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Telegiornaliste N. 24 del
24 ottobre 2005
Quando la donna è la vera protagonista di Filippo Bisleri Sono le donne, questa settimana più che mai, le protagoniste del nostro magazine. Donne al centro della cronaca per i nuovi casi di violenza di cui sono oggetto. E, dramma nel dramma, violenze anche e sempre più in seno alla famiglia. Così come le donne sono state protagoniste all’interno degli oltre 4 milioni di votanti del popolo del centrosinistra in occasione delle primarie che hanno incoronato leader della coalizione Romano Prodi. Di attribuirgli il titolo di imperatore, re o capo, a noi non interessa. Preferiamo dire che Prodi, anche grazie al voto rosa (e in Parlamento si continuano a tirare bordate, da parte dei “franchi tiratori”, contro il giusto diritto delle donne a decidere le leggi in Parlamento), è alla guida della coalizione del centrosinistra. Sul fronte delle donne e della politica, poi, da registrare il successo della serie televisiva americana che ha, come protagonista, una possibile presidente degli Usa. Un modo, sullo stile delle “recite” del Grande Fratello, per tastare il polso agli americani di fronte alla possibile elezione di una donna alla carica presidenziale più importante al mondo. In America c’è chi arriva a sostenere che dietro questa serie televisiva si nasconda la regia occulta di Mrs Hillary Clinton. In Italia, invece, oltre a scoprire che leggiamo più di quanto l'Istat sospettasse, Celentano riporta nelle nostre case Michele Santoro a Rockpolitik, il suo nuovo programma al centro di mille polemiche, mentre Bruno Vespa preferisce togliere ai telespettatori anche il gusto dell’immaginazione e così denuda una donna nel suo Porta a porta, con la scusa di parlare di chirurgia estetica. Ma ci faccia il piacere… Il focus settimanale per la telegiornalista punta il suo obiettivo su Milena Minutoli, la donna delle dirette; sul fronte maschile, invece, parliamo di Giuseppe Brindisi. Corposa e più ricca del solito la sezione dell’esperto, mentre la consueta classifica settimanale vede Lia Capizzi conquistare la vetta spodestando Laura Cannavò, che resta comunque al secondo posto. MONITOR Milena Minutoli, la donna delle dirette di Giuseppe Bosso Ne ha fatta di strada, e ancora ne fa tanta, letteralmente parlando, ogni settimana per la trasmissione In famiglia, contenitore mattutino del secondo canale, alla scoperta di segreti e curiosità di posti non sempre molto conosciuti. Tante cose si possono dire di Milena Minutoli, piemontese di Chivasso, giornalista professionista dal 1992, che ha cominciato giovanissima collaborando con il quotidiano economico Ore 12- Il Globo, per poi approdare in Rai alla corte di Giovanni Minoli per Top secret, l’altra faccia della storia e poi a Mixer, dove presenta dallo studio i suoi servizi. Gavetta sicuramente importante, sebbene all'inizio non del tutto soddisfacente, come lei stessa ebbe un giorno a ricordare ospite del programma di Monica Setta Donne allo specchio, ma che comunque le ha permesso di muovere bene i primi passi prima del grande salto datato 1998, con il passaggio a La vita in diretta, da un altro “guru” del piccolo schermo come Michele Cucuzza. Ha anche modo di debuttare come conduttrice di programma, sostituendo per alcune puntate Danila Bonito, ma diventa soprattutto la “donna della diretta” con i suoi numerosi servizi giornalieri, realizzati anche per alcuni speciali come il Giubileo degli Ammalati e lo Speciale Battisti. Piace non solo per competenza e preparazione, ma per un’indubbia verve e simpatia che la contraddistingueranno durante la stagione 2002-03, quando approda nella squadra di Casa Raiuno, con Massimo Giletti, dove, in coppia con il collega Tonino Carino, tutti i giorni è, tanto per cambiare, in giro per l’Italia per raccontare la vita nelle varie città toccate. Certo, la stella del programma è Antonella Mosetti, ma Milena non è da meno: dovunque arrivano le telecamere del programma è sempre ben accolta dalla gente. L’anno seguente è ancora “agente d’assalto”,stavolta per Osvaldo Bevilacqua e Alessandro Di Pietro, rispettivamente per Sereno variabile e Occhio alla spesa, per poi approdare nel gruppo di In famiglia, in cui si occupa di un curioso spazio dedicato al risveglio dei personaggi noti, in cui rimane anche quest’anno. Vita professionale intensa, ma non tale da impedirle, nel contempo, di mettere su famiglia: Milena è sposata ed ha due splendide bambine, Carlotta e Benedetta, e chissà che un giorno non decidano di seguire le orme della mamma. Sicuramente tante le soddisfazioni per la brava Minutoli, che dopo tanta gavetta alle spalle di personaggi di spessore e tanti servizi, meriterebbe una vera grande occasione come conduttrice. Ce la farà? Glielo auguriamo davvero: non è frequente riscontrare nella stessa persona tale preparazione e tanta simpatia. MONITOR COMUNICATO STAMPA Tra le altre centinaia di firme di solidarietà giunte nella notte, hanno aderito all'Appello di solidarietà per Giorgio e Luciana Alpi Marco Boato, presidente del Gruppo parlamentare misto della Camera dei Deputati, e Flavio Lotti, direttore del coordinamento "Enti Locali per la Pace" e Coordinatore nazionale della "Tavola della pace". La solidarietà verso Giorgio e Luciana Alpi, i genitori di Ilaria, querelati per diffamazione dal presidente della