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Telegiornaliste N. 18  del 12 settembre 2005


La “stella polare”: la verità di Filippo Bisleri

Nella settimana in cui il campionato di calcio ha lasciato spazio alla Nazionale, il mondo dell’informazione ha puntato la sua attenzione sulla Mostra del cinema di Venezia dove è presente George Clooney e dove è nata la nostra intervistata di questa settimana, Roberta Noè di Sky.
Ma non ci si poteva dimenticare della tragedia dell’uragano Katrina che ha causato migliaia di morti negli Stati Uniti accrescendo l’indice negativo di popolarità di Georgino Bush.
Tutto questo ha fatto passare in secondo piano una delle grandi battaglie di Telegiornaliste: la ricerca della verità sul caso Alpi-Hrovatin. Acquisita la macchina che ospitava i due operatori dell’informazione, si stanno eseguendo nuove perizie nella speranza di arrivare alla verità.
Quella verità che dovrebbe essere la stella polare di riferimento dei giornalisti che, come ci ricorda la nostra rubrica Vademecum, svolgono una professione dell’ingegno, non un mestiere.
E un giornalista che, con stile, cerca la verità e di dare corrette informazioni è Antonio Caprarica da Londra, un collega da prendere a modello. Dicevamo di Roberta Noè, nata a Venezia e costantemente alla verifica della possibilità di coniugare la professione giornalistica nella redazione di Sky con quella di mamma e moglie. Un doppio impegno dal quale si è invece liberata, separandosi da Bettarini, Simona Ventura, la “mamma” dei reality show e colei che sfida, al limite della legalità, le esclusive sul calcio di serie A concesse dalla Lega a Mediaset dietro lauto compenso.
In questo numero di Telegiornaliste ci occupiamo (e come potevamo non farlo da autentici amanti dell’approfondimento?) della vicenda della professoressa di religione di Fano licenziata dalla Curia, mentre la Chiesa Valdese elegge la prima Papessa, e delle novità in materia di energie alternative. Chiudiamo parlando della classifica dove, per la prima volta, Benedetta Parodi trionfa battendo addirittura l’icona dei tg notturni Cinzia Fiorato. E sul podio arriva Manuela Lucchini che soffia l’ultimo gradino a Mikaela Calcagno, la sostituta della futura mamma Beatrice Ghezzi. Per la mitica Bea, gli auguri della redazione. Noi l’aspettiamo presto in video.
MONITOR Intervista a Roberta Noè, giornalista e mamma di Filippo Bisleri

