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Telegiornaliste N. 6 del 23 maggio 2005


Le croci dell’informazione di Filippo Bisleri

Fare informazione è difficile, difficilissimo. Provate a leggere quante “croci” hanno segnato anche l’ultimo anno del mondo del giornalismo spulciando il rapporto di “Reporter sans frontieres” e si capirà quanto, ancora oggi, quando ci si appresta a ricordare l’anniversario di un grande giornalista italiano (Walter Tobagi) ucciso dai terroristi a Milano, sia difficile poter documentare i fatti. Iraq ma non solo, i teatri di morte dei giornalisti italiani e non; di volontari italiani e non: mentre la soldatessa di Abu Ghraib se la cava con un cartellino giallo, la giornalista Florence Aubenas resta nelle mani dei rapitori, la volontaria Clementina Cantoni altrettanto, a Kabul. Ma le brutture, le ingiustizie, il pericolo non fanno demordere chi, sempre e comunque, vuole fare informazione e vuole portare aiuto.
Passando nel nostro piccolo mondo locale, osserviamo poi come ci siano stelle, nel mondo del giornalismo, che cominciano a splendere in silenzio e continuano il loro lento ed inesorabile cammino di affermazione all’interno del sempre più spinoso mondo dell’informazione. Stiamo parlando, in questo caso, della bionda Martina Maestri. Che, settimana dopo settimana, si afferma come una delle più belle realtà del panorama informativo. Un mondo dell’informazione sempre più tinto di rosa e di un rosa sempre più di qualità.
Avremmo voluto parlare, la scorsa settimana, anche del “pessimo servizio informativo” della Sanipoli che ha “girato” ad arte un fuori onda con il presidente della Lega calcio, Adriano Galliani, allo scopo, presumiamo, di fare audience. Eh no, così non si fa giornalismo. Meglio lo stile e l'esigenza di fare informazione vera di un grande professionista come Toni Capuozzo.
Meglio lo stile calmo e sereno della Maestri o quello "agitato" ma mai urlato della
Zanella. Oppure, la citiamo anche se questa settimana non è riuscita a salire sul podio, la garbata conduzione di Cinzia Fiorato cui forse spetterebbero spazi maggiori.
Spazi che, invece, ha avuto fin troppo a disposizione il “bel”
Giorgino, sempre più showman e sempre meno anchorman, appena incappato in una sospensione professionale. La gente chiede professionalità, chiede informazione, chiede chiarezza. Se non le trovano, abbandoneranno i tg e sceglieranno i reality show, le fiction, le soap operas.
La gente chiede informazione... Come quella che “Telegiornaliste” propone anche questa settimana con la seconda delle quattro puntate di avvicinamento al referendum. Così diamo il nostro contributo per porre fine al silenzio stampa che magari fa vincere nel calcio, ma che sconfigge la democrazia. E, parafrasando l’ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, “Telegiornaliste” «non ci sta».


