loro. Dietro alle magnifiche quattro però nessuna sembra in grado di inserirsi nella lotta per la qualificazione ai quarti di finale. 
La campionessa de Nardis torna a vincere in modo convincente, ma la sua classifica rimane sempre preoccupante.


CRONACA IN ROSA La più famosa penna d'Italia: la voce di una giovane scrittrice su Oriana Fallaci di Fiorella Cherubini

La notizia dello speciale sulla Fallaci, andato in onda il 3 marzo 2005 e condotto da Enrico Mentana, mi giunse gradita come un regalo inatteso!
Parlare di lei, sia pur con il solo desiderio - sgombro da ogni presunzione personale - di emulare il suo arcinoto funambolismo linguistico, è un’impresa destinata a fallire!
E’ un bel po’ ormai che mi dedico con sincera passione alla lettura dei suoi scritti ma anche con la rabbia di non capirli fino in fondo.
Mi sfuggono troppi particolari della storia di cui Oriana è artefice e voce narrante; vorrei disporre di un bagaglio culturale e di una coscienza politica più paludati sui quali poter poggiare eventuali contestazioni alle sue provocatorie teorie ma per ora mi accontento di recepirle e di imparare da lei.
Dal basso dei miei venticinque anni, età questa in cui Oriana poteva già contare su un decennio di esperienza giornalistica, mi riscopro desiderosa di dire “grazie” a questa donna.
Grazie per il suo coraggio, per il suo estremo, incondizionato e travolgente coraggio.
Apostrofata, a più riprese, di essere: “L’italiana scomoda”, “La terrorista”, “La mangiaislamici”, “La xenofoba”, è riuscita, con i suoi romanzi, ad assicurarsi, da parte mia e non solo, una stima senza riserve ed un affetto apologetico contro coloro che senza capirla la condannano.
 “La mia amata Oriana”: donna intransigente e presuntuosa, anima inquieta, storica integralista e faziosa, raro genio spigoloso e dannato in un’epoca scandita da “mestieranti del tutto” che altro non sono che “fautori del niente”.
Una donna che ha penetrato la storia, la vita e i viventi come nessuno prima di lei, lasciando strascichi indelebili nella politica, nel giornalismo e nella letteratura.
Apprezzando, di Oriana, la sagace ironia e l’abilità di frantumare le altrui prosopopee inorgogliendo la propria, ho recepito con sdegno le minacce di morte e i malauguri che le sono stati rivolti.
La Fallaci è solo una delle tante voci nel frastuono della democrazia e i suoi sprovveduti detrattori che le danno della “puttana” o che la liquidano con un banalissimo “vaffanculo” non fanno che sottolineare la propria mediocrità culturale rispetto ad una donna che, fornita di dovizia formale e contenutistica, con le parole crea e distrugge, invita a riflettere, scuote le coscienze, non lasciando indifferente chi la legge o chi l’ascolta.
La Fallaci non è perfetta e i suoi libri non sono una summa magna; si può essere in totale disaccordo con le sue idee, la si può destare per la ferocia delle sue invettive, ma non è una pazza come molti vogliono far credere.
Vorrei dunque rimandare tutti coloro che la odiano a leggere la sua intervista, pubblicata mercoledì 13 aprile 2005 sul quotidiano “Il Foglio”, o, nell’impossibilità, quantomeno a considerare che al di là di quel sopracciglio inarcato di protervia e sotto quella stratificata cultura fastidiosa e diabolica, si nasconde il cuore di un’italiana che nei giorni in cui l’attenzione dei popoli e le loro preghiere volavano alla morte del Papa, è stata l’unica a non lesinare un pensiero all’atroce fine di Terri Schiavo o, come direbbe la Fallaci stessa, Terri Schindler.