Roberta Noè è già una realtà del telegiornalismo italiano. Potremmo anzi dire: del giornalismo in generale, perché la Noè è una giornalista completa. Simpatica e disponibile, nonostante sia sempre presa tra mille impegni.
Non solo giornalistici, perché è anche mamma di una bellissima bambina. L’abbiamo raggiunta a Sky per scambiare con lei qualche battuta sull’essere giornaliste oggi.
Roberta, come hai deciso di fare la giornalista?
«Io ho scelto di fare la giornalista? – e sorride – No, direi che il giornalismo ha scelto me. Direi che, ad un certo punto della mia vita il giornalismo mi si è presentato come realtà in grado di vivacizzare la mia vita e allora mi ci sono buttata a capofitto da quella pazzerella che sono».
Ora ti occupi di sport, ma seguiresti altri settori del giornalismo?
«Ho fatto cronaca per diversi anni, e sarei pronta a tornare a farla. Certo lo sport sembra più tranquillo, ma per fare bene i giornalisti occorre prepararsi e documentarsi anche nello sport o si rischiano di prendere delle cantonate bibliche».
Dunque possiamo a ragione dire che è un luogo comune quello che vuole i giornalisti sportivi meno preparati degli altri colleghi?
«Assolutamente è come dici tu, collega, e come testimonia il lavoro della giornalista sportiva ogni giorno. E credo che anche voi a telegiornaliste.com ne sappiate qualcosa, no?».
Quale aspetto del tuo lavoro ti piace di più?
«Apprezzo molto il poter conoscere tante persone. In tanti anni di lavoro ho conosciuto tanta gente e tante storie di vita che mi hanno più di una volta coinvolta anche emotivamente. E, incontrando tante persone, ho imparato a guardare il mondo in modo diverso e ad avere più rispetto per il prossimo».
I personaggi che incontri come telegiornalista ti avranno colpita. Chi ti è sembrato il più positivo?
«Difficile fare un nome. Devo proprio? Ce ne sarebbe più d’uno. Dico Paolo Maldini, Andryi Shevchenko, e poi quello che mi ha colpita certamente di più: Leonardo (al secolo Nascimento De Araujo, l’attuale vicepresidente del Milan). Lavorando a Milan Channel, un’esperienza molto formativa, ho incontrato Leonardo e ho capito quanto sia una persona speciale. Talvolta riusciva ad incantarmi per il suo modo di essere un serio professionista sul campo, un ottimo marito e un campione anche nella solidarietà con la “Fondazione Milan”».
Tu hai fatto anche un’intervista decisamente particolare. Ne vogliamo parlare?
«Oddio, per voi farò un eccezione e vincerò un po’ di timidezza e ritrosia. Credo tu ti riferisca alla mia intervista a Libero Grassi pochi giorni prima che venisse ucciso da quella malavita contro cui lottava. Ho ancora vive nella mente le sue parole sulle angherie subite, sulle minacce, ma anche sul suo fermo proposito di non lasciare nulla di intentato fino a a che non fosse morto».
Una grande esperienza. Per i nostri lettori, che aspirano magari a fare il giornalista, racconteresti anche qualche altro episodio?
«Certamente, per degli amici simpatici come voi questo ed altro! Ricordo volentieri il tg che facevamo, con altri 3 giovani, a Televenezia. Era un tg molto vicino alla gente, quasi realizzato in strada. È durato poco, certo, ma per me è una grande esperienza che consiglio a tutti quanti fanno del giornalismo televisivo».
Hai un sogno professionale?
«Oggi hai proprio deciso di farmi confessare? – sorride – Sogno di condurre almeno una volta un tg nazionale. Credo che sia un sogno comune. Ma non disdegnerei anche il compito di inviata… anche se ora con la mia bambina questo secondo sogno appare un po’ più difficile da realizzare. Non credi?».
Direi di sì. E visto che hai deciso di confessare ti chiedo il tuo modello di giornalista…
«Apprezzo molte colleghe e vari colleghi di tv e carta stampata, ma non ho un modello particolare. Il mio modello sono i bravi giornalisti e giornaliste cui spero di avvicinarmi sempre di più».
Sei una telegiornalista con marito e figlia, come riesci a conciliare lavoro e famiglia?
«Ma sei cattivello oggi sai? - e ride divertita – Sai già che non so ancora come coniugare bene i due aspetti di famiglia e professione. Credo, personalmente, che il lavoro giornalistico sia il peggiore, per fare un ottimo lavoro ed essere brave mamme. Ammiro quelle colleghe che, magari con più di un figlio, riescono ad essere ottime giornaliste. Tramite voi posso scoprire qualcuno dei loro segreti?».
MONITOR Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: caso ancora irrisolto di Fiorella Cherubini

I lettori del nostro settimanale ricorderanno la dettagliata trattazione del caso Alpi-Hrovatin che vi abbiamo fornito nel secondo numero di telegiornaliste.com: la giornalista e il suo operatore televisivo, come noto, furono uccisi il 20 marzo 1994 in un agguato a Mogadiscio.
Lo scorso primo settembre Carlo Taormina, Presidente della Commissione Parlamentare d'inchiesta sull'omicidio Alpi-Hrovatin, ha annunciato nel corso di una conferenza stampa che è stata acquisita - e sta per essere trasportata in Italia - la Toyota Land Cruiser su cui si consumò il duplice omicidio. Dalla perizia sull'auto
si spera scaturiscano riscontri definitivi sulla dinamica di quello che può definirsi un massacro.
Ricordiamo infatti ai nostri lettori che le esecuzioni della Alpi e di Hrovatin costituirono solo due degli anelli di una lunga catena di omicidi, tra cui quello dell’operatore della ABC presente al momento dell’agguato, quello di Vincenzo Li Causi, maresciallo del Sismi, ed altri ancora, di cui abbiamo parlato diffusamente in telegiornaliste.com n. 2.
Quell’anno, in Somalia, era in corso l’operazione ONU Restore Hope, sponsorizzata dagli USA, che doveva pacificare le fazioni locali in guerra tra loro; era presente anche il contingente militare italiano Ibis.
Durante la sua permanenza in Africa, Ilaria Alpi entrò in possesso di informazioni “scomode” relative al presunto traffico di armi e rifiuti tossici fra l’Italia e la Somalia.
Purtroppo degli appunti della giornalista, della sua macchina fotografica e dei filmati girati dalle troupes televisive sul luogo del duplice omicidio, non è mai stato ritrovato nulla. E raccapriccianti, anche se non sorprendenti, sono state le dichiarazioni di Taormina sull’operato del Sismi, mostratosi colmo di lacune dal punto di vista dell’acquisizione dei dati per l’inchiesta.
Nell’attesa, dunque, di conoscere l'esito delle nuove perizie sul mezzo acquisito dalla Commissione, non resta che constatare che quanto avvenuto a Ilaria Alpi è l’ennesima riprova che una persona giusta, nel posto giusto, al momento giusto, è, secondo alcuni, giusto che sia rimossa.
CAMPIONATO Berlinguer la novità?  di Rocco Ventre

