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Telegiornaliste anno II N. 33 (65) del 18 settembre 2006


MONITOR Maria Concetta Mattei vince ancora di Mario Basile
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Per chi non è abituato, varcare la soglia del Centro Rai di Saxa Rubra è sempre un’emozione particolare: si entra infatti nel cuore dell’informazione televisiva pubblica del nostro Paese.
Ed è qui che Telegiornaliste è tornato a premiare per la seconda volta consecutiva Maria Concetta Mattei, laureatasi per la terza volta nella storia del nostro campionato “campionessa di telegiornalismo”.
Maria Concetta ci accoglie nel suo ufficio poco prima di condurre l’edizione flash del Tg2. E’ felicissima di aver vinto ancora una volta. Il suo è un vero e proprio record: nessuna telegiornalista ha mai vinto il premio per tre volte.
La giornalista trentina ha lo stesso sguardo rassicurante che traspare dal video. Eppure sono momenti di grande fermento in Rai: la nomina dei direttori dei tre telegiornali è alle porte. E molto probabilmente saranno uomini - come poi è avvenuto.
Inevitabile allora che il discorso scivoli sulla mancanza di figure femminili nei posti di comando. La Mattei ribadisce quanto già ci aveva detto la durante la nostra visita precedente, affermando che i posti di potere sono un’esclusiva maschile, e non solo nel mondo del giornalismo.
Colpa di chi? Della nostra società, ancora troppo chiusa. Però è anche vero che qualcosa sta cambiando, come dimostra la nomina a Questore di Maria Rosaria Maiorino. E’ la prima volta che una donna riceve un tale incarico.
Sarebbe bello vedere come una donna dirigerebbe un telegiornale. Forse riuscirebbe a sfruttare al massimo le doti di ogni redattore, più di quanto fanno i colleghi uomini. Magari facendo appello a quella dote innata femminile di "problem solving" di cui proprio Maria Concetta Mattei ci parlò qualche mese fa.
L’arrivo di Manuela Moreno, altra protagonista del campionato di Telegiornaliste, interrompe la nostra chiacchierata. La bella giornalista romana si complimenta con la collega. E chissà che l’anno prossimo non festeggi lei la vittoria. Ai nostri affezionati utenti l’ardua sentenza.
Il tiggì flash incombe. Ci trasferiamo così in cabina di regia per ascoltare da posizione privilegiata le ultime notizie. Qui abbiamo modo di vedere da vicino la grande professionalità di coloro che, pur lavorando dietro le quinte, portano, insieme al conduttore, l’informazione di Rai2 nelle case degli italiani.
La nostra visita si conclude con la consegna della targa e le foto di rito: Maria Concetta ci dà appuntamento all’anno prossimo: la sfida è già lanciata.
Intanto gli sviluppi degli ultimi giorni confermano le nostre aspettative riguardo le nomine in Rai. Gianni Riotta è il nuovo direttore del Tg1 al posto di Clemente Mimun. Mauro Mazza e Antonio Di Bella restano al timone rispettivamente di Tg2 e Tg3. E’ però polemica sul metodo seguito per l’assegnazione degli incarichi. In molti parlano di scelte troppo politiche. E allora perché non lasciar decidere ai telespettatori i direttori dei telegiornali? Del resto il tg è un prodotto e i telespettatori ne sono i consumatori…
CRONACA IN ROSA Ma è davvero emergenza? di Erica Savazzi

Emergenza stupri a Milano, raffica di omicidi a Brescia, epidemia di stragi familiari. Ma davvero questi episodi di cronaca si verificano a ondate?
Che i singoli fatti avvengano, non c’è dubbio. Più dubbio è invece il modo ossessivo in cui se ne parla: settimane e giorni nei quali si parla solo di quegli episodi, mentre tutto il resto – infortuni sul lavoro, morti per droga, rapine – sembra non esistere.
E così ecco gli allarmi, le emergenze nazionali: peccato che dopo qualche giorno – o al più qualche settimana - tutti se ne dimentichino. E se nel frattempo si è presa qualche iniziativa, bene; se invece si è stati lenti, quando ormai le sirene hanno taciuto, meglio rimandare tutto al prossimo “caso”.
Ci sono, è innegabile, periodi in cui si concentrano alcuni avvenimenti, con episodi ravvicinati e di grande portata. Pensiamo agli sbarchi di clandestini a Lampedusa: d’estate si moltiplichino, com'è ovvio, rispetto a quanto accade in inverno. Situazione d’emergenza.
