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Telegiornaliste anno II N. 40 (72) del 6 novembre 2006


MONITOR Paola Buizza, piccole giornaliste crescono di Giuseppe Bosso

Questa settimana Telegiornaliste ha incontrato Paola Buizza, mezzobusto di Brescia Punto Tv.
Com'è iniziata la sua carriera e cosa l'ha spinta a diventare giornalista?
«A diventare giornalista mi ha spinta innanzitutto la voglia di capire come “funziona” questo nostro stravagante e affascinante mondo. Da piccola mi piaceva ascoltare i tg, leggere i giornali e dilettarmi a scrivere pagine e pagine di commenti sui fatti del momento. Sinceramente non avevo ben chiaro cosa avrei voluto fare nella vita, a parte la ferma volontà di essere libera e di poter soddisfare le mie necessità e i miei desideri. L’incontro con il giornalismo è avvenuto per caso. Sapevo che una piccola televisione locale stava cercando redattori e così mi sono proposta con il mio curriculum fatto di lavori come animatrice turistica, commessa e collaboratrice saltuaria per mensili locali. Era il 1993, mi pare. Fu un’esperienza intensa che mi affascinò e appassionò.
La televisione chiuse poco dopo ed io continuai a scrivere per piccoli giornali locali. Poi la decisione di tornare per un po’ al turismo facendo l’assistente turistica e la decisione, nel 1996, di trasferirmi negli Usa, dove ho lavorato come cameriera, cuoca, assistente fotografa e segretaria. Tornata in Italia il destino mi ha riportato sulla strada giornalistica: prima Telemarket Notizie e il Tg dell’Arte di Elefante Tv, poi Primarete e, infine, Brescia Punto Tv».
Un'emittente come Brescia Punto tv può costituire un buon trampolino di lancio per un aspirante giornalista?
«Me lo auguro! Sicuramente il lavoro è tanto e diversificato. In una televisione locale si è chiamati a scrivere di tutto: cronaca, economia, cultura... Tre, quattro servizi al giorno per i quali ci è richiesto anche di effettuare le riprese con la telecamera e il montaggio in digitale. Non solo tg, anche trasmissioni e dirette. Saltuariamente collaboro anche con il quotidiano del mio gruppo editoriale, Bresciaoggi, ed è un ulteriore impegno. Penso che la realtà locale aiuti ad ottimizzare il tempo, diversificare le competenze e preparare ad ogni evenienza.
Dopo anni ho raggiunto un obiettivo importante: dal primo gennaio 2006 sono iscritta all’albo dei praticanti. La strada è ancora lunghissima, e spesso sperare nella meritocrazia, in Italia, è un’utopia».
Come donna ha mai avvertito qualche discriminazione nei suoi confronti, e più in generale ritiene che nella professione si sia raggiunta una parità di trattamento?
«Non sono mai stata vittima di discriminazioni. Mi rendo conto che per un collega uomo ottenere un contratto, sia a tempo determinato che indeterminato, è molto più facile. La parità di trattamento a livello generale è strettamente collegata alla possibilità di poter conciliare lavoro e vita privata. Fino a quando una donna avrà il timore di comunicare all’azienda la necessità di assentarsi per maternità, la parità non sarà mai raggiunta».
Quali consigli darebbe a chi volesse intraprendere il suo mestiere?
«Di seguire il proprio istinto e le proprie inclinazioni nonostante tutto e nonostante tutti. Porsi con umiltà nei confronti della professione e dei colleghi. Cercare la chiave giusta per trasmettere sensazioni e parlare più lingue straniere».
Grazie al nostro forum è evidente come lei sia una delle tgiste più ammirate: cosa la lusinga di più, essere apprezzata come giornalista o come donna?
«Preferisco essere apprezzata come persona. Evidentemente per chi non mi conosce è difficile scegliere se amarmi oppure odiarmi. Quindi preferisco essere apprezzata come giornalista».