Anche il secondo turno del campionato non ha fatto registrare pareggi e   sono ben  sei le concorrenti a punteggio pieno. Tra queste Manuela Moreno si conferma la più in forma del momento, mentre Bianca Berlinguer rappresenta la vera novità al vertice del campionato.  Durerà?
Come nello scorso campionato, Maria Luisa Busi  sembra non riuscire a trovare il ritmo giusto: è  vero che ha incontrato due delle prime quattro del torneo passato, però vederla in fondo alla classifica fa un po' tristezza. 
Il secondo turno di serie B ha emesso altri due  verdetti di eliminazione alquanto sorprendenti. Le vittime sono infatti due nomi illustri, Adriana Pannitteri  e Francesca Senette.
CRONACA IN ROSA  La lenta agonia di New Orleans di Tiziana Ambrosi

Per gli integralisti di ogni specie, cristiani, musulmani, ebrei, anche se per la verità il confine diventa assolutamente indistinguibile, l’inondazione di New Orleans rappresenta una sorta di catarsi per una città peccaminosa per antonomasia.
I venti di Katrina a 250 km/h e le piogge torrenziali hanno risparmiato la città. Lo stesso risultato non l’hanno ottenuto le opere umane e due grosse brecce lungo la diga sul lago Pontchartrain hanno riversato le acque sulla città, che risulta per l’80% allagata.
Non ci soffermeremo ad attribuire colpe o a ricercare le possibili contromisure che avrebbero potuto evitare questa immensa tragedia.
Ricordiamo solo che un articolo apparso sull’autorevole National Geographic nell’ottobre 2004 - e non è un errore di battitura - con precisione sconcertante descriveva con un anno di anticipo ciò che New Orleans avrebbe subito di lì a poco.
La precisione è sconcertante non tanto perché basata su improbabili vaticini, bensì sullo studio della meteorologia e del territorio. New Orleans infatti è una città particolare, circondata dall’acqua e sviluppatasi sotto il livello dell’acqua: basti pensare al lago Pontchartrain e al fiume Mississippi, il cui delta si sviluppa esattamente in questa zona della Louisiana.
Ma è anche questa bizzarra combinazione di ambienti, paludi e città moderna, che rendeva New Orleans così suggestiva: un fiume immenso e affascinante, percorso dalle chiatte e dalle tipiche navi a ruota che solcavano le sue torbide acque.
E poi i profumi, i sapori, le spezie, le tradizioni che vengono da lontano: dalla Francia, antica proprietaria dello stato della Louisiana; dall’Africa, con gli schiavi importati da ogni parte del continente nero.
Infine il mescolamento delle “razze”, la cultura e la cucina creola, l’animismo, la religione e il vodoo, il jazz e il soul, insomma un particolarissimo melting-pot nel cuore del Sud degli Stati Uniti. E proprio questa promiscuità è valsa a New Orleans la bigotta definizione di città del peccato.
Ma, per chi lascia ad altri tali definizioni, New Orleans è soprattutto the Big Easy, soprannome che la leggenda attribuisce affibbiato alla città da Betty Guillaud, giornalista del "Times Picayune”, in contrasto col nomignolo di New York, the “Big Apple”: Big Easy, dove tutto è più lento, facile e fila liscio, ciò che rappresenta le caratteristiche, nell’immaginario collettivo, del profondo Sud degli Stati Uniti.
In questi giorni stiamo assistendo alla lenta agonia della splendida città, occupata fino a pochi giorni fa, loro malgrado, dai meno abbienti - non è un caso che le immagini televisive trasmettano gruppi di persone di colore -, dagli anziani, e da bande di teppisti che hanno scorrazzato impunemente per diversi giorni.
La violenza è andata ben oltre qualsiasi limite, e simbolo ne è stato lo stadio Superdome, dove circa 20.000 persone, rifugiatesi per sfuggire a Katrina, sono state catapultate in poche ore in un girone dell’Inferno dantesco. Ciò che trapela dai racconti di coloro che hanno alloggiato nello stadio per quasi una settimana, ci dà la sensazione di un imbarbarimento e una regressione della civiltà a livelli primordiali: violenze, fisiche e psicologiche, stupri, aggressioni, rapine in uno spazio poco più grande di un campo da rugby. Sconcertante a tal punto che circa 200 poliziotti pare abbiano disertato, sfiniti, dopo aver perso tutto, nei continui attacchi di queste bande che impunemente controllavano la città.
La Guardia Nazionale, appena giunta a New Orleans, per prendere il controllo della situazione ha sparato sugli sciacalli in azione, uccidendone almeno quattro.
La città resta sotto metri di fango e detriti, e man mano che l’acqua viene pompata nuovamente nel lago, affiorano cadaveri.
A più di una settimana dalla tragedia ancora non sono state fornite cifre ufficiali sul numero di vittime: si parla di qualche migliaio di morti. Il Presidente Bush promette la ricostruzione della città, chiede agli USA lo stanziamento di milioni di dollari, e aiuti a tutti i Paesi del mondo.
Come la fenice rinacque dalle sue ceneri, così noi speriamo che New Orleans, città dai mille contrasti, possa risorgere. Più che di ceneri dovremmo parlare di acqua e fango, ma Big Easy all’acqua e al fango è abituata.
CRONACA IN ROSA  …and good luck, George! di Silvia Grassetti

