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Telegiornaliste anno V N. 13 (184) del 6 aprile 2009

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MONITOR Mariagrazia Poggiagliolmi: io ballo nella notizia di Giuseppe Bosso

Nata a Napoli, Mariagrazia Poggiagliolmi è giornalista e ballerina professionista. Si specializza a Roma in giornalismo e, nella Capitale, muove anche i primi passi nella televisione. Rientrata a Napoli, inizia uno stage al quotidiano Il Roma. Seguita dal caporedattore Diego Paura, comincia a scrivere per la pagina di spettacolo e costume. Attualmente collabora anche per il magazine Scoop di Massimo Maffei.

Quanto della ballerina c’è nel tuo lavoro giornalistico e viceversa?
«Oltre al ballo dipingo anche, e posso dire che in tutte e tre le cose che faccio ci sono aspetti che prendono gli uni dagli altri. Come giornalista sono sempre in movimento, mi piace andare in cerca di notizie, “ballarci dentro”, e quando intervisto cerco sempre di fare dei veri e propri ritratti dei personaggi con cui interagisco».

Quali sono state le tue maggiori soddisfazioni?
«Intervistare persone che mi hanno sorpreso per la loro grande umiltà e modestia, pur essendo personaggi di spicco, veri artisti con la "A" maiuscola».

E tra questi quali ti hanno più colpito?
«Preferisco non fare nomi, mi basta dire che ognuno ha il suo modo di presentarsi».

L’esclusione di Gomorra dagli Oscar pensi sia una sconfitta o una cosa che ci può stare?
«Ci può stare, le cose che fanno notizia prescindono dai premi, e comunque era importante fare arrivare un messaggio forte con il film, e questo mi pare sia stato raggiunto. Ma attenzione a non fare di tutta l’erba un fascio, non è solo questa l’immagine di Napoli».

Da cosa nasce la tua rubrica sul quotidiano Il Roma, Sex and Naples?
«Il titolo potrebbe far pensare ad un richiamo alla nota serie americana, ma non è poi così vero. Nasce dalla mia idea di voler creare uno spazio di confronto tra due punti di vista, quello femminile e quello maschile, e sono lieta di vedere come abbia creato un grande interesse, non solo da parte delle donne, ma anche da uomini che mi scrivono chiedendo di trattare i più svariati argomenti, dalla gelosia al tradimento. Non ultimo, la recente scoperta dei gas della Solfatara che, stando a quanto hanno detto, avrebbero delle enormi potenzialità ormonali».

Arte e cultura possono aiutare Napoli a rialzarsi?
«Certamente, vedi per esempio il grande riscontro che abbiamo avuto con Teatro Italia Festival. Da un punto di vista artistico e culturale Napoli non ha niente da invidiare ad altre realtà; è proprio per questo che ha creato non poca invidia».

Cosa pensi di trasmissioni come Amici e X Factor che sembrano voler valorizzare giovani talenti, ma che alla lunga non sempre fanno parlare per le doti artistiche dei loro concorrenti?
«Non ne ho un’idea del tutto negativa, ma è ovvio che non va confuso chi riesce a manifestare il proprio talento realmente e chi, nella competizione, vince per il supporto degli ascolti. I risultati veri si vedono alla lunga, come è accaduto a Giusy Ferreri che ha saputo dimostrare di essere un vero talento pur non vincendo il reality. È comunque positivo vedere che ci sono trasmissioni che puntano sui giovani e che li mettono in gioco».

La grande crisi economica che stiamo attraversando si ripercuote inevitabilmente anche sullo spettacolo.
«Sì, è così. I privati non hanno grandi possibilità di investire e il potere dovrebbe in questo senso cercare di indirizzare meglio le risorse in quei settori dove si potrebbe fare di più, senza però forme di oppressione».

Dove pensi di arrivare?
«Spesso penso di andare via da Napoli. La realtà è che questa città non offre grandi spazi, soprattutto nel giornalismo che è un mondo alquanto chiuso e dove, come in altri settori, viene prima la raccomandazione della bravura. Mi auguro di riuscire a conciliare il giornalismo con lo spettacolo e di poter continuare a fare ciò che ho fatto senza però trovare paletti e condizionamenti. La libertà di stampa è un bene prezioso».

