Le croci
dell’informazione
di Filippo Bisleri
Fare informazione è difficile, difficilissimo. Provate a leggere quante “croci”
hanno segnato anche l’ultimo anno del mondo del giornalismo spulciando il
rapporto di “Reporter sans frontieres” e si capirà quanto, ancora oggi,
quando ci si appresta a ricordare l’anniversario di un grande giornalista
italiano (Walter Tobagi) ucciso dai terroristi a Milano, sia difficile
poter documentare i fatti. Iraq ma non solo, i teatri di morte dei
giornalisti italiani e non; di volontari italiani e non: mentre la
soldatessa di Abu Ghraib se la cava con un cartellino giallo, la giornalista
Florence Aubenas resta nelle mani dei rapitori, la volontaria Clementina Cantoni
altrettanto, a Kabul. Ma le brutture, le ingiustizie, il pericolo non fanno
demordere chi, sempre e comunque, vuole fare informazione e vuole portare aiuto.
Passando nel nostro piccolo mondo locale, osserviamo poi come ci siano stelle,
nel mondo del giornalismo, che cominciano a splendere in silenzio e
continuano il loro lento ed inesorabile cammino di affermazione all’interno del
sempre più spinoso mondo dell’informazione. Stiamo parlando, in questo caso,
della bionda Martina Maestri. Che, settimana dopo settimana, si afferma
come una delle più belle realtà del panorama informativo. Un mondo
dell’informazione sempre più tinto di rosa e di un rosa sempre più di qualità.
Avremmo voluto parlare, la scorsa settimana, anche del “pessimo servizio
informativo” della Sanipoli che ha “girato” ad arte un fuori onda con il
presidente della Lega calcio, Adriano Galliani, allo scopo, presumiamo,
di fare audience. Eh no, così non si fa giornalismo. Meglio lo stile e
l'esigenza di fare informazione vera di un grande professionista come
Toni Capuozzo.
Meglio lo stile calmo e sereno della Maestri o quello "agitato" ma mai
urlato della
Zanella.
Oppure, la citiamo anche se questa settimana non è riuscita a salire sul podio,
la garbata conduzione di
Cinzia Fiorato
cui forse spetterebbero spazi maggiori.
Spazi che, invece, ha avuto fin troppo a disposizione il “bel”
Giorgino,
sempre più showman e sempre meno anchorman, appena incappato in una sospensione
professionale. La gente chiede professionalità, chiede informazione, chiede
chiarezza. Se non le trovano, abbandoneranno i tg e sceglieranno i reality show,
le fiction, le soap operas.
La gente chiede informazione... Come quella che “Telegiornaliste” propone
anche questa settimana con la seconda delle quattro puntate di avvicinamento al
referendum. Così diamo il nostro contributo per porre fine al silenzio stampa
che magari fa vincere nel calcio, ma che sconfigge la democrazia. E,
parafrasando l’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro,
“Telegiornaliste” «non ci sta».
MONITOR Maestri, un diamante a bordocampo di Filippo Bisleri
Martina Maestri è nata a
Milano; ha intrapreso la carriera di giornalista sportiva lavorando inizialmente
per una rivista specializzata in sport invernali (è molto attratta dal mondo
degli sport sulla neve e sul ghiacchio). È poi passata, con grande successo
anche di critica, al giornalismo televisivo, prima con Mediaset, nella redazione
sportiva di Italia 1 e successivamente a Tele+. Attualmente lavora per Sky Sport
dove si occupa prevalentemente di calcio.
Pur formatasi duramente con la gavetta sul campo, la brava Maestri
non riesce a scrollarsi di dosso un neo che, per una telegiornalista sempre in
prima linea come lei, può rivelarsi alla lunga un handicap: la grande
timidezza. Già, perché Martina Maestri, pur sempre pronta,
molto bella, e mai sopra le righe nei suoi interventi, è, nella vita
quotidiana, una persona molto timida. Strano a dirsi, per una telegiornalista
abituata a fronteggiare da pochi passi i big della pedata italica e
internazionale, ma Martina è proprio così.