Ma il resto? Dipende dal “potere” dei media? I media aiutano. Collegano tra loro fatti anche molto diversi, ne estraggono i punti in comune. E poi si insiste su quella traccia in giornali e telegiornali, ci si chiede come è potuto accadere, si resta a bocca aperta per lo stupore. Come se si sentisse parlare di criminalità per la prima volta, come se nessuno sapesse che le nostre città sono anche pericolose.
Infine sopraggiunge il silenzio e ci si rivolge al prossimo allarme, terrorismo o inondazioni: fa lo stesso.
C’è poi la questione dell’”agenda mediatica”. Si è iniziato a parlare di uno stupro a Milano. Episodi simili si sono susseguiti a brave distanza l’uno dall’altro, e ogni giorno quotidiani e tv si lanciavano in una puntuale cronaca degli episodi di violenza. Forse che a Roma o Pesaro o in una qualsiasi cittadina italiana non si sono verificati negli stessi giorni fatti analoghi? Ma l’attenzione era su Milano.
A volte si scatenano vere e proprie "epidemie" criminali: il periodo delle rapine in villa; il periodo dei sassi dai cavalcavia, per i quali si è parlato di emulazione. Diversa la questione degli uxoricidi: lo scorso inverno sono avvenuti nel giro di pochi giorni diversi assassini di donne, fidanzate e mogli. Fatti che venivano associati, anche se avvenuti a centinaia di chilometri di distanza e con modalità diverse. Parlare di "ondata di violenza" diventava inevitabile.
C’è solo una certezza: la realtà che ci viene raccontata tramite i media è parziale. Se i fatti sono in qualche modo ripetitivi, anche solo per coincidenza, se contribuiscono a delineare una problematica, è più facile parlarne, è più facile attirare il pubblico con la scusa dell’emergenza.
Ma forse l’emergenza è il solo modo per affrontare certi argomenti, perché mette al riparo le coscienze.
FORMAT Amadeus, formula sbagliata di Nicola Pistoia

Chi l’avrebbe mai detto che il ritorno a casa Mediaset di Amadeus in fascia preserale - per sette anni monopolizzata dal gioco Passaparola - sarebbe stato un flop immediato?
Forse dovevamo aspettarcelo, visto che spesso i passaggi dei personaggi televisivi da una rete all’altra - e da un'azienda alla concorrente - non portano fortuna ai conduttori: basti ricordare l'infelice ritorno di Bonolis a Mediaset lo scorso anno.
Amadeus era tornato a Canale5 più carico che mai, con la voglia di replicare gli ascolti totalizzati da L’eredità, il gioco condotto su Rai1, ora affidato a Carlo Conti.
Ma il suo nuovo game show, Formula segreta, sarà forse presto sostituito da Cultura moderna di Teo Mammuccari: il pubblico, forse esigente e alla ricerca di novità ad ogni "cambio di stagione", non ha gradito la novella formula, che già dopo pochi giorni è stata modificata.
Il format, secondo i vertici Mediaset, non piace abbastanza. Anche se, sulla carta, sembrava accattivante e attraente l’idea di sbizzarrirsi per indovinare una frase nascosta, in una gara a metà strada tra rebus e cruciverba.
Il gioco, diviso in quattro manches, che vede scontrarsi altrettanti concorrenti chiamati a rispondere a una serie di quesiti, dall’attualità alla politica, dallo spettacolo allo sport, fino ad arrivare alla scoperta della formula finale, non ha finora vinto la battaglia per lo share.
Un plauso va comunque al conduttore. Simpatico e professionale, Amadeus è solo l'ultima vittima, in ordine di tempo, dei passaggi sfortunati da una rete a quell'altra.
ELZEVIRO Piccoli wikipediani crescono dal nostro inviato Marco Tascio

Il 2 settembre scorso, nella cornice del Palazzo Farnese di Valentano, sul lago di Bolsena, si è svolta l’ assemblea annuale dei soci Wikimedia Italia. Il nostro inviato, Marco Tascio, ha intervistato per i lettori di Telegiornaliste la neopresidentessa dell’associazione, Frieda Brioschi.
Frieda, cos'è Wikipedia, come è coordinata a livello internazionale e com'è strutturata in Italia?
