Se la verità fa male di Tiziano Gualtieri
In questo ultimo periodo, le
dittature sono tornate a farla da padrone su tutte le pagine
dei giornali. Dal caldo dei caraibi, al freddo delle ex repubbliche
sovietiche, sembra non esserci spazio per chi vuole raccontare la propria
verità che discorda con quella imposta dall'alto. Una situazione che accomuna l'Uzbekistan
a Cuba, la popolazione con i giornalisti sotto un unico
grande comun denominatore: i diritti umani calpestati. Perché, in questo
caso, non vi è alcuna diversità tra la popolazione e gli inviati.
Inviati da seguire e da inseguire, da prendere come punti di riferimento.
Come
Monica Vanali, particolarmente apprezzata sia per il
modo di lavorare sia per come vive la professione. Il tutto senza snaturare la
propria femminilità - a volte prorompente - che non fanno altro che
confermare il suo motto: «Non sono bella, ma piaccio».
E le promozioni sul campo sono anche il consueto leit-motiv dell'ormai
classica rubrica Format che punta l'attenzione sui promossi, ma
anche sui bocciati della professione. Una sorta di pagella scherzosa
(a volte mica tanto) che punta il faro su chi si è distinto nel corso delle
settimane, ma è pronta anche a bacchettare.
Bacchettare non solo i giornalisti, ma anche - e soprattutto - le
dirigenze e le loro scelte che, come dimostra Omnibus, non sempre risultano
essere azzeccate, anzi. Piccoli spostamenti di pedine che vanno a creare qualche
problema di squilibrio in situazioni ormai assestate. Errori fatali che
rischiano di minare la stabilità di programmi molto validi.
Dall'altra parte, invece, spazio anche a veri e proprio gioielli di
giornalismo capaci di distinguersi nel marasma delle trasmissioni di pseudo
approfondimento social-medico-civile. Lode, quindi, a Michele Mirabella e al
suo Elisir dove, con competenza, brio e un pizzico di ironia, si parla di
giornalismo educativo. Alla faccia di chi dice come sia impossibile realizzare
produzioni di qualità, dimenticando che - spesso - ciò che manca, è solamente la
voglia.
Prosegue, infine, il nostro viaggio tra i quesiti dei referendum
che possono segnare la vita di molti italiani e su cui tutti puntano il dito a
causa della mancanza di informazione, ma su cui pochi sembrano voler
impegnarsi. Una situazione paradossale, a cui telegiornaliste.com cerca
di fare chiarezza.
MONITOR Monica Vanali, l’inviata da imitare di Filippo Bisleri
Monica Vanali
è una delle firme di punta della
redazione sportiva di Mediaset. Padovana, nel corso degli anni ha maturato,
grazie alla sua famiglia, un amore per la città di Bergamo e tutto quanto
la riguarda. Non ammetterà mai pubblicamente la cosa, ma Monica ha un debole per
l’Atalanta.
A Mediaset, Monica è arrivata dopo una lunga gavetta nelle redazioni locali. La
sua competenza è indubbia. Ferratissima nel calcio, Monica si difende
anche nella pallacanestro e nella pallavolo non disdegnando puntatine
anche nei cosiddetti “sport minori”. La crescita all’interno della redazione
sportiva di Mediaset l’ha portata, dalla stagione scorsa, ad essere la voce dei
posticipi del campionato nelle interviste realizzate “a caldo” per conto di
“Controcampo”.
Se le chiedete se è soddisfatta del suo ruolo di inviata Monica non dirà mai né
sì ne no. Monica lavora, è una professionista seria e raccoglie ogni proposta di
lavoro come una sfida nella quale giocare tutta se stessa perché crede nel
suo lavoro di giornalista professionista e cerca la maggiore chiarezza
espositiva possibile. Monica Vanali accetta volentieri anche le conduzioni
di serate sportive che ne esaltano le qualità di comunicatrice e di persona
squisita ed estremamente disponibile. In questi eventi forma spesso “coppia”
professionale con il collega-amico
Guido Meda
con il quale ha un’intesa
giornalistica eccezionale.
La Vanali è anche incappata in un richiamo professionale da parte dell’Ordine
dei giornalisti, ma ne è uscita in modo brillante e riproponendo la sua immagine
migliore di giornalista che svolge il proprio lavoro con una dedizione
encomiabile: è un vero modello di giornalista professionista a 360°. Certo,
concede qualcosa al suo essere donna e qualche volta sfoggia abbigliamenti
che regalano emozioni all’occhio dei suoi fans, ma sa bene, per sua stessa
ammissione, che i fan la seguono anche per come appare. «Non sono bella ma
piaccio» è uno dei suoi ritornelli. E noi lo confermiamo: ci piace.