Per una volta, parliamo di lui fingendo di ignorarne l’avvenenza: George Clooney non è solo un’icona sexy in versione maschile, ma un attore e un regista dall’intenso sguardo sul mondo, e specialmente sulla società americana.
Lo scorso primo settembre, durante la 62° Mostra del Cinema di Venezia, è stato proiettato in anteprima il suo film in bianco e nero Good night, and good luck, che ha ricevuto, in conclusione del Festival, il premio alla migliore sceneggiatura.
Al di là delle entusiastiche reazioni della critica – lasciamo ai botteghini il compito di avallarle o smentirle, benché anche a noi il film sia piaciuto, soprattutto per la sensibilità con cui Clooney ha colto la sconcertante attualità di certe tematiche – il tema su cui Good night, and good luck è incentrato non poteva non sollevare il nostro interesse: il protagonista è un giornalista tv.
Il film, che uscirà nelle sale americane il 7 ottobre prossimo, è ambientato nell’America dei primi anni ‘50 e del maccartismo; il giornalismo televisivo muoveva i primi passi ed Edward Murrow, mezzobusto della Cbs, credeva talmente nel ruolo di denuncia della professione da non esitare a mettere in mostra gli abusi e gli illeciti dell’allora senatore Joseph McCarthy.
Traspare dal film che Clooney è convinto che il giornalismo, specie televisivo, ha il grande potere di orientare la popolazione: usato quindi in maniera “etica”, può educare i cittadini alla difesa della democrazia e dei diritti civili. Facendo sempre attenzione al rischio che i potenti, siano essi politici o corporazioni multinazionali, usino gli organi di informazione per perseguire il proprio profitto.
Good night, and good luck è senza dubbio un film da vedere: il regista Clooney parla sì degli USA, ma le orecchie di noi italiani non possono che fischiare.
Una curiosità: Nick Clooney, il padre di George, è un giornalista del Cincinnati Post e conduce in televisione il talk show The Nick Clooney Show.
CRONACA IN ROSA Chi è senza peccato... di Stefania Trivigno