Commissione parlamentare Alpi-Hrovatin Carlo Taormina, ha superato qualsiasi aspettativa: più di ottomila firme in sei giorni. Un fiume di adesioni che continua a giungere da ogni parte d'Italia: cittadini, politici locali e nazionali, eurodeputati, sindacalisti, giornalisti, intellettuali, docenti universitari. Una volta completata la raccolta delle firme, verrà indetta una conferenza stampa durante la quale tutte le adesioni verranno consegnate, con il testo dell'appello e insieme a tutti i messaggi solidarietà pervenuti, al presidente della Camera Pierferdinando Casini e all'avvocato Domenico D'Amati in rappresentanza della famiglia Alpi. CAMPIONATO Scambio di coppia di Rocco Ventre Chi l'avrebbe mai detto? Luisella Costamagna rimedia una batosta da Tiziana Panella incappando quindi nella sua seconda sconfitta consecutiva, mentre Maria Concetta Mattei perde inaspettatamente con Irma D'Alessandro. E così in testa alla classifica c'è adesso la nuova coppia Capulli Moreno. La classifica si accorcia notevolmente anche grazie alle vittorie di Vanali e Todini. In coda, sia pure per un solo voto, Maria Leitner colleziona la sua ottava sconfitta su otto sfide, mentre Cristina Parodi è costretta a rimandare ancora l'appuntamento con la sua prima vittoria. L'ottavo turno di serie B ha decretato l'eliminazione di due telegiornaliste Mediaset: Diletta Petronio e Barbara Pedri. CRONACA IN ROSA Quote “rosa” per un parlamento “azzurro” di Fiorella Cherubini Differenziare maschietti e femminucce ricorrendo all’azzurro e al rosa può essere un espediente accettabile quando l’età anagrafica si calcola ancora in mesi e non in anni; quando invece l’età è sufficiente per l’elezione a parlamentari, il ricorso al colore del corredino diventa deprimente. Almeno per le “femminucce”. Il luogo in cui è stata partorita la metafora bicolore non è infatti un reparto maternità, ma il Parlamento italiano: la questione affrontata è la rappresentanza politica femminile, e a commentarla è il ministro per le Pari Opportunità, Stefania Prestigiacomo. Chiunque mastichi un po’ di diritto costituzionale sa cos’è un disegno di legge, ossia un progetto da approvare, come un emendamento, ovvero una modifica dello stesso. Provvisti di questi elementi, nulla osta per sviscerare il problema. Per il disegno di legge sull’election-day è stato previsto “l’emendamento rosa” che, come sostiene il ministro Prestigiacomo: «E’ frutto del confronto costruttivo all’interno di tutte le componenti del centrodestra, con le donne di Forza Italia ma anche con alcune parlamentari di centrosinistra, fra tutte la senatrice Cinzia Dato, presentatrice di una proposta di legge che contiene il principio del limite dei due terzi per le candidature del medesimo sesso». Il tema della rappresentanza femminile è diventato dunque centrale nel dibattito politico, e questo è sicuramente un buon risultato per il ministro per le Pari Opportunità, che si conferma soddisfatta che in questa Italia di donne protagoniste si siano colmati molti gap. A renderle brutta la cera vi è però chi, per accontentare la scalata femminile al Parlamento, riserva alle deputate le cosiddette “quote rosa” che, al di là del discutibile colore, da sempre rappresentano uno strumento utilizzato per tutelare le minoranze. A ben vedere, se nel 2005 versiamo ancora in questo miscuglio di agitazioni parlamentari e supposte conquiste democratiche, che sembrano la parodia dei moti delle suffragette, è perché, adduce il ministro Prestigiacomo, la rappresentanza parlamentare spetterebbe alle donne soprattutto in quanto presenti nel Paese in numero superiore agli uomini. Sulla scia di queste illuminate considerazioni le donne continueranno a vita a vedersi recapitare mimose ogni 8 marzo. Siamo in una Repubblica democratica, l’articolo 51 della Costituzione sancisce il principio delle pari opportunità nelle assemblee elettive, il parametro di riferimento dovrebbe essere la qualità e non la quantità, come sostiene la Prestigiacomo, ed allora: è per questo che le donne sono, o meglio dovrebbero essere, più rappresentate in Parlamento. Aspirare a cambi di rotta più arguti, a discutere dei problemi sottesi al colore di una quota, e a sentirsi rappresentati da persone più consce del ruolo che ricoprono e delle argomentazioni che dovrebbero fornire - oltre alla messa in piega, almeno ora come ora - appare un pensiero consolatorio che poggia sul nulla. CRONACA IN ROSA La violenza sulle donne: un fenomeno senza fine di Rossana Di Domenico La violenza sulle donne è da sempre la violazione dei diritti umani più diffusa. Nonostante la mobilitazione di numerose organizzazioni di donne in tutto il mondo e i progressi legislativi ottenuti, la violenza sulle donne continua incontrastata, sia nelle nazioni ricche che in quelle più povere. Secondo uno studio basato su 50 ricerche svolte in tutto il mondo, almeno una donna su tre nella vita ha subito gravi forme di violenza, spesso da parte di un familiare o di un conoscente. Se il coniuge continua ad essere il maggiore responsabile dei disagi della donna, sono aumentati i casi di responsabilità del convivente. Il Consiglio d’Europa ha dichiarato che la violenza domestica è la principale causa di morte e invalidità per le donne di età compresa tra 16 e 44 anni, con un’incidenza maggiore di quella provocata dal cancro o dagli incidenti automobilistici. Gli