«Wikipedia è un’enciclopedia online, libera, gratuita, multilingue, a cui tutti possono partecipare; viene scritta dagli utenti stessi della rete. In realtà non è coordinata: non ha un capo, ma una struttura assolutamente orizzontale in cui gli utenti sono tutti uguali tra loro. Solo per poter gestire il sito c’è una sorta di gerarchia tecnica: vengono riconosciuti dei privilegi a particolari utenti eletti dagli utenti stessi del sito, con criteri che variano di edizione in edizione.
Attualmente Wikipedia esiste in circa 200 lingue (tra cui l’italiano e diversi dialetti italiani).
I vari progetti hanno alla base lo stesso software, Wiki Wiki Web per gestire il sito, ed usano due regole di base: il rispetto del copyright e la ricerca di un punto di vista neutrale. Dopodiché sono le varie comunità che le animano e le popolano a decidere le convenzioni per portare avanti il progetto».
Gli accessi al sito, le integrazioni e ovviamente le modifiche delle voci sono monitorati?
«Le modifiche possono essere effettuate da chiunque, per partecipare a Wikipedia non è necessario essere iscritti: un qualsiasi utente può arrivare sul sito, leggere un articolo, e immediatamente modificare l’articolo stesso; la modifica va direttamente online. Non esiste un controllo a priori dei contenuti di Wikipedia, ogni forma di controllo è a posteriori.
Quello che abbiamo come obiettivo è catalogare tutto quanto arriva sul sito e rimuovere immediatamente gli errori palesi o le sciocchezze e di poter in qualche modo avvisare l’utente se non siamo sicuri di un contenuto inserito, per cui in cima a certe voci ci sarà la dicitura: “Riteniamo che questa voce sia da controllare”, “riteniamo che non sia neutrale”, e ci si lavorerà sopra.
L’importante è catalogare e “patrollare” tutte le voci quanto prima possibile, l’utente deve aver subito chiaro cosa si trova davanti».
Il pubblico italiano partecipa in maniera rilevante rispetto agli altri Paesi?
«La Wikipedia nasce in America nel gennaio 2001 ed arriva in Italia il maggio seguente. Io sono entrata nel progetto nel maggio del 2003 e c’erano circa venti persone in giro, 1200 voci; poi a dicembre 2003 c’è stata una crescita esponenziale.
Ora siamo tra le prime dieci a livello mondiale e c’è un ottimo tasso di crescita: mille nuove voci ogni tre giorni.
La partecipazione è buona, ma la diffusione in Italia ha ancora molto da dare. Ogni giorno capita di parlare di Wikipedia e di incontrare persone che non sappiano cosa sia. All’inizio era diffusa prevalentemente tra gli informatici, tra coloro che navigavano di più in rete, pian piano inizia ad essere conosciuta un po’ di più anche perché Il Corriere della Sera, La Repubblica e altri grandi quotidiani ci citano parecchio».
Quanti wikipediani lavorano con costanza al progetto?
«In Italia ci sono più di 86.000 utenti registrati, noi li chiamiamo i “wikipediani”; duecento tra questi, da un’indagine di pochi mesi fa, sono gli utenti più attivi: con medie di oltre 100 contributi al mese. In questo momento mi auguro che siano molti di più».
WikiNotizie: la sua missione è quella di "creare un ambiente eterogeneo dove i wiki-giornalisti possano diffondere notizie su una vasta gamma di eventi attuali". Quali prospettive si pone per il futuro rispetto a Wikipedia?
«La peculiarità di questo progetto rispetto a Wikipedia è l’attualità. A differenza della Wikipedia inglese, che in diverse occasioni è stata considerata la fonte online più aggiornata, la Wikipedia italiana ne rifugge. Stiamo discutendo se sia più corretto che, prima di fare una voce su un accadimento, sia necessario che trascorrano alcuni giorni per poter valutare se è enciclopedico. Molti di noi ritengono che l’attualità non sia enciclopedica e, anzi, che l’attualità crei molti problemi ad una voce enciclopedica, perché manca di quel distacco e di quella prospettiva storica che hanno gli altri argomenti, quindi in termini di neutralità ha sempre qualcosa da scontare.
Mi auguro che WikiNotizie faccia concorrenza ai quotidiani: sarà un notiziario generale, ma con al suo interno tanti notiziari più specifici. Come Wikipedia è un’enciclopedia generale di dimensioni talmente vaste che al suo interno esistono enciclopedie specialistiche. Anche in WikiNotizie, fatto da tutti e per tutti, verrà sempre conservato lo spirito collaborativo con licenza libera».