Timida al punto da quasi rifiutare un premio sportivo perché, a suo dire,
«molte colleghe sono più brave di me e poi io sfigurerei con tante brave e belle
colleghe». Già, perché la Maestri, che magari in video appare come la
spavalda telegiornalista che stoppa Ancelotti o Capello o ancora Shevchenko o
Trezeguet è una ragazza estremamente simpatica e cordiale. È la ragazza
della porta accanto, una donna che continua incessantemente a lavorare su se
stessa per essere all’altezza delle diverse sfide professionali che le si
pongono davanti e, allo stesso tempo, non vuole perdere il contatto con la sua
realtà: quella fatta dalle piccole incombenze di ogni giorno, dalle amicizie,
dalla capacità di sapersi sempre mettere in gioco senza ritenersi la più brava o
la più bella.
Certo Martina Maestri potrebbe anche, a ragione, vantare una grande
bravura professionale e una bellezza naturale, ma non punta su questo. Per
cercare di portare il pubblico a seguire le sue trasmissioni punta sulle
notizie. Che presenta sempre nel modo più chiaro e diretto possibile. E
questo, crediamo, è il segreto del successo di una telegiornalista che Sky
dovrebbe valorizzare di più. A Mediaset se la sono fatta scappare… Sky non
ripeta l’errore: perderebbe un diamante di inestimabile valore.
E non ci dispiace se, leggendo quest’articolo, la brava e bella Martina
Maestri certamente sarà arrossita sotto la sua folta chioma bionda.
CAMPIONATO Gioie e dolori di Rocco Ventre
Nel girone 1 Panella,
Moreno, D'Amico e Mattei sono
irraggiungibili e pertanto sicure di disputare i quarti di finale dei play-off.
La prima retrocessione ufficiale del girone è invece quella di Rula Jebreal che
nel prossimo campionato parteciperà al torneo di serie B.
Nel girone 2 arriva la certezza dei quarti di finale per
Luisella Costamagna e Maria G. Capulli (quest'ultima grazie alle
vittorie negli scontri diretti con le inseguitrici); Francesca Todini è vicina
al traguardo, mentre la concomitante sconfitta di Vanali e Di Gati rimette in
gioco Guerra e Gasparini per il quarto posto. Dopo Setta e Bertelli arriva la
matematica retrocessione anche per Ferrario e Pannitteri.
CRONACA IN ROSA Tre donne. Tre vite diverse.
Tre nazionalità diverse, che in questi
giorni, e in quelli passati, sono sulle prime pagine dei nostri giornali.
di Tiziana
Ambrosi
Clementina
Cantoni. 32 anni. Il suo nome compare nelle veline delle agenzia di stampa
come un fulmine a ciel sereno: "Rapita italiana a Kabul". E per l'Italia
intera (nonostante su alcuni telegiornali sia molto più importante la vittoria
di Scapagnini a Catania, a celebrare una sorta di elisir di nuova vita), ritorna
l'incubo rapimenti e l'angoscia. Ancora una donna, ancora una operatrice di
pace.
Nel momento in cui scriviamo, la vicenda non è conclusa, alcuni contatti pare
siano stati avviati, e colpisce vedere le "vedove di Kabul", alcune
coraggiosamente a viso scoperto, in un paese in cui non ci sono più i talebani
al potere, ma i pregiudizi sì, mostrare le foto di Clementina, con pianti e
lamentazioni che per il loro suono con suggestione richiamano alla memoria le
prefiche. Sabrina Harman. 27 anni. Riservista dell'esercito
statunitense e pesantemente coinvolta nello "scandalo", per usare un termine
politically correct, delle tornure nella prigione iraqena di Abu Ghraib,
edificio del terrore sotto il regime di Saddam e a quanto pare anche sotto il
controllo dell'esercito americano. Giusto per rispolverare velocemente la
memoria, Sabrina Harman è quella soldatessa che posava sorridente e con i
pollici alzati davanti al cadavere di un prigioniero iraqeno. La Corte Marziale
statunitense, foro competente, ha deciso per lei una condanna a 6 mesi.
Una sentenza tutt'altro che esemplare, che fa sorgere il legittimo dubbio: che i
soldati americani possano adottare qualsiasi metodo per interrogare e trattare i
prigionieri. Forse non impunità, ma comunque una sorta di alleggerimento
psicologico per i soldati stanchi e provati che ancora combattono in Iraq.