autori delle violenze restano spesso impuniti, lasciando le donne prive di qualsiasi possibilità di risarcimento, tenendo conto inoltre che circa i due terzi degli oltre 800 milioni di adulti analfabeti sono donne. Dei 137 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni analfabeti, il 63% sono donne. La casistica dei problemi e dei disagi imputati dalle donne al responsabile comprende: mancanza di comunicazione, irresponsabilità, violenze e maltrattamenti, che sono voci in netto aumento. Sono stazionarie le cause legate ad altre relazioni, e a problemi con la giustizia, mentre sono in diminuzione quelle legate a problemi sul lavoro. In molti casi è la comunità di appartenenza a tollerare o favorire la violenza sulle donne, oppure gli abusi sono commessi in nome della cultura, della religione o della tradizione. Ne sono esempi, oltre che le mutilazioni genitali femminili, i delitti d’onore, le morti legate all’istituto della dote e tutti gli abusi subiti dalle donne che hanno trasgredito rigidi codici di comportamento imposti da leggi e consuetudini discriminatorie. Tuttavia organizzazioni di donne in tutto il mondo hanno alzato la voce per affermare con forza che la cultura e la tradizione non possono costituire una giustificazione per la violenza nei loro confronti, ed è grazie al loro impegno che durante la Conferenza ONU di Vienna del 1993 è stata approvata una Dichiarazione che sancisce che i diritti della donna sono «una parte inalienabile, integrale e indivisibile dei diritti umani universali» e che «nessuna motivazione di carattere culturale, religioso o collegata alla tradizione può essere invocata per giustificare la violenza contro le donne». Uno studio condotto dall’Unfpa (Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione) denuncia che la violenza contro donne e ragazze (sono 1,7 miliardi le donne tra i 15 e i 49 anni nel mondo) è «un'epidemia mondiale, silenziosa e di dimensioni allarmanti. La discriminazione contro donne e ragazze sottrae allo sviluppo di intere nazioni il pieno contributo delle capacità individuali di oltre metà della popolazione». Passando alla salute femminile, ogni anno muore mezzo milione di donne per cause quali la gravidanza o il parto. Per ogni donna che muore per questi motivi, però, altre 20 soffrono di invalidità o malattie, per una cifra che va dagli 8 ai 20 milioni ogni anno. Si contano 76 milioni di gravidanze indesiderate ogni anno nei soli Paesi in via di sviluppo. Ogni anno circa 14 milioni di adolescenti fra 15 e 19 anni diventano madri. L'Unfpa stima che nei prossimi dieci anni circa 100 milioni di adolescenti saranno costrette a sposarsi prima dei 18 anni. Circa la metà delle persone sieropositive sono donne. Una donna su due ha accesso alla contraccezione (in Africa una su cinque). Il 99% delle morti delle madri avviene nei Paesi in via di sviluppo. Tutto questo dovrebbe farci riflettere e sottolineare come sia possibile che in una società civile, dove i valori della democrazia vengono continuamente sbandierati dalle forze politiche, esistano delle realtà come queste appena descritte. Specialmente considerando che anche nel mondo della politica, in media le donne detengono solo il 16% dei seggi parlamentari: molti Paesi non hanno mantenuto l'impegno di eliminare le leggi discriminatorie contro le donne entro il 2005 come richiesto dalla Conferenza di Pechino del 1995. Come dire: il potere è maschio. La discriminazione, femmina. CRONACA IN ROSA Le primarie, un successo controdi Stefania Trivigno Com’era già accaduto per le elezioni primarie in Puglia e in Toscana, anche il 16 ottobre scorso gli elettori di centrosinistra hanno dimostrato un forte senso di responsabilità di fronte all’opportunità di scegliere il candidato leader per le prossime politiche del 2006. Vince Romano Prodi con il 74,1% di voti, a seguire Bertinotti, Mastella, Di Pietro, Pecoraro Scanio, Scalfarotto e Panzino, per un totale di 4.311.149 elettori. Non sono mancati i commenti del centrodestra. Berlusconi: «Prodi può vincere le elezioni solo così: facendo votare quelli di sinistra» e Prodi replica: «Questi voti gli dicono che deve andarsene. Lavorerò per un vero Ulivo in una grande Unione». Forse lo stesso Prodi sa che la grande risposta degli italiani può considerarsi più un voto contro la politica di Berlusconi che a favore del centrosinistra. Dato il grande successo delle primarie, verrebbe naturale chiedersi perché non dare anche agli elettori di centrodestra l’opportunità di scegliere il proprio leader. Del resto, non dimentichiamo che lo stesso Follini, ex-segretario dell’UDC, si è detto favorevole a un’ipotetica messa in discussione dell’attuale leadership della Casa delle Libertà. Inoltre, ha anche sostenuto che queste primarie sono state un grande esempio di democrazia. Stando alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, però, la CdL non avrebbe bisogno di ricorrere alle “inutili” elezioni primarie perché «un leader forte ce l’ha già», ed è Berlusconi stesso. Dunque, per gli elettori di centrodestra il passo successivo è rappresentato dalle elezioni politiche del 2006 e lì – spiega il Cavaliere - «si vedrà che il candidato premier è anche il leader del partito che ha preso più voti». Peccato che in quella occasione, la scelta sarà limitata, se non costretta. La giornata del 16 ottobre, oltre che per il grande