La maggiore critica che può essere mossa a Wikipedia è il difficile controllo delle modifiche fatte dagli utenti: non tutto quello che viene scritto è completamente esatto o suffragato da documentazione. La Bustina di Minerva di Umberto Eco che “denunciava” questa possibilità indiscriminata di modificare le voci di Wikipedia, avvertiva sulla necessità di utilizzare fonti accreditate o certe. All'interno di Wikipedia questo viene avvertito come un problema? Si pensa a possibili soluzioni?
«Umberto Eco è andato lui stesso a correggere la sua biografia su Wiki inglese. Comunque siamo assolutamente consapevoli di questa critica: nel momento stesso in cui abbiamo iniziato ad avere la coscienza di essere una comunità che ha un enorme progetto abbiamo iniziato a porci dei problemi sui nostri limiti.
Sicuramente il problema del controllo delle voci è all’ordine del giorno, ma ha diverse sfaccettature. Siamo alla ricerca di un sistema di validazione interno, perché Wikipedia è un progetto fatto da una comunità in continuo divenire e vuole che anche la validazione delle voci rimanga un processo interno alla comunità.
Il problema di come questo poi possa essere spendibile da fuori rimane: chi controlla i controllori? Non abbiamo un comitato editoriale predefinito come una qualsiasi enciclopedia, ma volontari che non seguono alcun progetto editoriale, non decidiamo a priori le voci che vogliamo scrivere. O meglio abbiamo progetti tematici all’interno di Wikipedia dalle dimensioni più o meno vaste.
Quello che cerchiamo di fare è delegare il controllo di tutte le voci di un determinato argomento al progetto che se ne occupa. Siccome lì si riuniscono le persone più preparate su un determinato argomento, non è proprio loro compito, ma è corretto che siano loro a valutare la correttezza dei contenuti inseriti.
Sicuramente il processo deve ancora migliorare e crescere. Quello che però possiamo affermare è che, da una parte, sul medio lungo - termine la qualità di Wikipedia è in continuo miglioramento e, dall’altra parte, un’indagine di Nature del dicembre 2005, ha dimostrato che per ogni tre errori dell’Enciclopedia Britannica, Wikipedia ne faceva quattro, e comunque Wikipedia, sempre secondo Nature, è più aggiornata dell’Enciclopedia Britannica».
WikiMedia Italia riuscirà ad essere inserita tra le associazioni culturali beneficiarie del Cinque per Mille?
«Non è ancora registrata come una Onlus, ma ci stiamo lavorando. Per ora ci limitiamo a fare promozione: invitiamo tutti i lettori di Telegiornaliste a partecipare a Wikipedia».
DONNE La forza delle immagini di Tiziana Ambrosi

Il nome di Leni Riefensthal è ormai indissolubilmente legato a quello di Hitler e al partito nazista.
Artista poliedrica, nata all'inizio del secolo scorso a Berlino, si avvicinò dapprima alla danza e alla pittura, passando poi per la recitazione, per giungere infine dietro la macchina da presa.
Proprio in occasione delle riprese di un suo film, La bella maledetta, conobbe il Fuerher, che rimase affascinato da lei e dalle sue opere: pellicole che incarnavano perfettamente i "valori" di purezza e bellezza tanto cari ai più mistici dei gerarchi nazisti e allo stesso Hitler.
La forza delle immagini era di vitale importanza per un movimento come quello nazista, fondato sul trionfalismo e sulla retorica. E le capacità della Riefenstahl di creare inquadrature e angoli fotografici fuori della convenzione colpirono profondamente i responsabili della propaganda.
Tanto da incaricarla di girare un documentario sul Congresso del Partito nazista, svoltosi a Norimberga nel 1933: Triumph des Willens - il Trionfo della volontà. Monumentale e imponente nella sua "agiografia" del partito nazista.
La Riefenstahl non lo definì mai un film politico perché più interessata all'estetica che alle questioni del Reich. Non fece direttamente parte del partito, anche se il fascino che il Fuerher esercitava su di lei diede adito a voci ed insinuazioni su una presunta relazione.
Indubbiamente la forza, il carisma e la volontà di Hitler non le erano indifferenti.
Il secondo monumento cinematografico fu il documentario sulle Olimpiadi di Berlino del 1936, Olympia. Un inno alla bellezza del corpo umano e, per naturale conseguenza, alla superiorità della razza ariana, che ottenne un enorme successo internazionale con premi sia a Venezia che a Berlino.