Florence Aubenas. 44 anni. Citata per ultima, ma solo perchè il ricordo ne
rimanga più impresso. La giornalista francese di Libèration venne rapita
nei primi giorni di gennaio assimeme al suo traduttore Hussein. Di lei non si
hanno più notizie. Il ricordo si ferma al drammatico video diffuso dalle
emittenti di tutto il mondo, i primi giorni di marzo, poco prima che un'altra
giornalista, Giuliana Sgrena, venisse drammaticamente liberata. Capelli
arruffati, occhi tristi e stanchi, dimagrita, uno sfondo rosso e un primo piano
implorante aiuto. Così per ora la ricordiamo, sperando di poter rivedere quel
sorriso che campeggia sui poster disseminati per la Francia.
CRONACA IN ROSA Dì quello che pensi e sarai sospeso di Fiorella Cherubini
In molti, certo, ricorderanno che - appena vinte le elezioni - il nostro Premier
Silvio Berlusconi, durante un soggiorno a Sofia, in Bulgaria, non tardò a
manifestare la sua irrevocabile decisione di voler epurare Biagi e
Santoro dalla Rai; fu poi la volta del “benvoluto”, ormai ex, direttore del
tg5 Enrico Mentana, il cui allontanamento dalla testata giornalistica di
Mediaset avvenne attraverso il consueto meccanismo della promozione/rimozione…ed
ora la striglia tocca a
Giorgino.
“Il pesce grande mangia quello piccolo”: forse proprio con questa perla
di saggezza popolare esordirebbe il vecchio Padron ‘Ntoni dei Malavoglia
alla luce di quanto recentemente accaduto nella redazione di Rai 1.
Clemente Mimun, difatti, nella sua posizione di direttore del Tg1 -
risentito per alcune dichiarazioni rilasciate durante un’intervista dal suo
collega Francesco Giorgino, ha prontamente reagito comminando la
sospensione del giornalista dalla conduzione del giornale.
Tale decisione/punizione, ampiamente criticata dal comitato di redazione del Tg1
e da altri enti quali Fnsi, Usigrai, ecc., è sopravvenuta a seguito del
disappunto dimostrato dal giornalista pugliese circa i modi di diffusione delle
notizie e di gestione dei relativi servizi: politicamente pilotati, abilmente
taroccati e magistralmente assemblati per celare le magagne dei numerosi comizi
tenuti dai nostri parlamentari.
Esisterà, dunque, un confine tra obblighi contrattuali, libertà di
manifestazione del pensiero(tra l’altro, costituzionalmente garantita dall’art
21) e abuso di potere? Ai tapiri di Striscia l’ardua sentenza.
Nell’attesa di una risposta esaustiva, un altro interrogativo, prepotente,
s’impone.
Se la tanto decantata democrazia - di cui l’Italia dovrebbe essere un rinomato
tedoforo - viene ripetutamente inquinata da palesi e subdole forme di
“dittatura”, in questo caso mediatica, parliamo davvero di una situazione di
fatto realmente consolidata, o solo dell’embrione di un ideale ancora molto
lontano?
CRONACA IN ROSA 12 e 13 giugno 2005: Referendum sulla procreazione
assistita
di Silvia Grassetti
Prosegue l’appuntamento settimanale di approfondimento dei quesiti
referendari del 12 e 13 giugno prossimi. Purtroppo l’informazione sul
prossimo referendum in merito alla procreazione assistita è praticamente
assente dalla televisione e dagli organi di comunicazione di massa. Si
tratta di un argomento complesso, ma un dato su tutti deve farci riflettere: se
i cittadini non si recheranno a votare, non avranno più la possibilità di
modificare la Legge 40/2004.
Al di là delle prese di posizione moralistiche, cattoliche o progressiste,
crediamo che un semplice orientamento vada riconosciuto: il diritto
all’autodeterminazione, ovvero la libertà della donna, in primis, della coppia,
in secondo luogo, di decidere su un tema tanto personale e intimo da rendere
fuori luogo qualsiasi ingerenza esterna volta a impedire l’accesso alle cure
all’avanguardia, o, peggio, che metta a rischio la salute dei cittadini.
Il nostro intento è sopperire, per quanto possibile, al silenzio
stampa mediatico, fornendo ai nostri lettori alcuni ragguagli sui quattro
quesiti referendari del giugno prossimo.