Riesce a conciliare lavoro e affetti con un mestiere impegnativo e itinerante come il suo?
«Ho la fortuna di avere un compagno che lavora nel mio stesso campo. Le mie esigenze sono le sue. C’è massima comprensione».
CRONACA IN ROSA Allarme ambiente di Erica Savazzi

Sono settimane di allarme ambientale: temperature autunnali ben oltre la media stagionale, i ghiacciai che si stanno inconfutabilmente sciogliendo, smog e polveri sottili in aumento, temperature dei mari in crescita, studi che sostengono che entro il 2050 la terra imploderà a causa dell’uomo.
E’ inquietante sentire notizie di questo tenore, ma lo è ancora di più accorgersi che l’angoscia provata dal cittadino con una mentalità ecologica – e purtroppo sono ancora troppo pochi, considerando la quantità di rifiuti che si vede ai bordi delle strade – non è condivisa da chi avrebbe il potere di agire concretamente, cioè dalla politica.
Negli Stati Uniti, nonostante i disastri causati dagli uragani, il presidente Bush continua a sostenere che l’effetto serra non esiste, e il protocollo di Kyoto resta inapplicato. Un suo compagno di partito, il governatore della California Schwarzenegger, ha invece capito che sui cambiamenti climatici e sulla difesa dell’ambiente si gioca – e si giocherà sempre più - la partita elettorale. Da governatore “motorista” con in garage una schiera di Hummer, si è trasformato in governatore “verde” approvando la legislazione ambientale più restrittiva di tutti gli USA.
In Italia si sta forse arrivando a rendere obbligatori per legge i pannelli solari nelle case di nuova costruzione, Paese del sole con più pannelli nella fredda Bolzano che nella rovente Sicilia.
Intanto a Milano – e in tutte le città - si combatte la battaglia dello smog. Da febbraio 2007 nel capoluogo meneghino sarà introdotto il ticket d’ingresso per gli automobilisti non residenti: con gli introiti si provvederà a migliorare i mezzi pubblici.
Si parte dalla fine: e il lavoratore di Vimercate che va in auto al lavoro perché per percorrere i venticinque km che lo separano dal centro di Milano impiega più di un’ora, otterrà oltre al danno la beffa. Mentre il residente in città che, piuttosto che utilizzare l’autobus che si ferma sotto casa e porta direttamente alla porta dell’ufficio, utilizza l’auto, non subirà alcuna conseguenza.
Così come si introduce il ticket ecologico e si tralascia il fatto che al posto della vecchia Fiera verranno costruiti tre grattacieli con uffici e abitazioni che non faranno altro che attirare ogni giorno migliaia di vetture private. Letizia Moratti cerca di imitare la politica ecologica del sindaco londinese Livingstone, ma dimentica un fatto fondamentale: Milano non ha i "mezzi" che ha Londra, e il ticket d’ingresso è la punta dell’iceberg della politiche per le città, politiche di educazione del cittadino e di potenziamento dei mezzi pubblici che a Milano semplicemente non esistono.
Intanto l’Italia, che aveva ratificato il protocollo di Kyoto piena di buone intenzione, lo infrange senza troppi problemi, e il Nobel per la fisica Carlo Rubbia ha dovuto trasferirsi in Spagna per continuare le sue sperimentazioni su un nuovo tipo di pannello solare, nel silenzio generale. La capacità della politica di guardare ai bisogni dei cittadini e al futuro si vede anche da questo.
FORMAT La tv dei cartoni animati di Nicola Pistoia

Per spiegare il "fenomeno cartoni animati" partiamo da due dati molto interessanti. Il giorno 9 ottobre, su Italia1, I Simpson hanno registrato ascolti record: oltre due milioni e mezzo di telespettatori, con uno share pari al 18%.
Il 10 ottobre, invece, sono stati i nemici - amici Tom & Jerry a sbancare l'Auditel, seguiti su Rai2 da più di tre milioni di telespettatori, con lo share del 22%.