CRONACA IN ROSA Insciallah di Silvia Grassetti

Nel 1990 Oriana Fallaci pubblicò Insciallah. Il messaggio centrale di questo romanzo, che è una miscela di diversi generi letterari (romanzo d’amore, di guerra, reportage), è che “niente come la guerra esalta la natura dell’uomo”. Ma noi lettori del “post 11 settembre” non possiamo non notare come il tema del conflitto tra mondo occidentale e mondo arabo si sia trasformato tout court da ambientazione letteraria a decisa presa di posizione della Fallaci, che porterà le idee della scrittrice al centro delle polemiche internazionali, a partire dalla pubblicazione di La Rabbia e l'Orgoglio (29 settembre 2001).
Insciallah è incentrato sulle vicende dei militari di stanza a Beirut nel 1983, e prende le mosse dalla descrizione, a metà tra cronaca e romanzo, dell’attentato sciita contro le basi militari statunitensi e francesi, che causò la morte di 241 marines e 58 soldati francesi.
Sulla descrizione di un Paese in guerra si innestano le vicende dei militari italiani: tra gli altri, Angelo, Nicola, Martino, Luca, Ferruccio, alle prese con l’amore, la guerra, la gerarchia, la saggezza.
Benché voluminoso, Insciallah cattura l’attenzione del lettore con immediatezza, non tanto perché contenga, come alcuni hanno voluto rilevare, le premesse da cui si svilupperà l’intolleranza della Fallaci nei confronti del mondo islamico, quanto per la forza di alcune immagini, l’impatto di certe schiette riflessioni, lo stile letterario scorrevole e innovativo (ad esempio, alcuni dialoghi sono riportati in lingue diverse, arabo, francese, ecc.).
Riportiamo qui alcuni passaggi che, a nostro avviso, sono fra i più significativi del romanzo:
«Detesto la parola destino: la parola Insciallah. I più ci vedono speranza, buon auspicio, fiducia nella misericordia divina. Io non ci vedo che sottomissione, rassegnazione, impotenza e rinuncia a se stessi. Padre-Celeste, Signore-Onnipotente, Geova, Allah, Brahma, Baal, Adonai, o-come-ti-chiami: scegli-tu-per-me, decidi-tu-per-me. Nossignori, io rifiuto di delegare a Dio la mia volontà e il mio pensiero. Rifiuto di rinunciare a me stesso e rassegnarmi. Un uomo rassegnato è un uomo morto prima di morire, ed io non voglio essere morto prima di morire. Non voglio morire da morto! Voglio morire da vivo!»
«Sì, sto dicendo che è troppo facile dare la colpa alla guerra, rifugiarsi dietro l'entità astratta che chiamiamo guerra e a cui ci riferiamo come a una specie di peccato originale, di maledizione divina. Il discorso da affrontare non è sulla guerra. È sugli uomini che fanno la guerra, sui soldati, sul mestiere più antico più inalterabile più intramontabile che esista dacché esiste la vita. Il mestiere di soldato. Il mestiere che amavo, che rispettavo, che idealizzavo e che ora ripudio. Perché ne ho individuato l'errore di fondo, la tara congenita.»
«[Quando gli viene ordinato di farlo, il protoantropo] va a imporre la sua fede. Leva il bastone e, certo di compiere un gesto degno di encomio ed esente da castigo, ammazza chi trova: uomini, donne, vecchi, bambini, monache. In nome di Dio, di Allah, di Geova, di Brahma, di Baal, o in nome del capitalismo, del comunismo, del fascismo, del socialismo, del nazismo, del liberalismo, della democrazia e naturalmente della patria.»
«Erano i cani randagi che la notte invadevano la città. I terribili cani che approfittando dell'altrui paura si rovesciavano nelle strade deserte, nelle piazze vuote, nei vicoli disabitati, e da dove venissero non si capiva, (...) o forse non esistevano perché non erano cani bensì fantasmi di cani che si materializzavano col buio per imitare gli uomini da cui erano stati uccisi. I perversi cani che come gli uomini si dividevano in bande arse dall'odio, come gli uomini volevano esclusivamente sbranarsi, come gli uomini si trucidavano per la conquista d'un marciapiede ricco di spazzatura e marciume.
In carne ed ossa irrompevano sulla banchina, venivano verso la nave, guaiolando ringhiando latrando Insciallah Insciallah Insciallah»