Nel domani ti vedi più ballerina o giornalista?
«La passione per il giornalismo l'ho ereditata da mio nonno che, a un certo punto, ha lasciato questa strada per intraprendere quella della magistratura. E' infatti diventato Procuratore Generale della Repubblica di Brescia. Mi ha trasmesso il valore dell’ambizione che ho riversato anche in palcoscenico, ed è in questo ambito che mi sento più viva e realizzata».

Quanto conta l’immagine?
«Il nostro è innegabilmente un mondo basato sull’immagine, va premesso. Ma chi ha vero talento non ne ha poi bisogno, ovviamente con le opportune distinzioni: per settori come la moda è il primo requisito essenziale per andare avanti, ma nel teatro solo se si dimostrano passione e talento si riesce ad andare avanti, indipendentemente dalla propria immagine. Lo stesso vale per il giornalismo».

Come ti descrivi?
«Mi ritengo una persona eclettica, camaleontica, una persona che ha voglia di provare tante cose nella vita proprio perché ama la vita. Non penso di sentirmi ancora arrivata e forse non mi sentirò mai così perché, come diceva Eduardo De Filippo, gli esami non finiscono mai».

Ritieni che per le tue attività sia più difficile rispetto ad altre colleghe conciliare lavoro e affetti?
«Tempo per tutto c’è, i problemi semmai sono per gli altri che ti stanno intorno, capire quelle che sono le tue esigenze, ma non rinuncio assolutamente al sale della vita, all’amore. Da bambina, era la risposta che davo a mio nonno quando mi chiedeva quale fosse per me la cosa più importante».
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CRONACA IN ROSA Beata gioventù di Erica Savazzi

Quasi quasi lo faccio. Allargo del 20% il mio appartamento milanese di 25 mq. Potrei chiudere il balconcino che uso per stendere i panni. Lo chiudo e ne faccio una stanzetta per il gatto, che finalmente avrà un posto tutto per sé. Così magari smetterà di odiarmi a causa della pappa del discount che gli propino. A pensarci bene – ha un odore veramente tossico. Però prima devo chiedere alla padrona di casa che mi fa pagare solo 550 euro di affitto. Onesto, potrebbe andare molto peggio, sono stata fortunata.

Sono stata fortunata anche sul lavoro. Ho una laurea magistrale, Erasmus, master. Ho un contratto di apprendistato di tre anni, ottenuto dopo due stage gratuiti. In effetti ho molto da imparare, non avevo mai lavorato in quell'azienda. Devo essere formata. Sono anche abbastanza intelligente, perché dopo qualche mese già lavoravo in completa autonomia. Guadagno 950 euro al mese, euro più, euro meno.

Certo che la mia vicina di ufficio, che vive col suo ragazzo in una cascina fuori città, potrà allargarsi ancora di più. Magari riuscirà a fare una camera per il suo futuro erede, perché no. Sarebbe bello. Tanto tra poco avrà tutto il tempo di pensare a che lavori fare, approfittando anche degli incentivi per le ristrutturazioni. Il suo apprendistato scade fra un mese e – con molta generosità – un paio di giorni fa l'hanno avvertita che non resterà. D'altronde al termine dell'apprendistato o ti assumono o stai a casa. Certo, è una bella occasione. A 30 anni può inventarsi una nuova vita, ritornare all'adrenalina di trovare un lavoro, magari che le piaccia. E intanto passerà qualche giorno di riposo a casa.

Io ho ancora un anno di contratto, poi chissà. Mio padre mi dice di andare all'estero, mia mamma non sarebbe contenta però, alla fine, capirebbe. Sono gentili, loro, quando torno a casa nel week end mi danno sempre dei soldi, e mia mamma cucina cose buonissime per farmi riprendere dalla settimana. Sa benissimo che, quando torno dal lavoro, non ho di certo voglia di mettermi a cucinare.

Adesso preparo la tuta da ginnastica da portarmi domani al lavoro. Io lavoro al pc, ma domani è un caso particolare. Bisogna ripulire un solaio. E io sono una lavoratrice flessibile.
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FORMAT Beppe Grillo torna in tv di Federica Santoro

Come una cometa Beppe Grillo è apparso sugli schermi di Exit, la trasmissione di approfondimento giornalistico condotta da Ilaria D’Amico su La7, ma la visione dura solo qualche minuto. Quanto basta, però, per denunciare gli scandali dei furbetti del quartierino, manager di banche in primis, ma anche di politici condannati in Parlamento e di imprenditori come Marco Tronchetti Provera o Ligresti che definisce «capitalisti con le pezze al culo».