Il cartone animato, appartenente alla serie inventata oltre cinquant'anni fa dalla premiata ditta Hanna & Barbera, è stato, escludendo Canale5 e Rai1, il programma più visto della giornata, superando la partita Italia - Spagna under 21 e lo show satirico delle Iene.
Se invece spostassimo l’attenzione verso la tv satellitare ci accorgeremmo come il fenomeno cartoni animati - o piuttosto della programmazione dedicata ai bambini - abbia portato alla nascita di molti, moltissimi canali tematici.
Sky, infatti, offre un ricco ventaglio di ben quattordici canali, con programmi differenziati per ogni fascia d’età e ognuno con la sua particolarità. Ad affiancare l’ormai collaudata Baby Tv, indirizzata a un pubblico under 5, che ha fatto registrare ascolti mai visti prima, c’è il nuovo Jim jam (canale 603) dedicato all’apprendimento della lingua inglese.
Fiore all’occhiello della tv satellitare il seguitissimo Disney Channel (canale 612), che propone cartoni animati e sitcom sempre nuove e originali, come Fiore e Tinelli. Non mancano i canali dedicati ai più grandi e alle famiglie, come Cartoon Network (canale 606), Animal Planet (609), Toon Disney (614), e Jetix (616), infarciti di documentari, telefilm e degli indimenticabili classici Warner. Infine è in arrivo una stagione di grandi film, davvero entusiasmante: Bambi II, Chicken Little e il nuovissimo Cars.
Una considerazione è doverosa: i telespettatori, grandi e piccoli che siano, continuano ad apprezzare un tipo di televisione priva di volgarità ed esibizionismo. La battaglia è senza dubbio dura: tra reality più o meno buoni e spettacoli trash, i cartoni animati riescono a vincere offrendo tanta spensieratezza, una buona dose di fantasia e quel pizzico di buon gusto che certo non guasta. E poi fa molto più chic vedere un litigio tra Tom e Jerry, che assistere ad una zuffa televisiva tra Sgarbi e la Mussolini.
ELZEVIRO  Salone internazionale del Gusto di Gisella Gallenca video (wmv, 5 MB)

Un altro grande evento ha coinvolto, dal 26 al 30 ottobre, la città di Torino: il Salone internazionale del Gusto, che anche quest’anno ha portato nel capoluogo piemontese i migliori produttori enogastronomici italiani e internazionali. Quattro giorni intensi e ricchissimi, che si sono svolti in concomitanza con Terra Madre, il raduno mondiale delle comunità del cibo.
"Buono, pulito e giusto". Questo lo slogan che ha accompagnato la manifestazione. Buono, come il cibo deve essere; pulito, cioè prodotto con metodologie sostenibili e rispettose dell’ambiente; e infine giusto, che pone l’attenzione anche sull’aspetto sociale e sull’equa remunerazione dei lavoratori.
Non è facile sintetizzare in una sola pagina tutto ciò che la fiera ha proposto al pubblico e alla stampa. Noi di Telegiornaliste, dopo una attenta scelta e valutazione, abbiamo stilato una piccola “classifica”.
In cima alla nostra top 5 troviamo il Master of Food, che l’associazione Slow Food organizza ormai da sei anni. Un’iniziativa rivolta principalmente ai consumatori, con ventitrè corsi differenti che prendono in esame le varie tipologie di alimenti (caffé, carne, formaggi e vini sono solo alcuni esempi). Di questa iniziativa condividiamo pienamente l’obiettivo: promuovere il consumo critico, attraverso la formazione di una cultura del cibo diffusa e approfondita. In occasione del Salone, abbiamo provato due piccoli “assaggi” di queste materie. Una classica, la degustazione dei vini, che ha pienamente risposto alle nostre aspettative; e una più inedita, la degustazione del tè. Una piacevole scoperta, su un prodotto dalla tradizione millenaria.