CAMPIONATO Arrivederci Cristina
di Rocco Ventre Nel girone 2 è arrivato il verdetto più triste: per la
prima volta una telegiornalista decorata retrocede in serie B. E'
Cristina Fantoni che nel 2002, un po' a sorpresa, si aggiudicò l'edizione n.
4 del campionato.
Nello stesso girone sono arrivati altri due amari verdetti:
Cuffaro e Bendicenti disputeranno il prossimo campionato di serie B.
Per Francesca Todini invece è arrivata la qualificazione
matematica ai play-off.
Nel girone 1 dopo Rula Jebreal retrocedono in serie B anche
Simona Rolandi, Federica Sciarelli e Barbara Pedri. Impresa di Laura Cannavò che
batte di misura Tiziana Panella e si porta in solitario al quinto posto (che
significherebbe permanenza in serie A).
CRONACA IN ROSA La dittatura nel Paese di Samarcanda
di Fiorella Cherubini
Nella notte tra giovedì 12 e venerdì 13 maggio, l’Uzbekistan,
regione dell’Asia centrale fortemente contesa per la sua ricchezza di cotone
(conosciuto come l’oro bianco), si è trasformato nell’ennesimo
avamposto di morte del Medio Oriente.
Un’insurrezione di matrice islamica finalizzata ad ottenere la
liberazione di 23 esponenti dei gruppi religiosi locali è stata brutalmente
sedata dalle truppe del presidente Karimov che, senza i dovuti distinguo,
ha colto l’occasione per scagliarsi contro i rivoltosi ma anche per colpire
qualsiasi forma di opposizione al regime, generando una vera e propria
ecatombe di uzbechi.
750 la stima dei morti, anche se il presidente-padrone Karimov ha
creduto opportuno dichiararne molti meno, circa 70, rabberciando le
accuse rivoltegli con smentite grottesche.
All’incipit difensivo di stampo militare, Karimov ha subitaneamente fatto
seguire l’interruzione delle trasmissioni delle tv straniere nel Paese al
fine di evitare che “La questione interna dell’Uzbekistan” diventasse
“Una questione internazionale”.
Tale decisione non ha tardato ad incassare il sostegno incondizionato di
Mosca, nella persona del ministro degli esteri Laurov, nonché l’amichevole
invito alla “moderazione” giunto da parte del presidente americano Bush,
al quale – dopo l’attaccato Kamikaze alle Torri Gemelle consumato l’11 settembre
2001 - Karimov concesse un’importante base aerea per le operazioni in
Afghanistan.
Due, forse tre, giorni di allerta mediatica, e poi sull’accaduto è stato steso
un velo di pesante e impietoso silenzio.
Ci si è defilati da quelli che dovrebbero essere i doveri di tutti: capire,
approfondire, denunciare, qualificare gli eventi e i loro autori senza paura.
Chi è Karimov? Coloro che non ne ignorano l’operato non reputeranno
avventato definirlo un dittatore. Cos’è l’Uzbekistan? Una regione le cui
carceri nulla hanno da invidiare ai lager di Dacau e Matthausen.
Come reputare l’atteggiamento delle alleate - di Karimov - Russia e America?
Irresponsabile.
Per la comprensione della nostra lettura si rende forse necessario un breve
excursus delle atrocità consumate in Uzbekistan, per ordine del dittatore
Karimov.
Un Paese dove gli oppositori al regime vengono torturati brutalmente,
dove vengono immersi nell’olio bollente, dove vengono inferte nequizie
fisiche e morali di ogni sorta e violenza.
Un Paese governato da un dittatore che ha riportato così tante denunce da
parte di varie associazioni umanitarie per reiterata violazione
dei diritti umani che ci si deve chiedere come facciano gli USA a non
interrompere il costante flusso di finanziamenti garantito all’Uzbekistan per le
proprie spese militari.
Proprio gli Stati Uniti, che figurano come una delle cinque Grandi Potenze dell’
Organizzazione delle Nazioni Unite e che non hanno esitato a sottoscriverne
la relativa Carta, in cui, all’art. 1 par. 3, è espressamente stabilito che uno
degli scopi primari dell’ONU è: “Promuovere ed incoraggiare il rispetto dei
diritti umani e delle libertà fondamentali”. Certo è che il regime
dittatoriale dell’alleato asiatico Karimov, pur tanto in barba alla facciata
democratica degli USA, non è un pretesto sufficiente per indurre Bush a recidere
i legami politici, economici e militari con l’Uzbekistan.