E, accanto alle riflessioni sulla guerra, quelle sull’amore:
«La morte d’un amore è come la morte d’una persona amata. Lascia lo stesso strazio, lo stesso vuoto, lo stesso rifiuto di rassegnarti a quel vuoto. Perfino se l’hai attesa, causata, voluta per autodifesa o buonsenso o bisogno di libertà, quando arriva ti senti invalido. Mutilato. Ti sembra d’essere rimasto con un occhio solo, un orecchio solo, un polmone solo, un braccio solo, una gamba sola, il cervello dimezzato, e non fai che invocare la metà perduta di te stesso: colui o colei con cui ti sentivi intero. Nel farlo non ricordi nemmeno le sue colpe, i tormenti che ti inflisse, le sofferenze che ti impose. Il rimpianto ti consegna la memoria d’una persona pregevole anzi straordinaria, d’un tesoro unico al mondo né serve a nulla dirsi che ciò è un’offesa alla logica: un insulto all’intelligenza, un masochismo. (In amore la logica non serve, l’intelligenza non giova, e il masochismo raggiunge vette da psichiatria.) Poi, un po’ per volta, ti passa. Magari senza che tu ne sia consapevole lo strazio si smorza, si dissolve, il vuoto diminuisce, e il rifiuto di rassegnarti ad esso scompare. Ti rendi finalmente conto che l’oggetto del tuo amore morto non era né una persona pregevole anzi straordinaria né un tesoro unico al mondo, lo sostituisci con un’altra metà o supposta metà di te stesso, e per un certo periodo recuperi la tua interezza. Però sull’anima rimane uno sfregio che la imbruttisce, un livido nero che la deturpa, e ti accorgi di non essere più quello o quella che eri prima del lutto. La tua energia s’è infiacchita, la tua curiosità s’è affievolita, e la tua fiducia nel futuro s’è spenta perché hai scoperto d’aver sprecato un pezzo di esistenza che nessuno ti rimborserà. Ecco perché, anche se un amore langue senza rimedio, lo curi e ti sforzi di guarirlo. Ecco perché, anche se in stato di coma boccheggia, cerchi di rinviare l’istante in cui esalerà l’ultimo respiro: lo trattieni e in silenzio lo supplichi di vivere ancora un giorno, un’ora, un minuto. Ecco infine perché, anche quando smette di respirare, esiti a seppellirlo o addirittura tenti di resuscitarlo.»  
(Oriana Fallaci, Insciallah)


FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri

Il primo gradino del nostro podio della settimana viene occupato da
Monica Vanali. Detto che anche in campionato sta marciando a mille, la brava telegiornalista padovana in quota a Mediaset da diversi anni ha tenuto testa, nelle sue ultime performance professionali, ai mister di Milan e Juventus un po’ irritati dal testa a testa per il campionato di calcio che si protrae da qualche settimana. Monica ha brillato come al solito e ha saputo tenere a bada anche le intemperanze di mister Capello pur dopo la vittoriosa trasferta all’Olimpico. Per Monica un bel “7.5” e tanti complimenti.
Il secondo gradino del podio crediamo lo meriti la sempre brava e bella
Beatrice Ghezzi, sempre sacrificata alla postazione Internet di “Pressing Champions League” per fare spazio ad Alessia Fabiani la cui presenza nel programma è, puntata dopo puntata, sempre più coreografica. Faceva la “letterina”, la Fabiani, e tale doveva restare. Beatrice Ghezzi, invece, meriterebbe maggiore spazio. È brava, preparata e, cosa che non guasta, lo sport lo ha praticato sul campo per anni. Di recente ha vinto anche il premio come migliore cronista di sport della Lombardia. Brava. Un bel “7”.
Chiude il podio
Manuela Moreno con ottime e ben scandite conduzioni del Tg2. Perfetta nei tempi, chiara nell’esposizione, la Moreno concede anche qualcosa, ma senza mai esagerare, alla sua femminilità per il diletto dei suoi fan in costante crescita. Se qualche tempo fa la Moreno poteva essere definita una rivelazione, ormai è senza dubbio una certezza. Una pietra sulla quale costruire la Rai del terzo millennio. Brava. Un bel “6.5”.
Ilaria D’Amico a “Campioni” continua a non convincerci affatto. Non vogliamo mettere in discussione le sue capacità professionali (meriterebbe il podio se valutassimo solo le sue conduzioni su Sky), ma certamente a “Campioni” la D’Amico non è incisiva. Viene sempre sopraffatta dall’evolversi del programma e sembra quasi stia conducendo per caso. Forse, questa volta, avrebbe fatto bene a scegliere di lasciare il programma concentrandosi sul calcio vero. Per lei un misero “4.5”.
Daniela Vergara ha intanto perso la sua personale sfida con Masotti. Ha lasciato la conduzione del magazine di Rai 2 un po’ per gli ascolti non eccelsi e un po’ perché non reggeva più la tensione interna al programma. Ci saremmo aspettati, dalla battagliera moglie di Luca Giurato, che avrebbe venduta la pelle ben più cara. Un po’ ci ha delusi. Riconfermiamo il nostro giudizio circa il suo essere una brava professionista, ma in questa occasione avrebbe potuto dare di più. Cominciando con il non abbandonare la barca. Le tocca un posto sul contropodio e un bel “5”.
Maria Latella ha scritto il libro-confessione di Veronica Lario, la moglie di Silvio Berlusconi. Sull’onda di questo evento ha tentato il salto, dalla carta stampata del “Corriere della Sera” alla tv satellitare di Sky. Con un programma tutto suo che, però, francamente non convince. Non solo per gli ascolti (che si vocifera essere bassi), quanto per il tipo di conduzione decisamente poco briosa. I ritmi sono quelli della carta stampata. Per la Latella concediamo una prova di appello con un “5.5”.