Il secondo, meritatissimo posto, è per la torrefazione Pausa Cafè, operante presso il carcere delle Vallette di Torino. Grazie al lavoro dei detenuti e di affermati torrefattori, qui vengono tostati i caffé dei Presìdi Slow Food: il caffé delle Terre Alte di Huehuetenango (Guatemala) e il caffé della Sierra Cafetalera (Repubblica Dominicana). Una iniziativa che ci piace, non solo per la qualità dei prodotti immessi sul mercato, ma soprattutto per la sua valenza sociale. Un progetto che agisce nel concreto, valorizzando alcune realtà marginali e rispettando il paradigma del “buono, pulito e giusto”.
Al terzo posto, una serie di prodotti presentati dalla Camera di Commercio di Roma. Stiamo parlando dei dolci per i celiaci, studiati per essere tollerabili ma anche gustosi. È il segnale di un aumento dell’attenzione nei confronti di chi soffre di intolleranze alimentari: un problema sempre più diffuso, ma che troppo spesso non viene considerato, nell’ambito della ristorazione. Inoltre, abbiamo avuto modo di provare alcuni assaggi. L’impatto è stato positivo: la dimostrazione che è possibile creare prodotti da forno buoni e golosi, anche utilizzando solo farine prive di glutine.
Riserviamo il quarto e il quinto posto rispettivamente a due singoli alimenti. In primo luogo, il riso basmati di Dehradun, coltivato ai piedi dell’Himalaya: si tratta di un Presidio Slow Food, nato in collaborazione con la fondazione Navdanya della scienziata indiana Vandana Shiva. Questo progetto ha come obiettivo la conservazione della biodiversità, in un ambiente che rischia di essere danneggiato dall’uso di pesticidi chimici. Questo è solo uno tra i molti esempi di produzione “pulita” del cibo.
E, per finire, un grande classico della tradizione italiana: il prosciutto di San Daniele, reinterpretato però in chiave attuale. Durante il Salone, infatti, il Consorzio ha organizzato una serie di incontri, presentando alcune idee per valorizzare al meglio questo prodotto. Con un occhio di riguardo per le esigenze della modernità. Ospite d’onore è stato lo chef-designer Davide Scabin, celebre per i suoi menù creativi. L’attualità e la storia, in questo caso, vanno di pari passo. E il cibo, sorprendentemente, diventa il punto d’incontro.
DONNE Vita da giornalara di Gisella Gallenca

«Attualmente sono seguita da un gruppo di scienziati del MIT. Cercano di capire quale sia la disfunzione genetica che a sei, sette anni ti fa dire: "da grande farò la giornalista". Scherzi a parte, alle elementari scrivevo il giornalino "gerenza casa mia". La mia maestra sapeva della mia passione. Mi fece incontrare il marito che era un giornalista (non ricordo di quale testata). Fu emozionante. Ma quest’evento è solo un effetto, non la causa, che è difficile da determinare. Credo ci sia la voglia di raccontare, di emozionarsi, di fondersi con la realtà che hai intorno, dalla più triste alla più leggera».
A parlare della sua esperienza, questa volta, è Laura Bogliolo. Trent’anni, un impagabile senso dell’humor e una grande passione per le notizie. Laura è giornalista e esperta delle nuove tecnologie di Internet. Collabora da circa tre anni con Il Messaggero, ed è conosciuta dai surfisti del web per i suoi blog e siti. È stata relatrice al convegno Bibliocom 2003, e nel 2004 ha vinto il premio Donna è Web. Ed è proprio per capire meglio in che direzione sta viaggiando il nuovo giornalismo della Rete che ci siamo messi in contatto con lei.
Per te, l'uso di Internet e il fare notizia viaggiano di pari passo. Come vedi il futuro del giornalismo sui nuovi media? E come potrebbe il giornalismo tradizionale trarre stimoli da questa nuova realtà?