MONITOR Maestri, un diamante a bordocampo di Filippo Bisleri

Martina Maestri è nata a Milano; ha intrapreso la carriera di giornalista sportiva lavorando inizialmente per una rivista specializzata in sport invernali (è molto attratta dal mondo degli sport sulla neve e sul ghiacchio). È poi passata, con grande successo anche di critica, al giornalismo televisivo, prima con Mediaset, nella redazione sportiva di Italia 1 e successivamente a Tele+. Attualmente lavora per Sky Sport dove si occupa prevalentemente di calcio.
Pur formatasi duramente con la gavetta sul campo, la brava Maestri non riesce a scrollarsi di dosso un neo che, per una telegiornalista sempre in prima linea come lei, può rivelarsi alla lunga un handicap: la grande timidezza. Già, perché Martina Maestri, pur sempre pronta, molto bella, e mai sopra le righe nei suoi interventi, è, nella vita quotidiana, una persona molto timida. Strano a dirsi, per una telegiornalista abituata a fronteggiare da pochi passi i big della pedata italica e internazionale, ma Martina è proprio così.
Timida al punto da quasi rifiutare un premio sportivo perché, a suo dire, «molte colleghe sono più brave di me e poi io sfigurerei con tante brave e belle colleghe». Già, perché la Maestri, che magari in video appare come la spavalda telegiornalista che stoppa Ancelotti o Capello o ancora Shevchenko o Trezeguet è una ragazza estremamente simpatica e cordiale. È la ragazza della porta accanto, una donna che continua incessantemente a lavorare su se stessa per essere all’altezza delle diverse sfide professionali che le si pongono davanti e, allo stesso tempo, non vuole perdere il contatto con la sua realtà: quella fatta dalle piccole incombenze di ogni giorno, dalle amicizie, dalla capacità di sapersi sempre mettere in gioco senza ritenersi la più brava o la più bella.
Certo Martina Maestri potrebbe anche, a ragione, vantare una grande bravura professionale e una bellezza naturale, ma non punta su questo. Per cercare di portare il pubblico a seguire le sue trasmissioni punta sulle notizie. Che presenta sempre nel modo più chiaro e diretto possibile. E questo, crediamo, è il segreto del successo di una telegiornalista che Sky dovrebbe valorizzare di più. A Mediaset se la sono fatta scappare… Sky non ripeta l’errore: perderebbe un diamante di inestimabile valore.
E non ci dispiace se, leggendo quest’articolo, la brava e bella Martina Maestri certamente sarà arrossita sotto la sua folta chioma bionda.


CAMPIONATO Gioie e dolori di Rocco Ventre

Nel girone 1 Panella, Moreno, D'Amico e Mattei sono irraggiungibili e pertanto sicure di disputare i quarti di finale dei play-off. La prima retrocessione ufficiale del girone è invece quella di Rula Jebreal che nel prossimo campionato parteciperà al torneo di serie B.
Nel girone 2 arriva la certezza dei quarti di finale per Luisella Costamagna e Maria G. Capulli (quest'ultima grazie alle vittorie negli scontri diretti con le inseguitrici); Francesca Todini è vicina al traguardo, mentre la concomitante sconfitta di Vanali e Di Gati rimette in gioco Guerra e Gasparini per il quarto posto. Dopo Setta e Bertelli arriva la matematica retrocessione anche per Ferrario e Pannitteri.


CRONACA IN ROSA Tre donne. Tre vite diverse.  Tre nazionalità diverse, che in questi giorni, e in quelli passati, sono sulle prime pagine dei nostri giornali. di Tiziana Ambrosi

Clementina Cantoni. 32 anni. Il suo nome compare nelle veline delle agenzia di stampa come un fulmine a ciel sereno: "Rapita italiana a Kabul". E per l'Italia intera (nonostante su alcuni telegiornali sia molto più importante la vittoria di Scapagnini a Catania, a celebrare una sorta di elisir di nuova vita), ritorna l'incubo rapimenti e l'angoscia. Ancora una donna, ancora una operatrice di pace.
Nel momento in cui scriviamo, la vicenda non è conclusa, alcuni contatti pare siano stati avviati, e colpisce vedere le "vedove di Kabul", alcune coraggiosamente a viso scoperto, in un paese in cui non ci sono più i talebani al potere, ma i pregiudizi sì, mostrare le foto di Clementina, con pianti e lamentazioni che per il loro suono con suggestione richiamano alla memoria le prefiche.
Sabrina Harman. 27 anni. Riservista dell'esercito statunitense e pesantemente coinvolta nello "scandalo", per usare un termine politically correct, delle tornure nella prigione iraqena di Abu Ghraib, edificio del terrore sotto il regime di Saddam e a quanto pare anche sotto il controllo dell'esercito americano. Giusto per rispolverare velocemente la memoria, Sabrina Harman è quella soldatessa che posava sorridente e con i pollici alzati davanti al cadavere di un prigioniero iraqeno. La Corte Marziale statunitense, foro competente, ha deciso per lei una condanna a 6 mesi. Una sentenza tutt'altro che esemplare, che fa sorgere il legittimo dubbio: che i soldati americani possano adottare qualsiasi metodo per interrogare e trattare i prigionieri. Forse non impunità, ma comunque una sorta di alleggerimento psicologico per i soldati stanchi e provati che ancora combattono in Iraq.
Florence Aubenas. 44 anni. Citata per ultima, ma solo perchè il ricordo ne rimanga più impresso. La giornalista francese di Libèration venne rapita nei primi giorni di gennaio assimeme al suo traduttore Hussein. Di lei non si hanno più notizie. Il ricordo si ferma al drammatico video diffuso dalle emittenti di tutto il mondo, i primi giorni di marzo, poco prima che un'altra giornalista, Giuliana Sgrena, venisse drammaticamente liberata. Capelli arruffati, occhi tristi e stanchi, dimagrita, uno sfondo rosso e un primo piano implorante aiuto. Così per ora la ricordiamo, sperando di poter rivedere quel sorriso che campeggia sui poster disseminati per la Francia.