FORMAT La nuova stagione di “Verissimo” di Filippo Bisleri

Il format su cui puntiamo la nostra attenzione questa settimana è “Verissimo”. Condotto con la ormai consolidata maestria da parte di Cristina Parodi, il programma, complici anche eventi fortemente mediatici come la scomparsa del Pontefice e il successivo conclave e quindi la morte del Principe Ranieri di Monaco, sta conoscendo una nuova riqualificazione.
Servizi meno scontati
e banali, maggiore vicinanza all’attualità. Sono questi gli ingredienti che fanno del “Verissimo” di queste ultime settimane un vero contenitore di informazioni e una reale finestra sul mondo per un pubblico, in larga parte formato da studenti e casalinghe, in attesa dei quiz pre-serali che servono poi a trascinare in alto l’audience per i tg delle reti ammiraglie sia di Rai sia di Mediaset.
La speranza è che Cristina Parodi, lasciate alle spalle le buriane che hanno riguardato la sua famiglia a colpi di gossip e indiscrezioni sui vari media, sappia cogliere, con l’intelligenza che la contraddistingue, l’abbrivio per rilanciare il suo programma verso vette sempre più alte sul fronte della qualità, stimolando così la crescita anche della concorrenza rappresentata da “La vita in diretta” di Michele Cocuzza, ancora alla ricerca di una purificazione dell’immagine dopo le denunce di cui, nella primavera del 2004, la fece oggetto “Striscia la notizia”.
Il direttore del Tg5, Carlo Rossella, ma anche l’intera famiglia Mediaset, ha notato con favore la capacità della Parodi e della sua redazione di “intercettare” gli eventi in grado di rilanciarne la qualità senza andare all’affannosa ricerca di storie, curiosità o eventi, il più delle volte “gonfiati ad arte” per renderli credibili e notiziabili, che nuocevano alla qualità del programma.
Il rilancio è partito… Ora occorre evitare di restare in mezzo al guado.


TELEGIORNALISTI Guido Meda, la voce del Motomondiale di Filippo Bisleri

Nel panorama dell’informazione sportiva di Mediaset è diventato, senza particolari aspirazioni nel settore nonostante un’innata passione per il motociclismo, la voce delle “due ruote” del Motomondiale. Stiamo parlando di Guido Meda, per gli amici “Guidomilanomeda”, dopo la riuscitissima parodia che di lui ha fatto il comico legnanese Max Pisu, ovvero Tarcisio.
Guido Meda nasce come giornalista di calcio e di altre discipline minori e si afferma nell’ambito della redazione di Mediaset per la sua innata precisione, per il suo amore per la capacità, dietro un lungo lavoro di documentazione, di spiegare ogni fase degli eventi sportivi.
A diventare la voce del Motomondiale, però, Meda non pensava. Preso com’era dai preparativi del matrimonio, nel 2001 la proposta dell’allora capo dei servizi sportivi di Mediaset,
Paolo Liguori, gli giunse un po’ tra capo e collo. Ne parlò con gli amici più fidati, tra i quali i molti colleghi di Mediaset a cominciare da Monica Vanali, con la quale ha un’intesa professionale ottima, e ottenne anche il benestare di Andrea De Adamich, storico esponente della redazione motori dell’azienda editoriale presieduta da Fedele Confalonieri. Poi si decise a diventare colui che avrebbe raccontato le imprese di Valentino “the doctor” Rossi. Si decise a diventare il giornalista chiamato a racconta l’impresa del mitico pilota delle MotoGp che riassunse la sua impresa nel motto “Che bello”.
D’altra parte, però, Guido Meda era un giornalista sportivo predestinato a raccontare le grandi imprese. Già, perché quando venne cresimato, il nostro Guido si ritrovò un “padrino” d’eccezione come Ambrogio Fogar. Un padrino con il quale Meda si confronta dopo ogni puntata del Motomondiale perché ad Ambrogio Fogar, l’uomo di “Jonathan dimensione avventura” e il fedele compagno di Armaduk, Guido Meda continua a guardare come ad un modello. E proprio la vicenda di Fogar ha aiutato Meda a riprendersi da un pauroso incidente motociclistico.
Insomma, Meda è l’icona di una passione e di una vita per lo sport fusi in un bravissimo giornalista. Scaldate i motori… Vai Vale, vai Max, vai Macho Melandri… vai Guido Meda.