Caterina Bonci, 38 anni di Fano in provincia di Pesaro, da 14 anni insegnante di religione, è stata recentemente licenziata lo scorso 5 settembre dal vescovo di Fano perché “non in possesso dei requisiti richiesti dal diritto canonico per l’insegnamento della religione cattolica”.
Detto in parole povere, la donna è bella, ed è divorziata.
Ma dei suddetti requisiti la Bonci non era in possesso da ben dieci anni - nel 1995 l'omologazione della sentenza di divorzio. La "pazienza" del Vescovo si sarebbe esaurita quando alcune colleghe della Bonci gli avrebbero riferito di averla vista arrivare a scuola addirittura in minigonna.
Minigonna, divorzio, capelli lunghi e biondi. Davvero insostenibile.
Solleviamo corrucciati le sopracciglia, tuttavia questo non è il primo caso in Italia: nel 2003, Simonetta D.S., insegnante di religione a Firenze, fu licenziata con l’imprimatur della Diocesi e il beneplacito della Corte di Cassazione perché aveva osato concepire una creatura al di fuori del matrimonio.
Come la Bonci, anche Simonetta D.S. aveva presentato ricorso, ma la Suprema Corte, in nome della laicità dello Stato, aveva dato ragione alla Chiesa, tirando in ballo i Patti Lateranensi e le norme che regolano i rapporti con la Chiesa proprio in materia di insegnamento.
Il risultato è che oggi Caterina Bonci è disoccupata - lo stesso valse per Simonetta D.S. nel 2003 -, ed ha una figlia a carico, da mantenere con 400 euro al mese, versati dall'ex marito.
Forse il Vescovo di Fano non ha sbagliato ad applicare i dettami della morale cattolica. Ma di certo ha peccato di indifferenza, esponendo una donna e sua figlia al rischio della povertà.
Ci chiediamo cosa avrebbe consigliato Gesù Cristo, se gli avessero sottoposto un caso analogo, nonostante la dottrina cristiana dovrebbe fondarsi sul perdono. O almeno così, a scuola, durante l'ora di religione ci insegnavano.
CRONACA IN ROSA La prima Papessa di Silvia Grassetti

Nonostante porti il cognome di un antico cardinale cattolico, Maria Bonafede, già vice-moderatora della Tavola Valdese dal 2000, è stata eletta pochi giorni fa a capo delle Chiese valdesi e metodiste italiane. Una carica analoga a quella di Ratzinger per la Chiesa cattolica.
Maria Bonafede, 51 anni, plurilaureata – in filosofia e in teologia -, ma soprattutto donna, rappresenta forse quel sogno proibito o quell’utopia che la religione più diffusa in Italia probabilmente non consentirà mai: la possibilità anche per il genere femminile di accedere al ministero pastorale.
I valdesi non la chiamano “Papessa”, ma “Moderatora”: il suo predecessore, Gianni Genre, ha dichiarato che l’elezione di Maria Bonafede «ha una valenza simbolica molto forte. I tempi erano maturi per un moderatore donna, che porterà nella chiesa e verso l’esterno una sensibilità nuova. Personalmente mi rallegro moltissimo che l’elezione abbia dato un risultato largamente positivo».
Noi di telegiornaliste.com, nella fattispecie noi redattrici di telegiornaliste.com, ci rallegriamo nel constatare come l’apertura verso “ciò che è diverso” sia possibile anche all’interno delle religioni.
CRONACA IN ROSA Arrivano le eco-auto di Rossana Di Domenico

Auto ad idrogeno, ad aria compressa, elettriche, ibride. Strane, ma pulite.
Familiarizzare con questi termini è oramai un obbligo, perché indicano i motori del domani.
Oggi, per ridurre inquinamento e consumo energetico, è sempre maggiore la richiesta di auto pulite. Ecomobili in grado di sostituire il motore a scoppio, responsabile dell’effetto serra attraverso l’emissione di anidride carbonica, monossido di carbonio e ossido di azoto.
Queste auto sono ancora dei prototipi o dei modelli troppo costosi per essere realizzati, ma il 2007 è l'anno previsto per la circolazione delle prime auto alimentate ad idrogeno.
Messa a punto dalla BMW, la macchina è fornita di due serbatoi, uno per la benzina e l’altro per l'idrogeno, con un motore che funziona con entrambi.
Dal 2002 è sul mercato l'auto ad aria, i cui pistoni sono azionati da un potente getto d’aria; l’unico inconveniente è che servono circa quattro ore per ricaricarla.
Le autovetture con motore elettrico non emettono gas di scarico; in rapporto ai sistemi di energia elettrica occorrenti per caricare la batteria, la quantità di ossido di carbonio emessa da questi veicoli è molto minore rispetto a quelli a benzina.
Le vetture ibride, che negli USA ormai sono una moda, funzionano sia a benzina sia con un motore elettrico, e si ricaricano da sole. Il vantaggio è che inquinano poco, purtroppo però i costi di acquisto sono molto elevati.
Molti altri modelli sono in fase di progettazione o realizzazione, ma l’inconveniente che accomuna tutti è la mancanza di una rete di distribuzione su larga scala.
Finora le considerazioni sull'inquinamento del pianeta non sono state sufficienti a creare una coscienza ecologica internazionale: speriamo quindi che di fronte al vertiginoso aumento del prezzo del petrolio, le case automobilistiche trovino la loro convenienza nel mettere in commercio le vetture che rispettano l’ambiente.
FORMAT  Non c'è bavaglio per Simo di Giuseppe Bosso