trionfo della democrazia, sarà ricordata, purtroppo, anche per un triste avvenimento: la mafia ha colpito in uno dei seggi allestiti in Calabria, la vittima è Francesco Fortugno, vicepresidente della Regione. CRONACA IN ROSA Mrs President di Tiziana Ambrosi Donne in ruoli chiave della politica? Sì grazie, ma solo per finzione. Da tutti riconosciute come fondamentali nel sistema sociale e politico di un Paese, quando si tratta di passare dalle parole e dai complimenti ai fatti, questi pensieri si archiviano negli scaffali impolverati della memoria. Prova ne è, in Italia, la bocciatura dell’unico emendamento alla legge elettorale, quello riguardante le cosiddette “quote rosa”. Certo imporre una percentuale di presenza femminile non è molto raffinato, ma al momento non sembrano esserci altre soluzioni più democratiche. Perfino negli Stati Uniti, faro di democrazia (a torto o a ragione), mai si è visto un Presidente donna. Almeno fino ad oggi. Nome: Mackenzie. Cognome: Allen. Il mistero è subito svelato leggendo i sui secondi nome e cognome: Geena Davis, attrice premio Oscar ed interprete della serie americana della ABC Commander in Chief (cioè "Comandante in capo"). La trasmissione, partita da qualche settimana, sta letteralmente incollando ai teleschermi milioni di americani e, come ovvio, rappresenta anche un test per verificare quanto gli americani siano preparati ad avere un presidente donna in un futuro più o meno immediato. Così accanto alle Casalinghe Disperate (altro grande successo, che sta riscuotendo ottimi ascolti anche in Italia) si affianca una nuova eroina in lotta con un mondo tutto al maschile. L’idea è indubbiamente originale, ma non si è andati oltre una certa soglia di rischio: infatti nemmeno nella finzione la presidentessa riesce ad essere eletta democraticamente, bensì assume l’incarico, essendo vice, alla morte del presidente, che, colpo di scena, altri non è che suo marito. Spinta a rassegnare le proprie dimissioni, per lasciar posto ad un uomo, un grande e sempre cattivo Donald Sutherland, decide di mantenere i propri doveri e assumere l’incarico di capo della superpotenza mondiale, cioè di Commander in chief per l'appunto. Ce la farà? Lo si scoprirà nelle prossime puntate (in Italia dovrebbero andare in onda su RaiUno nella stagione 2006-2007), ma intanto il dibattito comincia a montare oltreoceano. Favorevoli ad un presidente donna si dichiarano, come ovvio, soprattutto i giovani, mentre la fascia d’età dai 65 anni in su è decisamente contraria. I conservatori repubblicani vedono nel serial un mega spot elettorale a favore della senatrice Hillary Clinton, papabile candidata democratica alle elezioni del 2008. Chiaramente il pensiero va anche al segretario di Stato Condoleeza Rice, donna di ferro dell'attuale amministrazione americana. Entrambe si chiamano fuori dai giochi, ma chissà che nel 2008 ci possa essere una sfida tutta la femminile e che Commander in Chief non rimanga solamente una finzione. FORMAT Rockpolitik: tra satira e Santoro di Tiziano Gualtieri «Patetico». E ancora: «Programma politico e orientato». A tal punto da necessitare, addirittura, «una puntata riparatoria». Il Re degli Ignoranti ha colpito ancora. Sono bastate alcune frasi, i riferimenti agli epurati e il faccione finto emozionato di Michele Santoro, il Principe degli Epurati, per far esplodere la cagnara attorno all'ennesimo programma di Adriano Celentano. Rockpolitik, l'appuntamento televisivo più atteso, chiacchierato e bersagliato dalle polemiche negli ultimi anni, sedeva su una bomba a orologeria che nessun artificiere avrebbe mai e poi mai potuto o voluto disinnescare. Ci ha provato Fabrizio Del Noce, novello Bob Caselli della situazione, che ha "minacciato" le dimissioni, ottenendo quale unico risultato l'ennesima figura di personaggio più attaccato alla poltrona che alla qualità di una rete televisiva. Cosa che non è sfuggita a un altro epurato speciale, quell'Enzo Biagi che ha ricordato che nel passato i «grandi direttori, quando non erano d'accordo, non si sospendevano ma rinunciavano alla poltrona». La lancetta ormai era puntata e sono bastati davvero pochi minuti prima di sentire il botto. Ore 21.45, Celentano mostra la classifica di Freedom of the press sulla libertà di stampa che vede l'Italia solamente al 77esimo posto, primo Paese europeo solo parzialmente libero (ma qualcuno dovrebbe spiegarci perché non si è presa la classifica ufficiale di Reporters sans frontières, unico organismo deputato a fare un elenco della libertà di stampa nel mondo, in cui il nostro Paese è in 42esima posizione), quando fa il suo (trionfale) ingresso Michele Santoro. Additato - obbiettivamente anche un po' a ragione - «vergognoso e patetico» dagli esponenti di centrodestra, l'ex eurodeputato ha fatto leva su tutte le sue capacità per impersonare il martire dell'informazione sacrificato sull'ara della finta libertà di stampa. Nei cinque minuti circa di ordinaria follia televisiva al contrario che si sono susseguiti, si è consumato l'ennesimo delitto operato da parte di chi, per curare un malato, somministra una pillola che non fa altro che peggiorare la situazione. Santoro chiede di riavere il "suo" microfono; non vuole quello da ospite, ma quello da protagonista, infischiandosene del fatto che esistano centinaia di giornalisti italiani a spasso, disoccupati, non famosi ma ugualmente