«Il giornalismo tradizionale già adesso trae stimoli dal web, soprattutto dai blog, vedi i casi Dan Rather e Calipari. Nuove mode e le notizie stesse vengono veicolate spesso prima sui blog, l’avamposto, anzi la fanteria, dell’informazione online, il cosiddetto Citizen Journalism. È come avere una redazione mondiale attiva 24 ore su 24. Il giornalismo tradizionale deve coinvolgere di più i lettori e integrare strumenti tradizionali con media center che seguano la linea del Web 2.0. È giusto che ognuno abbia la possibilità di diffondere news o semplici parole. Internet è libertà e democrazia ed è libero da classismi, gerarchie e “fortune” per nascita. Se sei bravo gli utenti ti leggono. Penso che il web sia l’unico posto dove non servono raccomandazioni per vivere una vita a forma di te».
La tua è un'ottica privilegiata sul mondo di Internet al femminile. In questo momento, vedi propositività e inventiva in questo settore o si potrebbe fare di più?
«Ottenere il premio Donna è Web per il mio blog è stato molto importante. Il primo riconoscimento ufficiale al mio lavoro sul web nato solo dalla voglia pazza di scrivere, senza aspettare qualcuno che mi concedesse la possibilità di farlo. È stata una grande rivincita. Il web al femminile esiste, si evolve e scopre ogni giorno nuove potenzialità. Insomma, Internet non è solo dei nerd smanettoni».
Parli spesso della difficoltà di accedere alla professione giornalistica. Quale è, in questo momento, la tua opinione su questo tema, anche alla luce della attuale crisi economica?
«Il mio pessimismo sul tema è così cosmico che normalmente faccio progetti per il passato. Non credo che la crisi economica incida sulla difficoltà di svolgere la professione di giornalista. In breve: se non sei nato “fortunato” ci vuole o un miracolo o tanto lavoro. Con tanto lavoro (e bravura) puoi raggiungere buoni risultati, ma per fare il grande salto serve qualcos’altro».
Pensi che il tuo futuro lavorativo sia nel giornalismo scritto - sulla carta stampata e su Internet - o sei aperta anche al mondo dell'informazione radiotelevisiva?
«La notte della morte del Pontefice ho fatto una diretta da piazza San Pietro per una tv satellitare. È stato emozionante. Mi piace ogni forma di giornalismo, credo che le dirette televisive siano simili ai pezzi di cronaca urgenti - a parte, nel primo caso, l’aggravante di rendersi presentabili! Hai la stessa adrenalina di quando devi scrivere un pezzo “per ieri” in condizioni non ideali (per strada, mentre piove o in un internet point). Credo che fare cronaca per la carta stampata sia un’ottima palestra per ogni altra forma di giornalismo».
TELEGIORNALISTI Massimo Bernardini, la tv che valuta la tv di Giuseppe Bosso

Massimo Bernardini, 50 anni, milanese, giornalista professionista, sposato, tre figli, dopo una giovanile esperienza musicale ha coltivato negli anni '80 una serie di collaborazioni giornalistiche come pubblicista nel settore della critica musicale al Radiocorriere Tv, Famiglia Cristiana, Avvenire e al settimanale Il Sabato. Fra la metà degli anni '80 e la fine degli anni '90 è divenuto responsabile della Redazione Spettacoli del quotidiano Avvenire.
Ha avuto anche esperienze come autore e conduttore radiofonico.
Ha collaborato fin dalla fondazione con l’emittente satellitare cattolica Sat 2000, per la quale nella stagione televisiva 2001-2002 ha co-ideato e condotto la prima serie de Il Grande Talk: trenta puntate dedicate ai talk show italiani, con ospiti come Bruno Vespa, Michele Santoro, Maurizio Costanzo, Gianfranco Funari.