Alla fine della guerra, con la caduta del Reich, anche la Riefenstahl perse tutto il potere acquisito. Venne emarginata e si reinventò come fotografa, soprattutto in Africa. Si spense nel 2003, ormai centenaria, nella sua casa in Baviera.
Un personaggio ambiguo, che si è sempre dichiarato al di fuori dell'ideologia e che ha sempre affermato di non sapere cosa stava accadendo. Possibile? La sua reale posizione resterà sempre avvolta dalla nebbia. Connivenza o ingenua cecità? Una domanda che non troverà risposta.
TELEGIORNALISTI Ivan Zazzaroni, quello che il calcio... di Giuseppe Bosso

Ivan Zazzaroni, bolognese, giornalista dal 1981, è stato direttore del Guerin Sportivo e di Autosprint, e caporedattore del Corriere dello Sport - Stadio.
Dal 2002 è opinionista della Rai (Quelli che il calcio, Domenica sportiva, Figli di Eupalla).
A lungo collaboratore di The European, The Sun e di Folha de Sao Paulo, ha firmato l'autobiografia di Roberto Baggio (Una porta nel cielo, oltre 150.000 copie vendute) e, insieme a Pier Bergonzi e Davide Cassani, Pantani, un eroe tragico, giunto alla settima edizione. Ha vinto una trentina di premi giornalistici, tra i quali il Coni - Ussi, il Beppe Viola, il Palumbo, il Valenti, il S. Siro Gentlemen, il Fraizzoli, lo Sport e Civiltà.
Ha seguito quattro Mondiali e cinque Europei di calcio. In radio conduce su Radio Dee-jay il programma Deejay football club
Lo abbiamo incontrato per presentarlo in una veste inedita ai lettori di Telegiornaliste.
E’ giornalista da più di 25 anni: cosa è cambiato, a suo parere, rispetto ai suoi inizi in questo mestiere?
«Sono cambiato io. La televisione ha assunto un ruolo preponderante rispetto a quando ho cominciato, lavorando sulla carta stampata. Ma direi che nel complesso è il mestiere in sé che è cambiato».
Nella sua carriera ha avuto un modello, qualcuno a cui ispirarsi?
«Si, Italo Cucci, agli inizi; lavorando al Guerin Sportivo ho avuto modo di conoscerlo e si è instaurato un bel rapporto tra di noi».
Come si presenta il calcio all’indomani di una vicenda dolorosa come quella di “calciopoli”, che ha visto coinvolte grandi squadre, sebbene, a detta di molti, le pene non siano state appropriate, colpendo principalmente la Juventus e solo marginalmente le altre società?
«Niente di doloroso; è una cosa talmente straordinaria quello che è stato scoperto! Purtroppo non credo che ci sia una reale volontà di rinnovamento, in quanto molti dei personaggi coinvolti sono tuttora ai loro posti, malgrado i principali protagonisti di questo scandalo siano stati puniti».
Nella sua carriera si è districato tra stampa, televisione e radio: quali differenze ha riscontrato in questi ambiti?
«Sono nato come giornalista della stampa, ed è quello l’ambito in cui mi riconosco di più; la televisione rappresenta l’innovazione, un ambito in cui devi cercare di fare molta attenzione al pubblico che ti segue; nella conduzione radiofonica, invece, devi cercare di essere il più spontaneo possibile e di non incappare in errori legati alla diretta».
Abbiamo modo di vederla spesso nella trasmissione Diretta stadio di 7 Gold Tv, dove sono frequenti discussioni accese tra gli ospiti: non pensa che un cambiamento in positivo dell’ambiente calcio debba riguardare anche i media, con una maggiore moderazione dei toni?
«E’ in atto sicuramente un'opera di rinnovamento, che non riguarda solo i dirigenti ma anche noi protagonisti del mondo dei media; è importante vedere come molti ex calciatori, cioè i protagonisti veri di questo sport, stiano assumendo maggiore importanza come opinionisti nelle trasmissioni, verso una televisione più tecnica che parlata».
Ha firmato l’autobiografia di Roberto Baggio e un libro su Marco Pantani, due campioni molto amati dal pubblico, che però, per motivi diversi, hanno anche vissuto vicende travagliate. Il mondo dello sport è davvero così spietato con i suoi protagonisti?