capaci che meriterebbero - almeno quanto lui - di dimostrare la propria bravura. Una polemica attesa, quella attorno a Rockpolitik, che - onestamente, se non fosse così apertamente schierato - sarebbe anche piacevole. Pensato e organizzato all'insegna dei più grandi one man shows, ha un Celentano capace di tenere viva l'attenzione in ogni momento e che riesce anche a far ridere, al punto che viene da chiedersi se sotto quelle lenti (Adriano, ti è calata la vista oppure tra poco tempo un servizio degli "amici" di Striscia ci dirà che gli occhiali fanno parte della solita e consueta pubblicità occulta?) ci sia il vero Celentano e non piuttosto Teocoli. Proprio per questo motivo la cavalcata dell'ovvietà portata avanti da Santoro dispiace; fino ad allora non aveva stonato nulla, neppure le frasi dello stesso Celentano: «Hanno tutti paura delle parole - aveva affermato il cantante-conduttore - oggi si possono dire solo cose che non danno fastidio a nessuno». Così, mentre Santoro novello Marat, abbandona il palco al grido di «viva la fratellanza, l'uguaglianza, la cultura e la libertà», il vespaio di polemiche si è già alzato. Personalmente non so se si tratti di una «vergognosa santoreide celentanesca» come ha detto qualcuno, oppure di «un nuovo peronismo, di demagogia post-politica e post-democratica», ma si può dire senza ombra di dubbio che ci si divertite molto di più ad ascoltare la satira pungente di Maurizio Crozza e delle sue cover o gli sfottò a "Silvio" da parte di Antonio Cornacchione. Perché, molto spesso, è meglio far intedere le cose con il sorriso stampato in faccia, piuttosto che gridarle con le lacrime sempre in tasca. FORMAT Porta a porta o Sexy bar? di Filippo Bisleri Il 12 ottobre è certo una data storica: è il giorno della scoperta dell’America maledetta da Benigni in Non ci resta che piangere, ma è anche la serata del “seno nudo” da Vespa. Una gagliarda quarta che la signora Giada Guazzini, una volontaria aspirante ad un intervento di chirurgia estetica per ridurre il seno di una misura (mastoplastica riduttiva), ha mostrato all’italico pubblico che, orfano delle repliche satellitari di Colpo grosso, ha trovato in Bruno Vespa un apostolo del Sexy bar. Il giornalista ha dedicato Porta a porta del 12 ottobre alla chirurgia estetica con un medico del campo e un’aspirante paziente. Che vorrebbe concedersi un ritocchino al seno in controtendenza, rendendolo meno prosperoso. Surreale la scena dello specialista che cerca la penna e poi tocca i seni della Guazzini per mostrare come interverrebbe. Con Giada che cala il suo vestiario e mostra all’italico maschio la sua quarta burrosa e le mutandine di pizzo: una mise che non era certo necessaria all'approfondimento, ma intrigante sì, come rivelava la mimica di Bruno Vespa. Il tutto a chiosa di una puntata incentrata sull'argomento prostituzione. E così, dopo i succinti abiti delle prostitute, ecco il seno nudo della volontaria della chirurgia estetica. Che si traduce in un nuovo autogol della tv di Stato che è sempre meno informativa e sempre più “formativa”, visto che Giada Guazzini, a precisa domanda di Vespa, risponde di essere pronta ad entrare in sala operatoria per la mastoplastica riduttiva. Senza entrare nel merito dell’utilità della chirurgia estetica, stupisce come un programma della tv di Stato, seppure con un format di proprietà dello stesso Vespa, abbia potuto mandare in onda il palpeggiamento di un seno nudo. Non si vuole qui fare del moralismo o della censura (il tempo delle eresie e dei roghi è, fortunatamente, archiviato), ma crediamo si potesse arrivare allo stesso risultato senza scadere nello squallore. Le donne sono molto di più che due “tette” mostrate al vento come se si fosse la Fenech delle commedie con Vitali e Montagnani. Si poteva affrontare l'argomento come fecero qualche tempo fa Elsa Di Gati e Corrado Tedeschi a Cominciamo bene quando ospitarono Roy De Vita, il chirurgo estetico compagno di Nancy Brilli. Anche allora c’era una donna intenzionata a ridurre il seno e De Vita spiegò come si sarebbe dovuto intervenire senza spogliare lei, né qualche "volontaria". Insomma, per Vespa un nuovo autogol sul quale meditare…dopo quello fatto augurando a Lapo Elkann di rimettersi in pista. FORMAT Telegiornaliste/i + Telegiornaliste/i – di Filippo Bisleri Le ultime performance ci hanno convinto e così assegniamo a Lia (che sta per Amelia) Capizzi, unica voce femminile nel panorama dei commentatori delle dirette della partite di serie A su Sky, il primo posto del nostro podio. Se lo merita, questa brillante giornalista, il più ambito dei premi italici: il gradino più alto del podio della classifica settimanale di Telegiornaliste.com. Partita con capelli castani e poi passata al color mogano, la nostra Lia è oggi una bionda tutto pepe di grande competenza e professionalità. Ottima giornalista. “8.5”. Resta sul podio, anche se scende di un gradino, Laura Cannavò. Ottima conduttrice del mattino, la Cannavò offre anche servizi egregi sul campo. Con domande mai scontate e servizi articolati e documentati. Crediamo sia una delle migliori frecce all’arco del direttore del Tg5 Carlo Rossella, una buona eredità consegnatagli da Enrico Mentana. Brava. “7.5”. Spazio sul podio anche per Pino Scaccia, che, dalle terre tormentate da guerre o terremoti, continua ad offrire servizi di altissimo livello. A conferma