Al centro della prima parte della puntata, si discutono i pro e i contro della gestione privata dei servizi pubblici: dall’acqua potabile, ai trasporti urbani, dai rifiuti, al verde cittadino.
Tra gli ospiti Piero Marrazzo, presidente della Regione Lazio, Adolfo Urso sottosegretario allo Sviluppo economico, e il giornalista del Corriere della sera, nonché tra gli autori de La casta, Sergio Rizzo.

Un intervento irruento alla Grillo che farà parlare forse le cronache per qualche giorno, come è successo in occasione dell’annuncio della sua presenza in trasmissione, balzato dalle agenzie, al web e ai giornali, ma alla fine come sempre tutto ciò assorbirà in un silenzio assordante i veri problemi del Paese. Quelli che il comico ha bruscamente sollevato nel suo discorso.

Ma qui non si tratta di un problema di stile o peggio ancora, come qualcuno lascia credere, di creare un dialogo tra gli attori politici. Ogni giorno l’informazione italiana è paralizzata, «la gente è tagliata totalmente fuori dal sistema decisionale», come ha ribadito Grillo, «il nostro Paese ha bisogno di una scossa».

Senza togliere nulla alla bravura della D’Amico, il programma ci è sembrato un po’ una brutta copia del più anziano Report di Milena Gabanelli: simili nella costruzione e nel ritmo dato ai servizi, Exit lascia troppo spazio all’arena politica dove, come sappiamo, si può affermare tutto e il contrario di tutto.
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CULT Sotto le lenzuola di Valeria Scotti

Dal tribunale agli scaffali delle librerie. Dalla pratica alla teoria. Wedad Lootah, assistente sociale impegnata a sentir da mattina a sera coppie litigare per questioni anche di sesso, un giorno ha deciso di mettere su carta le esperienze altrui e di pubblicare a proprie spese un libro sull’educazione sessuale per sposi. Bizzarro il contesto: Dubai. Emirati Arabi. Ed è scandalo.

Ben 221 pagine – e oltre cento eliminate perché troppo esplicite - per I segreti delle relazioni sessuali delle coppie sposate. Senza peli sulla lingua, figuriamoci su delle pagine: come avere rapporti durante il ciclo, l’uso della pornografia in coppia, come fare il bagno insieme.

Lootah, peccatrice e infedele, vittima di minacce di morte per telefono. Definita su internet "una marionetta degli Stati Uniti e di Israele", rea di aver incontrato sulla sua strada un argomento tabù come il sesso. Eppure una donna legata alle tradizioni: indossa il velo, è contraria all'omosessualità, al sesso extramatrimoniale e alla masturbazione. Ma ritiene che sia necessario aiutare le coppie sposate a trovare una buona intesa sotto le lenzuola, uno dei maggiori punti di disaccordo. Le statistiche parlano chiaro: separazioni in rapida crescita e bye bye amore mio.

I sostenitori dell'iniziativa non mancano, quelli che non vogliono chiudere un occhio di fronte all’ignoranza della sfera intima. Ammiratori della Lootah che, alcuni anni fa, aveva esortato le autorità ad introdurre l'educazione sessuale nelle scuole degli Emirati Arabi. Perché, come spiega l'autrice, «questo libro è destinato alle coppie che stanno per sposarsi e non agli alunni delle scuole che necessitano di educazione sessuale, ma in un modo adatto alla loro età».
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DONNE La principessa che alza la voce di Chiara Casadei

Siamo in Arabia Saudita, dove le donne sono costrette a sopportare continue limitazioni e divieti nella loro vita di tutti i giorni: non possono iscriversi all’università o accettare un lavoro né stare da sole in albergo senza l’autorizzazione del padre. Solo in questa nazione, però, sopravvive tuttora il divieto alle donne di mettersi al volante di un’automobile, con la rigida e obsoleta motivazione di voler evitare le “tentazioni” che possono nascere dalle interazioni con gli uomini. Per fortuna c’è qualcuno che si è deciso ad alzare una protesta, e quel qualcuno non è decisamente una persona qualsiasi: si tratta della principessa Amira al-Tawil, moglie del principe Al Walid Bin Tala.