Più conveniente, infatti, sembra rivelarsi l’odio di entrambi i
Paesi per l’Islam e formidabile collante è la lotta serrata dei due
Presidenti al “nemico comune” : i musulmani.
I diritti umani possono, dunque, passare in secondo piano.
CRONACA IN ROSA 12 e 13 giugno 2005: Referendum sulla procreazione
assistita
di Silvia Grassetti
Prosegue l’appuntamento settimanale di approfondimento dei quesiti
referendari del 12 e 13 giugno prossimi. Purtroppo l’informazione sul
prossimo referendum in merito alla procreazione assistita è praticamente
assente dalla televisione e dagli organi di comunicazione di massa. Si
tratta di un argomento complesso, ma un dato su tutti deve farci riflettere: se
i cittadini non si recheranno a votare, non avranno più la possibilità di
modificare la Legge 40/2004.
Al di là delle prese di posizione moralistiche, cattoliche o progressiste,
crediamo che un semplice orientamento vada riconosciuto: il diritto
all’autodeterminazione, ovvero la libertà della donna, in primis, della coppia,
in secondo luogo, di decidere su un tema tanto personale e intimo da rendere
fuori luogo qualsiasi ingerenza esterna volta a impedire l’accesso alle cure
all’avanguardia, o, peggio, che metta a rischio la salute dei cittadini.
Il nostro intento è sopperire, per quanto possibile, al silenzio
stampa mediatico, fornendo ai nostri lettori alcuni ragguagli sui quattro
quesiti referendari del giugno prossimo.
Nel numero
precedente abbiamo affrontato il primo quesito referendario. E’ ora la volta del
Terzo quesito referendario:
Per l’autodeterminazione e la tutela della salute della donna.
La Legge 40/2004 equipara l’ovulo fecondato alla persona umana,
riconoscendogli gli stessi diritti della madre. Si tratta forse dell’aspetto più
controverso della procreazione assistita: definire se l’ovulo fecondato sia fin
dal momento del concepimento una “persona” è una questione morale molto
delicata, come dimostra la ferma posizione assunta dalla religione cattolica su
tale quesito - e sul referendum in generale.
Una posizione che, se confermata dall’esito del referendum, metterebbe in
discussione la Legge 194 del 1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza:
la donna perderebbe il diritto all’autodeterminazione e il diritto di
scelta rispetto al proprio corpo e alla maternità.
FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i - di Filippo Bisleri
Il gradino più alto del podio lo assegniamo, questa settimana, a
Didi Leoni.
Da anni in forza alla redazione del Tg5, nelle ultime settimane, la Leoni ha
dato delle prove di alta professionalità sia alla conduzione sia nella
realizzazione dei servizi. Calma, distinta ed estremamente
professionale, la Leoni si sta confermando come una delle punte di diamante
della redazione ora guidata da Carlo Rossella. Fortemente voluta al Tg5 da
Mentana, la Leoni spera ora in più grandi spazi a sua disposizione. Spazi che, a
nostro parere, merita. Per lei un bel “7”.
Il rientro in forza alla redazione economia di Mediaset è stato di quelli
supportati subito da grande successo. D’altra parte, per una come
Mimosa Martini, abituata alle elezioni presidenziali
Usa o ancora ai fronti caldi dei conflitti sviluppatisi dopo il tragico 11
settembre, lottare nella giungla dell’informazione economica deve essere una
cosa facile… Anche perché, immaginiamo che l’ex “capo” Maurizio Costanzo
le abbia aperto qualche canale giusto. Che lei sta utilizzando alla perfezione…
Brava. Un bel “6.5”.
Scegliamo Luca Rigoni, ormai la voce fissa del Tg5 dagli Usa per gli
ottimi servizi confezionati nelle ultime settimane. L’inviato più
bersagliato, ai tempi della guerra in Afghanistan, da “Striscia la notizia”
si sta rivelando giorno dopo giorno un signor telegiornalista. Forse poco
valutato nonostante abbia l’onore di una piazza giornalisticamente di primo
piano come quella americana. Merita di più. Per ora lo portiamo sul podio
con un bel “6+”.
Prima a o poi ce lo dovranno spiegare. Maurizio Biscardi (un cognome una
garanzia) non fa altro che pontificare contro questo o contro quello in
merito alle vicende sportive. La domanda sorge spontanea: lui non sbaglia mai?