Nelle stagioni 2002/2003, 03/04, 04/05 è stato coautore e conduttore della seconda, terza e quarta edizione de Il Grande Talk, dalla seconda edizione frutto della collaborazione fra Sat 2000 e Raieducational. Da questa esperienza nasce, nella stagione 2005/2006, la nuova formula di Tv Talk, il programma sulla televisione di Raieducational in onda il sabato su Rai3, di cui Bernardini è coautore e conduttore.
Qual è, secondo lei, il ruolo della critica nella televisione di oggi?
«Stimolante, essenzialmente. Senza offendere nessuno, riuscire a rendere la tv il più possibile reale e meno virtuale, e affinché possa svolgere, come in passato, quel ruolo di fattore di crescita che aveva ricoperto».
I "flop" che hanno registrato Wild West, Circus e anche L'isola dei famosi 4 sono un segno che è finita l'era dei reality?
«Mah, io aspetterei a trarre conclusioni. Una partenza problematica è un po’ poco per emettere sentenze; è un discorso da affrontare, semmai, tra qualche mese. Ritengo comunque che più che i reality in sé è significativa la loro ricaduta nel prime time, nei vari contenitori in cui se ne parla e se ne straparla. Credo che se si riuscisse ad evitare questa sovrabbondanza la tv potrebbe concedersi una “pausa”, proprio perché pare che tutto ruoti intorno a questi programmi».
Come crede che cambieranno le nostre "abitudini catodiche" con il digitale terrestre?
«Guardi, sinceramente non so cosa risponderle. Si è pensato che il passaggio fosse imminente all’inizio, e invece è stato rimandato. Per ora non pare avere avuto molto successo, ma penso sia una tassa da pagare per tutte le cose che sono in fase di sperimentazione. E’ comunque innegabile che in futuro queste tecnologie influenzeranno molto le nostre abitudini».
Qual è il ruolo dei giovani opinionisti nella sua trasmissione?
«Anzitutto sono ragazzi che hanno modo di fruire della televisione a seconda delle esigenze della loro età. Sono un "pubblico pensante", attrezzato culturalmente per giudicare ed esprimere il proprio parere sui palinsesti».
OLIMPIA Marta Carissimi, talento da vendere di Mario Basile

Diciannove anni, centrocampista e, soprattutto, talento da vendere. Bastano queste poche righe per descrivere Marta Carissimi, calciatrice in forza al Torino Calcio Femminile guidato da Giancarlo Padovan.
Gli esperti non hanno dubbi: lei, la stoffa della campionessa ce l’ha eccome. Ai complimenti, però, risponde con grande umiltà. «Questi esperti non so chi siano, ma penso debbano un attimo rivedere le loro affermazioni (ride, ndr). Non mi considero un talento, ma semplicemente una ragazza con tantissima passione per il calcio, che si impegna e cerca di migliorarsi, carpendo i “segreti del mestiere” dalle compagne di squadra e dagli allenatori. Ho la fortuna di aver giocato e di giocare tuttora al fianco di atlete nazionali esperte come Iannuzzelli, Miniati, Pasqui, Fuselli e Zorri. La loro disponibilità e il loro altruismo nel trasmettermi insegnamenti, aiuti e suggerimenti, uniti alla mia ambizione e alla voglia di emergere mi permettono di crescere e perfezionarmi. La fiducia del mister e del gruppo nei miei confronti è tale che per me deluderli vorrebbe dire fallire nella cosa a cui ora tengo maggiormente. A chi mi ispiro calcisticamente parlando? Non ho particolari modelli, anche se Zidane e Pirlo sono giocatori che stimo».