Nel numero
precedente abbiamo affrontato il primo quesito referendario. E’ ora la volta del
Secondo quesito referendario:
Per la tutela della salute della donna.
La Legge attualmente in vigore prevede che si possano fecondare al massimo
tre embrioni per ogni trattamento. Questo comporta un’alta probabilità di
insuccesso della cura, l’innalzamento dei costi (ciascun intervento in
strutture private ha prezzi da 1.500 euro in su), il sottoporsi ripetutamente,
per la donna, a stress, disagi, nuovi cicli di cure.
La Legge 40/2004 impedisce inoltre che l’embrione venga esaminato prima di
essere impiantato nell’utero dell’aspirante mamma. Ciò comporta l’impossibilità
per le coppie portatrici di malattie genetiche di prevenire la trasmissione
della malattia stessa al nascituro. Infine, una volta iniziato l’iter curativo,
non si ha la facoltà di cambiare idea: l’ovulo fecondato deve per legge
esserle impiantato nell’utero anche nel caso in cui la donna non rinnovi il
consenso.
Votando ”sì” si indica la propria volontà a modificare gli articoli di
legge relativi, permettendo alla donna, e alla coppia, di stabilire le modalità
più adeguate per diventare mamma (e papà).
FORMAT Telegiornaliste/i
+ Telegiornaliste/i -
di Filippo Bisleri
Apriamo questa settimana il podio con la più soave voce e il
più bel viso di telegiornalista che si possa ammirare sui campi di calcio:
Martina Maestri. L’ex Tele+, ora in forza a Sky, a dispetto di un’innata
timidezza, settimana dopo settimana si conferma come una delle più valide
giornaliste della redazione sportiva di Sky. Meriterebbe, secondo la nostra
valutazione, qualche conduzione in studio… Sempre molto professionale, la
Maestri è da prendere a modello per le interviste nel pre- e post- partite e
negli interventi da bordocampista. Complimenti. Un meritatissimo “8.5”.
Buone performances sta mettendo in mostra anche
Federica Zanella a Telelombardia. La nostra Zanella ha saputo ben
sfruttare il palpitante momento di fine campionato e delle fasi finali delle
coppe nazionali ed europee per mostrare di essere una delle telegiornaliste
cresciute nella gavetta alla scuola del maestro David Messina, oggi in
forza a “Canale Italia”.
La Zanella, dopo lo scivolone diplomatico legato alle affermazioni sulla
sua mancata conoscenza di
Eleonora De Nardis e l’eliminazione dal campionato di serie B di Telegiornaliste sta riguadagnando preziosi consensi… E,
soprattutto, sta attraversando una felice fase professionale. Complimenti.
Secondo gradino del podio e un bel “7”.
I fatti siciliani ci stanno rivelando, attraverso le varie edizioni del Tg5, Valentina Loiero. Una brava tgista che si sta imponendo
all’attenzione del pubblico che ne apprezza sempre di più i servizi. Anche in
casa Mediaset, sia il vertice editoriale sia quello giornalistico (Carlo
Rossella) apprezzano sempre di più la sensibile crescita professionale
della brava e bella Valentina. Che merita il suo primo podio stagionale
certi che, presto, la ritroveremo sui gradini più alti… Crediamo possa aspirare
anche al più alto di tutti: deve solo crederci lei stessa e vincere la sua
timidezza. Per ora terzo posto con un bel “6.5”.
Iniziamo il contropodio con la telegiornalista Adriana Volpe. Ci
domandiamo ogni settimana di più cosa ci azzecchi nelle trasmissioni televisive
che la vedono protagonista. Non è certo un vanto la sua appartenenza all’Ordine
dei giornalisti. Anche perché ultimamente sembra in grado di gareggiare
solamente contro Flavia Vento che, come il cognome recita, è proprio una
realtà effimera. Per la Volpe gradino più basso del contropodio con un sonoro
“4.5”.
Se non conoscessimo l’organizzazione del Tg5 ci sarebbe da chiedersi perché un
telegiornalista come Alessandro Ongarato riesca nella costante impresa di
rendere notiziabili anche fatti del tutto insignificanti. Le
ultime performances del nostro Ongarato certo non lo portano a brillare sul
podio e allora ecco pronto per lui un gradino del contropodio… Per lui un “5”
sperando che, in futuro, possa offrire davvero servizi di qualità. O tutti
lasceranno il Tg5 e aspetteranno le notizie da “Striscia”.