Errori, solo per stare alle sue apparizioni su Italia7 gold ne potremmo elencare
a bizzeffe, da farci puntate di “Paperissima”. Eppure resta il grande
opinionista… ma perché? Bocciatura sonora con un “4”.
Contropodio per Lucia Blini. Lo avevamo già detto, ma evidentemente la brava Lucia
fa orecchie da mercante. Perché, ci chiediamo (e le chiediamo) annegare la
sua professionalità cristallina dedicandosi al gossip? Fa tanta
tristezza vedere la Blini, ottima giornalista, fare il Sandro Mayer di casa
Mediaset sulle colonne di “Controcampo”. Preferiamo la Lucia Blini che
commenta con competenza il tennis o guida da par suo “Studio sport”.
Rimandata con un “5”.
Se per la Martini il ritorno al Tg5 è stato positivo, non altrettanto appare,
dopo alcune iniziali prove positive, quello di Salvo Sottile.
Difficoltà di adattamento al modo di lavorare imposto dal nuovo direttore
Rossella? Probabile. Per ora ci limitiamo a rimandare il bravo Sottile che, dopo
aver dovuto reggere il peso della signora Mentana a Sky ora deve riadattarsi al
Tg5 in versione riveduta e corretta. Per lui un “5.5”.
FORMAT “Omnibus”, un “treno” in ritardo di Filippo Bisleri
La nuova stagione di
“Omnibus”, dopo la dipartita per i lidi del “baffone” Maurizio Costanzo
di
Marica Morelli (per lei un Master della Luiss), si trascina
stancamente. Il programma di punta della mattinata di La7 ora è, in pratica,
nelle mani di Andrea Pancani, caporedattore dell’emittente che ha sempre
il sogno di laurearsi come terzo polo del sistema televisivo italiano. Bravo
Pancani, bravo anche Vaime e brillante il metereologo Paolo
Sottocorona.
La sostituzione di Marica Morelli con Paola Cambiaghi (peraltro non una
tgista) ha certamente nuociuto alla qualità del programma che, un po’, ha
perso in ascolti e in brillantezza. Peccati di inesperienza per la
Cambiaghi, necessità di affiatare nuovamente un team che invece stava dando
buoni risultati fino alla decisione della Morelli di traslocare a Mediaset per
un ruolo decisamente marginale, professionalmente poco appagante nella schiera
delle telegiornaliste legate a Maurizio Costanzo.
Quello che è certo, però, è che l’attuale “Omnibus” non ha più
l’appeal proprio della versione precedente (quello della coppia
Pancani-Morelli).
La direzione giornalistica di La7 deve porsi il problema di investire
professionalmente in un contenitore giornalistico di grande pregio qual è,
potenzialmente, “Omnibus”. Allo stato attuale delle cose, però, il
programma non ci sembra adeguatamente sostenuto né sembra che vi si voglia
investire molto da parte dell’editore, forse orientato a dare corso alla
gattopardesca massima “non cambiare nulla perché tutto cambi”. Una
posizione quanto mai sbagliata. E più si aspetta ad intervenire più si rischia
di dovere operare di corsa e inseguendo la concorrenza. Già, perché nel
frattempo Mediaset rafforza i Tg5 della mattina e la Rai amplia la gamma delle
trasmissioni che preparano il suo “Cominciamo bene”.
Aggiungiamo anche il “Tutte le mattine” di Costanzo e si comprenderà come
“Omnibus” necessiti di interventi o, come i treni italiani che portano il
suo stesso nome, arriverà sempre in ritardo sui concorrenti vedendo, nel
contempo, calare drasticamente il suo appeal presso i telespettatori.
TELEGIORNALISTI “Elisir”, la ricetta giusta
di
Filippo Bisleri
“Elisir”
è la dimostrazione pratica che la tv italiana, in questo caso quella di Stato,
sa parlare di sanità e di salute e lo sa fare con competenza e brio.
Grazie a Michele Mirabella: l’anima, oltre che il conduttore, di questa
fortunata trasmissione televisiva che, dagli schermi di Rai3, sfida, per molte
domeniche durante l’anno, i vari posticipi del campionato di calcio.
Certo, gli ascolti più alti sono sempre per le partite di calcio e per le
trasmissioni che le mostrano o le raccontano e commentano in studio, ma
“Elisir” si dimostra sempre di più, anno dopo anno, un buon prodotto. Non ci
troviamo certo di fronte ad un fragile vaso in mezzo a tante realtà più corpose
in grado di metterne a rischio l’integrità. “Elisir” è una felice
intuizione di Michele Mirabella e del gruppo che lavora con lui al
programma.