In un’intervista del quotidiano saudita Al Watan, la paladina ha sostenuto con toni forti: «Ho una patente internazionale e guido la macchina quando viaggio. Sono pronta a guidare anche nel Regno Saudita quando sarà permesso. Preferisco guidare l'auto con mia sorella o un'amica accanto, anziché andare con un autista che non è mio parente». La sua sfida contro le autorità non è di certo la prima voce fuori dal coro che si batte per questa assurda imposizione.

Prima di lei, ci sono state altre dimostrazioni di protesta. Nel 1990, 47 donne saudite guidarono per le strade di Riad, ma la reazione della polizia fu tassativa: l’arresto di tutte le “ribelli” e un decreto contro le donne alla guida. Nel 2008 l’intellettuale Wahida Al Huwaider, dopo aver tentato di cambiare le regole attraverso una petizione di 3000 firme, si è fatta riprendere mentre guidava clandestinamente fuori città, per poi postare il resoconto dell'impresa su YouTube. Come risultato, la Shura - il Consiglio saudita - ha chiesto di permettere alle donne di guidare, a patto che rispettino alcune regole: guidare solo di giorno, avere l'autorizzazione di un parente uomo, guidare in autonomia solo in città, avere ottenuto la patente.

Amira potrebbe finalmente riuscire a portare a compimento quello che altre donne prima di lei avevano cominciato con grinta. Lei, di origini palestinesi, amica oltretutto della regina Rania di Giordania, si è sposata nel 2006 con il magnate Al Walid, ricco e potente, socio di Berlusconi e di Murdoch, e nipote di re Abdallah. Oltre a queste ottime referenze, il maritino sembra aver promosso egli stesso il dialogo con l’Occidente e i diritti delle donne. Come si dice: l’unione fa la forza!
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TELEGIORNALISTI Emanuele Giordana, la magia dell’Afghanistan di Erica Savazzi
- continua dal numero 183

Continuiamo l’incontro con Emanuele Giordana, allargando il campo dall’Afghanistan all’Italia e al Tibet.

Lavori anche in radio.
«Oramai sono sette anni che ho un contratto stagionale – sono felice di essere un uomo libero - a Radio3mondo, una trasmissione che mi piace moltissimo e di cui sono molto fiero. È un lavoro che faccio molto volentieri. Parliamo solo di ciò che accade fuori dall'Italia, credo che siamo l'unica trasmissione che lo fa».

Qual è il livello dell'informazione sugli esteri secondo te?
«Non ce n'è, oppure c'è in maniera superficiale e a spot, e sempre di più occupandosi dell'aspetto di costume senza guardare in profondità. Questo non è colpa dei giornalisti – in Italia ci sono tantissimi bravi giornalisti – ma in parte di una tradizione del nostro Paese di essere ripiegato su se stesso e in parte dell'editoria, che nonostante si sia aperta un po' di più sul mondo, tende sempre a presentare tutto in termini televisivi. Per questo una trasmissione come Radio3mondo secondo me è un piccolo gioiello da salvaguardare».

Hai curato un insieme di saggi sul Tibet, all’interno del quale hai scritto un articolo su come la legislazione internazionale ha affrontato il problema della regione.
«Mi sono rifatto a una sorta di processo sul Tibet che è stato istituito dal tribunale Russell, un tribunale della società civile. Alla fine si dimostra che il grado di indipendenza del Tibet dalla Cina è una realtà storica, di conseguenza, in base al principio dell'autodeterminazione dei popoli, i tibetani avrebbero diritto di esprimersi rispetto al far parte della Cina o meno. In sostanza la legislazione internazionale mette il Dalai Lama - che non chiede la secessione ma una larga autonomia - in una posizione legalmente forte, mentre la posizione dei cinesi è molto più debole perché di fatto sono invasori».