«Premesso che lei ha citato due personaggi con alle spalle vicende completamente opposte, dico che non è lo sport, ma la vita ed essere così dura. È con l’impegno e una forte personalità che si possono superare i momenti dolorosi, e non sempre, come purtroppo nel caso del “Pirata”, si riesce a venire fuori da situazioni critiche».
Qualche anno fa è stato opinionista di Quelli che il calcio, dove veniva spesso punzecchiato da Gene Gnocchi: che ricordo ha di quell’esperienza?
«Un ricordo divertente, che comunque non considero un’esperienza di lavoro. Quelli che il calcio non può certo definirsi una trasmissione sportiva, come tradizionalmente intesa. Per me è stato un gioco in cui mi sono messo a fare lo “scemo”, venendo anche pagato però! Ricordo con simpatia Simona e Gene».
All’inizio della nuova stagione calcistica, dopo mesi di polemiche e veleni, qual è il suo augurio per quello che, comunque, rimane lo sport più amato dagli italiani?
«Di cambiare totalmente; dimenticare quello che è stato e cercare di riavvicinarsi di più alla gente, al pubblico».
OLIMPIA Quando i grandi lasciano di Mario Basile

Il momento dell’addio, si sa, è sempre triste. Frase fatta ma azzeccata se si parla di campioni che decidono di ritirarsi dall’attività agonistica.
Ed è proprio questo momento che lo sport ha assaporato qualche giorno fa, quando, a distanza di pochi giorni l’uno dall’altra, hanno annunciato il ritiro il pilota di Formula 1 Michael Schumacher e la tennista statunitense Martina Navratilova. Due campioni che, a suon di record, hanno scritto la storia delle rispettive discipline di appartenenza.
Certo, da italiani, fa un certo effetto parlare dell’addio di Schumacher. Lui che con le sue vittorie ha riportato sul tetto del mondo la nostra amata Ferrari dopo anni di buio.
Arrivò dieci anni fa dalla Benetton di Briatore. Era già campione, ma a Maranello ha dovuto faticare per riconfermarsi e, soprattutto, per guadagnare l’affetto incondizionato dei tifosi del cavallino rampante, abituati alla genuinità di Jean Alesi.
In pista, però, Schumi è di un altro pianeta. Eppure complice un po’ di sfortuna e qualche manovra azzardata di troppo, il primo titolo arriva nel 2000. E sarà egemonia Ferrari fino al 2004. Comune denominatore delle vittorie di Michael è vincere dominando.
E poco importa se il tedesco è freddo e distaccato, se nelle interviste ha un’aria saccente e non ha ancora imparato l’italiano. Al pilota più forte di sempre lo si può perdonare.
A trentasette anni ha detto basta. Resterà in Ferrari come collaboratore, perché uno così non lo si lascia andar via e Montezemolo lo sa. Con le ultime tre gare del campionato tenterà di scrivere la sua ultima impresa: vincere l’ottavo titolo della carriera. Solo pochi mesi fa pareva impossibile: Alonso era avanti venticinque punti.
In sedici anni di carriera Schumi ha stabilito ben quattordici record tra cui: vittorie totali (90), titoli iridati (7), podi (153), e punti complessivi (1354). E non è ancora finita.
Martina Navratilova, invece, la sua carriera l’ha chiusa davvero vincendo il suo cinquantanovesimo titolo del Grande Slam col doppio misto degli US Open.
A quasi cinquant’anni la tennista ha deciso di lasciare definitivamente dopo ben trentatré anni di carriera professionistica.
Esordì nel ’73, stupendo tutti gli addetti ai lavori con i suoi colpi mancini aggressivi. La determinazione di Martina non si fermò neanche davanti alla natura, che le aveva donato un fisico che faticava a mantenere il peso forma. Così gli anni ’80 furono pieni di successi: 109 vittorie consecutive, tre anni di primato nel ranking mondiale e, soprattutto, la vittoria dei quattro titoli di doppio nel Grande Slam del 1984.
Fu protagonista anche fuori dai campi da tennis, quando non ebbe paura a svelare il suo essere lesbica né ad appoggiare totalmente i diritti dei gay e le associazioni in favore di bambini poveri e degli animali.
Abbandonò il tennis nel ’94, ma tornò sei anni dopo. Giusto il tempo di diventare nel 2003 la più anziana vincitrice di un torneo del Grande Slam e nel 2004 di un incontro di singolo del circuito Open. Poi l’addio definitivo. Ora per Martina è tempo di godersi la vita a tempo pieno.
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