Un gruppo che ha saputo fare della divulgazione scientifica un cavallo di
battaglia e che ha saputo, via via, conquistare fette di spettatori all’interno
del difficile mercato televisivo della domenica sera, giornata dedicata allo
sport. Grazie dunque a Michele Mirabella che ha portato in tv un modo nuovo di
parlare della sanità e della salute, un modo schietto per raccontare come ci si
cura in Italia e, allo stesso tempo, parlare di medicine alternative e di
ricerca scientifica. È anche grazie a trasmissioni come “Elisir” se la
sensibilità del popolo italiano per i temi della salute è cresciuta.
Non se ne avrà certo a male il caro Luciano Onder che, con “Medicina
33” del Tg2 è stato un po’ il precursore dell’informazione sulla
salute e sulla sanità in Italia: un conto è infatti gestire una rubrica di
qualche minuto, un altro è certamente la cura, anche se solo settimanale, di un
ampio spazio come quello occupato da “Elisir”. Che ha il pregio di
coinvolgere nelle discussioni, sempre molto pacate e volte a dare risposte ai
mille quesiti della gente, anche i big del mondo dello spettacolo o dello sport,
con il doppio risultato di fare vero giornalismo scientifico-informativo
e di avvicinare alle persone normali le figure, spesso ritenute inarrivabili,
dei big.
Grazie a Michele Mirabella che ci ha regalato questo bel gioiello di giornalismo
sulla salute.
EDITORIALE
A Cuba solo informazione
Castrata di Tiziano Gualtieri
Che Cuba sia un Paese in cui la libertà di stampa e di
espressione sono molto più che un'utopia, lo si sapeva. Che nella tierra
del rhum non vi sia spazio che per la voce del regime, era noto. Che
i dissidenti vengano visti come una razza pericolosa, portatori
sani di libertà - malattia mortale per il regime - non era una novità. Ma
nessuno immaginava, o poteva farlo, che L'Avana o Varadero diventassero
terra off limits per i giornalisti.
Il bavaglio del dittatore è stato stretto attorno alle voci dei
dissidenti e di chi avrebbe dovuto consentire la loro diffusione nel mondo.
Proprio nei giorni scorsi si è assistito ad un'escalation di manette
strette ai polsi di chi ha un'unica colpa: quella di (cercare di) raccontare la
verità, rivelando al mondo - ancora una volta - tutta l'antidemocraticità
del regime.
Tedeschi, polacchi, italiani, cechi. Poco importa. Le forche caudine
castriste non hanno guardato in faccia a nessuno e non hanno letto le
nazionalità dei passaporti, ma sono diventate portavoce di un'operazione
di minaccia internazionale rivolta a chiunque abbia l'ardire di diffondere
ciò che non proviene dal regime nei secoli Fidel, che - non potendo per
l'ennesima volta zittire la dissidenza interna - ha preferito puntare sulla
censura verso il resto del mondo. Il regime de L´Avana, a questo punto,
sembra aver lanciato una campagna internazionale che colpisce chiunque
tenti di raccontare le voci dissonanti dal potere castrista. Un comportamento
che rivela, con ancora maggior chiarezza, tutta l´intolleranza di una
dittatura che non ha mai accettato alcuna critica e che ricorre
sistematicamente alla repressione.
Francesco Battistini del CorSera e Francesca Caferri
di Repubblica sono solo gli ultimi due (in ordine di tempo) ad aver visto
la propria penna venir mutilata con l'accusa di violazione della legge cubana.
Un vero e proprio vizio di forma a cui si sono appigliate le forze dell'ordine
dell'isola caraibica. «Sorpresi a svolgere attività lavorativa, nonostante
l'ingresso sia avvenuto con un visto turistico». Questa la motivazione ufficiale
per giustificare il bavaglio del Lìder Maximo.
Espulsi per aver voluto raccontare: conferma non ufficiale di
un'intolleranza contro chi non abbia le idee tarate secondo il volere di chi
comanda, con un regime totalmente allergico alla verità. A conferma di ciò anche
i fermi di altri giornalisti tedeschi e polacchi, rispediti a casa in tutta
fretta con la stessa accusa: aver fatto il proprio lavoro.
Così, mentre c'è chi dice che in tutto il mondo turista che lavora fa rima con
espulsione e che - quindi - non ci sia molto da meravigliarsi, in molti rimane
l'amarezza per una vicenda che non è altro che la conferma come Cuba
sia il Paese incubo per i giornalisti. A conferma di ciò gli oltre venti
cronisti e scrittori cubani che, invece, sono attualmente ospitati nelle
patrie galere dell'isola.
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