Non ci saremmo mai aspettati di doverlo fare, ma un gradino del contropodio
dobbiamo assegnarlo a
Siria Magri
che, nelle ultime conduzioni di “Studio Aperto” ha collezionato una serie di
strafalcioni da guinness. Memorabile la puntata di domenica 8 maggio con ben
5 gaffes nel medesimo annuncio di notizia. Ma ultimamente la brava e bella Siria
sembra sentire molto la primavera… Peccato, perché è un’ottima giornalista. La
rimandiamo alle prossime conduzioni e ai prossimi servizi con il gradino più
alto del contropodio e un benevolo “5.5”.
TELEGIORNALISTI Capuozzo, “Terra!” chiama verità
di Filippo Bisleri
Ci piace e ci convince sempre di
più Toni Capuozzo, ornai un’autentica colonna del Tg5 e, soprattutto di
“Terra!”. Il contenitore di approfondimento “made in Tg5” è sempre curato,
preciso, puntuale. E tutto questo grazie a Toni Capuozzo, che si conferma un
giornalista vero, uno di quelli che il mestiere lo sanno fare e che sanno
spiegare alla gente i fatti, le vicende, il mondo.
E Capuozzo non fa solo “Terra!”, ma si spinge in prima persona, come
l’inviato di guerra di un tempo (una figura che purtroppo è sempre più merce
rara, come insegnano i falsi giornalistici di casa Cnn durante la prima guerra
del Golfo): questo aiuta la gente ad amare Capuozzo e Capuozzo a farsi amare
dalla gente. Nel 2004 la città di Arona, in un Premio giornalistico che vantava
in giuria anche il grande Ettore Mo, ha scelto proprio Toni Capuozzo,
insieme a Giovanna Botteri, per il “premio alla carriera”. Ha scelto due cronisti
veri, due inviati autentici.
La storia professionale di Capuozzo è fitta di medaglie. Diverse poco note,
altre un po’ di più. Ma Capuozzo è un personaggio schivo, che non ama mettersi
in vetrina. Ama che la vetrina sia riservata alla verità, a quella verità che ha
più volte, anche in questi mesi di cronache dall’Iraq e del post Iraq,
dimostrato di amare e di volere che il “suo” pubblico ami. Perché un pubblico
che ama la verità ama il mondo, sa mettersi in gioco e dialogare con gli altri
senza remore e senza preclusioni.
Capuozzo insegna dunque molto ai giovani giornalisti, ai giovani
che incontra mentre, nelle scuole di giornalismo, si attrezzano per fare gli
inviati o i grandi giornalisti di domani. E la lezione che Capuozzo trasmette
loro è sempre la stessa: amate la verità e raccontate senza reticenze.
È il segreto del giornalismo vero, è il segreto dell’inviato Capuozzo. Che non è
un soldato semplice, ma un generale dell’informazione. Grazie, Toni.
EDITORIALE
Tante croci e
nessuna delizia per il giornalismo di guerra
di
Tiziano Gualtieri
Cinquantatre nuove croci nel campo santo dell'informazione nel
2004, già ventidue quest'anno. Settantacinque giornalisti che, spinti
dalla voglia di diffondere parole, immagini, suoni delle persone che - a
causa della guerra, della violenza o dei regimi totalitari - non potevano più
farlo, sono state zittite dalla censura della morte.
Dal primo giorno che sancì l'inizio della guerra in Iraq, quel lontano 22 marzo
2003 in cui perse la vita il cameraman Paul Moran
dell'ABC, sono stati cinquantanove i reporter che hanno visto la loro
vita stroncata mentre tentavano di fare ciò che più piaceva loro: vedere e
raccontare le cose in prima persona.
Nessun albergo, nessun balcone da cui guardare dall'alto a volte
embedded
dietro le tende; il loro lavoro è sotto il sole cocente, lungo le
strade percorse con il rumore della guerra o mano nella mano con l'odore della
morte. Nessun atteggiamento da vip o da superstar. Per il giornalista di
guerra l'unica cosa che conta è raccontare le cose come stanno:
senza filtri, senza pressioni, senza inquadramenti.