Si puntava molto sulla pressione internazionale.
«La pressione che viene dal basso, le manifestazioni in Tibet, India, Nepal e poi in Italia, Francia, Stati Uniti, non possono durare all'infinito. Possono dare un segnale, poi tocca alla politica coglierlo. Questo non è stato fatto: in occasione delle Olimpiadi anche i Paesi che erano più filotibetani come la Francia o l'Italia - che addirittura voleva ritirare la missione sportiva - alla fine, grazie al fatto che la Cina è una grande potenza economica, hanno lasciato. Credo che i nostri leader siamo colpevoli non meno dei cinesi di aver abbandonato i tibetani».

Quale può essere allora una via di soluzione?
«Forse l'unica vera speranza è che all'interno della società cinese - una società dinamica dove ci sono degli intellettuali che hanno chiesto di rivedere il modo in cui il governo tratta la questione tibetana - succeda qualche cosa. Forse oggi l'unica speranza di combattere l'invasione della Cina sono proprio i cinesi, però ovviamente è una speranza a lunghissimo termine. E senza la pressione internazionale sarà molto difficile che la persone che vogliono suggerire una posizione di apertura possano veramente farlo».

Com’è che ti sei appassionato di Asia e Medioriente?
«Ho viaggiato molto tra i 18 e i 25 anni, allora era molto facile viaggiare a piedi, c'era la guerra fredda e quindi poche guerre reali. Di tutti i Paesi in cui ho viaggiato l'Asia è quello che mi è rimasto nel cuore, e ho continuato questa passione col lavoro. È stata una grande fortuna fare allora quei viaggi: a distanza di trent’anni tante cose che allora non avevo capito o a cui non avevo fatto caso un po' studiando e un po' tornandoci con più consapevolezza sono diventate un piccolo tesoro di esperienza e cultura».

Immagino sia stato difficile partire.
«Era più semplice di adesso. C'era un movimento giovanile molto aperto, e le famiglie forse avevano meno timori o comunque non avevano i mezzi per opporsi al nostro desiderio di libertà. Alla fine il mondo era molto meno pericoloso quindi era molto più facile viaggiare, costava di meno e soprattutto non avevamo allora la necessità di comodità, ci accontentavamo di viaggiare su autobus scalcinati. Credo soprattutto che fosse il contesto storico di quel periodo: ora ci si pensa due volte prima di intraprendere un viaggio che in realtà poi si può fare lo stesso, certo bisogna stare più attenti. Partivamo e stavamo via magari quattro o sei mesi, finché non finivamo i soldi. C'era più libertà di movimento, che era una libertà del sentimento. Non so se ci fosse più coraggio, di certo c'era molta curiosità».
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SPORTIVA Addio, Campione di Pierpaolo Di Paolo

È lutto nel mondo del pugilato. Giovanni Parisi, stella della boxe italiana, è morto mercoledì 25 marzo in un incidente stradale. Aveva 42 anni. L'auto su cui il campione viaggiava si è scontrata frontalmente con un furgoncino lungo la tangenziale di Voghera, ribaltandosi. Giovanni è morto sul colpo.

Parisi è stato un pugile dall'immenso talento che ha regalato, per oltre un decennio, emozioni straordinarie agli appassionati della boxe italiana. Soprannominato Flash per la velocità con cui demoliva gli avversari, è ricordato principalmente per l'impresa a Seul 1988 dove, a soli 21 anni, conquistò la medaglia d'oro tra i pesi piuma.

«E' una perdita dolorosissima» dice Franco Falcinelli, ct della nazionale nell'88, oggi presidente federale. «Ricordo ancora quando Giovanni alzò le braccia al cielo e dedicò la medaglia alla madre da poco scomparsa». Parisi è stato anche campione del mondo WBO dei pesi leggeri nel 1992 e superleggeri dal 96 al 98.

La sua improvvisa scomparsa lascia attoniti non solo i colleghi, ma quanti hanno avuto la fortuna di vivere le emozioni di quei momenti indimenticabili. Nino Benvenuti: «Ci lascia un gran vuoto, era un campione tra i grandi della storia». «Sono cose che ti spezzano il cuore», spiega Patrizio Oliva, «era una bravo ragazzo, una persona eccezionale». «Riesco solo a piangere» dice commosso Gianfranco Rosi. Addio, Campione.
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Telegiornaliste: settimanale di critica televisiva e informazione - registrazione Tribunale di Modena n. 1741 del 08/04/2005
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