
Telegiornaliste anno XXI N. 26 (805) del 22 ottobre 2025
	
					
Caterina 
	Laita, le mie Centosessanta miglia 
	di 
Giuseppe Bosso 
	
	Abbiamo nuovamente il piacere di incontrare la giornalista
	
Caterina Laita, 
	attualmente volto del tg di
	
	Teleclub Italia, cha ha da poco pubblicato il libro 
Centosessanta 
	miglia - da Lampedusa a Tripoli, edito da Edizioni Mea. L'immigrazione 
	raccontata dal punto di vista di chi ha vissuto il viaggio della speranza 
	verso il nostro Paese, con un ampio excursus sulla legislazione italiana e 
	interviste a esponenti istituzionali con differenti visioni dell'argomento
	
	
	
Possiamo definire Centosessanta miglia un libro d'inchiesta al 
	tempo stesso con storie di vita? 
	«Sì. Tutto parte dall'incontro che ho avuto con uno dei relatori, che è 
	diventato anche un caro amico, Giovannni Tagliaferri, presidente della 
	cooperativa Il Giglio, che mi ha manifestato la volontà di raccontare la 
	storia di un ragazzo, che viene chiamato Madou nel libro, come base di 
	partenza di un libro finalizzato a far conoscere questi aspetti di questo 
	fenomeno così diffuso ma al tempo stesso poco davvero conosciuto. Sono 
	rimasta affascinata dalla sua storia e così ho deciso di iniziare questo 
	lavoro di ricerca che ho voluto rendere il più approfondito possibile, dando 
	spazio a più prospettive senza però propendere per l'una o per l'altra tesi. 
	Così come non credo che sia tutto nero o tutto bianco, anche riguardo 
	l'immigrazione ci sono da parte dei contrapposti schieramenti politici 
	visioni differenti che comunque vanno ascoltate. Spero di essere riuscita ad 
	essere davvero super partes. Ringrazio tutti quelli che mi hanno aiutata, a 
	cominciare dal cavaliere Alessandro Iovino che ha scritto la prefazione, 
	Anzitutto un caro amico da anni, e un giornalista politico e storico 
	biografista». 
	
	
Nei confronti delle persone che con te si sono aperte raccontando le loro 
	storie in fuga dai loro Paesi di origine sei approcciata in maniera diversa 
	rispetto alle donne protagoniste di Venere siamo tutti parti civile?
	
	«Ammetto di sì. Quando incontrai quelle signore, nonostante la cronaca sia 
	un argomento che mastico quotidianamente, mi sono sentita piuttosto 
	impreparata riguardo l'aspetto emozionale. Non è la stessa cosa che 
	raccontare fatti in maniera oggettiva quando sei faccia a faccia con una 
	persona che ha alle spalle una storia dolorosa, che può abbozzarti un 
	sorriso e improvvisamente scoppiare a a piangere. L'approccio con “Madou”e 
	con l'altra persona che mi ha raccontato la sua vita, Fatou, è stato anche 
	emozionante ma con loro sono riuscita a fare un vero racconto di inchiesta 
	senza quel coinvolgimento emotivo del mio primo libro». 
	
	
Dal racconto di Madou emerge anzitutto un aspetto relativo alla 
	percezione che molti popoli africani hanno dell'Italia, anche attraverso 
	racconti tendenzialmente mistificati che la dipingono come un vero e proprio 
	paradiso da raggiungere, per poi, una volta eventualmente riusciti a 
	sopravvivere al calvario del viaggio, scontrarsi con una realtà totalmente 
	diversa; uno scenario che in qualche modo possiamo paragonare a quello che 
	secoli fa molti italiani avevano dell'America. Eppure la storia ci insegna 
	che le migrazioni, gli spostamenti da Paesi a Paesi, da continenti a 
	continenti, sono una costante che da sempre ha caratterizzato l'essere 
	umano, paradossalmente però sembra che gli uomini di oggi non abbiano 
	pienamente assimilato questa idea, concordi? 
	«Sarcasticamente dico che l'uomo ha memoria lunga quando conviene ricordare 
	ma a breve termine quando deve dimenticare. Anche l'Italia ha vissuto un 
	periodo di immigrazione verso l'America, e certamente non si può dire che 
	siamo stati docili in quel periodo storico. Puntare il dito e fare questa 
	associazione di idee immigrato=criminale mi porta a dire “
Ok ma quanti 
	sono i criminali italiani?”». 
	
	
Storia di persone, ma anche un excursus sulla legislazione italiana che 
	negli anni ha più volte cercato, non sempre in maniera adeguata, di 
	regolamentare la materia. Quali sono, per le ricerche che hai fatto, i punti 
	peggio regolamentati e quelli sui quali si poteva intervenire meglio?
	
	«Sicuramente c'è molto da fare nella regolamentazione degli attracchi delle 
	navi nei porti e di supporto La storia di Madou con tutte le sue peripezie, 
	a cominciare dia giorni trascorsi letteralmente tra le onde, e poi i 
	problemi linguistici che ha dovuto affrontare venendo in Italia daranno al 
	lettore un'idea davvero in prima linea, Insomma ci sono aspetti che vanno 
	anzitutto chiariti a mio parere». 
	