Il giornalista che decide di andare a raccontare la guerra, sa a
cosa va in contro, non è uno sciocco, solo chi non ha capito nulla
dell'importanza del suo ruolo va a cercare la morte. Eppure, a volte, è la
morte che viene a cercare lui.
Così, d'improvviso, abbiamo scoperto - ancora una volta - che la guerra non
risparmia neppure chi sta solamente cercando di dar voce alla verità. Nessuna
guerra è esente dal consueto pegno di sangue che l'informazione deve
pagare, colpevole semplicemente di voler fare, bene, il proprio lavoro. E non ne
è esente nessuno Stato: i giornalisti rimasti vittime della
violenza provengono un po' da tutto il mondo, anche se la triste palma di
chi più paga dazio va - con il sessantasei per cento delle vittime - per assurdo
all'Iraq, Paese che fino alla caduta di Saddam non godeva neppure della libertà
di stampa.
Che l'informazione ricopra un ruolo sempre più importante nei luoghi teatro di
guerra, è dimostrato dai dati: cinquantanove i caduti in Iraq,
sessantatré in vent'anni di guerra nel Vietnam, quarantanove nei cinque
anni di conflitto che ha smembrato la vecchia Jugoslavia, cinquantasette
durante il sanguinoso periodo che vide l'Algeria, tra il 1993 e il 1996,
sconvolta da una sanguinosa guerra civile.
Oltre duecento vittime in soli quattro conflitti negli ultimi 45 anni; eppure
l'esercito di giornalisti continua nel suo importante lavoro necessario per
fornire notizie. E l'annuale rapporto di Reporters sans Frontieres
riguarda anche la cosiddetta e allarmante caccia al giornalista.
Si, perché in tutto il mondo - anche se in Iraq si è assistito a una
recrudescenza del fenomeno - l'operatore dell'informazione è diventato
preziosa merce di scambio. Per quanto riguarda i rapimenti di
giornalisti, infatti, il conflitto iracheno è di gran lunga il peggiore di tutti
quelli del passato: ventitré uomini e sei donne sequestrati. Delle ventinove
vittime della censura del rapimento, quattro sono stati uccisi.
Tra questi Enzo Baldoni ucciso il 26 agosto scorso. Venti, invece, quelli
liberati, e anche qui l'Italia marca il cartellino con Giuliana Sgrena
liberata il 4 marzo scorso. Attualmente ancora cinque si trovano in mano dei
rapitori: la francese
Florence Aubenas, rapita il 5 gennaio insieme all'iracheno Hussein
Hannon al Saadi, ed i tre giornalisti rumeni - due uomini ed una donna -
sequestrati il 28 marzo scorso.
Ma non sono solo i territori di guerra a fare vittime. Nell'anno appena
trascorso, sono oltre 900 i gionalisti imprigionati e privati della
libertà di stampa perché non accondiscendenti con i vari governi o con i
numerosi padri-padroni di associazioni più o meno legali: i "predatori" vengono
da Cina, Cuba, Colombia, Bangladesh, Nepal, Libia, Eritrea, Zimbabwe, Siria,
Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi, Iran, Turkmenistan, Corea del Nord,
Nepal, Birmania, Laos e Vietnam.
A allora, spesso, succede di sentire persone "normali" chiedersi perché
andare in quei luoghi, pur sapendo di rischiare la vita. Ancora più spesso è
facile ascoltare risposte semplicistiche che indicano nella voglia di fornire
notizie non di propaganda la motivazione. Pochi, quasi nessuno, forniscono la
risposta più ovvia e normale: il richiamo forte non è dato dalla rincorsa
alla fama, dalle ideologie o dal sogno di fare un "regalo" alla collettività.
Chi dedice di partire, lo fa solo per quell'insana volontà di capire in
prima persona, di raccontare, di dare voce a chi non ce l'ha.
Nessuna immagine romanzata del giornalista paladino della giustizia, quindi, ma
più semplicemente una persona che crede nel suo lavoro e cerca di farlo nel
miglior modo possibile.
A volte, però, capita che la vigliaccheria di persone senza scrupoli,
armi di forbici le mani di chi è sempre pronto a recidere il filo sottile
che divide la vita dalla morte; e a quel punto c'è un altro nome che si va ad
aggiungere alla grande redazione composta da chi non c'è più.
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