EDITORIALE Lascia o raddoppia di Tiziano Gualtieri

Un vecchio detto narra che chi abbandona la strada vecchia per quella nuova, sa quello che lascia ma non sa quello che trova. Ebbene, la saggezza popolare non ha lasciato "scampo" neppure al mondo giornalistico. Chi si ricorda infatti quando, nel lontano - televisivamente parlando - 2002, il telegiornale della seconda rete che da tempo subiva lo strapotere delle reti ammiraglie di Rai e Mediaset, spinse Mauro Mazza - direttore del Tg2 di quel tempo - a correre ai ripari?
Nel mondo dell'informazione si sa, non si inventa niente o quasi, ma bisogna cercare di fare proprie le idee degli altri, magari migliorandole. E seguendo un altro detto: nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, Mazza decise di fare proprio lo stile di conduzione americano e di combattere il
Tg5 con le sue stesse armi.
 Nella realtà non è mai facile capire quali possano essere le mosse vincenti per soddisfare le esigenze di chi guarda la tv e così (saggiamente?) provò a fare una sorta di rivoluzione: si passò alla doppia conduzione e venne introdotto un rullo sul quale passavano le notizie.
A volte tagliare con il passato, dare una mano di bianco e fare un restyling completo per rendere il telegiornale più diretto e coinvolgente per il pubblico può essere una scelta vincente e, visto che chi non risica non rosica, nella palazzina D di Saxa Rubra si decise di provare.
Il pubblico, però, all'interno di un mondo dominato dalle news, non si accontenta più di qualche variazione sul tema e il valore aggiunto non può essere dato solo da un ribaltone nello stile di presentare le notizie. Bisogna fare qualcosa in più.
 L'accoppiata uomo e donna in video, non portò i risultati sperati. Eppure l'idea - secondo le previsioni - doveva consentire di recuperare share e preferenze. Le novità coinvolsero anche il tg serale: uno studio molto più ampio, quasi da programma, enormi vidi wall, il mezzobusto divenne intero, per la prima volta si videro le gambe dei conduttori, quattro camere per un numero quasi infinito di possibili angolazioni: praticamente una voglia concreta di svecchiare il telegiornale alla vecchia maniera: stantia e rigida.
Ma sappiamo bene come sia difficile modificare le abitudini di chi da anni ti guarda e così la "banda" composta dalla
Capulli e Laruffa, da Romita e la Vaccarezza passando per la Moreno, non ebbe molto successo, cosa che costrinse Mazza a ritornare sui propri passi e la doppia conduzione venne abbandonata. Perché il pubblico "decise" che, pur apprezzando la nuova grafica e il nuovo studio, era meglio assistere al Tg2 delle 20.30 da soli, piuttosto che accompagnati a quello delle 13.
Una magra consolazione - per la dirigenza del secondo telegiornale Rai - sarebbe giunta dopo qualche tempo anche dal fallimento di SkyTg24 che tentò addirittura di quadruplicare le conduzioni per dare uno stile più vivace e brioso alla lettura del telegiornale. Il risultato? Un'inutile e caotica sarabanda che fu abbandonata dopo poco.
Perché se il tg in coppia può essere carino da seguire, lo studio non può essere trasformato in un mercato delle notizie, soprattutto se vi è l'aggravante che lo stesso prodotto si trova - praticamente - anche nella "bancarella" a fianco.


 
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