che l’amico di Telegiornaliste.com è un vero giornalista con la “G” maiuscola, un professionista serio e preparato che può insegnare segreti del mestiere anche solo con un servizio. Da seguire sempre come un guru. “7”. Gradino più basso del contropodio per Marica Morelli. Non ci siamo proprio: un pesce fuor d’acqua a Buona domenica, presenza quasi coreografica a Tutte le mattine. Le ripetiamo: sarebbe stato meglio restare da leader all’interno di Omnibus rispetto alle comparsate nei programmi targati Costanzo? Le manca solo C’è posta per te…. Bocciata con un “4+”. «Non credo di fare una televisione trash, faccio la televisione che la gente vuole». Con questa dichiarazione all’Antipatico condotto da Maurizio Belpietro, Aldo Biscardi ha conquistato il secondo gradino del contropodio. Ogni altro commento ci sembra superfluo…sarebbe non uno sguuub ma un’ulteriore offesa al buon gusto e all’intelligenza dell’italico popolo. Rimandato con un “5-”. Questa volta gli assegniamo il gradino più alto del contropodio. Parliamo di Sandro Piccinini che nelle ultime puntate di Controcampo sembra aver perso il mordente delle prime annate. Sarà l’annunciato addio al programma a fine stagione, sarà la stagione calcistica poco aperta alle sorprese, sarà la mancanza della Canalis, ma a noi questo Piccinini non piace. Lo rimandiamo per la fiducia che nutriamo in lui, ma non possiamo andare oltre il “6-“. TELEGIORNALISTI Giuseppe Brindisi, uno Verissimo di Filippo Bisleri Giuseppe Brindisi, giornalista professionista, nato a Modugno, in provincia di Bari, il 7 giugno del 1962, è oggi, insieme a Benedetta Corbi, alla guida di Verissimo, il rotocalco quotidiano per anni condotto da Cristina Parodi e per il quale il direttore del Tg5 Carlo Rossella ha auspicato, presso l’editore, la conduzione in coppia tanto di moda. Giuseppe Brindisi è un bravo giornalista che, dopo un passato come giornalista sportivo, è approdato alla conduzione di Studio Aperto. È sposato con Annamaria, una collega giornalista, ed è appassionatissimo di tecnologia e animali. Ha quattro cani, di cui due bulldog inglesi che letteralmente adora. La carriera di giornalista di Giuseppe Brindisi inizia come corrispondente dalla Puglia per la redazione sportiva di Mediaset. Un ruolo che gli fa conquistare tante simpatie tra i telespettatori grazie al suo stile estremamente colloquiale e pacato di fornire informazioni sulle vicende della gare di Bari, Lecce e delle altre formazioni pugliesi. Ma Brindisi non si è limitato al solo calcio tanto che i colleghi della redazione sportiva di Mediaset ancora oggi ne parlano come uno dei giornalisti più preparati in varie discipline sportive. Il bello è che di Brindisi parlano bene, professionalmente, tutti i colleghi di Mediaset. Difficile trovare chi gli muova un qualche appunto. Anche perché, fin dal 1991, dopo la stagione da corrispondente, il nostro Brindisi approda a Milano iniziando una nuova avventura come conduttore di Studio Sport, dove resta per un biennio. Nel 1993 avviene il passaggio a Studio Aperto, dove viene nominato capo della redazione romana e resta per diversi anni. Nel 2001 è quindi Enrico “Chicco-mitraglietta” Mentana a chiamarlo nella sua squadra al Tg5 per fargli assumere il ruolo di capo della redazione multimediale. «Questo – spiegò Mentanta all’epoca – perché Giuseppe è un bravo giornalista ed è un esperto di tecnologie, la persona ideale per occuparsi di informazione con mezzi multimediali». Nel 2003 Brindisi conduce l'edizione della notte del Tg5 e, nel 2004, viene “promosso” a quella delle 13.00. È dell’ultima estate la sua “investitura” in casa Verissimo. E, anche in questa nuova avventura, Brindisi conferma il suo indiscutibile stile giornalistico ribadendo che chi fa la gavetta del giornalismo arriva al grande pubblico preparato e in grado di “bucare lo schermo” attirando l’attenzione dei telespettatori ) come se fosse da sempre uno di famiglia. Anche se nei corridoi di Mediaset si rimarca il suo fascino sulle telespettatrici. VADEMECUM Speciale L'esperto risponde In considerazione del notevole numero di lettere pervenute in redazione, questa settimana sospendiamo la rubrica a cura di Filippo Bisleri per dare spazio alle risposte ai lettori. Rocco da Benevento ci scrive: Volevo sapere alcune cose: scrivo per un quotidiano economico della Campania. Sto facendo la pratica per diventare pubblicista. Oltre ad avere, se possibile, i dettagli sulla modalità della pratica, vorrei chiedere quanto potenzialmente posso ricevere come stipendio per la corrispondenza da Benevento. Risponde Filippo Bisleri: Caro Rocco, ho volutamente omesso il riferimento al tuo blog per lasciare le domande giornalistiche. Ti correggo sui termini. Non si fa la pratica per fare il pubblicista, si vive un biennio regolarmente retribuito per poter accedere all'Elenco pubblicisti dell'Ordine dei giornalisti. Chiedi le modalità e sono semplici: collaborare con una o più testate per 24 mesi (anche non continuativi ma senza interruzioni di più di 2 mesi) ed essere regolarmente retribuiti per un numero di articoli che variano da Ordine regionale ad Ordine regionale, e che non mutano a seconda della periodicità della pubblicazione o del media con cui si collabora. Lo stipendio per la corrispondenza? Se contrattualizzato come articolo 12 esiste un minimo sindacale diverso per il contratto Fnsi e quello