CRONACA IN ROSA Dì quello che pensi e sarai sospeso di Fiorella Cherubini

In molti, certo, ricorderanno che - appena vinte le elezioni - il nostro Premier Silvio Berlusconi, durante un soggiorno a Sofia, in Bulgaria, non tardò a manifestare la sua irrevocabile decisione di voler epurare Biagi e Santoro dalla Rai; fu poi la volta del “benvoluto”, ormai ex, direttore del tg5 Enrico Mentana, il cui allontanamento dalla testata giornalistica di Mediaset avvenne attraverso il consueto meccanismo della promozione/rimozione…ed ora la striglia tocca a Giorgino. “Il pesce grande mangia quello piccolo”: forse proprio con questa perla di saggezza popolare esordirebbe il vecchio Padron ‘Ntoni dei Malavoglia alla luce di quanto recentemente accaduto nella redazione di Rai 1.
Clemente Mimun
, difatti, nella sua posizione di direttore del Tg1 - risentito per alcune dichiarazioni rilasciate durante un’intervista dal suo collega Francesco Giorgino, ha prontamente reagito comminando la sospensione del giornalista dalla conduzione del giornale.
Tale decisione/punizione, ampiamente criticata dal comitato di redazione del Tg1 e da altri enti quali Fnsi, Usigrai, ecc., è sopravvenuta a seguito del disappunto dimostrato dal giornalista pugliese circa i modi di diffusione delle notizie e di gestione dei relativi servizi: politicamente pilotati, abilmente taroccati e magistralmente assemblati per celare le magagne dei numerosi comizi tenuti dai nostri parlamentari.
Esisterà, dunque, un confine tra obblighi contrattuali, libertà di manifestazione del pensiero(tra l’altro, costituzionalmente garantita dall’art 21) e abuso di potere? Ai tapiri di Striscia l’ardua sentenza.
Nell’attesa di una risposta esaustiva, un altro interrogativo, prepotente, s’impone.
Se la tanto decantata democrazia - di cui l’Italia dovrebbe essere un rinomato tedoforo - viene ripetutamente inquinata da palesi e subdole forme di “dittatura”, in questo caso mediatica, parliamo davvero di una situazione di fatto realmente consolidata, o solo dell’embrione di un ideale ancora molto lontano?


CRONACA IN ROSA 12 e 13 giugno 2005: Referendum sulla procreazione assistita di Silvia Grassetti

Prosegue l’appuntamento settimanale di approfondimento dei quesiti referendari del 12 e 13 giugno prossimi.
Purtroppo l’informazione sul prossimo referendum in merito alla procreazione assistita è praticamente assente dalla televisione e dagli organi di comunicazione di massa. Si tratta di un argomento complesso, ma un dato su tutti deve farci riflettere: se i cittadini non si recheranno a votare, non avranno più la possibilità di modificare la Legge 40/2004.
Al di là delle prese di posizione moralistiche, cattoliche o progressiste, crediamo che un semplice orientamento vada riconosciuto: il diritto all’autodeterminazione, ovvero la libertà della donna, in primis, della coppia, in secondo luogo, di decidere su un tema tanto personale e intimo da rendere fuori luogo qualsiasi ingerenza esterna volta a impedire l’accesso alle cure all’avanguardia, o, peggio, che metta a rischio la salute dei cittadini.
Il nostro intento è sopperire, per quanto possibile, al silenzio stampa mediatico, fornendo ai nostri lettori alcuni ragguagli sui quattro quesiti referendari del giugno prossimo.
Nel numero precedente abbiamo affrontato il primo quesito referendario. E’ ora la volta del
Secondo quesito referendario:
Per la tutela della salute della donna.