È una delle regine del nostro panorama catodico - e a lungo è stata considerata “la” regina. Dapprima impacciata e bistratta spalla durante la Domenica Sportiva, poi vero e proprio ciclone sexy, esploso sotto la guida della “Gialappa’s”, quindi “iena”, tanto seducente quanto graffiante, e infine padrona di casa a Quelli che… il calcio, compagna della domenica di tensioni e passioni dei calciofili sparsi per tutto lo Stivale, ammaliati dal suo charme fin dai tempi di Mai dire gol, trampolino di lancio verso il Festival di Sanremo.
Con gli anni la prorompente ragazzona di Chivasso, al secolo Simona Ventura, cresceva e diventava vera signora del piccolo schermo, ben presto capace di scalzare nientemeno che quell’icona di Raffaella Carrà, come punto di riferimento da imitare per tante aspiranti starlette e sogno proibito nell’immaginario maschile, proprio negli anni della grande invasione straniera al piccolo schermo.
Quel mondo del calcio, che era stata la sua fortuna professionale, le aveva anche regalato l’amore, con il volto e il corpo di Stefano Bettarini, statutario difensore, mai però giunto a grandi livelli. Un matrimonio felice, almeno nei primi anni, due splendidi bambini, e intanto "la Simo" era vincente anche sul lavoro, come dimostrano i numerosi riconoscimenti ottenuti negli anni, dai grandi ascolti ai tanti Telegatti vinti; tutte cose che di lei hanno fatto un vero e proprio modello, ammirato ma al tempo stesso invidiato, in un ambiente in cui, si sa, l’invidia non è certo sconosciuta.
Poi, improvvisamente, il black-out; lo scandalo-scommesse che ha travolto la carriera del Bettarini, e ben presto anche il matrimonio, con le rivelazioni choc di Alessia Fabiani sul flirt avuto col calciatore e su quelle, vere o presunte che siano, sulla sua stessa infedeltà coniugale. E intanto anche sul lavoro le prime pecche, con i reality-trash L’isola dei famosi e Music farm.
Dopo l’annata “dalle stelle alle stalle”, per Simona Ventura, o Super Simo, come viene chiamata dai suoi tanti fedelissimi sostenitori, è arrivato l’anno zero: tanti cambiamenti, sia sul fronte personale che su quello professionale.
Proprio tutto è cambiato? No, certo. Lei è sempre la stessa, benché dimagrita: sfrontata forse, ma anche grintosa e determinata, come dimostra il decolletè esibito questa estate sulle spiagge sarde.
La Rai ha perso i diritti sulle partite? Non c’è più 90mo minuto ad allietare le domeniche dei tifosi? Lei invece c’è sempre, più agguerrita che mai, come ha già dimostrato la prima puntata, nel quale la banda Beldì è riuscita non solo a tallonare negli ascolti il tanto reclamizzato Bonolis - 27,15% per Serie A”, 26,92% per Quelli che… - ma anche a scatenare le ire dei signori della Lega, aggiornando il pubblico sui risultati, cosa che era stata diffidata a Viale Mazzini e dintorni, e che ha portato all’avvio di una procedura di contestazione innanzi all’Authority, non escludendo l’espletamento di azione risarcitoria.
Ma si sa, la Ventura puoi ammirarla come criticarla, puoi ammirarla come ignorarla, ma non imbavagliarla. E difatti pronta è stata la sua replica, appellandosi a quel diritto di cronaca che, come consente gli aggiornamenti alle miriadi di reti locali sparse per tutto il Belpaese, così non può certo essere precluso proprio al pubblico servizio al quale lo show appartiene.
Se è solo la prima puntata, il seguito promette di essere ancora più scoppiettante.
FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i – di Filippo Bisleri