Aer-Anti-Corallo (ne parleremo più avanti sul Vademecum). Senza contratto il pagamento è regolato dal tariffario nazionale deliberato alla fine di ogni anno solare e che differenzia in corrispondenze con inchieste, articoli, notizie. Se hai altri dubbi l'esperto è a disposizione. Ciao. Un anonimo ci scrive: Ho una curiosità: come iniziare a scrivere sulla carta stampata. Risponde Filippo Bisleri: Scrivi ad una redazione inviando il curriculum vitae o presentati di persona. E parti da giornali piccoli, non puntare subito al Corsera o a Repubblica. Potresti provare anche l'online con Telegiornaliste.com. Contatta la segreteria del magazine. In bocca al lupo. Marina ci scrive: Salve, ho appena iniziato a scrivere per la redazione locale di una testata giornalistica regionale, iniziando quasi per caso. Ma sto pensando d’intraprendere seriamente questa professione, che mi appassiona più di ogni altra. Vorrei però continuare a scrivere per questa redazione, che tra l’altro non è quella della mia città, ma cercando di tenermi al di fuori di essa, cioè scrivendo in modo non continuativo, come free-lance. (E questo sia per motivi logistici: non posso risiedere lì 7 giorni su 7; sia per il mio desiderio di libertà). Mano a mano, infatti, vorrei iniziare a proporre i miei articoli a testate di livello nazionale. Lo posso fare o devo necessariamente essere una pubblicista e quindi fare gavetta dentro una sola testata per due anni? E in questo caso avrebbero validità i due anni anche se scrivessi per più redazioni locali all’interno della stessa testata? Vi prego di liberarmi da questa confusione. Risponde Filippo Bisleri: Con piacere vedo che ti sei innamorata dell'arte e della professione giornalistica. Un amore difficile da vivere come tutti gli amori, ma che ha i suoi aspetti gratificanti. Ti sconsiglio, almeno nella fase di partenza, dallo stare al di fuori della redazione: contratti e contatti si acquiscono più facilmente in redazione... Quando riterrai di avere sufficiente autonomia potrai operare come free-lance badando ai costi e alla carenza di sicurezza della condizione appena citata. Quanto al biennio di lavoro per iscriversi all'Ordine dei giornalisti nell'Elenco pubblicisti: si può collaborare anche con mille testate in contemporanea, l'importante è poi avere pezzi o registrazioni di servizi audio e video sufficienti all'iscrizione, le dichiarazioni firmate da tutti i direttori responsabili che attestano i periodi di collaborazione e i pagamenti. Soddisfatta Marina? In caso negativo riscrivimi. Claudia ci scrive: Salve, sono una ragazza di 19 anni, ho appena raggiunto la maturità classica e mi sono inscritta alla facoltà di Filosofia di Bologna, con la speranza che questo corso di studi mi dia una preparazione abbastanza solida per entrare poi nel mondo del giornalismo. Sono consapevole della difficoltà che si incontra per entrare in questo settore, dello "sfruttamento" cui sono sottoposti i giovani aspiranti da parte di alcuni (spero pochi) caporedattori che si approfittano del fatto che non abbiamo ancora una posizione tale da riuscire a far valere i nostri diritti (compreso quello di essere pagati). Nonostante tutto sono disposta a lavorare sodo, sapendo che la ricompensa più grande consiste in fondo nell'imparare... Prima di intraprendere questo viaggio vorrei, se possibile, avere dei consigli: secondo lei il corso di studi che ho scelto è indicato per la professione cui aspiro? In che direzione dovrebbe muoversi una giovane come me nel mondo extrauniversitario? E' davvero così difficile come dicono diventare oggi una giornalista? Risponde Filippo Bisleri: Cara Claudia, prima di tutto grazie per avermi scritto e grazie per la fedeltà con cui segui Telegiornaliste.com. Il corso di filosofia è adattissimo alla professione giornalistica e potrà essere integrato con una laurea breve in Lettere o Scienze politiche. Mi chiedi in quale direzione muoverti in ambito extrauniversitario: io comincerei a bussare alla porta di qualche redazione, magari anche a quella di Telegiornaliste.com e di cominciare a farti le ossa anche con collaborazioni gratuite. Non badare subito al compenso: chi lo fa non diventerà mai giornalista. Oggi diventare giornalista non è facile, ma nemmeno impossibile. Sembri determinata a diventarlo. Contatta il direttore di Telegiornaliste.com, Silvia Grassetti, e proponiti per collaborare. La palestra dell'online oggi è più che mai importante. Ci scrive Stefano Todde di Quartu Sant'Elena: Gent.mo Sig. Bisleri mi chiamo Stefano Todde ho 30 anni e vivo a Quartu S. Elena; mi farebbe piacere apprendere la strada da percorrere per poter accedere alla categoria giornalistica nella fattispecie la divisione scientifica e/o naturalistica; qui di seguito le mostro il mio profilo didattico per rendere più chiara la mia posizione (omissis). Risponde Filippo Bisleri: Un consiglio semplice: invia il tuo curriculum vitae ai giornali puntando su quelli del settore scientifico. È un settore in crescita, ma devi anche ipotizzare un trasferimento a Milano o Roma. Considera anche i canali satellitari e le tv locali. In bocca al lupo. Barbara da Milano ci chiede: Anche i giornalisti pubblicisti devono superare l'esame? Risponde Filippo Bisleri: Allo stato attuale, i pubblicisti si iscrivono disponendo della licenza media (se non la si ha si deve superare un test con una