La Legge attualmente in vigore prevede che si possano fecondare al massimo tre embrioni per ogni trattamento. Questo comporta un’alta probabilità di insuccesso della cura, l’innalzamento dei costi (ciascun intervento in strutture private ha prezzi da 1.500 euro in su), il sottoporsi ripetutamente, per la donna, a stress, disagi, nuovi cicli di cure.
La Legge 40/2004 impedisce inoltre che l’embrione venga esaminato prima di essere impiantato nell’utero dell’aspirante mamma. Ciò comporta l’impossibilità per le coppie portatrici di malattie genetiche di prevenire la trasmissione della malattia stessa al nascituro. Infine, una volta iniziato l’iter curativo, non si ha la facoltà di cambiare idea: l’ovulo fecondato deve per legge esserle impiantato nell’utero anche nel caso in cui la donna non rinnovi il consenso.
Votando ”sì” si indica la propria volontà a modificare gli articoli di legge relativi, permettendo alla donna, e alla coppia, di stabilire le modalità più adeguate per diventare mamma (e papà).


FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri

Apriamo questa settimana il podio con la più soave voce e il più bel viso di telegiornalista che si possa ammirare sui campi di calcio: Martina Maestri. L’ex Tele+, ora in forza a Sky, a dispetto di un’innata timidezza, settimana dopo settimana si conferma come una delle più valide giornaliste della redazione sportiva di Sky. Meriterebbe, secondo la nostra valutazione, qualche conduzione in studio… Sempre molto professionale, la Maestri è da prendere a modello per le interviste nel pre- e post- partite e negli interventi da bordocampista. Complimenti. Un meritatissimo “8.5”.
Buone performances sta mettendo in mostra anche
Federica Zanella a Telelombardia. La nostra Zanella ha saputo ben sfruttare il palpitante momento di fine campionato e delle fasi finali delle coppe nazionali ed europee per mostrare di essere una delle telegiornaliste cresciute nella gavetta alla scuola del maestro David Messina, oggi in forza a “Canale Italia”.
La Zanella, dopo lo scivolone diplomatico legato alle affermazioni sulla sua mancata conoscenza di
Eleonora De Nardis e l’eliminazione dal campionato di serie B di Telegiornaliste sta riguadagnando preziosi consensi… E, soprattutto, sta attraversando una felice fase professionale. Complimenti. Secondo gradino del podio e un bel “7”.
I fatti siciliani ci stanno rivelando, attraverso le varie edizioni del Tg5,
Valentina Loiero. Una brava tgista che si sta imponendo all’attenzione del pubblico che ne apprezza sempre di più i servizi. Anche in casa Mediaset, sia il vertice editoriale sia quello giornalistico (Carlo Rossella) apprezzano sempre di più la sensibile crescita professionale della brava e bella Valentina. Che merita il suo primo podio stagionale certi che, presto, la ritroveremo sui gradini più alti… Crediamo possa aspirare anche al più alto di tutti: deve solo crederci lei stessa e vincere la sua timidezza. Per ora terzo posto con un bel “6.5”.
Iniziamo il contropodio con la telegiornalista Adriana Volpe. Ci domandiamo ogni settimana di più cosa ci azzecchi nelle trasmissioni televisive che la vedono protagonista. Non è certo un vanto la sua appartenenza all’Ordine dei giornalisti. Anche perché ultimamente sembra in grado di gareggiare solamente contro Flavia Vento che, come il cognome recita, è proprio una realtà effimera. Per la Volpe gradino più basso del contropodio con un sonoro “4.5”.
Se non conoscessimo l’organizzazione del Tg5 ci sarebbe da chiedersi perché un telegiornalista come Alessandro Ongarato riesca nella costante impresa di rendere notiziabili anche fatti del tutto insignificanti. Le ultime performances del nostro Ongarato certo non lo portano a brillare sul podio e allora ecco pronto per lui un gradino del contropodio… Per lui un “5” sperando che, in futuro, possa offrire davvero servizi di qualità. O tutti lasceranno il Tg5 e aspetteranno le notizie da “Striscia”.
Non ci saremmo mai aspettati di doverlo fare, ma un gradino del contropodio dobbiamo assegnarlo a
Siria Magri che, nelle ultime conduzioni di “Studio Aperto” ha collezionato una serie di strafalcioni da guinness. Memorabile la puntata di domenica 8 maggio con ben 5 gaffes nel medesimo annuncio di notizia. Ma ultimamente la brava e bella Siria sembra sentire molto la primavera… Peccato, perché è un’ottima giornalista. La rimandiamo alle prossime conduzioni e ai prossimi servizi con il gradino più alto del contropodio e un benevolo “5.5”.