Primo posto del podio per Benedetta Parodi. Si sta rivelando sempre più brava e sempre meno costretta a vivere all’ombra della sorella, con la quale ora potrà scontrarsi anche sulla qualità professionale, dato che conducono due diversi tg delle reti Mediaset. Una sfida che, crediamo, Benedetta possa vincere sul campo. Per lei un bel “7.5”.
Resta sul secondo gradino del podio Cinzia Fiorato, ormai attesa icona del telegiornalismo notturno. Difficile contrapporle un altro collega: Cinzia resta la numero 1 indiscussa perché è dotata di una professionalità che poche telegiornaliste possono vantare. Le attribuiamo un bel “7”.
Portiamo poi sul podio Manuela Lucchini. Certo non una rivelazione in casa Rai, ma la dimostrazione vivente che si può fare del telegiornalismo sano e di qualità anche all’interno di una tv di Stato che ha faticato, per qualche tempo, a ritrovare la sua rotta. Merita un bel “6.5”.
Ultimo gradino del contropodio per Enrico Varriale. Che senso ha fare le interviste ai campioni al termine delle partite dicendo che devono essere concisi perché incombe la pubblicità? Il caso accaduto col giocatore del Palermo, Grosso, grida vendetta… E mostra la povertà della scuola di Aldo Biscardi. Bocciato. “4”.
Non ha brio, non convince e non se ne sentiva il bisogno. Parliamo di Tacalabala di Giorgio Micheletti sul circuito Odeon Tv. Pensavamo potesse regalarci qualcosa di meglio e invece il telegiornalista ci ha delusi. Speriamo che, nelle prossime settimane, il bravo tgista si riscatti. Nell’attesa lo rimandiamo con un “5”.
Conquista il contropodio, nonostante meriti la sufficienza, la tgista Mikaela Calcagno. Nella squadra Mediaset sembra essersi inserita bene, forse guadagnando spazio dal sconfinamento a Serie A di Monica Vanali e dal prossimo periodo di assenza che vivrà (per lei e la famiglia tanti auguri) Beatrice Ghezzi. Ma la bionda romana deve acquisire più scioltezza. Poi sarà una delle grandi firme. Rimandata con un “6”.
TELEGIORNALISTI Caprarica, the gentleman di Silvia Grassetti

E’ soprattutto dalla grande attenzione al look e alle cravatte, sempre coordinate con lo sfondo, che si intuisce quanto sia gentleman inside, il telegiornalista Antonio Caprarica.
Corrispondente del Tg1 da Londra, responsabile della sede Rai locale, ha iniziato la sua carriera nella carta stampata: prima come redattore politico per L’Unità, poi come giornalista associato di Paese Sera.
In Rai dal 1989, è stato corrispondente dal Medio Oriente fino al 1992. Dal 1993 al 1997 ha svolto lo stesso incarico da Mosca, per poi arrivare nelle case degli italiani come corrispondente dalla capitale del Regno Unito.
Caprarica è un corrispondente “atipico”: spesso sceglie temi di costume per i servizi che andranno in onda, spesso riferisce il gossip più aggiornato sulle alterne fortune della famiglia reale inglese. Del resto, è lui stesso ad ammettere, in un’intervista rilasciata ad Alessandro Di Pierro, che il mestiere del corrispondente «richiede un’ottima conoscenza di materie disparate, dalla musica alla scienza, fino alla politica».
E continua: «Non basta la conoscenza della lingua, per svolgere bene questo lavoro bisogna essere molto colti, lo dico senza presunzione, si deve essere preparati per qualsiasi tipo di notizia».
Ne siamo convinti, ma non è sufficiente, almeno per Caprarica: a guardarlo e ascoltarlo mentre racconta la società inglese, si capisce che il corrispondente ha un debole per la sottile verve ironica che può nascondere dentro ai suoi servizi di costume. E’ il suo sguardo divertito a tradirlo, e a noi quello sguardo piace, perché non esprime mai un punto di vista banale o una cronaca raffazzonata del fatto del giorno. Al contrario.
Come per il suo look da baronetto, cappotto di cammello o giacca doppio petto, pashmina vezzoso o sciarpa di seta, ormai Caprarica ci ha abituato a servizi telegiornalistici sempre originali, ben costruiti, modulando le sue espressioni, e perfino il suo abbigliamento, in base all’argomento riferito: dai sorrisi sornioni sopra una cravatta sgargiante per l’ennesima gaffe reale, alla serietà estrema durante i collegamenti in diretta per la strage di Londra e i successivi attentati.
E’ sempre un piacere ascoltare il linguaggio forbito di questo insostituibile corrispondente gentleman.
Lo si può apprezzare anche leggendo i suoi due best sellers, usciti negli anni ’80: i noir La ragazza dei passi perduti e La stanza delle scimmie, scritti con Giorgio Rossi.
VADEMECUM  Professione, non un mestiere di Filippo Bisleri