commissione interna all'Ordine regionale di residenza), degli articoli o dei videotape minimi previsti dall'Ordine regionale di riferimento, dalla o dalle attestazioni dei direttori con cui si è collaborato nei 24 mesi di formazione e le ricevute dei compensi. L'esame di Stato serve ad ottenere la qualifica di professionista e non può essere sostenuto prima di aver compiuto i 21 anni. Francesca di Aversa ci scrive: Collaboro da 8 mesi con un quotidiano locale e ho superato di gran lunga gli 80 articoli pubblicati. Devo aspettare obbligatoriamente che passino 2 anni dal primo articolo per inoltrare la domanda, per l'iscrizione all'albo dei giornalisti pubblicisti? Risponde Filippo Bisleri: Sì, il periodo previsto è di 24 mesi. Con attestazioni di pagamenti che riguardino il periodo tra il primo e il 24° mese. Francesco ci scrive: Da come ho letto qua è là i pezzi giornalistici minimi da scrivere durante il periodo di praticante variano da regione a regione. Come mai? Risponde Filippo Bisleri: Se per periodo di praticante intendi quello da pubblicista non si tratta di un praticantato, ma di un biennio formativo volto ad appurare l'idoneità del soggetto all'iscrizione all'Ordine. Il numero varia in considerazione di decisioni che annualmente vengono decise a livello di Ordine nazionale e di Ordine regionale valutando parametri precisi come il numero di testate, le nuove pubblicazioni e anche gli esuberi redazionali. Monica da Roma ci scrive: Posso scrivere in un giornale a distribuzione gratuita e il cui direttore non è giornalista, per far sì che gli articoli pubblicati in tale giornale siano valevoli per l'iscrizione all'Albo dei Pubblicisti? Risponde Filippo Bisleri: No, perchè per iscriverti all'Ordine devi avere l'attestazione di collaborazione firmata dal direttore che deve essere un giornalista. Altrimenti la domanda di iscrizione verrà rifiutata e il rifiuto notificato tramite carabinieri al domicilio. Alfredo da Palermo ci chiede: Sono un aspirante giornalista di 30 anni, da due collaboro con diverse testate giornalistiche ma fino ad oggi non vengo retribuito, per cui mi chiedevo se posso iscrivermi ugualmente all'ordine dei pubblicisti. Grazie infinite. Risponde Filippo Bisleri: Caro Alfredo, la risposta è no. I pagamenti sono la condizione sine qua non per accedere all'Albo. Ti consiglio di rivolgerti alla sede regionale dell'Ordine dei giornalisti sottoponendo il tuo caso. Potrebbero aprirsi anche le porte per un praticantato d'ufficio e dunque dell'Elenco dei professionisti. EDITORIALE Notizie false e tendenziose di Tiziano Gualtieri Per anni ce l'hanno menata dicendo che in Italia non si leggono i quotidiani, che gli italiani sono gente a cui non interessano le notizie, un popolo appiccicato alla televisione. Niente di più più falso. A smontare tutte queste dicerie ci ha pensato - ed era ora - l'Eures che ha voluto capirci di più. Impossibile paragonare gli italiani a una mandria di pecoroni pronti a seguire questa o quella idea senza essersene fatta una propria. Ebbene, da questo studio che ha tolto il sonno a molti "benpensanti", emerge un dato assolutamente fuori da ogni aspettativa: l'83,2% legge un quotidiano a settimana, ma ben uno su due afferma di leggere regolarmente un giornale. Va bene, non è specificato quale tipo di testata o il settore, ma il dato è davvero confortante visto che si discosta - e di molto, ovviamente in positivo - di ben venti punti percentuali da quanto rilevato dall'Istat. A parziale, ma neanche tanto, discolpa di uno dei maggiori istituti di statistica - che, però, periodicamente "toppa" - il fatto che il campione analizzato fosse di un grado di scolarizzazione meno elevato rispetto a quello dell'Eures. A parte il fatto che non credo che uno legga il giornale solo se è laureato, anche se ogni tanto i testi giornalistici (magari anche il mio, ora) sono più che contorti, penso anche sia errato pensare che gli italiani siano tutti mezzi analfabeti. Almeno nelle statistiche. Italia territorio deigli ignorantoni? Ma nemmeno per idea. Dallo studio emerge che uno su tre ha dichiarato di leggere almeno un quotidiano tutti i giorni, mentre solo il 4% degli intervistati ha ammesso di non leggerli mai. Possiamo certo dire si tratti di un dato di tutto rispetto, se si considera anche il momento di crisi che, ahimé, sta investendo il settore dell'informazione. È evidente che non può che fare piacere, comunque, poter affermare che gli italiani cercano ancora informazione. Una cosa assolutamente positiva rimarcata anche dal fatto che non ci si accontenta più di leggere il singolo giornale. Oltre a sfogliare le pagine della testata a cui più è legato, l'italiano sembra non accontentarsi e va a cercare un confronto. Un italiano su due, infatti, segue anche le rassegne stampa televisive o radiofoniche. Ecco, qui sì che torna in auge la tv, ma mi sembra davvero troppo accusare gli italiani di essere legati al piccolo schermo a discapito della carta stampata. Infine, sempre dallo studio Eures, emerge che i giornalisti debbono ricordarsi del peso che hanno sulle coscienze italiche. Il 40% degli intervistati, infatti, ammette di essere condizionato sulle opinioni, in particolare quelle riguardanti le idee politiche. Attenzione dunque, cari colleghi, perché il quarto potere non si chiama così per caso. |
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