TELEGIORNALISTI Capuozzo, “Terra!” chiama verità di Filippo Bisleri

Ci piace e ci convince sempre di più Toni Capuozzo, ornai un’autentica colonna del Tg5 e, soprattutto di “Terra!”. Il contenitore di approfondimento “made in Tg5” è sempre curato, preciso, puntuale. E tutto questo grazie a Toni Capuozzo, che si conferma un giornalista vero, uno di quelli che il mestiere lo sanno fare e che sanno spiegare alla gente i fatti, le vicende, il mondo.
E Capuozzo non fa solo “Terra!”, ma si spinge in prima persona, come l’inviato di guerra di un tempo (una figura che purtroppo è sempre più merce rara, come insegnano i falsi giornalistici di casa Cnn durante la prima guerra del Golfo): questo aiuta la gente ad amare Capuozzo e Capuozzo a farsi amare dalla gente. Nel 2004 la città di Arona, in un Premio giornalistico che vantava in giuria anche il grande Ettore Mo, ha scelto proprio Toni Capuozzo, insieme a
Giovanna Botteri, per il “premio alla carriera”. Ha scelto due cronisti veri, due inviati autentici.
La storia professionale di Capuozzo è fitta di medaglie. Diverse poco note, altre un po’ di più. Ma Capuozzo è un personaggio schivo, che non ama mettersi in vetrina. Ama che la vetrina sia riservata alla verità, a quella verità che ha più volte, anche in questi mesi di cronache dall’Iraq e del post Iraq, dimostrato di amare e di volere che il “suo” pubblico ami. Perché un pubblico che ama la verità ama il mondo, sa mettersi in gioco e dialogare con gli altri senza remore e senza preclusioni.
Capuozzo insegna dunque molto ai giovani giornalisti, ai giovani che incontra mentre, nelle scuole di giornalismo, si attrezzano per fare gli inviati o i grandi giornalisti di domani. E la lezione che Capuozzo trasmette loro è sempre la stessa: amate la verità e raccontate senza reticenze.
È il segreto del giornalismo vero, è il segreto dell’inviato Capuozzo. Che non è un soldato semplice, ma un generale dell’informazione. Grazie, Toni.


EDITORIALE Tante croci e nessuna delizia per il giornalismo di guerra di Tiziano Gualtieri