Occorre specificare che il giornalismo non è un mestiere, ma una vera e propria professione all’interno di quelle dell’ingegno e della tecnica.
Per mestiere, infatti, si usa intendere l’esercizio di un’opera manuale come l’elettricista, il meccanico, il falegname o l’idraulico. Professione, invece, è la prestazione di un’opera grazie ad un esercizio intellettuale. Ne consegue, dunque, che quella del giornalista, è una professione al pari di quelle del medico, dell’avvocato o dell’architetto.
Attualmente, il giornalista non ha l’obbligo della laurea (ma l’Ordine tende a questo obiettivo per garantire ulteriormente la qualità dell’informazione offerta ai cittadini). Come detto altrove nel nostro Vademecum, ci si può fregiare del titolo di “giornalista professionista” (con tanto di diploma) dopo aver superato la prova di idoneità professionale prevista dall’articolo 22 della legge 69 del 3 febbraio 1963 - parliamo della legge istitutiva dell’Ordine e dell’Esame di Stato, che la Cassazione ha ribadito essere l’unica prova della preparazione professionale di un giornalista professionista.
Ricordiamo che l’ordinamento giuridico italiano accorda particolari tutele alle professioni. Il codice civile, all’articolo 2229, impone «l’iscrizione in appositi Albi o elenchi per le professioni», mentre agli Ordini è demandato «l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli Albi e negli elenchi e il potere disciplinare sugli iscritti».
L’Ordine è strutturato su base regionale o interregionale con un Consiglio nazionale e più Consigli regionali. Il sistema legislativo italiano che tutela la professione giornalistica in Italia è tra i più avanzati d’Europa ed è pressoché unico, anche se in altri Paesi, come Francia, Portogallo, Spagna e Lussemburgo, la professione è tutelata giuridicamente in modo abbastanza simile a quello italiano.
(3 – continua)
EDITORIALE  Abbiam perso le parole di Tiziano Gualtieri

Twister? Finzione. Deep impact? Fantascienza. The day after tomorrow? Impossibile che accada. Queste sono le convizioni che tutti abbiamo quando andiamo al cinema per vedere un film sulle catastrofi naturali. Ma quante volte abbiamo pensato: e se tutto questo dovesse avvenire sul serio? Poi gli occhi sono caduti sul tuo vicino di posto che con un sguardo fa capire come sia inutile proseguire il discorso. Non sarebbe mai potuto accadere, punto e basta. La finzione è finzione, la realtà è un'altra.
Nell'ultimo periodo abbiamo scoperto che non è davvero così. Che molto spesso le catastrofi reali sono ben peggiori di quelle immaginate dall'uomo. Tutti noi avevamo la certezza che, anche le più pessime previsioni, non sarebbero mai riuscite nemmeno lontanamente ad avvicinarsi alla finzione. Che la fantasia degli sceneggiatori non avrebbe mai potuto impallidire se confrontata con la pura realtà.
Poi, una mattina, ti svegli e scopri che la natura ha scritto un copione di morte e distruzione, che neppure il più folle degli sceneggiatori avrebbe potuto immaginare, ma che - soprattutto - sta seguendo alla lettera ogni cosa. Quella che vedi, non è una New Orleans creata al computer o ricostruita chissà dove pronta per essere distrutta: quella è la città del jazz violentata da Madre Natura che un bel giorno ha deciso di alzarsi e dare due "sberloni" agli uomini per far capire chi è che comanda.
Tsunami e tornado: per assurdo ben peggio degli attacchi alle Torri Gemelle. Sicuramente eventi che lasceranno un segno indelebile sulla pelle di chi ha visto. Perché chi resta, non riuscirai mai a trovare le parole per dare l'idea dell'immane disastro.
"Ai confini della realtà" è stata un'antologia che - tra il 1959 e il 1964 - cercò di raccontare quello che non era umanamente possibile da spiegare. Il tentativo di razionalizzare l'imprevisto e l'imprevedibile. Un po' come quello che abbiamo tentato di fare noi in questo caso. Senza, ovviamente, riuscirci.
Le immagini che scorrono sul monitor che, per una volta diventano l'anteprima del grande schermo, lasciano sbigottiti. Non tanto per il numero di morti su cui deve essere ancora fatta una stima, bensì perché sai che è tutto tragicamente vero.
È proprio in questi casi che, per noi giornalisti, emerge anche la grande difficoltà di raccontare qualcosa che eravamo abituati a vedere solamente al cinema.
Narrare il disastro o la morte quotidiana è il nostro pane, eppure leggendo e ascoltando i pezzi sull'argomento - prima che anche la distruzione provocata da Katrina venisse metabolizzata - era palpabile la difficoltà di ricreare, attraverso le parole, la percezione del disastro.
Forse, in questi casi, sono le immagini le uniche in grado di raccontare la pura e semplice realtà. Il tutto senza correre il rischio di cadere nella trappola della retorica che - dopo avvenimenti di questo tipo - attende sempre dietro l'angolo.
 
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