Sin da bambina il calcio è stato parte integrante della vita di Marta. «Da sempre ho giocato a calcio con mio fratello e gli amici, fino a quando poi, in quinta elementare, non sono entrata nella squadra maschile del mio paese, Gassino. Compiuti i 15 anni - racconta - il regolamento mi imponeva il passaggio in una squadra femminile. Da circa un anno società, come Torino, Chivasso, Settimo, Chieri, mi avevano cercata. La decisione di andare al Torino non è stata difficile: era la miglior squadra tra quelle con cui avevo avuto contatti, la più prestigiosa in Piemonte, quella che mi poteva permettere un palcoscenico di rilievo, vista la militanza in serie A. Così nel giugno del 2002 sono andata a fare un torneo in Spagna: mi sono trovata subito molto bene con il gruppo, costituito da ragazze della mia età o poco più grandi. Posso considerare questa la tappa ufficiale del mio passaggio in maglia granata. Infatti due mesi più tardi mi ritrovai in ritiro, ma le ragazze non erano tutte quelle di giugno. Questo perché non ero in ritiro con la primavera, come avevo ipotizzato, ma con la prima squadra! Quindi una grandissima soddisfazione da subito: avrei avuto la possibilità di partecipare al campionato di serie A e giocare con persone molto più grandi e esperte di me.
Fino a quel momento ammetto che non conoscevo nulla del calcio femminile, a parte la Panico, ma solo di nome, poiché l’avevo vista giocare al “derby del cuore”.
Cinque mesi più tardi, arrivò la prima convocazione in Nazionale under 19: un sogno realizzato. E pensare che fino a poco tempo prima giocavo nel Gassino. Un bel salto no?».
Un bellissimo salto. Il Torino che quattro anni fa ha creduto nella giovanissima Marta Carissimi, oggi non nasconde grandi ambizioni. Gli ottimi risultati di inizio stagione lo confermano. «Le prime vittorie sono sicuramente importanti - spiega Marta - ma non esaustive: siamo solo all’inizio, la strada è ancora lunga. E per arrivare a vincere lo scudetto e la Coppa Italia, sono queste le ambizioni stagionali, dobbiamo lavorare ancora tanto. Bisogna migliorare sotto tutti i punti di vista con l’umiltà che ci ha contraddistinto fino ad ora. Siamo operai, non pensiamo di essere già diventati ingegneri!».
Fondamentale per il raggiungimento di tali obiettivi è la coesione del gruppo. «Quest’anno la squadra è cambiata parecchio. A partire dallo staff tecnico, che vede la sola presenza del mister della passata stagione, mentre il preparatore atletico e alcuni portieri sono nuovi. Sono andate via alcune giocatrici e ne sono arrivate altre. Inoltre, persone che l’anno scorso giocavano poco, quest’anno fanno parte della formazione titolare. Rispetto alla passata stagione, tutte le ragazze si allenano a Torino, a parte Pasqui e Cacciatori che ci raggiungono il giovedì. Oltre ad essere molto positivo sotto il profilo degli allenamenti – prosegue Marta - ciò permette l’affiatamento del gruppo. Si sta formando una vera e propria squadra nella quale si è pronte a sacrificarsi per la compagna e si lotta veramente tutte insieme per lo stesso obiettivo, facendo forza proprio sul gruppo nei momenti di difficoltà. Questo secondo me è quello che fino ad ora ha fatto la differenza in campo. Il gruppo che si sta formando ritengo possa essere determinante per il raggiungimento degli obiettivi e a volte sopperire alle carenze tecnico - tattiche».
Spostiamo il nostro sguardo sull’universo del calcio femminile. Un universo che cerca da tempo cerca di guadagnarsi lo spazio che merita. «Il calcio femminile sta crescendo, ma ancora a rilento. Per riuscire a emergere bisogna avere più visibilità, che a sua volta arriva coi risultati importanti. Per arrivare ad essi bisogna però lavorare tanto e farlo tutti insieme. Sembra invece che federazione, divisione e club viaggino su binari paralleli, tutti intenti a fare bene nel loro piccolo, ad essere gelosi dei loro traguardi, dimenticandosi che per arrivare in alto bisogna spartire le proprie conoscenze, formare una vera e propria squadra indirizzata verso lo stesso obiettivo».