Cinquantatre nuove croci nel campo santo dell'informazione nel 2004, già ventidue quest'anno. Settantacinque giornalisti che, spinti dalla voglia di diffondere parole, immagini, suoni delle persone che - a causa della guerra, della violenza o dei regimi totalitari - non potevano più farlo, sono state zittite dalla censura della morte.
Dal primo giorno che sancì l'inizio della guerra in Iraq, quel lontano 22 marzo 2003 in cui perse la vita il cameraman Paul Moran dell'ABC, sono stati cinquantanove i reporter che hanno visto la loro vita stroncata mentre tentavano di fare ciò che più piaceva loro: vedere e raccontare le cose in prima persona.
Nessun albergo, nessun balcone da cui guardare dall'alto a volte embedded dietro le tende; il loro lavoro è sotto il sole cocente, lungo le strade percorse con il rumore della guerra o mano nella mano con l'odore della morte. Nessun atteggiamento da vip o da superstar. Per il giornalista di guerra l'unica cosa che conta è raccontare le cose come stanno: senza filtri, senza pressioni, senza inquadramenti.
Il giornalista che decide di andare a raccontare la guerra, sa a cosa va in contro, non è uno sciocco, solo chi non ha capito nulla dell'importanza del suo ruolo va a cercare la morte. Eppure, a volte, è la morte che viene a cercare lui.
Così, d'improvviso, abbiamo scoperto - ancora una volta - che la guerra non risparmia neppure chi sta solamente cercando di dar voce alla verità. Nessuna guerra è esente dal consueto pegno di sangue che l'informazione deve pagare, colpevole semplicemente di voler fare, bene, il proprio lavoro. E non ne è esente nessuno Stato: i giornalisti rimasti vittime della violenza provengono un po' da tutto il mondo, anche se la triste palma di chi più paga dazio va - con il sessantasei per cento delle vittime - per assurdo all'Iraq, Paese che fino alla caduta di Saddam non godeva neppure della libertà di stampa.
Che l'informazione ricopra un ruolo sempre più importante nei luoghi teatro di guerra, è dimostrato dai dati: cinquantanove i caduti in Iraq, sessantatré in vent'anni di guerra nel Vietnam, quarantanove nei cinque anni di conflitto che ha smembrato la vecchia Jugoslavia, cinquantasette durante il sanguinoso periodo che vide l'Algeria, tra il 1993 e il 1996, sconvolta da una sanguinosa guerra civile.
Oltre duecento vittime in soli quattro conflitti negli ultimi 45 anni; eppure l'esercito di giornalisti continua nel suo importante lavoro necessario per fornire notizie. E l'annuale rapporto di Reporters sans Frontieres riguarda anche la cosiddetta e allarmante caccia al giornalista.
Si, perché in tutto il mondo - anche se in Iraq si è assistito a una recrudescenza del fenomeno - l'operatore dell'informazione è diventato preziosa merce di scambio. Per quanto riguarda i rapimenti di giornalisti, infatti, il conflitto iracheno è di gran lunga il peggiore di tutti quelli del passato: ventitré uomini e sei donne sequestrati. Delle ventinove vittime della censura del rapimento, quattro sono stati uccisi. Tra questi Enzo Baldoni ucciso il 26 agosto scorso. Venti, invece, quelli liberati, e anche qui l'Italia marca il cartellino con Giuliana Sgrena liberata il 4 marzo scorso. Attualmente ancora cinque si trovano in mano dei rapitori: la francese Florence Aubenas, rapita il 5 gennaio insieme all'iracheno Hussein Hannon al Saadi, ed i tre giornalisti rumeni - due uomini ed una donna - sequestrati il 28 marzo scorso.
Ma non sono solo i territori di guerra a fare vittime. Nell'anno appena trascorso, sono oltre 900 i gionalisti imprigionati e privati della libertà di stampa perché non accondiscendenti con i vari governi o con i numerosi padri-padroni di associazioni più o meno legali: i "predatori" vengono da Cina, Cuba, Colombia, Bangladesh, Nepal, Libia, Eritrea, Zimbabwe, Siria, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi, Iran, Turkmenistan, Corea del Nord, Nepal, Birmania, Laos e Vietnam.
A allora, spesso, succede di sentire persone "normali" chiedersi perché andare in quei luoghi, pur sapendo di rischiare la vita. Ancora più spesso è facile ascoltare risposte semplicistiche che indicano nella voglia di fornire notizie non di propaganda la motivazione. Pochi, quasi nessuno, forniscono la risposta più ovvia e normale: il richiamo forte non è dato dalla rincorsa alla fama, dalle ideologie o dal sogno di fare un "regalo" alla collettività. Chi dedice di partire, lo fa solo per quell'insana volontà di capire in prima persona, di raccontare, di dare voce a chi non ce l'ha.
Nessuna immagine romanzata del giornalista paladino della giustizia, quindi, ma più semplicemente una persona che crede nel suo lavoro e cerca di farlo nel miglior modo possibile.
A volte, però, capita che la vigliaccheria di persone senza scrupoli, armi di forbici le mani di chi è sempre pronto a recidere il filo sottile che divide la vita dalla morte; e a quel punto c'è un altro nome che si va ad aggiungere alla grande redazione composta da chi non c'è più.


 


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Telegiornaliste: settimanale di critica televisiva e informazione - registrazione Tribunale di Modena n. 1741 del 08/04/2005
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