	
Hai dedicato ampio spazio a figure istituzionali, che hai intervistato, 
	come il prefetto Morcone, il dottor Tagliaferri di cui hai parlato 
	all'inizio e il senatore della Lega Gianluca Cantalamessa, dando 
	praticamente voce non solo a storie diverse ma anche a prospettive e idee 
	diverse. Non potrai certo essere accusata di aver scritto un libro, per così 
	dire, di parte o 'fazioso'. 
	«Assolutamente no. Ho lasciato parlare tutti. Cantalamessa è riuscito a 
	chiarire benissimo alcuni punti che potevano risultare non condivisi 
	all'opinione pubblica. È importante saper ascoltare tutte le parti e dare 
	loro la possibilità di esprimere le loro opinioni, che possiamo magari non 
	condividere, ma devono comunque avere la possibilità di poterle esprimere».
	
	
	
Qual è stato finora il riscontro che hai avuto, anche attraverso le 
	presentazioni che hai fatto? 
	«Ho fatto la prima presentazione presso la Regione Campnania, purtroppo al 
	momento per impegni lavorativi non sono riuscita ad andare oltre. Ho 
	comunque ricevuto feedback positivi da chi mi ha detto di averlo ordinato e 
	letto con attenzione, e non posso che esserne lieta». 
	
	
Quando
	ti intervistai per Venere mi dicesti che non avevi fatto leggere il 
	libro a tuo figlio, allora undicenne. Oggi che è più grande e che 
	probabilmente ha modo tramite la scuola o altri luoghi di incontro di 
	confrontarsi con suoi coetanei a loro volta immigrati o figli di persone che 
	sono venute in Italia alla ricerca di migliori condizioni di vita è stato 
	diverso? 
	«Sì l'ha letto e si è incuriosito, anche lui come tanti si chiede “ma perché 
	parliamo ancora di immigrato e di italiano?” Per lui non esistono queste 
	differenze, razziali o di altro tipo. Preferisco che sia così, che si faccia 
	delle sue idee contando anche sul supporto del lavoro dei genitori che sia 
	pure su versanti diversi operano nel mondo dell'informazione e della 
	comunicazione». 
	
	
Passando al tuo lavoro di giornalista, come hai vissuto il passaggio a 
	Teleclub Italia dopo l'esperienza a Campi Flegrei dove eri coinvolta anche 
	in ambito gestionale? 
	«Il mio incontro con la realtà di Teleclub Italia nasce quando ero addetto 
	stampa dell'attuale sindaco di Quarto Antonio Sabino lo accompagnai per 
	un'intervista da fare con il direttore Giovani Francesco Russo, che ha una 
	gestione molto ordinata e coerente dell'emittente soprattutto nell'impostare 
	una linea editoriale senza sbavature. Ho iniziato con entusiasmo questa 
	avventura, trovando colleghi di grande valore, augurando grandi successi ai 
	colleghi di Campi Flegrei con ccui si sono interrotti i rapporti». 
	
	
Caterina, siamo alla nostra quarta chiacchierata e rileggendo le nostre 
	precedenti interviste: la
	prima volta mi dicesti di essere una giornalista a volte un po'scontrosa 
	ma che per te rappresenta una corazza necessaria per farsi spazio in un 
	mondo a volte ipocrita come tu non riesci ad essere; la
	seconda volta ti chiesi, proprio dieci anni fa, come ti saresti vista 
	oggi che avresti voluto costruire qualcosa con tuo marito in ambito 
	lavorativo, ed è stato così; e l'ultima volta di sentirti prendere per mano 
	tuo figlio vedendo una società in evoluzione con lo spirito di una 
	ragazzina. Oggi? 
	«Ne è passata davvero di acqua sotto i ponti dal nostro primo incontro... la 
	seconda volta mi trovasti in una fase di standby dopo la nascita di mio 
	figlio; diciamo che siamo passati attraverso degli step naturali che 
	riguardano la vita di ognuno di noi. Riguardo il lavorare con mio marito col 
	senno di poi penso sia meglio che ognuno faccia il proprio percorso, anche 
	per litigare di meno (ride, ndr). Oggi posso dire di essere la donna che si 
	vedeva adesso quando aveva venti, trenta anni di meno, ma avendo maturato, 
	consentimi l'espressione, quella 'cazzimma' che non avevo quando a vent'anni 
	misi per la prima volta piede in uno studio televisivo che oggi taglia il 
	traguardo del quarto di secolo da giornalista. Posso dire di essermi fatta 
	strada da sola senza dover chiedere nulla a nessuno». 
	
	
Hai accantonato la recitazione, che al tempo delle nostre prime 
	chiacchierate praticavi conciliandola con il giornalismo? 
	«Sì, al momento ho dovuto metterla da parte, anzitutto per ragioni di tempo 
	a disposizione. Ognuno ha i suoi ritmi, ho dovuto lasciare la compagnia. 
	Dopo l'esperienza della Compagnia Stabile del Troisi abbiamo rimesso in 
	scena qualcosa ma purtroppo quando è venuto a mancare il nostro regista 
	Gianni Villani e questo ha rotto quegli equilibri che si stavano ricreando. 
	Al momento ho accantonato, per il futuro mai dire mai». 
	
	
Chiudiamo con una serie di domande a raffica.Ti hanno mai.... 
	«1) ostacolata? Sì 2) costretta a dire cose che non pensavi? No 3) 
	minacciata? Ni. 4) censurata? No 5) imbavagliata come giornalista? Ci hanno 
	provato ma non gliel'ho permesso. Non credo ci possano mai riuscire, perché 
	laddove decido di parlare vado fino in fondo. Se non parlo è perché ho 
	deciso di non farlo. 6) imbavagliata come attrice? No, anzi».