Sembra anche che il divario economico tra squadre ricche e meno ricche stia diventando molto più accentuato. Quasi ai livelli del calcio maschile. «I soldi nel femminile sono pochi – dice Marta - anche se forse, come dici tu, fino ad ora vi erano due o tre squadre economicamente più forti che potevano permettersi le giocatrici migliori e vincere scudetto e Coppa Italia. Ma nel giro di tre anni al massimo, poi, fallivano o perdevano lo sponsor o chi gli permetteva quel determinato benessere. A parer mio è deleterio un comportamento del genere. Soprattutto in un movimento che non si è ancora affermato. Quest’anno invece tutto sembra essere più equilibrato. Mi chiedo solo se saranno aumentate le possibilità economiche dei club o se le risorse finanziare scarseggiano ovunque così da rendere impossibile l’ingaggio di tante giocatrici di prestigio all’interno di una sola squadra».
Il mondo del calcio ha comunque dato moltissimo a Marta. «Considero il calcio lo specchio della vita. Se non hai la capacità di ribaltare un risultato sfavorevole, di reagire nei momenti di difficoltà, di soffrire per raggiungere un traguardo, anche nel quotidiano sarai un debole, una persona che non ha la capacità di affrontare gli ostacoli, ma preferisce evitarli. Il calcio – racconta - mi sta insegnando proprio questo, e potermi confrontare con persone dello stesso sesso, con le medesime paure, gli stessi problemi, la stessa sensibilità, mi dà la possibilità di maturare e condividere con le ragazze emozioni, dolore, vittorie e sconfitte, cosa che nel maschile non era completamente possibile. Poi sicuramente sono arrivata in una realtà molto diversa dalla precedente, sia perché sono passata da un calcio locale ad uno nazionale e internazionale, sia perché ho cominciato a vivere lo spogliatoio in tutte le sue sfaccettature: dalla felicità dopo una vittoria ai litigi tra compagne, dalla delusione al conforto delle più esperte verso le ragazze più giovani.
Ho avuto la possibilità di conoscere, apprezzare e stimare giocatrici e allenatori: persone che mi hanno dato tanto, a cui io voglio molto bene, e alle quali spero di poter dare grosse soddisfazioni e chissà, magari un giorno, render loro grazie per avermi dato la possibilità di diventare grande. A questo proposito voglio esprimere la mia più grande riconoscenza e gratitudine a tre di queste persone, fondamentali per me: Betty Bavagnoli, Rita Guarino, Giancarlo Padovan».
Ma allora è tutto rose e fiori quest’ambiente? «No. Come in tutti gli ambienti – spiega Marta - c’è sempre qualcosa di negativo. E dal calcio ho imparato anche questo: a non fidarmi e a non credere a tutto ciò che mi si dice, a non illudermi, a saper discernere le persone che tengono a me da quelle false e bugiarde, ad accettare la rottura di rapporti con persone che consideravo leali. Ho conosciuto gente che si avvicina al calcio femminile solo per interessi economici e personali, individui subdoli e meschini che tentano di intrappolarti nella loro rete dalla quale è poi difficile o addirittura impossibile uscirne; esseri umani che ti considerano un oggetto di loro proprietà, da sfruttare fino a quando serve, per poi gettarlo nell’ oblio, quasi dimenticarsene, ma riappropriarsene nel momento in cui qualcun altro vuol prenderlo al loro posto.
Magari tutto ciò cambierà in futuro, un futuro nel quale mi piacerebbe rimanere all’interno di questo movimento, per cercare di farlo emergere sempre più e per poter tramandare alle giovani di domani, quello che oggi compagne e allenatori stanno trasmettendo a me».
Grazie al calcio Marta ha scoperto anche il valore della vera amicizia. «E’ vero. Con due ragazze della Nazionale under 19, ho instaurato un’amicizia stupenda. Sono Veronica Cantoro e Valeria Davoli. Siamo talmente legate che il nostro gruppetto ha persino un nome “Le Orbit” (ride, ndr). A loro va un grazie particolare: sono persone veramente speciali per me».
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